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9 maggio 2022 Condividi

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Il venture capital al tempo del Covid: nel mondo un fondo di investimento su due ha cambiato le proprie strategie, in Italia “solo” il 38,5%

Nasce il Bureau of Entrepreneurial Finance (BEF), un centro permanente voluto dalla School of Management del Politecnico di Milano e dal Politecnico di Torino per mettere in rete gli studiosi e i player più accreditati a livello europeo sulle tematiche di finanza imprenditoriale.

 

Oltre 500 le risposte alla survey, pervenute nella seconda metà del 2021 soprattutto da operatori europei e nordamericani: ora si tende a investire in momenti più avanzati del ciclo di vita delle startup, per abbassare il livello di rischio, e a privilegiare settori come l’healthcare, l’energia e il farmaceutico, spinti dalla pandemia


Milano, 9 maggio 2022 – La finanza imprenditoriale al tempo del Covid19. Come la pandemia ha colpito duramente molti aspetti dell’economia globale, imponendo alle imprese di rimodellare i processi interni per non uscire dal mercato, così ha spinto i venture capitalist ad adattare al mutato scenario le proprie pratiche di investimento, ad esempio investendo in momenti più avanzati del ciclo di vita delle startup o privilegiando  settori come la cura della salute, l’energia e l’ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari a scapito dei servizi digitali e della distribuzione commerciale.

Sono alcune delle evidenze sottolineate dal Report sul Venture Capital e il Covid19 che è stato presentato questa mattina al Politecnico di Milano durante il lancio del Bureau of Entrepreneurial Finance (BEF), un centro permanente voluto dalla School of Management del Politecnico di Milano e dal Politecnico di Torino – co-fondato dai professori Massimo Colombo, Annalisa Croce, Elisa Ughetto e Vincenzo Butticè – che vuole mettere a confronto e in rete gli studiosi e i player più accreditati a livello europeo sul tema della finanza imprenditoriale.

Al sondaggio, effettuato nella seconda metà del 2021, quindi nel pieno della ripresa economica post-Covid ma quando già cominciavano i rincari legati alle materie prime e all’energia, hanno risposto oltre 500 fondi, con un’ottima copertura di quelli europei (che hanno aumentato gli investimenti del 2%) e nordamericani (che invece li hanno diminuiti dell’1%).

A livello globale, un fondo su due (52%) ha dichiarato di avere cambiato le proprie strategie di investimento dopo il Covid, anche solo moderatamente. Percentuale che risulta ben più bassa per i fondi europei (che non hanno modificato nulla nel 57% dei casi) e ancor di più (61,5%) per quelli italiani, probabilmente in ragione del fatto che tendono maggiormente a investire cross-border, cioè non nel Paese di appartenenza (il 90,2% di chi fa investimenti cross-border – in Italia l’83,5% – non li ha ridotti a favore di interventi domestici).

Un altro aspetto interessante è la diminuzione del numero di investimenti in seed stage, e più in generale nelle fasi iniziali del ciclo di vita della startup, a favore di momenti di sviluppo più maturi (si va dal +1,2% dell’early e late stage al +4,4% nel mid stage), tendenza maggiormente evidente nei fondi più piccoli.

“È aumentata ovunque l’incertezza e dunque gli investitori preferiscono traslare il focus di investimento verso imprese più mature e con un profilo di rischio più contenuto – spiega Elisa Ughetto del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino, tra i curatori dello studio e co-direttrice del BEF insieme ad Annalisa Croce del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano -. Inoltre, sempre in risposta ai cambiamenti repentini di questi ultimi anni, gli investitori si fidano meno che in passato del loro istinto (gut feeling) e nelle decisioni si basano maggiormente su aspetti oggettivi, come l’ambiente economico favorevole, il business model, gli eventuali incentivi pubblici”. “Sono anche cambiate le strategie di investimento – aggiunge Annalisa Croce -: ora si prediligono settori industriali che hanno avuto buone performance durante la pandemia, come l’healthcare e il farmaceutico, mentre risultano in calo settori tradizionalmente oggetto di ingenti investimenti da parte di fondi di venture capital come il settore ICT”.

I settori che hanno visto aumentare gli investimenti sono la cura della salute (+2,4%), l’energia e l’ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari (tutti a +1%), la formazione e i semiconduttori (+0,6), mentre risultano in calo i servizi digitali (-1,4%), inclusi quelli legati a internet e mobile (-1%), e la distribuzione commerciale (-1,6%).

I fondi hanno anche ridotto le proprie aspettative sui ritorni attesi (IRR) e sono diventati più severi, in termini di multiplo richiesto, nel valutare le startup. In sostanza, si assumono un rischio inferiore a fronte di un ritorno atteso più basso (-1.3% in media): la fascia maggioritaria, pur in calo di due punti percentuali, rimane con un target IRR tra il 20 e il 29%, ma non manca, ed è in leggerissima crescita, chi si aspetta un guadagno tra il 40 e il 50%. Persino la valutazione delle startup già presenti in portafoglio ha subìto una rimodulazione: nel 40% dei casi si è ridotta (nel 9% anche in maniera significativa) poiché, nello scenario mutato, ci si attende una diminuzione del valore al momento dell’uscita del fondo.

Un ultimo dato curioso: è aumentata di quasi un terzo (+28,4%) l’interazione dopo l’investimento fra venture capitalist e imprenditori, finalizzata a supportare la crescita della startup. Se prima ci si sentiva prevalentemente tra una e tre volte al mese, ora crescono i contatti settimanali o addirittura quotidiani.


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