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Data-powered management: una sfida ambidestra
Dietro all’affermazione di necessità di un potenziamento della cultura dei dati in una impresa, risiede un bisogno profondo di consolidare, potenziare, far evolvere o modificare in modo consapevole il proprio modello di business o il modo di gestire l’impresa. Si tratta di un bisogno cogente e pervasivo, connesso alla constatazione di alcuni trend che modificano lo scenario competitivo.
Giuliano Noci, Professore di Strategy and Marketing e Prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano
E’ esperienza comune di chi interagisce con le imprese sentirsi dire “avremmo bisogno di potenziare la nostra cultura del dato”.
Il concetto di “cultura del dato” ha diverse sfumature: la presenza di competenze di analisi dei dati, la capacità di lettura e interpretazione delle analisi, la predisposizione di individui e gruppi di lavoro a poggiare le proprie decisioni su evidenze e dati piuttosto che su sensazioni e istinti, lo sforzo a raccogliere e condividere i dati giusti per supportare le decisioni proprie e altrui.
Evidentemente, la “cultura del dato” è l’insieme di queste dimensioni, e dietro all’affermazione di necessità di un potenziamento risiede un bisogno profondo di consolidare, potenziare, far evolvere o modificare in modo consapevole il proprio modello di business o il modo di gestire l’impresa. Si tratta di un bisogno cogente e pervasivo, connesso alla constatazione di alcuni trend che modificano lo scenario competitivo.
In primo luogo, le pressioni della concorrenza, in mercati sempre più saturi e al contempo sempre più interconnessi, forzano alla ricerca di modelli di business e innovazioni che abilitino funzionalità tanto utili quanto sofisticate. Ciò porta alla ricerca di un arricchimento del contenuto dell’offerta (anche) grazie al lavoro sui dati. A titolo d’esempio, se voglio differenziare radicalmente un elettrodomestico nel mercato occidentale, ragionevolmente dovrò renderlo connesso alla rete e utilizzare i dati che raccoglie per offrire servizi a valore aggiunto per il cliente (ad esempio, in un frigorifero, non solo segnalare anomalie per un intervento tecnico in tempo reale, ma essere in grado di verificare la presenza di un cartone di latte quasi vuoto, e magari, sulla base del tasso di suo utilizzo, stimare quando il latte finirà o con che frequenza suggerire di riacquistarlo). E’ peraltro evidente, che da questo tipo di innovazioni possono nascere evoluzioni del modello di business. Nel caso precedente, ad esempio, l’integrazione con sistemi di eCommerce per offrire refill tempestivi subscription-based.
In secondo luogo, la diversità nei mercati di destinazione sta chiedendo risposte sempre più differenziate a segmenti di mercato molto eterogenei per gusti, preferenze, abitudini di utilizzo del prodotto/servizio, comportamenti di utilizzo dei canali fisici e digitali per interagire con l’impres, implicando una capacità di risposta pressochè one-to-one da parte dell’impresa. Dalla marketing automation alla service automation, le imprese sono sempre più alla ricerca di modelli e algoritmi in grado di comprendere lo stato di salute della relazione con un cliente, la sua propensione a una nuova offerta o ad abbandonare l’impresa.
In terzo luogo, e, di fatto, conseguenza dei precedenti, il focus dell’azione manageriale è sempre più improntato sulla ricerca di precisione, puntualità, riduzione degli sprechi – tanto a livello produttivo quanto di marketing, vendita, customer service, ecc. Anche in questo caso, il dato e la capacità di leggerlo rappresentano leve fondamentali.
Quindi, al netto dell’efficacia comunicativa della locuzione “cultura del dato”, il tema che si pone è lo sviluppo della capacità di ibridare competenze analitiche avanzate con senso del business. Si tratta di una competenza nuova in impresa, e spesso di una competenza che difficilmente è riconducibile ad un profilo professionale, quanto piuttosto a un team. Infatti, spesso le imprese inseriscono figure di data scientist portatrici di grande competenza analitica e tecnica, ma non sempre hanno profili manageriali in grado di far da tramite tra i bisogni di business e le applicazioni tecnico-modellistiche e, di converso, di traduzione degli output analitici in piani di azione in grado di guidare il business.
La nostra Scuola ha recepito questa necessità nell’interazione con le imprese, e da questo ha fatto derivare un profondo potenziamento della propria offerta di corsi di machine learning, statistica applicata e corsi di analytics applicati a discipline manageriali (es. performance measurement, marketing, e anche public sector), con un Major del Master of Science a forte vocazione analitica. Il notevole successo in termini di scelta di questi corsi da parte degli studenti testimonia una forte sensibilità dei nostri giovani allo sviluppo di una carriera e di una professionalità fortemente “data-powered”.
La sfida pedagogica, in questo contesto, è quella di compendiare una solida preparazione analitica e una altrettanto solida conoscenza degli impatti di business dei sistemi decisionali oggetto dell’analisi modellistica, con un approccio incentrato sulla contestualizzazione di tali modelli negli ambiti applicativi in cui sono utili e promuovendo una discussione ricca ed estensiva sulle ulteriori ricadute nei modelli di funzionamento delle organizzazioni.