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20 luglio 2020 Condividi

innovazione

Disruption? No grazie. Innovazione e Leadership nel New Normal

Qualunque sia il futuro post-Covid, la nuova normalità richiederà un cambiamento fondamentale nella guida delle aziende. Che tipo di mentalità dovranno avere i leader per fare business e innovazione in un mondo che sarà completamente diverso? In un periodo in cui la tentazione sarà di essere sempre più competitivi a causa delle scarse risorse a disposizione, imparare a condividere può essere l’unica strategia in grado di garantire la sopravvivenza.

 

Roberto Verganti, Professore di Leadership and Innovation
School of Management Politecnico di Milano, Stockholm School of Economics e Harvard Business School

 

Molti manager si interrogano su un quesito fondamentale: come prepararsi alla “nuova normalità”? Come saranno i mercati quando l’ondata o le ondate principali della pandemia di Covid-19 si esauriranno? Come riprogettare prodotti, servizi e operatività per affrontare i. cambiamenti dello scenario?
La scadenza per ripensare il nostro modo di operare è sempre più vicina. Chi si prepara ora inizierà con il piede giusto. Chi aspetta sembrerà un dinosauro di un’altra era (anche se quell’era risale ad appena qualche mese fa).

Riviste, futuristi, consulenti, organizzazioni. Tutti cercano di immaginare come sarà il New Normal. E tutti sono d’accordo su due cose: in primo luogo, il mondo avrà un aspetto diverso rispetto a prima. In secondo luogo, questa trasformazione non sarà temporanea. Anche quando il Covid-19 sarà completamente sconfitto (e si spera lo sarà), il nostro atteggiamento verso la socializzazione, la nostra apertura verso il mondo, il nostro bisogno di salute (e l’ansia per le nuove infezioni), saranno radicalmente diversi, nel bene e nel male.

Eppure, mentre ci avviciniamo sempre più e esploriamo una nuova vita, i nuovi mercati, la nuova operatività, emerge la vera sfida: il fenomeno che stiamo affrontando è senza precedenti, così sproporzionato e rapido che è inverosimile poter cogliere l’essenza di ciò che accadrà. Un semplice numero per spiegare la rapidità e l’entità della discontinuità: nel marzo 2020 oltre 7 milioni di americani a settimana hanno presentato richiesta di sussidi di disoccupazione. Questo numero è quasi decuplicato rispetto a quanto accaduto durante la crisi finanziaria del 2008. Pertanto, a prescindere dalla perspicacia e dallo sforzo profuso per prevedere cosa accadrà, dobbiamo ammettere che la risposta alla domanda “come sarà il mondo?” è: nessuno lo sa veramente. Questo ci sgomenta, perché per come solitamente immaginiamo i leader (e gli esperti), supponiamo che sappiano sempre tutto. Eppure, in questo contesto, “fingere di sapere” è l’errore più tragico che si possa commettere.

Amy Edmondson illustra nel suo libro The Fearless Organization che quando una persona ammette di non sapere, essa apre le porte all’apprendimento. Per capire come fare business nella nuova normalità, l’atteggiamento mentale di cui abbiamo bisogno non è quindi indovinare come sarà, ma prepararsi ad imparare.

Come? Essendo il contesto completamente nuovo, non possiamo fare affidamento sulle esperienze passate. Dovremo imparare “in corsa” attraverso continui esperimenti e adattamenti. Ci sono due modi per sperimentare e imparare: competere (imparare da soli) o collaborare (imparare condividendo).

Imparare da soli. Questo è il classico modo di imparare. L’obiettivo è di imparare meglio degli avversari per poter superare la concorrenza. Con questo approccio, le aziende competono tra loro conducendo diversi esperimenti. L’apprendimento, in altre parole, è una leva di differenziazione. Ogni azienda prova le proprie idee, fallisce, impara, corregge il tiro e ripete. Dal momento che le aziende mirano a battere la concorrenza, non vorranno certo condividere i propri risultati e approfondimenti con altre aziende, né i dati che alimentano l’apprendimento. Ciò implica che ogni volta che un’azienda ha un’idea, essa deve studiarla e analizzarla affidandosi solo alle proprie risorse.

Imparare condividendo. Anche con questo approccio, le aziende conducono diversi esperimenti. Generano le proprie idee e ripetono. Tuttavia, condividono i dati e i risultati dei propri esperimenti. Perché? Perché in questo modo possono apprendere dalle prove degli altri player. Se un’idea è già stata testata e fallisce, altri possono evitare questo percorso poco promettente e concentrarsi su altre opzioni. E se l’idea ha successo, altri possono costruire su di essa, invece di partire tutti da zero. Naturalmente questo percorso riduce le distanze tra i concorrenti. Tuttavia, il vantaggio è che questo approccio richiede meno risorse (individuali e collettive) e meno tempo per trovare buone soluzioni. Questo aumento della produttività complessiva e della velocità facilita la crescita della domanda di soluzioni, il che alimenta i rendimenti per ogni player. In altre parole, questo meccanismo di apprendimento replica i meccanismi del dilemma del prigioniero: la cooperazione tra i player porta a rendimenti superiori di quelli che i player otterrebbero se massimizzassero i propri rendimenti individuali.

Imparare da soli è il tipo di apprendimento che è stato promosso nell’ultimo decennio da molti studiosi dell’innovazione ed esemplificato dal motto “fail often to succeed sooner”. Ha funzionato fintanto che l’ambiente è cambiato rapidamente ma in modo lineare, così che l’apprendimento proveniente da un esperimento potesse essere applicato a quello successivo senza che nel frattempo il contesto cambiasse drasticamente. Il cambiamento che stiamo affrontando ora con il Covid-19 è invece discontinuo e senza precedenti. Se in questo contesto ognuno conduce esperimenti da solo, non c’è tempo sufficiente per ciascun player di analizzare questo spazio inesplorato delle soluzioni e poi ripetere prima che il contesto si evolva di nuovo.

Per innovare nella nuova normalità dobbiamo imparare condividendo. Questa strategia è l’unica in grado di garantire sufficiente margine, velocità e produttività degli esperimenti. Infatti, la condivisione dei dati permette ad una più ampia comunità di player di partecipare agli esperimenti, includendo una gamma più eterogenea di contesti. E la condivisione dei risultati permette di evitare test improduttivi.

L’apprendimento attraverso la condivisione è già praticato nella ricerca scientifica legata al Covid-19. Per esempio, PostEra, una start-up con sede a Santa Clara, California e Londra, sta coordinando un grande progetto di collaborazione, Covid Moonshot, per sviluppare rapidamente farmaci anti-Covid efficaci e facili da produrre. L’obiettivo del progetto è quello di progettare gli inibitori della proteasi principale della SARS-CoV-2 (l’enzima che permette al virus di replicarsi). Il progetto fa leva sui dati condivisi da esperimenti condotti presso un laboratorio delle radiazioni da sincrotrone, Diamond Light Source, il quale ha identificato 80 frammenti di molecole che potrebbero legarsi alla proteasi. Una comunità di scienziati e produttori utilizza questi dati per progettare gli inibitori dei composti, i quali vengono sottoposti attraverso il sito web di PostEra. La start-up esegue poi gli algoritmi di machine learning in background per verificare la presenza di duplicazioni e dare priorità ai candidati per i test. Sono stati presentati più di 3.600 tipi di molecole con solo 32 duplicazioni nei progetti.

L’apprendimento condiviso si sta facendo strada anche nei profit business non collegati al Covid-19. Microsoft ha recentemente lanciato una campagna Open Data. Il movimento Open Data promuove la condivisione dei dati, analogamente a quanto fa Open Source con la condivisione del codice software. Microsoft svilupperà 20 nuove collaborazioni basate su dati condivisi entro il 2022, tra cui, ad esempio, la pubblicazione di un set di dati Microsoft sull’utilizzo della banda larga negli Stati Uniti.
Da notare che l’apprendimento condiviso non implica che player diversi collaborino sulla stessa idea o soluzione, come nei consorzi. Al contrario, le aziende analizzano idee ed esperimenti diversi. Questo permette di esplorare l’intero spazio delle soluzioni. Ciò che viene condiviso, invece, sono i dati che alimentano gli esperimenti, e/o gli approfondimenti e i risultati che essi generano.

L’apprendimento attraverso la condivisione si basa sulla volontà di cooperare. Il che non è facile da realizzare. Soprattutto in un periodo in cui le risorse a disposizione sono scarse. La tentazione è quella di guardarsi dentro e comportarsi in modo ancora più competitivo, per assicurarsi le poche cose rimaste, invece di concentrarsi, in modo collaborativo, sul costruire di più. Di che tipo di cultura e mentalità avranno bisogno i leader dell’innovazione per promuovere l’apprendimento attraverso la condivisione nelle proprie aziende?

Qualunque sarà il futuro, la nuova normalità richiederà un cambiamento fondamentale nel modo in cui creeremo innovazione e guideremo le nostre aziende. Mentre il mantra dell’innovazione dell’era pre-Covid era quello della “disruption” dei concorrenti, questo non è proprio il momento di fare disruption. Questo è piuttosto il momento di ricostruire collettivamente una nuova economia e un nuovo mondo. I veri eroi, nel business e nella società, non saranno i disruptors, ma quei catalizzatori che favoriranno una mentalità cooperativa. Il che, nell’innovazione, significa condividere i dati e gli insegnamenti degli esperimenti condotti da tutti. Le aziende dovranno provare diverse idee in competizione tra loro, ma potranno anche trarre vantaggio dalla condivisione dell’apprendimento, al fine di evitare strade poco promettenti, migliorare la produttività collettiva e costruire rapidamente una nuova società. Il Covid-19 è il momento della verità per i leader: ora possono dimostrare il proprio orientamento autentico a guidare le aziende con determinazione e significato.


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