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4 marzo 2021 Condividi

eMagazine remote economy

Includere a distanza: la sfida del benessere nella società post-Covid

La pandemia di Sars-Cov2 ha affermato il ruolo dell’abitazione come luogo centrale di lavoro e vita privata, stravolgendo tutti i modelli sociali tradizionali. La tecnologia ha permesso di portare avanti il sistema economico in modo efficace anche a distanza, ma quali sono le conseguenze della “remotizzazione” sul benessere degli individui? La School of Management propone una piattaforma multidisciplinare per lo studio di benefici e costi sociali della remote economy.

 

Lucio Lamberti, Professore Ordinario di Multichannel Customer Strategy, Coordinator of the Physiology, Emotion and Experience Lab
Alessandro Perego, Direttore accademico School of Management Politecnico di Milano

L’inclusione e l’inclusività sono temi fondamentali per lo sviluppo sostenibile: una questione ampia, multidimensionale, che richiede non solo uno sforzo trasversale, ma chiare progettualità verticali attraverso le quali contribuire a un reale progresso collettivo. Tra le varie iniziative intraprese dalla nostra Scuola, una rappresenta per noi un tema che concilia le nostre sensibilità, le nostre competenze e il tipo di contributo che la nostra istituzione può offrire: l’analisi delle ricadute della mediazione tecnologica dei rapporti di studio e lavoro.

La pandemia di Sars-Cov2 ha infatti riaffermato il ruolo dell’abitazione come luogo centrale di lavoro, vita privata, acquisto, raccolta di informazioni, studio, intrattenimento, attraverso l’enorme accelerazione di fenomeni come il Working From Home (WFH) e il distance learning.
Negli ultimi mesi, con una virulenza e una rapidità impensabili, si sono trasformati i modelli sociali degli individui e delle famiglie. Milioni di persone hanno cominciato a lavorare e studiare assiduamente da casa, e, per quanto possa essere presumibile una forma di ritorno a dinamiche sociali più canoniche una volta – si spera presto – rientrata la fase pandemica, si stanno iniziando a osservare fenomeni di alienazione (o perlomeno depauperazione del valore esperienziale) legati alla perdita della dimensione fisica della socialità, se non addirittura manifestazioni della cosiddetta Sindrome della Capanna (o del Prigioniero), ovvero la paura del ritorno a una normale interazione fuori casa con il resto del mondo di chi è costretto a restare chiuso in uno spazio per un tempo più o meno lungo.

Inoltre, dopo una fase di attenzione all’abilitazione tecnologica e organizzativa del WFH e del distance learning, è giunto il momento di valutarne l’efficacia comparata ai modelli tradizionali. Ci troviamo di fronte a fenomeni di portata storica: da un lato, si pone un tema di inclusione e tenuta sociale, in quanto la remote economy estremizza le conseguenze di distacco sociale delle fasce meno digitalizzate della popolazione, che spesso sono anche le fasce più vulnerabili della popolazione (es. famiglie a basso reddito, anziani, disabili).
D’altro canto, nella complessissima equazione sociale che stima benefici e costi sociali di una progressiva “remotizzazione” del lavoro e della formazione, i termini relativi all’efficacia (qualità dell’apprendimento, produttività, innovatività, ecc.) e al benessere degli individui coinvolti (soddisfazione, qualità di vita, socialità) risultano ancora sostanzialmente ignoti.

Si tratta di driver di coesione sociale, benessere individuale, efficienza ed efficacia nel lavoro e nello studio, sviluppo relazionale ed emotivo che, ragionando per estremi, potrebbero essere conquiste epocali in grado di generare sviluppo sostenibile (meno traffico, meno inquinamento, maggiore inclusività, rivitalizzazione delle aree non urbane), o pericolose minacce di deterioramento del benessere economico, della qualità di vita e della qualità del capitale umano, se non di ingenerazione di tensioni individuali, familiari e sociali.

La School of Management ha intrapreso un percorso di ricerca multidisciplinare e multipiattaforma sul benessere dell’individuo nella remote economy volto specificatamente a qualificare e quantificare le dinamiche di relazione, ingaggio e produttività legate al WFH, le dimensioni dell’efficacia del distance learning, i fattori di costo e beneficio sociale della “remotizzazione” dei rapporti di studio/lavoro.

Per fare questo, si vuole (e si deve) attingere all’ampio ventaglio di competenze che la Scuola può esprimere: il MIP, business school ai vertici mondiali nel distance learning; gli Osservatori Digital Innovation, che analizzano da più di dieci anni fenomeni come lo Smart Working, la digitalizzazione delle case e i modelli di relazione mediati dalle tecnologie; il Laboratorio IOT, che sviluppa e studia modelli di interfaccia tra gli individui e dispositivi connessi; il Laboratorio Pheel, che studia e misura, in chiave multimodale e a partire dalla biometria, l’efficacia e la reazione delle interfacce e delle esperienze sugli individui.

Ma anche un ventaglio così ampio di competenze rischia di non riuscire ad abbracciare la complessità del tema. Per questo, in ossequio al nostro piano strategico e a quello del nostro Ateneo, stiamo creando un sistema di relazioni con le altre anime del nostro Politecnico (ad esempio, i dipartimenti di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, Fisica, Ingegneria Civile, Meccanica, Design), con centri di ricerca in domini disciplinari altri da quelli politecnici (Psicologi e Sociologi, in primis), e con imprese e istituzioni co-interessate al tema.

La nostra piattaforma intende creare ambienti sperimentali che riproducano l’esperienza domestica per consentire la conduzione di esperimenti sulle esperienze di WFH e smart learning in termini di ergonomia, isolamento acustico, contestualizzazione, impatto dei materiali, user experience e dinamiche di produttività. Coerentemente con le attività di riflessione strategica sullo smart working del nostro Ateneo, intendiamo esplorare il tema del bilanciamento tra lavoro in presenza e a distanza per individuare soluzioni in grado di compendiare i vantaggi di entrambi limitandone le possibili aree di debolezza. A livello metodologico, intendiamo lavorare con dispositivi wearable a bassa invasività per condurre ricerche su benessere e stress con disegni longitudinali su panel mirati di popolazione. Per valutare l’efficacia di interventi educativi e di pratiche didattiche intendiamo sviluppare spazi di simulazione 3D, realtà aumentata e realtà virtuale e di prototipizzazione di interfacce di distance learning.

La chiave del progetto è la sua multidisciplinarietà: i problemi dello sviluppo sostenibile sono troppo complessi e multi-sfaccettati per essere affrontati in modo realmente efficace all’interno di un’area disciplinare come l’economia, il management o l’ingegneria.
E’ la contaminazione, l’inclusione culturale la vera chiave di innovazione, ed è in questa direzione che le istituzioni di ricerca, in ogni campo, dovrebbero muoversi.

 


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