digital innovation Marketing
Fluida, integrata e mista: ecco l’editoria del futuro
Il New York Times ha recentemente annunciato di aver totalizzato nel 2018 ricavi per 700 milioni di euro solo dal digitale. Per contro, a livello globale il fatturato dell’industria dell’informazione è in calo e in molti Paesi, Italia compresa, le testate giornalistiche faticano a interpretare il contesto comunicativo attuale in modo economicamente sostenibile. Come si sta trasformando il mercato dell’informazione?
«Questa situazione non mi sorprende e ha radici molto profonde – afferma Giuliano Noci, docente di Strategia & Marketing presso la School of Management del Politecnico di Milano e Prorettore del Polo territoriale cinese del medesimo ateneo –. In passato qualcuno si aspettava che l’advertising da solo potesse sostenere un’attività di business online, previsione che si è rivelata una chimera. Inoltre, vent’anni fa molti editori hanno reagito all’arrivo del digitale tagliando i costi e abbassando di conseguenza la qualità. Si è rivelato un errore, perché le news oggi sono diventate delle commodity: la notizia non ha più un valore in sé, la può dare chiunque. Bisognava e bisogna saper offrire profondità di analisi, capacità di leggere i fenomeni nel medio e lungo periodo. Gli americani hanno lavorato proprio in questa direzione, rafforzando sempre più la componente di interpretazione rispetto alla pura e semplice notizia di attualità, e facendo leva sulla reputazione derivante dal prestigio dei loro marchi».
Il web non ha portato a un abbassamento della qualità, piuttosto a una polarizzazione fra chi bada solo al prezzo e quindi cerca contenuti gratuiti e chi invece cerca la qualità ed è disposto a pagarla. «C’è poi anche una questione organizzativa, su cui l’Italia è particolarmente in ritardo – prosegue Noci –. Fare informazione oggi non significa solo produrre dei testi ma lavorare in una prospettiva multimediale, il che implica newsroom centralizzate in luogo delle redazioni giornalistiche separate dalle aree web».
Alla base del successo di alcuni modelli editoriali c’è quindi anche un ripensamento del rapporto fra il mezzo digitale e il giornalismo “tradizionale” in un’ottica di maggiore integrazione delle due componenti.
Inoltre si assiste al rovesciamento di alcuni flussi di lavoro, con le notizie che vengono costruite direttamente per i canali digitali e le versioni cartacee dei giornali che fungono da raccolta o “best of” di contenuti apparsi in digitale anche diversi giorni prima.
Non stupisce, dunque, che alcune testate iconiche del giornalismo mondiale vengano rilevate e rilanciate da grandi imprenditori del web. Recentemente Marc Benioff, fondatore e Ceo di Salesforce, e sua moglie hanno annunciato l’acquisto del celebre settimanale Time. E dietro la rinascita del Washington Post c’è Jeff Bezos, che nel 2013 lo raccolse, pieno di debiti, dalle mani della famiglia Graham. A chi gli ha chiesto il perché di quell’acquisto, Bezos ha risposto che Internet ha distrutto la maggior parte dei vantaggi che i quotidiani avevano costruito nel tempo, ma ha offerto loro un regalo: la distribuzione globale gratuita. Per trarre beneficio da quel regalo, Bezos ha implementato un nuovo modello di business basato non più su un alto ricavo per lettore ma sull’acquisizione di un maggior numero di lettori.
Ma l’informazione in lingua inglese oggi trae vantaggio anche dalla numerosità dell’audience e da una sua diversa predisposizione culturale? «No – risponde Giuliano Noci –. Se i media italiani tenevano vent’anni fa, non c’è motivo per cui non possano farlo anche nel contesto attuale, in cui anzi, a saperle cogliere, ci sono prospettive di maggiore crescita. La mia esperienza nell’omnicanalità mi fa dire che la presunta immaturità dei consumatori è in realtà un’inadeguatezza dell’offerta, che poi alla lunga finisce per influenzare negativamente anche la domanda. Se in Italia e in Europa molti editori sono in difficoltà è perché non si sono adeguati ai cambiamenti della società e non offrono qualcosa che viene percepito come valore».
Il digitale è in crescita ma, secondo dati R&S Mediobanca, il 91,6% del giro d’affari mondiale proviene ancora dalla carta stampata. Inoltre, editori interamente digitali come Buzzfeed annunciano tagli, mentre molti nuovi progetti editoriali nascono in forma mista carta-digitale.
L’editoria cartacea è allora destinata a sparire progressivamente o conserverà un suo ruolo? Risponde ancora il Professor Giuliano Noci: «Oggi prevale il modello misto, perché le persone prediligono una fruizione mista. Sbagliano sia gli integralisti del digitale sia quelli della carta. Tutti i più recenti studi ci dicono che i comportamenti di consumo vanno segmentati non sulla base degli individui ma del contesto di vita in cui gli individui sono calati. Così, non c’è chi preferisce in assoluto essere informato via radio, via tv, via web o leggendo un giornale, ma chiunque, in base al momento della giornata e della situazione in cui si trova, fruisce dell’uno o dell’altro mezzo. Si tratta di comportamenti molto fluidi che possono essere intercettati solo da un’offerta altrettanto fluida».