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8 marzo 2019 Condividi

HR smartworking

Smart Working: il punto di vista del Direttore HR

Con circa 480 000 smart worker in Italia, il lavoro agile è un tema che interessa moltissime aziende. Il MIP non fa eccezione e, infatti, da qualche mese ha dato il via a un progetto di Lavoro Agile aperto a tutti i dipendenti. Ne abbiamo parlato con il responsabile delle Risorse Umane Gianvincenzo Scarpa.  

 

Che cos’è per te lo smartworking?

Per me non si tratta “solo” di lavorare da casa, ma piuttosto del primo passo di una rivoluzione che sta interessando ormai da anni la concezione tradizionale del posto di lavoro.
Per tanto tempo, ci si è recati in fabbrica cinque giorni alla settimana: la presenza sul luogo di lavoro era una necessità, la gerarchia regnava sovrana e tutti i dipendenti erano costretti a timbrare il cartellino.

Oggi, questo modello “tradizionale”, in gran parte dei contesti aziendali, può essere superato grazie alla tecnologia digitale, che è diventata regina di una nuova idea di ufficio e permette di gestire in modo ottimale sia le attività che rapporti con i colleghi.
Smart working per me è anche una sfida: è compito della Direzione HR, insieme ai responsabili d’area, aiutare i dipendenti a superare alcune criticità che comunque esistono, come per esempio la sensazione di isolamento rispetto ai colleghi, alle attività e alla vita d’ufficio, incentivando le persone a sfruttare appieno tutte le opportunità che la tecnologia offre e che una società mette a disposizione.

 

Puoi spiegarci come mai il MIP ha intrapreso la strada del Lavoro Agile?

I motivi che ci hanno spinti verso lo smart working sono tre: un migliore work-life balance, un impatto positivo in termini di sostenibilità ambientale e anche una maggiore responsabilizzazione delle persone verso i risultati.

Al MIP c’era già un’attenzione verso il work-life balance, declinata in termini di una flessibilità di orario molto estesa. A questa abbiamo deciso di unire anche una flessibilità di luogo.
Prima di imboccare questa strada abbiamo fatto un’analisi dalla quale è emerso che il 70% dei dipendenti raggiunge il luogo di lavoro con i mezzi pubblici e che il 40% impiega in media 45 minuti per arrivare al MIP.
Abbiamo ritenuto che guadagnare complessivamente tra i 60 e i 90 minuti del proprio tempo potesse avere degli effetti molto positivi anche sulla produttività. Peraltro, secondo le ultime ricerche una gran parte dei lavoratori – soprattutto tra i più giovani – è disposta ad accettare una retribuzione minore in cambio di politiche di lavoro agile. Sostanzialmente, torniamo al tema che la felicità non è tanto una questione di denaro, quanto di tempo a disposizione.

 

Hai già menzionato l’influsso positivo su retention e soddisfazione dei dipendenti. Quali sono gli altri vantaggi per l’azienda?

Lo smart working incrementa la fiducia delle persone, incidendo positivamente sia sull’engagement che sulla motivazione. Queste sono anche le basi per una buona performance da parte dei dipendenti e, quindi, di riflesso, anche dell’azienda.
Migliore motivazione significa anche maggiore retention, diminuzione dell’assenteismo ed aumento della produttività. Questo perché le risorse, grazie alla fiducia avvertita e che viene riposta, si sentono maggiormente responsabili del raggiungimento dei risultati.

 

Qual è invece la tua esperienza di smart worker?

Sicuramente ne apprezzo i reali vantaggi: abitando a 30 km da Milano ne sperimento la sostenibilità a livello ambientale e il risparmio di tempo. Guadagno infatti quasi due ore, che vanno a vantaggio della mia vita familiare.
Per molte persone – al MIP ci sono tante mamme – poter avere il tempo di accompagnare i figli a scuola anche solo una volta alla settimana fa la differenza.

L’impatto positivo non è solo nella sfera privata, ma anche in quella professionale. Organizzo il lavoro in modo da dedicare la giornata di smart working a quelle attività che richiedono molta concentrazione e/o sono particolarmente time-consuming. Si sa, in ufficio il tempo si dilata, a causa di quelle normalissime interruzioni da parte dei colleghi che fanno parte del lavoro quotidiano… A casa, invece, è più facile che il tempo stimato per completare un’attività diventi quello effettivo.
Tutto questo è possibile perché c’è una pianificazione a monte. Altrimenti, c’è il rischio di vivere la giornata di smart working come un impedimento, concentrando negli altri giorni tutte le attività che richiedono la presenza in sede.
L’esperienza è positiva, in linea con le nostre prime survey, che mostrano grande soddisfazione sia da parte degli smart worker che da parte dei responsabili.

 

Fino ad ora abbiamo parlato delle opportunità, ma tornando anche a quello che hai detto in apertura, ci sono delle sfide da affrontare. In particolare cosa cambia nella gestione delle risorse umane e nel rapporto con i responsabili d’area?

Effettivamente, cambia tanto. La direzione HR ed i cosiddetti manager gestori di risorse devono essere allineati e condividere una visione strategica. Sono i responsabili d’area infatti ad essere coinvolti in prima persona nella buona riuscita del progetto e sta alle Risorse Umane supportarli nella modifica dei propri stili di leadership.
L’obiettivo è quello di passare da un modello costruito sul controllo e la supervisione ad uno basato sul raggiungimento – anche in autonomia – dei risultati. Nei posti di lavoro di nuova generazione i risultati sono più importanti delle apparenze.
Un altro degli aspetti fondamentali è l’empowerment delle risorse. È importante coinvolgere i collaboratori nelle decisioni, responsabilizzandoli e stimolandoli a proporre miglioramenti delle modalità di organizzazione del lavoro.
Perché questo accada, HR e responsabili d’area devono lavorare insieme, in modo che ci siano allineamento e coerenza a livello di visione e strategia.

Un’altra sfida è invece a livello di cultura aziendale. Questo progetto, infatti, coinvolge persone con seniority diverse, appartenenti a generazioni diverse con idee differenti sul modo di lavorare e con una percezione diversa della tecnologia e delle sue potenzialità. Se per un Millennial è naturale sfruttare appieno la tecnologia anche sul luogo di lavoro, esattamente come fa al di fuori dell’ufficio, per una persona abituata a muoversi in un mondo analogico, può essere meno immediato abbracciare un nuovo modo di lavorare basato sulla condivisione e sugli obiettivi.

Ecco perché i modelli di funzionamento basati su comando e controllo devono lasciare il campo a forme di collaborazione più condivise e digitali.

 

Come hai sottolineato, gli attori coinvolti in questo progetto sono sia i responsabili che lo staff. Che consigli ti sentiresti di dare agli uni e agli altri per cogliere tutte le opportunità dello smartworking?

Secondo me l’unica strada per vivere tutte le dimensioni dello smart working – non solo quella del lavoro da casa – è rimettersi in gioco.
Spero che le persone sentano la necessità di mettere in discussione i canovacci del lavoro tradizionale, anche se sono abituati a lavorare in un certo modo da dieci o quindici anni.
Per apprezzare a pieno le potenzialità del lavoro agile non basta un pc: bisogna sfruttare tutte le piattaforme messe a disposizione dell’azienda, in modo da essere il più possibile integrati nelle attività dell’ufficio.

Ai responsabili più scettici che faticano a pensare che una propria risorsa stia lavorando proficuamente in una location diversa dall’ufficio, ricordo che a valle di una corretta pianificazione e condivisione degli obiettivi, i dipendenti sanno cosa stanno facendo e dovranno rispondere in caso di scadenze non rispettate o peggio ancora obiettivi non raggiunti. È evidente che in questi casi il problema non è la flessibilità che permette di lavorare da remoto, bensì il dipendente stesso che non soddisfa le aspettative dell’azienda.

 

Per concludere, guardando al futuro cosa vedi?

Lo smart working non deve essere un punto di arrivo, ma il primo passo di una rivoluzione, il punto di partenza per altre trasformazioni del workplace.
Tante aziende, per esempio, hanno rivoluzionato gli spazi, rendendoli più aperti e condivisibili. Oggi infatti il lavoro per “compartimenti stagni” è superato e molte persone di differenti team lavorano insieme su progetti in modo trasversale.
In questo momento al MIP non siamo ancora a buon punto di quel cambiamento culturale: per esempio, la zona ricreativa che abbiamo creato per i dipendenti, non è molto sfruttata. Non c’è ancora l’idea che una breve partita a ping pong possa risolvere un momento di empasse lavorativa. Non è vista come l’occasione per recuperare magari concentrazione, e quindi produttività, ma come una distrazione dalle proprie mansioni. Così come, dalle ultime analisi, ancora non stiamo sfruttando a pieno regime tutte la tecnologia digitale che abbiamo a disposizione.
Oggi sarebbe azzardato portare avanti dei nuovi cambiamenti ai quali non siamo ancora pronti. Lo smartworking è il primo passo: in caso di riscontri positivi potremo continuare a cavalcare l’onda di cambiamento che sta investendo il cosiddetto workplace.


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