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20 febbraio 2020 Condividi

Master in Financial Risk Management risk management

«Matematica e soft skills: così sono diventata risk manager»

 

Camilla Manca racconta la sua esperienza di alunna del Master in Financial Risk Management (Mifrim) del MIP, che l’ha portata prima alla Banca centrale europea e oggi in Ubs

«Chiunque abbia studiato sa rispondere alle domande poste in un colloquio. La differenza sta nel modo in cui si risponde». Camilla Manca non ha dubbi, quando le si chiede qual è la caratteristica chiave del Master in Financial Risk Management (Mifrim) del MIP, che ha frequentato tra il 2017 e il 2018 e l’ha portata, nel giro di appena un paio d’anni, a lavorare come risk manager prima per la Banca centrale europea (Bce) e poi per Ubs, una delle principali società finanziarie svizzere: «Il Mifrim, rispetto agli altri master, dal mio punto di vista è differente, ha una marcia in più. Non solo offre, ovviamente, le conoscenze necessarie per affrontare al meglio questo ruolo, ma insegna ad affrontare un colloquio di lavoro, a preparare un curriculum efficace, a dare risalto alle proprie capacità, a creare un network lavorativo. Ed è questo che mi ha permesso, una volta diplomata, di affermarmi in un ambito in cui la concorrenza è altissima

Dalla matematica al risk management

 

Oggi Camilla è risk modeling e analytics specialist per Ubs: «Mi occupo di stress model: creo modelli per stimare le perdite delle banche sui mercati durante le crisi. Credo che la mia formazione ibrida sia stata di grande aiuto. Alla matematica, infatti, ho associato la capacità di analizzare i dati, di saperli leggere e di capire così quali siano i modelli più validi. Questo è il motivo per cui sono stata selezionata in Bce. E quando ho deciso di cercare lavoro a Zurigo, l’ho trovato nel giro di appena tre mesi. Grazie agli strumenti e all’esperienza fornitimi dal master».

Ma perché Camilla Manca ha deciso di iscriversi al Mifrim? Quando ha maturato la decisione, conosceva già molto bene il Politecnico di Milano: «Lì avevo appena conseguito la laurea triennale in Ingegneria matematica. Dopo tanta teoria, però, sentivo il bisogno di dare una svolta più pratica alla mia formazione. La matematica mi dava un ventaglio di possibilità piuttosto ampio. Poiché ero interessata all’ambito finanziario, ho cominciato a informarmi e a fare selezione tra i diversi corsi offerti dalle università di tutta Italia. Ho scelto il Mifrim perché garantiva sei mesi di stage al termine delle lezioni: una proposta allettante, perché finalmente avrei potuto mettere in pratica gli insegnamenti acquisiti fino a quel momento. La fama e la notorietà del Politecnico hanno fatto il resto».

Dalla classe all’azienda: mettere alla prova le soft skills

 

All’inizio, però, Camilla non sapeva bene cosa aspettarsi dal master: «Ero rimasta ancorata al modello della triennale: studi, esami da preparare, il pensiero del voto. La centralità di elementi più qualitativi che quantitativi, comunque presenti, mi aveva spiazzato. Ma nel momento in cui ho capito che la differenza nel mondo del lavoro la fa altro, e cioè quelle che possiamo definire come soft skills, ho cominciato davvero a vivere il master nella sua pienezza, per tutto quello che poteva darmi, fidandomi dei professionisti. Il consiglio ai futuri alunni è proprio questo: fidatevi dei professori, perché sanno che cosa serve nel mondo del lavoro».

Anche in questo caso, quindi, le soft skills sono un tema centrale: «La relazione con i compagni di classe è stata fondamentale. Ci si confronta con persone motivate, desiderose di emergere ed affermarsi, determinate a diventare i professionisti del futuro. Bisogna imparare a confrontarsi con loro, anche perché molti esami prevedono dei lavori di gruppo. Se non si sa far fruttare al meglio la collaborazione con gli altri, non si arriva in fondo. E le dinamiche sono le stesse del contesto lavorativo: se tutti vogliono emergere, bisogna imparare anche a trovare e crearsi il proprio spazio. È un’ottima palestra, anche da questo punto di vista».

Un’affermazione che Camilla esprime con cognizione di causa: «Lavoro in un team allargato che sarà composto, forse, da 10 mila persone. Se si vuole convincere un superiore della validità del proprio modello, bisogna saperlo presentare, entrare in empatia, farsi capire. Tutte cose imparate al Mifrim».


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