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12 febbraio 2019 Condividi

sostenibilità

LUCI E OMBRE DELLA COP24 DI KATOWICE

All’umanità restano appena dodici anni per salvare il clima del Pianeta. L’allarme lanciato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ben sintetizza l’importanza della COP24, la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici conclusasi lo scorso dicembre a Katowice, in Polonia.

Che bilancio si può tracciare di questo importante summit, ideale seguito di quello di Parigi del 2015? Emerge un quadro in chiaroscuro, con gli esperti divisi tra chi lamenta l’insufficienza dei progressi conseguiti e chi, invece, si concentra soprattutto sull’importanza dei risultati – benché parziali – raggiunti.

«Quello sul cambiamento climatico è un processo di negoziazione complicato che coinvolge molti paesi. Perciò è naturale aspettarsi progressi lenti», ha dichiarato Massimo Tavoni, professore di Climate Change Economic presso la School of Management del Politecnico di Milano. «L’obiettivo principale della riunione della COP di quest’anno è stato quello di fare il punto su dove siamo arrivati ed elaborare linee guida per l’implementazione di ciò che è stato già deciso. Questi obiettivi nel complesso sono stati raggiunti, ma hanno anche mostrato quanto piccoli siano stati i progressi finora compiuti. In particolare, l’incontro di Katowice ha sottolineato la fragilità politica dell’accordo sul clima di Parigi firmato nel 2015. Le posizioni scettiche dei governi degli Stati Uniti e del governo brasiliano appena eletto, oltre all’opposizione dei paesi del Golfo, hanno fatto sorgere dubbi sulla capacità dell’accordo di Parigi di compiere reali progressi aggiuntivi sulle riduzioni delle emissioni. Questo mentre la scienza ha accumulato nuovi preoccupanti segnali dell’impatto potenzialmente devastante dei cambiamenti climatici sull’uomo e sugli ecosistemi», spiega Tavoni, vincitore di un ERC grant sui temi dell’economia comportamentale e dell’ambiente.

Va detto però che l’obiettivo tecnico della COP24, cioè l’approvazione di un regolamento sull’applicazione dell’accordo di Parigi, è stato centrato, anche se non si è raggiunto un impegno collettivo per portare a termine i cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDC), ossia gli obiettivi di azione sul clima a livello nazionale. L’obiettivo dell’accordo di Parigi era contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, o, meglio ancora, entro gli 1,5 °C. Come fa notare Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, “Per farlo, si devono fissare obiettivi di riduzione volontari su base nazionale, ma è necessario garantire metodi coerenti, comuni e trasparenti in modo da poter confrontare i diversi obiettivi e le azioni dei vari Paesi con la stessa metodologia. Senza di ciò, ogni Paese misurerebbe le cose a modo suo. Lo scopo di Katowice era dunque avere le basi tecniche per andare avanti. Scopo che, con fatica, è stato raggiunto. Al contempo, però, si è registrato un calo di leadership”.

Questo “calo di leadership” si è notato fin dall’inizio dei lavori. Di fronte ai risultati presentati, si è aperto un confronto su come citare l’ultimo Rapporto dell’IPCC che valuta la differenza degli impatti tra un aumento di 1,5 °C e uno di 2 °C. Onufrio fa notare che c’è una bella differenza tra “usare la parolina ‘welcome’ (‘accogliere’) oppure ‘prendere nota’, che significa prendere atto senza però necessariamente agire”. Paesi come Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait, tutti produttori di petrolio, hanno deciso di non “accogliere” i risultati esposti dai climatologi. Quindi, alla fine della COP24 il Rapporto dell’IPCC è stato citato con una formula derivante da un compromesso al ribasso.

Quanto agli aspetti positivi, oltre al già citato conseguimento dell’obiettivo tecnico, che consente al negoziato sul clima di andare avanti, bisogna segnalare che la discussione ha anche toccato i temi dell’agricoltura, del suolo e delle foreste, che proprio a Katowice sono entrati in maniera più precisa nella discussione. Infine, per la prima volta, si è aperto un vero dibattito sul carbone. La Pontificia Accademia delle Scienze del Vaticano e l’Accademia delle Scienze polacca hanno presentato un documento in cui si chiede una transizione che comporti l’abbandono del carbone entro il 2030 in Polonia. Un orientamento, quest’ultimo, che avrebbe delle conseguenze positive anche dal punto di vista dell’occupazione, come spiega Giuseppe Onufrio: “I settori da chiudere, come quelli del fossile, sono ad altissima intensità di capitale e a bassa intensità di lavoro, escludendo le miniere, che comunque perderanno forza lavoro perché anche lì sta entrando l’automazione. Invece, nelle fonti rinnovabili, distribuite a bassa densità, c’è molta più occupazione in funzione dell’energia prodotta”.

 


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