Intelligenza Artificiale
Perché il valore umano nell’era digitale è ancora più prezioso
La crescita della digitalizzazione è vista da tanti con preoccupazione. Eppure le nuove tecnologie possono aiutare produttività e flessibilità. A patto che i manager sappiano individuare le giuste opportunità
“L’interazione umana è la prima vittima dell’era digitale”. È il titolo che introduce un editoriale firmato da Vivek Wadhwa, imprenditore del settore tech, docente ad Harvard e, tra le altre cose, un entusiasta della prima ora dei social media. Con il tempo, come molti altri, Wadhwa ha cambiato idea, convincendosi che i mezzi di comunicazione digitali hanno fatto più male che bene ai rapporti interpersonali. Allo stesso modo, sono in molti a sostenere che le tecnologie digitali avanzate possano ridimensionare la centralità dell’elemento umano nel mondo del lavoro. Ma è davvero così? Una serie di dati e previsioni mostrano come in realtà sia possibile prendere delle contromisure. E come il ruolo dei manager, in questo scenario, sia centrale.
Rapporti umani: tra relazioni e connessioni
Un’indagine del World Economic Forum, condotta nel 2016 su un campione di oltre 5 mila individui sparsi per i cinque continenti, rivela una percezione diffusa in netta controtendenza rispetto ai timori di Wadhwa. Secondo la maggior parte degli intervistati, l’utilizzo dei social media ha portato una maggiore capacità di stringere amicizie nel mondo reale, di mantenere le relazioni con amici già acquisiti e con il proprio partner e – sorpresa! – anche di sviluppare una maggiore empatia.
Ma non è tutto oro quel che luccica. Se è vero che da una parte i media digitali abilitano l’interazione sociale, spesso dando rilievo alle voci delle minoranze, dall’altra parte esistono dei rischi che è lo stesso World Economic Forum a sottolineare nel report Digital Media and Society: è possibile che lo sviluppo delle capacità relazionali online non corrisponda a un analogo incremento delle social skills offline. Uno scenario a luci e ombre, insomma, che ritroviamo anche in ambito lavorativo.
Il lavoro che cambia
Le tecnologie digitali stanno plasmando forme e contenuti dell’offerta lavorativa. Tra le ricadute positive si possono annoverare un incremento della produttività e della flessibilità, in particolare nel ricorso sempre maggiore a forme di telelavoro, o di smart working, rese possibili dallo sviluppo di connessioni di rete sempre più rapide e di strumenti di comunicazione digitale sempre più efficienti. Anche in questo caso, però, non mancano i dubbi. I media digitali, infatti, possono provocare un aumento delle diseguaglianze, causate da un rapido avvicendamento nelle skill più richieste. Non è azzardato prevedere un allargamento della forbice del valore (e quindi anche di quella economica) tra i dipendenti con skill di basso livello e colleghi con abilità più evolute e preziose.
Sfruttare la tecnologia, valorizzare l’umano
Per evitare questi rischi, la figura del leader diventa centrale. Deve “avere le conoscenze e le capacità adatte a riconoscere e anticipare le tendenze digitali, capirne le implicazioni per il business e usare a proprio vantaggio la tecnologia per rimanere al passo”, afferma il report Digital Media and Society. Spetta alle organizzazioni, e quindi ai loro manager, sviluppare le strategie adeguate per integrare i media digitali nel flusso lavorativo, e agire attivamente sulle opportunità e i pericoli che i loro dipendenti dovranno affrontare. Un altro report del World Economic Forum, Our Shared Digital Future, ha suggerito delle ulteriori linee guida per affrontare la rivoluzione digitale: spicca la creazione di una rete di leader responsabili che incoraggino il reskilling dei dipendenti. Se è vero, come suggerisce il Future of Jobs Report del 2018, realizzato sempre dal WeF, che entro il 2022 l’automazione sottrarrà agli esseri umani percentuali importanti di carico di lavoro, diventa infatti fondamentale la valorizzazione di quelle attività che le intelligenze artificiali ancora non riescono a svolgere: un paradosso apparente, ma il vantaggio competitivo di aziende e lavoratori dipenderà sempre più dalla capacità di dimostrarsi inimitabilmente umani. A dispetto di qualsiasi innovazione digitale.