Alessandra Catozzella

 

Alessandra Catozzella, Alumna del Percorso Executive in Financial Risk Management, è stata da poco nominata Director of Strategy and Innovation beyond insurance in AXA. Scopriamo insieme come è arrivata a questa posizione di prestigio.

Iniziamo con una domanda all’apparenza semplice: qual è la sua storia?

Il mio percorso è un po’ particolare. Infatti, dopo il dottorato in Economia mi sono dedicata al mondo accademico e alla ricerca. Avevo però la sensazione di fare studi fini a sé stessi, ero un po’ scoraggiata dalla mancanza di applicazioni concrete. Inoltre, ero curiosa di vedere come fosse il mondo al di fuori dell’ambito accademico.

Così, ho iniziato a guardarmi un po’ intorno, finché non ho ricevuto una proposta interessante da Zurich, compagnia assicurativa internazionale. Si trattava di un programma globale, rivolto ai talenti, che prevedeva un anno di rotazione su paesi e aree funzionali diverse. Mi sembrava una bella occasione per sperimentare il mondo corporate e capire se potesse interessarmi.

Una prima esperienza che è durata ben nove anni. Ho ricoperto funzioni diverse, in paesi diversi, ma c’è sempre stato un fil rouge, ovvero la curiosità e la voglia di sperimentare.
Arrivando dal dottorato, mi sono dovuta mettere in gioco su temi per me nuovi: ho iniziato nella funzione di pianificazione strategica dei sinistri…e all’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse un’assicurazione!

Oltre a quella funzione iniziale ne ho sperimentate altre, dal Risk Management alla Strategia, passando per brevi rotazioni nell’Attuariato, Risk Engineering e Underwriting, sia in Svizzera che in Italia. Si è trattata quindi di un’esperienza completa, durante la quale non mi sono mai annoiata. Ho avuto l’occasione di imparare tanto e di conoscere persone con diversi background. Dopo nove anni però ero curiosa di scoprire altre realtà e di vedere come fosse il mondo al di fuori di Zurich.

Quando mi ha contattata Boston Consulting Group – alla ricerca di persone con esperienza aziendale in ambito assicurativo – ho deciso di accettare la sfida, percorrendo un percorso controcorrente rispetto a quello tradizionale, che solitamente prevede prima un’esperienza in consulenza e poi in azienda.

Nei tre anni di consulenza strategica ho avuto l’occasione di lavorare su progetti diversi, in Germania, Svizzera, Portogallo e Italia, con un focus ovviamente sul settore dei financial services e assicurativo in particolare, ma sperimentando anche nuovi settori, dal non-profit all’energy. È stata una bellissima esperienza, che mi ha trasformata e completata come professionista aggiungendo struttura, soft skills – dalla negoziazione al public speaking alla pura fiducia in me stessa – alle competenze più tecniche che avevo acquisito in Zurich. A lungo andare mi mancava però il mondo corporate, il mettere a terra i progetti, l’avere un team fisso, dedicato, con il quale costruire qualcosa e, non per ultimo, un migliore work-life balance. Infatti, nel frattempo avevo avuto un bambino e i numerosi viaggi non rendevano facili le cose dal punto di vista familiare.

Così la tappa successiva è stata di nuovo in una multinazionale assicurativa, AXA questa volta, con il ruolo di responsabile della strategia. Da febbraio ho avuto la grande opportunità di estendere questo ruolo per ricoprire anche la responsabilità dell’innovazione “beyond insurance”, ossia lo sviluppo di innovazioni, idee, servizi non-assicurativi.
Questo incarico rappresenta la sintesi di quello che più mi è piaciuto in questi 10 anni d’azienda: credo sia il ruolo più divertente che abbia ricoperto fino a questo momento.

Il suo percorso è molto interessante e le ha permesso di confrontarsi con situazioni diverse. Quali sono gli insegnamenti che ne ha tratto e che la accompagnano ancora oggi?

Ho imparato molto da ogni tappa di questo percorso – fatto di esperienze anche molto diverse tra di loro.
La prima esperienza nei sinistri – una delle funzioni core delle assicurazioni – mi ha permesso di conoscere meglio il business e quindi di guadagnare credibilità. Infatti, spesso le persone che arrivano in azienda dalla consulenza, con alle spalle ruoli strategici o funzioni di supporto, vengono viste con diffidenza. Essere partita “col cacciavite in mano” mi ha aiutata ad affermare la mia credibilità.

Anche lavorare in un grande gruppo è stato importante, perché mi ha permesso di conoscere da vicino sia le sfide e le difficoltà che si riscontrano a livello locale, che i meccanismi di una multinazionale, aiutandomi così a mediare tra le necessità del team e quelle del gruppo.

Quando poi ho iniziato a lavorare nel Risk Management – un cambio radicale per chi come me non aveva mai ricoperto una funzione di controllo – ne ho capito il valore aggiunto. Fino a quel momento lo avevo percepito come un adempimento burocratico e normativo, ma poi ho visto i vantaggi che può portare al business. In questo ha avuto un ruolo importante anche il Percorso Executive in Financial Risk Management, che mi ha aiutata a vedere la dimensione strategica del risk management. Mi ha dato un’idea dell’impatto che questo ha sulle funzioni di asset management, di come il credit risk management, in un contesto di crisi finanziaria e di non performing loans, svolga un ruolo fondamentale di sostegno e protezione dell’economia.
Questo percorso, insieme all’esperienza che stavo vivendo all’interno dell’azienda, mi ha fatto vedere le funzioni di controllo in un’ottica diversa, più strategica, complementare e sinergica rispetto al business.
Grazie a questa esperienza, oggi in AXA ho un ruolo e un background che mi permettono di interagire sia con le funzioni di controllo che con quelle di business, conoscendo esattamente l’importanza che ognuno ha per l’azienda.

Anche l’esperienza nella consulenza mi ha dato molto. Infatti, mi ha dato la struttura, il modo di inquadrare, approcciare e risolvere i problemi, di trattare con persone anche con livelli molto diversi, di gestire deadline stringenti e lavorare sotto pressione, ma soprattutto il valore aggiunto che deriva dal confronto costante e dal lavoro di squadra.

Ha già accennato al Percorso Executive che ha svolto qui al MIP. Che cosa l’ha spinta a ritornare sui banchi di scuola?

Per come sono fatta io, sento sempre la necessità di rafforzare le competenze teoriche accanto a quelle “on the job”: non mi piace entrare in un ruolo e poi sentirmi un po’ impreparata. Mi piace approfondire, studiare e coltivare le competenze necessarie per quella funzione specifica. Così, dato che ero arrivata nel Risk Management dopo un percorso nel business e nella strategia, mi sono chiesta come potessi, al di là di quello che imparavo sul campo, anche irrobustirmi dal punto di vista teorico.
Inoltre, all’interno del mondo assicurativo, entravo in contatto solo con alcuni aspetti del risk management e mi sembrava di averne una visione limitata.

Guardando su internet ho identificato questo Percorso Executive e mi è sembrato un programma molto completo, che copriva tutte le aree del risk. In aula c’erano sia professori che professionisti, provenienti da società di consulenza, studi legali, banche.
Mi sembrava un bel mix, una bella opportunità. Ed effettivamente lo è stato. Si è formato tra l’altro un bel gruppo, con allievi con background e seniority diversi.

Si è creato un affiatamento tale da tenere vivo il legame al di là del percorso. Ci siamo supportati nelle scelte professionali, consigliandoci o indicando i rispettivi nomi in caso di posizioni aperte. Questo grazie anche ai lavori di gruppo, che hanno reso il percorso interattivo e completo. Il dover affrontare problemi pratici, cercare dei dati, analizzarli…è l’aspetto che ho trovato più utile.
Mi ha dato una visione più strategica del rischio, dal respiro economico e politico più ampio.

Al di là del percorso di studi in sé, quale ricordo conserva del MIP come scuola?

Ho un ricordo bellissimo. Ritagliarmi quattro giorni al mese – il venerdì e il sabato – in cui smettere di essere un professionista e tornare studente è stato faticoso, ma anche molto bello.
Mi è piaciuto trovarmi in un campus universitario, avere la possibilità di interagire anche con gli studenti di atri corsi, essere esposta a conferenze, pensieri e dinamiche innovative, a un ambiente internazionale…

Per non parlare poi del network che si è creato. Come accennavo prima, sono rimasta in contatto sia con studenti che professori, ho lavorato con alcuni di loro. I rapporti che si sono creati sono stati un utile supporto all’attività lavorativa.

Grazie per aver condiviso la sua esperienza. C’è un’ultima domanda per lei: cosa consiglierebbe a chi vuole lavorare in questo settore?

Anche se c’è già un interesse specifico per il risk management e per le funzioni di controllo e un relativo percorso di studio alle spalle, consiglio di fare anche un’esperienza nel business. Questo permette di vivere il ruolo in modo più completo.

Spesso, dopo la laurea o un master, si cercano immediatamente ruoli di tipo strategico o manageriale, quando invece lavorare nel business è una tappa fondamentale per capire veramente le dinamiche di quel lavoro e quindi accrescere la propria credibilità.
Testare ruoli e funzioni diverse aiuta a chiarirsi le idee su cosa si vuole fare veramente. Io, per esempio, ho partecipato a un graduate program, e lo ritengo uno dei modi più belli per entrare in un’azienda. Mi ha dato il tempo di sperimentare, che è la cosa più importante.

Sperimentare, non fermarsi mai, aiuta a capire meglio su cosa concentrarsi. Io per esempio avevo iniziato nei sinistri e in molti mi consigliavano di continuare in quell’ambito fino a che non ne fossi diventata un’esperta. Io invece non mi sono voluta fermare, mi sono detta “aver visto questo non mi basta”. E infatti ho continuato a esplorare, nel mondo assicurativo e oltre, e continuo a farlo ogni giorno. Ogni giorno in cui si impara anche solo una cosa nuova o ci si pone una nuova domanda non sarà mai un giorno perso!

 

Stefano Capoferri

È giovane, pieno di idee e, quando parla del suo lavoro, ha gli occhi che brillano per l’entusiasmo. Si chiama Stefano Capoferri, è un Alumnus di Ingegneria Gestionale e, insieme ai suoi genitori, è l’anima di Gulliver, software house di Brescia.
Vengo da una famiglia che ha una forte cultura imprenditoriale e parallelamente sono un appassionato di nuove tecnologie…” Stefano apre così la nostra chiacchierata, scegliendo le sue origini come biglietto da visita.
Dopotutto, la sua è la storia di un giovane che nell’azienda di famiglia ci è cresciuto, imparando sul campo i segreti del core business prima di interessarsi a bilanci e amministrazione.

Gulliver è nata nel 2000, puntando sul mobile quando erano in pochi a immaginare la crescita esponenziale che questo settore avrebbe avuto nei quindici anni successivi. Partendo dalle applicazioni di Sales Force Automation sui Nokia Communicator, oggi Gulliver è cresciuta sia nel mondo B2B – in particolare nella Contract logistics – che nel B2C.

Se da un lato l’interesse per il mondo imprenditoriale è parte del retroterra di Stefano, è stato il Politecnico a dargli gli strumenti per poter fare la differenza in azienda.
Ci spiega infatti: “Ho scelto Ingegneria Gestionale perché pensavo mi potesse dare una visione a 360°, un modo di pensare e di organizzare le varie attività. Gli anni al Politecnico sono stati uno dei momenti più belli fino ad ora…
Un legame forte, quello con l’Ateneo, che non si è allentato nel corso del tempo ma che, al contrario, è diventato sempre più forte. “Il Politecnico – ci racconta – è sempre stato per noi un punto di riferimento perché è qui che nasce l’innovazione. È uno dei migliori centri di ricerca ed è origine per noi di ispirazione. Personalmente, avendo studiato qui, apprezzo molto questa collaborazione, specialmente ora che sono entrati negli Osservatori alcuni ex compagni o che mi ritrovo a lavorare insieme ai docenti che mi hanno fatto lezione in passato.

È anche grazie a questa relazione con il Politecnico che Gulliver riesce a essere aggiornata e a cavalcare l’innovazione con successo.

Un esempio? Capoferri ci parla di tre startup nate da Gulliver: Legur– nel settore dell’agroalimentare, Giotto – dove tutti i colleghi di Gulliver sono soci e hanno l’1% delle quote della società, e WinEx – che unisce il mondo della logistica con quello dell’agroalimentare per assicurare ai ristoranti una cantina fornita e flessibile.
Questi progetti hanno dato a Stefano la possibilità di vedere da vicino il mondo delle startup e di capire che “in Italia spesso ci si ispira al modello americano, dove i venture capitalist sono abituati a investire molte risorse nelle nuove startup. Tuttavia, in Italia, non è sempre così, soprattutto su aziende che non hanno ancora utili.”

Il consiglio di Capoferri per chi vuole diventare uno startupper è di “dimostrare che si è in grado di fare utili, di saper organizzare un team. Poi l’investitore è facile da trovare”.
Un po’ come ha fatto insieme ai colleghi di Giotto per il lancio di Ophelia, una macchina per fare lo Spritz. Dopo aver costruito dei prototipi a mano, hanno avviato la produzione di un piccolo lotto autofinanziato destinato alla vendita, con l’obiettivo, una volta registrati i primi utili, di apparire più interessanti per i potenziali finanziatori.
Quello che il nostro Alumnus consiglia ai futuri imprenditori è di conoscere bene se stessi e i propri obiettivi, senza però trascurare il contesto in cui ci si trova.
Infatti spiega: “non bisogna dimenticarsi che siamo in Italia, un paese bellissimo, ma che ha logiche un po’ diverse da quelle che leggiamo su Bloomberg, Business Insider o Wired. Bisogna quindi informarsi su come vanno le esperienze tedesche, africane, cinesi, italiane, ma poi fare mente locale rispetto a chi si è, a cosa si può fare e a dove ci si trova.

Quello che conta, nel mondo del lavoro, è l’esperienza. L’invito di Stefano è quindi di “ascoltare tanto le persone che hanno più esperienza di noi, conservando però lo spirito critico. Infatti, in alcuni business capita che siano proprio i giovani a conoscere meglio le nuove generazioni e ad avere il polso delle tendenze future.

Ed è proprio quello che accade in Gulliver, dove Stefano impara ogni giorno dai colleghi, che definisce “una vera famiglia”, dai soci, e – ovviamente – dalla madre e dal padre.
Io sono la spalla perfetta per lui, e lui è la spalla perfetta per me”, spiega il nostro Alumnus riferendosi proprio al padre. “C’è questo mix tra giovane e vecchio che ci permette di unire l’approccio di un giovane, che ha tanta voglia di fare, e quello di chi ha l’esperienza per scaricare tutto a terra.

Così se da una parte è grazie al padre che Stefano ha imparato tanto sull’azienda e sull’essere imprenditore, è stato il figlio ad aiutarlo a entrare in empatia con i ragazzi giovani e – soprattutto – a portare una nuova ventata di energia.
E non facciamo fatica a crederci, visto l’entusiasmo e la vitalità con cui ci ha raccontato la sua storia.

Martina Pietrobon

Laureata in “Psicologia del marketing”, un passato nella divisione vendite di una grande azienda, un MBA in tasca, e un’esperienza di tre mesi in India che ha lasciato il segno. Lei si chiama Martina Pietrobon ed è la nuova responsabile del Marketing di Microsoft Italia. Segni particolari: è una nostra Alumna.
Come è arrivata a un ruolo così prestigioso? Lo abbiamo chiesto direttamente a lei!

Entrata subito dopo la laurea in Johnson & Johnson occupandosi di vendite, Martina capisce presto che è il marketing a interessarle davvero. Guardandosi intorno, si rende conto che, nella sua azienda, molti di quelli che occupano il ruolo da lei desiderato hanno un MBA alle spalle.
L’ambizione è forte e così la decisone è presa: si iscrive all’MBA Full Time del MIP. Avendo una formazione di tipo umanistico e sociologico, la Business School del Politecnico rappresenta un approccio “complementare”, che le permette di colmare alcune lacune.

«Mi sono licenziata, con le persone che mi chiedevano se fossi sicura di lasciare un contratto a tempo indeterminato, in un una grande azienda…Ma ero convinta, era quello che volevo fare nella vita», ci racconta la Pietrobon.
A chi oggi si affaccia nel mondo del lavoro può sembrare strano, ma Martina, a nemmeno trent’anni non solo aveva già un contratto a tempo indeterminato, ma non aveva mai nemmeno fatto uno stage.

Perché quindi lasciare quella comfort zone?
«Io sono una persona che quando ama, ama con tutta sé stessa» – spiega – «Dover tenere un piede in qualcosa che non mi dava più soddisfazione, anche se mi avrebbe permesso di conservare un contratto, mi faceva sentire legata, sarebbe stata una limitazione alla sfida che stavo per affrontare. Mi dicevo: nella peggiore delle ipotesi tornerai a fare quello che facevi prima, in Johnson & Johnson o in un’altra azienda.  Licenziarmi, per me, significava crederci fino in fondo. A un certo punto o investi tu su te stesso o non puoi aspettarti che siano gli altri a farlo per te. Sei tu a doverci credere per primo, altrimenti gli altri vedranno solo gli ostacoli, il lavoro al quale rinunci in un periodo di crisi economica, il futuro incerto…»

Quando Martina ci racconta della sua esperienza, l’entusiasmo è palpabile. Viene naturale chiederle che cosa abbia significato l’MBA per lei.

«È come se l’MBA ti desse la visibilità di un’intera enciclopedia: sai che a una certa necessità nel mondo del lavoro corrisponde uno strumento per risolverla. Ovviamente in un anno tu non riesci ad avere gli strumenti per risolvere tutto da solo, ed è anche questo il bello del gioco. Alla fine quello che impari è che esistono varie leve, e che l’importante è sapere quando, come e con chi azionarle. Quello che mi ha dato l’MBA, quindi, è una visione a 360° di molti strumenti – anche finanziari – che prima non conoscevo» – ci rivela.  «Capisci che ogni pezzettino, come in un motore, è legato all’altro. Perché il motore funzioni, devono lavorare bene tutte le singole parti».

Tante nozioni, quindi, ma non solo. La nostra Alumna infatti spiega: «L’MBA mi ha formato, mi ha dato sicuramente delle competenze, ma mi ha anche insegnato che spesso sono l’attitudine e l’atteggiamento che si hanno verso il voler imparare, a fare la differenza. Quello che per me è stato fondamentale è stato avere un approccio che qui in Microsoft definiamo growth mindset, ovvero la volontà di mettersi in gioco e di imparare cose nuove. Penso che spesso sia la superbia a non permettere alle persone di crescere nelle aziende e di fare carriera. L’MBA ti fa capire che quello che sai è poco, troppo poco, e che ti devi continuamente aggiornare e mettere in gioco».

E mentre la nostra chiacchierata prosegue, appare evidente come Martina in gioco si sia messa fino in fondo. Come? Scegliendo di completare l’esperienza formativa al MIP con un exchange program di tre mesi in India, presso l’Indian Institute of Management Lucknow.

«Ho scelto l’IIM perché era la scuola più rinomata per il marketing nel mondo asiatico. Quello che volevo vedere era la sfaccettatura del marketing in quel tipo di cultura. L’approccio infatti è molto diverso rispetto a quello che studiamo noi. In India è basato tutto sui numeri, anche nel marketing e nella comunicazione. Lì il filo conduttore era dato da un ROI numerico, basato su KPI finanziari. È stata un’esperienza molto formativa, sia dal punto di vista delle competenze, che da quello culturale. Tre mesi in India – sebbene in una rinomata Business School – rimangono un’esperienza forte, un po’ catartica. Trovarmi in un ambiente internazionale, incontrare persone che hanno una cultura e un modo di vedere le cose così diversi dal mio, mi hanno permesso di sviluppare le soft skill in modo straordinario…»

Tornata dall’India e ricevuto il diploma, si è aperta davanti a lei una nuova strada nel marketing, prima in Johnson & Johnson e poi in Microsoft, fino ad arrivare alla posizione che ricopre oggi.

Tappe intermedie che le hanno dato tanto: «Quando ho iniziato a lavorare in Microsoft mi occupavo del co-marketing con i partner, una posizione che mi dava meno visibilità rispetto a ora, ma che mi ha permesso di capire il business, i meccanismi di marketing e di vendita»  – ci spiega.

Un’esperienza che l’ha resa, insieme alle sfide che affronta ogni giorno, la professionista che è oggi.
Così, un po’ con uno sguardo al futuro e alle nuove generazioni, e un po’ al passato, chiudiamo l’intervista chiedendole quale consiglio vorrebbe dare alla Martina neolaureata di dieci anni fa, ma anche ai nostri studenti che stanno scoprendo ora il proprio percorso professionale.

Con passione Martina ci spiega: «Ho finito l’MBA che praticamente avevo 30 anni. Forse avrei dovuto trovare il coraggio di farlo un po’ prima. Una volta entrata nel mondo del lavoro, mi sono resa conto che i ragazzi all’estero si laureano prima, riescono a fare un MBA prima e quindi arrivare al mondo del lavoro prima di noi…o comunque ci sono arrivati prima di me. Quindi tornando indietro troverei prima il coraggio, di licenziarmi e di fare un MBA».

Poi aggiunge, pensando ai ragazzi che iniziano ora la loro carriera: «Io ho avuto la fortuna di non fare parte della generazione degli stagisti. Forse sono stata l’ultima. Non ho fatto uno stage, sono entrata a tempo determinato in una grande azienda. Quando, già un anno dopo, vedi che le persone iniziano ad avere problemi a trovare lavoro, ti senti in una comfort zone.  Ecco, il consiglio che avrei dato a me e che mi sento di dare alle persone che si approcciano oggi a questo mondo è: la comfort zone spesso non ti permette di di metterti veramente in gioco. Se sei veramente ambizioso, non ti fermare in quelle situazione in cui “non stai poi così male”. È proprio quel “non star poi così male” che blocca le persone e non permette loro di spiccare il volo. È come se a un certo punto un uccellino si abituasse alla propria gabbietta e alla relativa sicurezza che ne deriva. Penso che ogni uccellino dovrebbe cercare di aprire quella gabbietta – non di arredarla! –  e spiccare il volo, anche a costo di scontrarsi con un predatore.»

 

 

Carmen Di Bari

Nell’ambito di un progetto strategico del MIP sull’Employer Brand della Scuola, abbiamo avuto il piacere di partecipare al workshop “Rock Your Profile”, tenuto dalla nostra Alumna Carmen Di Bari, Account Executive Linkedin. È stato bello vedere come, anche grazie al Percorso Executive HR Business Leader della Management Academy, Carmen sia riuscita a lavorare in una delle più grandi e innovative aziende al mondo.  Una storia interessante, che le abbiamo chiesto di raccontare!

Come sei arrivata alla posizione che ricopri oggi? Qual è stato il ruolo del Percorso Executive in HR nel tuo percorso professionale?

Sapevo che un giorno avrei lavorato per Linkedin. Tuttavia a volte il percorso per arrivare all’azienda dei propri sogni non è lineare, ma pieno di curve e pit stop. L’importante è avere un piano chiaro ed essere disposti a fare sacrifici per realizzarlo.
Il mio piano è stato per prima cosa sviluppare una buona esperienza sul campo lavorando nel settore HR, poi allenare lo spirito di adattamento e la capacità di parlare fluentemente inglese andando a vivere all’estero, e infine perfezionare e aggiornare le mie conoscenze attraverso il Percorso Executive in HR, grazie anche al suo sguardo sempre diretto al mondo aziendale.

Nessuna delle tre cose è stata semplice, ma era previsto! Il Percorso Executive in HR mi ha aiutato ad avere una visione aggiornata delle sfide, delle priorità e dei trend del settore HR a 360 gradi, oltre a offrirmi una significativa occasione di networking. Ho conosciuto professionisti, sia del settore HR che non, con tanta esperienza, che sono entrati a far parte del mio network professionale e con cui spesso mi confronto per un parere.
Altro aspetto rilevante del corso –  e per me di buon auspicio – è stata la possibilità di seguire l’intervento di un manager Linkedin della sede di Milano relativamente alla rivoluzione che Linkedin ha creato nel mondo delle Talent Acquisitions e dell’importanza del Personal Brand per i professionisti. A distanza di alcuni anni siamo diventati colleghi.

 

Non solo, adesso sei tu – come lui – dall’altra parte della cattedra. Com’è stato tornare nelle stesse aule dove hai studiato nella veste di relatrice?

È stata un’emozione grandissima. Non avrei mai immaginato un giorno di tenere una sessione al MIP dall’altra parte della cattedra e con una platea così numerosa. È stato come un restituire alla mia Scuola parte dell’esperienza che ho maturato in questi anni, un “give back” tra quello che ho ricevuto come Alumna e quello che io posso trasferire oggi come professionista. Mi rende davvero orgogliosa aver studiato in un’organizzazione che investe nelle proprie persone e nel proprio Employer Brand.

 

Dal tuo discorso appare evidente il legame che hai con il MIP. Quali sono gli insegnamenti del percorso che applichi ancora oggi nel tuo lavoro?

Le persone sono il più importante fattore critico per il successo di qualunque organizzazione e la loro gestione comporta complessità. Non penso quindi ad un modulo specifico sul tema delle risorse umane, ma all’intero percorso, che mi ha dato da una parte una comprensione più realistica dei problemi di HR e CEO e dall’altra, stimoli alla ricerca di soluzioni non tradizionali per superarli, a pensare “out of the box”. Custodisco tutte le slide e i “Case studies” del corso salvati su una pen drive, sempre a portata di mano. Sicuramente un aspetto del percorso che oggi applico quotidianamente è come guidare le persone in azienda per favorire la Trasformazione Digitale.

 

Oggi lavori per Linkedin, la più grande community professionale al mondo, quindi l’ultima domanda non poteva che essere sulla tua idea di network. Come vivi l’appartenenza alla community degli Alumni?

Citando John Donne direi che “Nessun uomo è un’isola”, nessuno vive solo per sé stesso e ogni persona non è che una parte di un tutto. Il network per me è questo: è l’opportunità di aumentare il proprio valore come singola in quanto appartenente ad una rete, a un gruppo con interessi in comune, e grazie alle molteplici possibilità di interazione e di apprendimento attraverso gli altri. Anche in questo senso mi sento orgogliosa di appartenere alla community degli Alumni MIP.

 

Gabriele Bonomi Boseggia vince l’SCF Thesis Award

Per il terzo anno di fila, un ex studente del Politecnico di Milano si aggiudica il premio per la migliore tesi magistrale nel campo del Supply Chain Finance.

Il Thesis Award della Supply Chain Finance Community è un riconoscimento annuale che vuole premiare gli studenti di Laurea Magistrale o Laurea Triennale di tutto il mondo che hanno sviluppato i propri lavori di tesi nell’ambito del Supply Chain Finance (SCF).

Il Supply Chain Finance si occupa dell’ottimizzazione dei flussi finanziari nelle supply chain. Un requisito essenziale è che almeno due membri primari della supply chain collaborino al fine di migliorare le performance finanziarie, la sostenibilità e la mitigazione dei rischi lungo la filiera.

Gabriele Bonomi Boseggia si è aggiudicato questo ambito riconoscimento con la sua tesi “Supply chain-based creditworthiness. Small and mid corporate rating”. Nel suo lavoro di tesi, Gabriele ha sviluppato due framework il cui obiettivo è mostrare come le prestazioni correlate alla filiera possano prevedere in anticipo la probabilità di default di un’azienda, il tutto tramite l’uso di tecnologie innovative come le reti neurali e il machine learning. L’applicazione permette di migliorare l’attività di valutazione del rischio di credito attraverso l’estrazione di informazioni addizionali da poche e non convenzionali caratteristiche dei dati di filiera.

La lista delle tesi inizialmente presentate era composta da 26 elaborati, da cui poi la Supply Chain Finance Community ne ha ammesse 16 come possibili candidate: 13 lauree magistrali (tra cui 6 dal Politecnico di Milano) e 3 lauree triennali. La giuria ha decretato una shortlist di 4 tesi, tra le quali l’elaborato di Gabriele e l’elaborato di altre due ex studentesse del Politecnico di Milano, Carola Gervasio ed Elena Fusari, arrivate terze nella competizione.

La tesi di Bonomi Boseggia è stata quella che ha soddisfatto maggiormente i criteri di: 1) rilevanza per la diffusione del Supply Chain Finance; 2) Qualità e rigore dell’intera tesi e della metodologia; 3) Originalità e qualità della presentazione orale. La giuria era composta da:

  • Dr Ronald de Boer PMP, Windesheim University of Applied Sciences, Paesi Bassi.
  • Prof Xiangfeng Chen, PhD, Università di Fudan, Cina
  • Prof Federico Caniato, PhD, Politecnico di Milano, Italia
  • Dr Axel Schulte, Fraunhofer IML, Germania
  • Luca Mattia Gelsomino, PhD, Windesheim University of Applied Sciences, Olanda
  • Nick Vyas, Direttore del Centro Global Supply Chain Management, USC Marshall School of Business, Los Angeles, Stati Uniti.
  • Prof. Dr. Janet Godsell, Università di Warwick, Regno Unito.

La premiazione è avvenuta il 29 novembre in occasione del Supply Chain Finance Forum di Amsterdam, l’evento più rilevante a livello mondiale sul SCF, che ha visto la partecipazione di oltre trecento persone.

 

Il caso BANALE

Insoddisfatti della vostra attuale posizione lavorativa? Siete assiduamente alla ricerca di un lavoro, ma non riuscite a trovare il contratto dei sogni? Avete perso motivazione nello svolgere con massimo impegno un lavoro subordinato di cui difficilmente vedete i frutti?

Perché allora non smettere di cercare lavoro, ed iniziare a crearlo, fondando una start-up?

Magari fosse così facile, diranno alcuni di voi.

Il mestiere dell’imprenditore non è alla portata di tutti, diranno gli altri.

Tutto vero: essere un innovatore e dare vita alla propria idea di business non è affatto un’impresa semplice.

Ma i veri leader si riconoscono dall’abilità di affrontare le complessità con intelligenza e di trarre, da ogni sfida, una straordinaria opportunità.

È il caso di Tommaso Puccioni e Stefano Bossi, due alumni EMBA del MIP che si sono conosciuti sui banchi della Business School milanese e che oggi sono un grande esempio di imprenditoria d’eccellenza Made in Italy, fondatori della start-up BANALE.

Una best practice lampante di come le nozioni teoriche apprese in classe possano trasformarsi in carburante e miccia al tempo stesso per accendere lo spirito competitivo di due purosangue del business.

Analizzare casi di successo di aziende leader che hanno monitorato il mercato ed hanno colmato con precisione chirurgica un vuoto competitivo – pensiamo a IKEA che ha reinventato il mondo dell’arredamento e del design parlando ad un target tutto nuovo, o ad Apple che ha reso la tecnologia divertente e friendly – ha fatto scattare in Tommaso e Stefano la curiosità di indagare i settori più conservativi e fertili.

Trovato lo stimolo, ecco il risultato dell’analisi: il mercato dell’igiene orale è quanto di più statico ed immutato ci sia sul mercato, e reagisce poco ai cambiamenti di consumo dei clienti.

Come penetrare efficacemente il settore dell’oral care? Ascoltando i clienti e sfruttando uno degli insight più rilevanti: nonostante spazzolino e dentifricio siano progettati per un utilizzo domestico, il 30% delle persone si lava i denti fuori casa ogni giorno.

Bingo! Ecco il vuoto competitivo, colmato da Toothbrush: uno spazzolino di design, completamente personalizzabile, compatto ed estremamente versatile, che unisce in un solo elemento, spazzolino e dentifricio! Un oggetto semplice, ma funzionale e soprattutto disegnato sulle necessità dei clienti e modellato sulle loro esperienze di consumo.

Oggi Toothbrush è venduto in più di 50 store disseminati sul territorio italiano e nel mese di febbraio varcherà i confini europei, mentre la start-up BANALE aumenta il proprio organico mese dopo mese.

Un successo che non nasce dal caso, ma che si fonda su formazione d’eccellenza e networking: due dei vantaggi di cui solo chi partecipa ad un MBA può godere!

Volete scoprire gli altri? Eccone una breve lista!

  1. Un tuffo nel mondo del business.Leader non si nasce, ma si diventa. Tutto ciò che serve è allenare il proprio talento naturale e completare i tasselli mancanti del mosaico di competenze. C’è chi è portato per gli economics, ma manca di visione di marketing, chi è un abile commerciale, ma non sa leggere un bilancio. Niente paura: l’obiettivo di un EMBA è proprio quello di ispezionare gli ingranaggi del business da vicino, per controllare con sicurezza tutto il meccanismo.
  2. Chi sovvenziona la mia idea?Un EMBA è un’occasione straordinaria per incontrare grandi aziende e finanziatori dal fiuto infallibilea caccia di un’idea vincente in cui investire!
  3. Consapevolezza delle proprie potenzialità.Fare il salto nell’imprenditoria può essere considerato un passo azzardato anche per i professionisti più affermati. Durante un EMBA si impara a mettere a fuoco i propri obiettivie a sfidare i propri limiti. Il risultato: una maggiore consapevolezza della propria forza, la carica ideale per affrontare una nuova avventura!

Simone Di Somma

Oggi parliamo con Simone Di Somma, laurea in Ingegneria Gestionale, esperienze lavorative in Hewlett-Packard e Philip Morris International, attività svolte principalmente in giro per il mondo tra Europa, Medio Oriente e Stati Uniti.

A dicembre del 2013 ha fondato, assieme ad altri 3 soci INNAAS, la prima azienda Italiana specializzata nello sviluppo di piattaforme Data-Driven con l’obiettivo di trasformare i dati in un beneficio tangibile per il business: abilitazione di nuovi revenue stream, creazione di servizi innovativi e ottimizzazione dei processi.

In cosa consiste esattamente il tuo lavoro e quali sono le sfide maggiori che devi affrontare ogni giorno?

Come Managing Director di una startup ho principalmente due compiti: il primo è gestire al meglio le risorse (umane e finanziarie) per far sviluppare l’azienda nel tempo, il secondo è validare continuamente il business model dell’iniziativa.

Per quanto riguarda la prima attività, la gestione, devo fare una premessa importante: il modo in cui facciamo startup in INNAAS è differente da quello classico in stile Silicon Valley. Per noi il burn-rate non sostenibile è un vero e proprio taboo.

INNAAS ha voluto confrontarsi con il mercato fin dal giorno zero. Tutto quello che sviluppiamo, ogni nostro servizio o prodotto, deve avere un’applicazione commerciale immediata. Questo approccio è ancora più sfidante per un’azienda che si confronta quotidianamente con la tematica dell’innovazione contro i giganti mondiali del software.

La seconda attività è la ricerca di un business model in grado di conciliare financial governace ed una ricerca spinta di innovazione. Questo mix quasi ossimorico non è un qualcosa di facilmente reperibile sui testi accademici o all’interno di qualche blog post dei guru californiani. E’ un’attività che richiede energia e lucidità. Si tratta del mio passatempo principale.

Qual è stato il momento professionale più bello e quello più difficile che hai vissuto?

Il momento più bello è stato la prima vendita di un prodotto INNAAS. Sette mesi dalla costituzione dell’azienda. I nostri prodotti sono piattaforme software che utilizzano i dati per creare informazioni di valore con un impatto concreto sul business. Si tratta di prodotti caratterizzati da un sales cycle abbastanza lungo.

Convincere un primo cliente del calibro di TIM è stata la prova concreta che le nostre intuizioni erano giuste ed il business sostenibile. Il momento più difficile è stato a fine 2014 quando due persone chiave del team tecnologico di INNAAS hanno deciso di abbandonare il progetto per dedicarsi ad una loro iniziativa personale.

La defezione avveniva in uno dei momenti più cruciali della storia aziendale: un nostro prodotto, sviluppato per un caso di utilizzo specifico, sarebbe dovuto essere esteso con diverse applicazioni di utilizzo che avevamo concordato con un nuovo cliente. La scadenza concordata di questa consegna era a strettissimo giro.

La ricetta per sfuggire a quel momento buio è stata la concentrazione. Ho chiesto massima concentrazione a tutto il team e l’ho ottenuta. Abbiamo consegnato in tempo il deliverable con buona soddisfazione del cliente.

Cosa significa per te il termine “leadership” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?

Per comprendere la parola Leadership è necessario partire dalla parola “Consapevolezza”. La consapevolezza delle proprie capacità, delle proprie forze, delle proprie debolezze, del mercato, dei clienti, dei partner, del proprio portfolio prodotti, delle proprie emozioni. Consapevolezza significa avere la base cognitiva giusta per prendere le giuste decisioni.

Tramite la consapevolezza ognuno all’interno del team può lavorare affinché le cose possano progredire: le capacità professionali svilupparsi, le opportunità commerciali concretizzarsi, i prodotti progredire così come i processi aziendali e le relazioni tra i colleghi.

La leadership è la capacità di agire in modo consapevole. Individualmente e collettivamente. Il mio personale apporto alla leadership nell’ambiente lavorativo avviene tramite l’esempio ed il racconto.

Dare l’esempio in prima persona e raccontare le buone pratiche, ciò che ha funzionato e cosa è migliorabile sono elementi propedeutici alla creazione di uno stato di consapevolezza nel team. Ispirare è infine la scintilla.

Cosa significa per te il termine “innovazione” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?

Innovazione non è tecnologia, non è un invenzione tecnologica, né tantomeno scoperta. Innovare è capire quando il mercato è pronto per qualcosa e evangelizzare quella cosa nel modo giusto. Uno dei libri che più maggiormente ha trasformato la mia percezione all’innovazione è stato The Innovator’s Dilemma.

Non basta gestire in modo perfetto la propria azienda per avere successo. Anzi, un’efficienza troppo spinta potrebbe portare al fallimento. Tempismo e capacità di prevedere le trasformazioni della società e del mercato fanno la differenza.

All’interno dell’ambiente lavorativo il mio apporto all’innovazione è quello di rimettere sempre in discussione tutto in un’ottica di miglioramento continuo. Tutto è in continua trasformazione. Il mercato, i trend, le abitudini delle persone, i gusti, i pattern di utilizzo, i processi comportamentali.

Leggere, informarsi ed osservare aiutano molto nella sfida dell’innovazione.

La tua citazione preferita?

La mia citazione preferita è senza dubbio “Senza dati, sei solo un’altra persona con un’opinione” di William Edwards Deming.

Grazie mille Simone per il per il tempo dedicatoci e per l’interessante conversazione.

Nicola Altobelli

Oggi incontriamo Nicola Altobelli, Classe 1979, Executive MBA presso il MIP Politecnico di Milano.
Dopo il diploma di laurea in Relazioni Industriali, lavora da subito nell’azienda di famiglia Eceplast srl, dove attualmente ricopre il ruolo di direttore commerciale e si occupa dello sviluppo di nuovi mercati..
Da Maggio 2014 è Sherpa della delegazione italiana di GI Confindustria al G20YEA, e dallo scorso luglio Presidente dei GI Confindustria Foggia.

In cosa consiste esattamente il tuo lavoro e quali sono le sfide maggiori che devi affrontare ogni giorno?

Fondamentalmente mi occupo di gestire i rapporti con i nostri principali clienti nel mondo e attraverso lo scambio continuo di informazioni ed esperienze, provo a sviluppare soluzioni nuove per qualificare costantemente l’offerta della mia azienda, in modo da anticipare le esigenze dei clienti e battere la concorrenza sul tempo. In un epoca in cui tutto è sempre più veloce e connesso, i ritmi sono elevatissimi e le probabilità di insuccesso molto alte, ma non penso potrei mai fare un lavoro più stimolante e appagante. Più recentemente sto dedicando una quota crescente del mio tempo e delle mie energie allo sviluppo della forza vendita; certamente è questa la sfida più importante che un imprenditore deve vincere, costruire una squadra di successo che vada oltre le proprie capacità personali.

Quale è stato il momento professionale più bello e quello più difficile che hai vissuto?

Parto dal più difficile. Lavorando nel packaging industriale la sfida del contenimento dei costi è un fattore chiave che molto spesso spinge anche i clienti più affezionati a provare soluzioni low-cost. Circa 4 anni fa, il mercato europeo è stato perturbato da offerte in dumping clamorose e noi ci siamo ritrovati a perdere quote consistenti di mercato. La scelta era tra abbassare del 30% i prezzi di vendita oppure provare a resistere e presentare ai clienti soluzioni innovative che portassero risparmi in altra forma. Devo ammettere che sono stati mesi duri, ma ci hanno insegnato a valorizzare meglio la nostra offerta e mostrato una nuova via per lo sviluppo. Tant’è che oggi in particolare stiamo uscendo con prodotto rivoluzionario, che speriamo riesca a cambiare davvero il mercato, e che potrebbe consentirci di scalare il nostro modello business anche in altri continenti. Certamente vedere la faccia sorpresa dei miei clienti ogni volta che eseguo una dimostrazione pratica di questa nuova soluzione tecnica è davvero una gran soddisfazione per me.

Cosa significa per te il termine “leadership” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?

La leadership è la capacità di guidare gli altri all’ottenimento dei risultati che ci si prefigge come gruppo e come singoli. Io non mi ritengo una persona con doti di leadership naturale o carismatica, ma certamente sono dotato di determinazione e, tendenzialmente la gente che mi sta vicino, mi riconosce una buona capacità di visione, di programmazione e forse ancor di più di “execution”. Credo sia una buona base di partenza e tutto sommato i risultati sono abbastanza dalla mia parte. Ammiro tanto i grandi leader, in ogni settore, ma credo sia davvero una questione di doti naturali che non si possono costruire o imparare. Per quanto mi riguarda cerco semplicemente di dare il buon esempio attraverso impegno e risultati. Una ricetta semplice, anche un po’ antica, ma che secondo me funziona.

Cosa significa per te il termine “innovazione” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?

Nel recente restyling del nostro logo aziendale in occasione dei 20 anni di attività, ho voluto che fosse inserito anche un nuovo pay-off: “bulk packaging innovators”. Credo sia esattamente ciò che qualifica la nostra offerta sul mercato, noi siamo gli innovatori nel nostro settore e tutta la storia aziendale è costellata di momenti chiave in cui una innovazione ha generato nuove opportunità. Vi porto alcuni esempi concreti: Mio padre nel ’95 fu in grado di avviare l’azienda dal garage di casa grazie a una tecnologia produttiva di sua invenzione (innovazione tecnologica), quando tutti i nostri competitors delocalizzavano noi abbiamo investito nello sviluppo di un processo più automatizzato aumentando il nostro livello di servizio al cliente invece che cercando il costo più basso (innovazione di processo). Quando i clienti ci hanno chiesto di ridurre i prezzi siamo riusciti ad offrire prodotti che portavano vantaggio di costo ma non intaccavano la nostra marginalità; Eceplast è basata in provincia di Foggia, in un contesto sociale abbastanza complicato e certamente molto lontano dalle aree più industrializzate, noi abbiamo sempre investito sulla crescita delle persone e introdotto sistemi di incentivazione aziendale per aumentare la produttività (innovazione organizzativa). Oggi puntiamo a un modello di sviluppo basato sul “open innovation”  creando una community attorno ai nostri prodotti più innovativi.
Insomma come diceva S.Jobs “innovation is the only way to win” e noi ci crediamo sul serio.

La tua citazione preferita?

Ce ne sono diverse, ma probabilmente la famosa frase di Henry FordSe avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto: cavalli più veloci” è quella che in questo momento storico più rappresenta la fase di transizione che stiamo vivendo in Eceplast.
Puntare a rinnovare la nostra offerta sul mercato attraverso una value proposition che non è più legata alla qualità dei nostri manufatti, ma alla capacità di sviluppare soluzioni innovative che creano valore per i nostri clienti è una sfida che mi appassiona e che sento abbiamo le carte in regola per giocare. Ford è riuscito a cogliere l’essenza della domanda latente dei sui potenziali clienti e ha prodotto loro una soluzione che non si aspettavano, certamente più costosa di un cavallo, ma non comparabile. In definitiva vorrei riuscire a far riconoscere Eceplast come un partner di valore e non un semplice fornitore di prodotti.

Grazie mille Nicola per il tempo dedicatoci e per l’interessante conversazione.

Alessio Garofalo

Quello di Alessio Garofalo, da Ufficiale dell’Esercito a Manager in Amazon, è stato un percorso guidato dalla determinazione. A 19 è stato ammesso all’Accademia Militare di Modena, dove ha conseguito un Master Degree in Scienze Strategiche delle Comunicazioni. Per i dodici anni successivi ha servito la Patria in Armi, ricoprendo ruoli di Leadership in quel settore delle Forze Armate che si occupa di fornire il supporto ICT e TELCO alle truppe impiegate in Missioni di Crisis Response Operations. Afghanistan, Libano, Kosovo; poi la scelta di arricchire i propri skills con un Executive MBA, durante il quale è entrato in contatto con la ricerca talenti di Amazon. Sei mesi di dura selezione per approdare a Swansea (UK), con il prestigioso ruolo di Pathway Operations Manager, all’interno del Leadership Program di Amazon.

Cosa ti ha spinto a voler frequentare un Executive MBA e perché hai scelto il MIP?

Sono sempre stato molto ambizioso e anche un gran sognatore. La mia famiglia non aveva grandi possibilità ma ha sempre creduto in me e mi ha costantemente supportato, insegnandomi l’importanza del sacrificio per ottenere ciò che si vuole. La mia esperienza nell’Esercito ha rafforzato questa convinzione ma, girando il mondo, mi sono accorto che il sacrificio da solo non bastava, era necessario trovarsi di fronte ad un’opportunità.

È così che ho deciso cosa avrei voluto fare da grande, diventare una persona in grado di offrire quelle opportunità. Nella mia testa però volevo farlo in un modo particolare, diventando un “abilitatore”, ora, post “Entrepreneurship & Finance”, lo chiamo Business Angel.

Seppur sognatore però, dovevo creare un piano d’azione (ecco il lato militare che fa capolino) e quindi mi sono chiesto, come faccio ad arrivare al mio obiettivo? Per essere spendibile nel mercato del lavoro dovevo acquisire quelle hard skills necessarie a tradurre la mia esperienza in un contesto imprenditoriale. L’Executive MBA si presentava quindi come lo strumento adatto a raggiungere lo scopo.

La scelta del MIP è stata molto semplice. Volevo una scuola che non avesse un background puramente “economics, con un MBA riconosciuto a livello internazionale ed un percorso flessibile in grado di integrarsi con un’agenda difficile da controllare. Flex EMBA è stata la risposta del MIP, anzi, è stata la mia opportunità.

Dall’esercito ad Amazon: puoi raccontarci questo cambio di carriera e il percorso che hai affrontato?

Il salto da Capitano a Manager Amazoniano è stato, come dire, un gran bel salto, decisamente più adrenalinico del mio primo lancio col paracadute e questa volta, completamente al buio.

Ho iniziato l’EMBA ad ottobre 2015 ed esattamente un anno dopo ero catapultato in un’altra dimensione, nuovo lavoro, nuovo paese, nuova lingua, tutto nuovo. In pochissimo tempo un cambiamento spaventoso, radicale ed inaspettato, poiché avvenuto ancora prima della fine dell’EMBA.

Non posso dire che la transizione sia stata graduale, ma ci sono stati dei passaggi importanti che mi hanno portato a questo traguardo. Il primo e più importante è stato sicuramente entrare in contatto con i miei compagni di corso, professionisti di ogni settore che suscitavano in me ammirazione e che mi hanno spronato e aiutato.

Il secondo importante elemento è stato l’acquisizione del knowledge che un MBA è in grado di offrire. Capire come funzionano le dinamiche aziendali, comprendere come elaborare una strategia di go-to-market, interpretare l’impatto di politiche economiche globali. Cito, il sapere rende liberi… e rende anche più sicuri di sé.

Il percorso di coaching, la psicologa e l’assistenza del Career Development Office mi hanno aiutato a definire gli obiettivi e a prendere la rincorsa per il salto.

Cosa ci ho messo io? Tanta, tanta, tanta determinazione. Ho sacrificato il mio tempo libero, gli hobby e talvolta anche le relazioni e per l’interview di Amazon, mi sono preparato forse più che all’esame di maturità.

Una volta dentro, nessuna transizione, l’approccio è pragmatico, lo chiamiamo “hitting the wall”, una volta che ti ci sei scontrato bisogna iniziare a scalare. Per i militari ricorda molto il “muro del pianto”.

Puoi dirci uno o più aspetti del precedente ruolo da te ricoperto che porteresti, o hai già portato, nella tua nuova carriera?

Amazon è senza dubbio allo stato attuale l’impresa più innovativa e discussa del pianeta. In un ambiente completamente guidato da metriche, produttività, continuous improvement e previsioni, ho portato con me un approccio strutturato ma rapido, in grado di giungere velocemente ad una decisione.

L’ampio spettro e la risonanza delle azioni intraprese nei miei ruoli precedenti, in Italia e nelle Missioni internazionali, mi permettono ora di comprendere il quadro globale di quello che sta accadendo, partendo da un approccio analitico, ma senza perdere di vista l’impatto complessivo di ogni singola azione.

Molte volte nell’Esercito bisogna fare tanto con poco e questo ti aiuta a sviluppare la fantasia, la creatività, caratteristica che ora si sposa bene con il dover costantemente inventare nuovi processi e soluzioni per un costante e continuo miglioramento.

Infine, il rapporto con le persone. Comandare una Compagnia vuol dire credere, fidarsi e potenziare i propri uomini. Ho sempre detto, un buon Ufficiale è prima di tutto un buon psicologo, a volte un amico. Lo stesso approccio l’ho portato con me in Amazon.

Ed ora, quali sono i tuoi prossimi obiettivi professionali?

Non ho perso di vista il mio traguardo. Mentre lavoro ad Amazon e finisco il Master ho anche lanciato due Start UpBankube e Mondejavu. Alberto e Giulia, miei compagni Flexers, mi stanno accompagnando nell’avventura con Bankubeche in questo momento è in un percorso di accelerazione con InnoVits Academy.

Mondejavu è invece il mio piccolo segreto che spero di poter vedere sul mercato verso giugno.

Nel prossimo futuro quindi, vedo la possibilità di diventare un imprenditore di successo per poi poter arrivare, un giorno, al raggiungimento del mio sogno di diventare un Business Angel.

Amazon mi sta dando una possibilità di crescita incredibile e mi permette di imparare alla velocità della luce in un ambiente che è una costante sfida quotidiana, in Amazon “every day is day one”. In futuro questi skills mi saranno assolutamente necessari per combattere in un mondo che cambia continuamente, in cui, chi non si evolve soccombe.

A tutti coloro che stanno valutando cosa fare, se frequentare o meno un MBA, un Master, se cambiare lavoro, dico solo: “Osate!”, la fortuna aiuta gli audaci e se vi troverete un giorno in difficoltà, sarà in quel momento che vi renderete conto di quanto valete.

“Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia.” Goethe.