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6 marzo 2019 Condividi

FLEXA Intelligenza Artificiale

Quali lavori sopravviveranno all’Intelligenza Artificiale

Vogliamo portare l’intelligenza in ogni cosa, dappertutto, e per chiunque”. L’ha detto Satya Nadella, Ceo di Microsoft, azienda che ha recentemente lanciato la chatbot “Zo” in grado di costruire sofisticati colloqui uomo-macchina. Ed è proprio attraverso strumenti di intelligenza artificiale (IA) di Microsoft che la School of Management del Politecnico di Milano ha sviluppato FLEXA, innovativa e rivoluzionaria piattaforma digitale di personalised e continuous learning, un digital mentor in grado di individuare e selezionare specifici contenuti, utili per il percorso di studi di ciascun utente.

«Questo progetto, ma il discorso vale in generale per l’Intelligenza Artificiale, è partito da una consapevolezza: avevamo individuato determinate necessità e la tecnologia poteva aiutarci a soddisfarle – racconta Federico Frattini, Associate Dean of Digital Transformation di MIP Politecnico di Milano nonché ideatore di FLEXA –. Nello specifico, gli studenti dei nostri master volevano conoscersi meglio, anche in un’ottica comparativa, per poi intraprendere percorsi di formazione ad hoc, mentre i nostri Alumni, gli ex studenti, ci chiedevano soluzioni efficaci di continuous learning. Abbiamo ragionato sulla base di questi input e il risultato è stato FLEXA: su questa piattaforma è possibile effettuare un assessment delle proprie soft, hard e digital skill e dichiarare le proprie ambizioni di carriera; una volta elaborate queste informazioni, FLEXA fornisce tutte le indicazioni per colmare questi skill gap attraverso eventi, corsi e percorsi di formazione individuati sulla base delle necessità indicate. E non si tratta solo di contenuti del Politecnico di Milano: abbiamo accordi con Gartner, New York Times, Financial Times, MIT e tante altre realtà prestigiose. Con FLEXA, inoltre, sarà possibile farsi raccomandare un mentor, creare un sistema di matching con il mondo delle startup e con quello delle imprese, creare nuovi contenuti».

È comprensibilmente acceso il dibattito sull’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sull’occupazione. Oltre che nei lavori più meccanici e ripetitivi, come quelli svolti dagli operai alla catena di montaggio e alla guida delle auto, e ad alcune attività nella ristorazione e nei supermercati, l’automazione sta entrando anche nel campo dei servizi. Secondo alcuni studi, per esempio, entro il 2030 non ci saranno più call center “umani”, mentre in Giappone molti robot sono già operativi nell’assistenza agli anziani.

Per contro, l’intelligenza artificiale ha dei limiti che in molti casi le impediscono di sostituirsi al lavoro umano, e al contempo è ancora forse sottovalutato il ruolo che la tecnologia può avere per affiancare e rafforzare l’uomo nell’esercizio di alcune delle sue attività più qualificate. Il cinese Kai-Fu Lee, noto esperto di intelligenza artificiale, imprenditore proprio in questo settore e autore del recente volume AI Superpowers: China, Silicon Valley, and the New World Order, individua quattro debolezze dell’IA nella performance lavorativa:

  1. l’IA non può creare, concettualizzare o gestire una pianificazione strategica complessa;
  2. l’IA non può svolgere lavori complessi che richiedono una precisa coordinazione di mani e occhi;
  3.  l’IA non può far fronte a spazi sconosciuti e non strutturati, specialmente quelli che non ha precedentemente osservato;
  4.  l’IA, diversamente dagli umani, non può interagire con empatia e compassione (intesa come sensibilità), e quindi è improbabile che gli umani optino di interagire con un robot apatico per i tradizionali servizi di comunicazione.

Data questa premessa, Kai-Fu Lee stila una lista di dieci professioni che saranno immuni dall’invasione robotica, almeno nei prossimi 15 anni: psichiatria, terapia fisica, medicina, ricerca e ingegneristica nel campo dell’intelligenza artificiale, scrittura di fiction, insegnamento, avvocatura, scienza e ingegneristica nel campo dei computer, scienza, management. In tutte queste professioni l’IA potrà essere di aiuto, ma solo in senso collaborativo per la gestione di certi dettagli tecnici.

“Non vi è alcun dubbio che la rivoluzione dell’intelligenza artificiale richiederà aggiustamenti e una grande dose di sacrifici” afferma Kai-Fu Lee, “ma disperarsi invece che prepararsi per ciò che è in arrivo è improduttivo e, forse, pure incauto”. E poi aggiunge: “Dobbiamo ricordarci che la nostra capacità umana di avere compassione ed empatia sarà un bene prezioso per la forza lavoro del futuro, e che le attività che dipendono dalla cura, dalla creatività e dall’istruzione rimarranno vitali per la nostra società”.

«Io credo che il miglior modo per avvicinarsi all’intelligenza artificiale sia ricondurla alle teorie che spiegano l’innovazione e l’imprenditorialità – conclude Federico Frattini –. Possiamo definirla come un acceleratore dei processi di distruzione creatrice determinati dall’innovazione digitale, prendendo spunto da ciò che sosteneva l’economista austriaco Joseph Schumpeter quasi un secolo fa a proposito dei grandi cambiamenti che hanno avuto un impatto sull’economia e sulla società: si creano nuove opportunità, nascono nuove aziende e nuove professionalità, altre evolvono e altre ancora, inevitabilmente, spariscono. Non possiamo certo opporci alle forze creative che hanno cambiato la società nel corso dei secoli».


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