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25 marzo 2020 Condividi

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Lo Smart Working ai tempi del Coronavirus

Non solo un fatto di modernità, buone pratiche e conciliazione con il lavoratore: lo smart working per le imprese ora è una questione di sopravvivenza. 


Mariano Corso, Professore di Leadership e Innovation, Responsabile Scientifico degli Osservatori Smart Working e Cloud Transformation

 

Cos’è lo Smart Working e a che punto è in Italia

Lo Smart Working è una filosofia manageriale fondata sulla restituzione al lavoratore autonomia e flessibilità nello scegliere il luogo, l’orario di lavoro e gli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Troppo spesso lo Smart Working viene confuso con il concetto di telelavoro o viene ricondotto a politiche di welfare e conciliazione.
Il vero cambiamento che deriva dallo Smart Working è ben più profondo: si passa da un management orientato al presenzialismo e al controllo, ad uno orientato alla fiducia, alla collaborazione, alla flessibilità e alla delega.
Per realizzare un progetto di Smart Working le imprese devono agire su quattro leve: policy organizzative di flessibilità di orario e di luogo di lavoro; tecnologie digitali, che ampliano e rendono virtuale lo spazio di lavoro; layout fisico degli spazi di lavoro, che impatta sulle modalità di lavoro e può condizionare efficienza, efficacia e benessere; comportamenti e stili di leadership, legati sia alla cultura dei lavoratori e al loro modo di “vivere” il lavoro, sia all’approccio da parte dei capi all’esercizio dell’autorità e del controllo.
In Italia lo Smart Working ha dal 2017 un quadro normativo tra i più avanzati a livello internazionale [1] è ed è una pratica sempre più diffusa soprattutto nelle grandi organizzazioni: nel 2019 il 58% ha già introdotto un progetto strutturato e il 5% dichiara che lo introdurrà entro i prossimi 12 mesi.
Nelle PMI la diffusione delle iniziative di Smart Working è in crescita ed è pari al 12%; tra queste organizzazioni si continua a prediligere l’approccio informale, seguito nel 18% del campione.
Anche nelle PA inizia a crescere l’interesse verso lo Smart Working: i progetti strutturati sono raddoppiati rispetto allo scorso anno, passando dall’8% al 16%.
Cresce anche il numero degli smart worker [2]: le analisi effettuate su un panel statisticamente rappresentativo di lavoratori, ci portano oggi a stimare circa 570 mila [3] persone, il 20% in più rispetto allo scorso anno.

Perché tanta enfasi sullo Smart Working nel periodo dell’emergenza sanitaria?

L’emergenza Covid-19 ha posto lo Smart Working al centro dell’attenzione mediatica perché il lavoro da remoto è una misura che permette di rispettare le limitazioni dovute all’attuale emergenza sanitaria e, allo stesso tempo, permette di assicurare la continuità del business.
Quello che molte persone stanno iniziando ad applicare, tuttavia, non è il “vero” Smart Working, ma piuttosto una sperimentazione estrema e forzata di “lavoro da remoto” in cui il lavoratore non ha possibilità di scegliere il luogo in cui lavorare, bensì è di fatto vincolato a stare a casa. La preparazione di un vero Smart Working, inoltre, richiederebbe una trasformazione del modello manageriale e della cultura dell’organizzazione, una innovazione profonda del modo stesso di concepire il lavoro e la propria relazione con l’organizzazione. Seguendo i principi dello Smart Working, in particolare, i lavoratori dovrebbero essere spinti ad assumere una sempre maggiore autonomia nella scelta delle modalità di lavoro, sperimentando nuove soluzioni ed imparando a misurarsi sui risultati. Tale passaggio culturale non può però avvenire in tempi rapidi, come richiesto da questa emergenza, ma deve essere supportato da iniziative di comunicazione, formazione e accompagnamento delle persone.
L’emergenza Covid-19, tuttavia, ha rappresentato un preziosissimo test di robustezza e resilienza organizzativa. Le aziende e Pubbliche Amministrazioni che avevano già introdotto modelli di Smart Working, si sono trovate avvantaggiate, ed hanno assorbito con molta maggiore facilità la discontinuità, ritrovandosi in molti casi sorprendentemente pronte e resilienti. In tali organizzazioni, infatti, molte persone avevano già gli strumenti, le competenze e la cultura per lavorare in modo efficace fuori del contesto aziendale, inoltre erano già noti i passi da compiere per permettere anche ad altre persone di lavorare in modo efficace all’esterno della sede (es. quale dotazione tecnologia, che tipo di accessi, che contenuti formativi dare, …).
Tutte quelle aziende e PA che, viceversa, per resistenze di natura culturale e organizzativa avevano rifiutato questo cambiamento, si sono ritrovate tecnologicamente, culturalmente e managerialmente impreparate, scoprendosi fragili di fronte all’emergenza. Molte di queste, pur avendo attività concettualmente eseguibili da remoto, hanno forzato le persone a continuare lavorare dalla sede tradizionale, esponendole a notevoli rischi e disagi. Altre hanno scelto di fermare le attività, magari forzando le persone a prendere ferie o permessi o ricorrendo alla cassa integrazione. Moltissime, infine, hanno cercato di “improvvisare” lo Smart Working, chiedendo alle persone di lavorare da casa, pur senza averne la cultura, gli strumenti e le competenze.

Lo Smart Working dopo il Coronavirus: mai più senza!

Cosa possiamo imparare da questa grande sperimentazione di un nuovo modo di lavorare? Occorre sottolineare ancora una volta che quello che organizzazioni e persone stanno vivendo non è il “vero” Smart Working, ma un lavoro da remoto forzato ed estremo, che porta con sé anche alcune criticità tipiche del telelavoro: senso di isolamento, difficoltà a disconnettersi e a mantenere un equilibrio tra vita privata e professionale.
Pur al netto di questa inevitabile “forzatura”, organizzazioni e persone stanno facendo in poche settimane un percorso di apprendimento e crescita di consapevolezza che, in condizioni “normali”, avrebbe richiesto anni! Molte persone stanno imparando ad utilizzare strumenti di collaborazione innovativi, a relazionarsi e coordinarsi efficacemente in team dispersi, a mantenere relazioni informali positive attraverso una molteplicità di strumenti digitali. Molti manager e lavoratori, un tempo scettici nei confronti dell’applicazione dello Smart Working, si sono resi conto di quante attività, che avevano sempre assunto richiedessero la presenza in ufficio, possano essere fatte da remoto attraverso strumenti digitali, con una efficacia pari o superiore. In molti casi viceversa, ci siamo trovati ad apprezzare e rimpiangere ambienti e situazioni di ufficio che spesso superficialmente davamo per scontate.
Ci auguriamo quindi che questa emergenza duri poco, ma che al suo termine non si torni indietro. Ci auguriamo che aziende, Pubbliche Amministrazioni e la società nel suo insieme, colgano l’opportunità di rivedere alla luce di questa esperienza il modo di organizzare processi produttivi, spazi, modelli di vita e lavoro. Si potrà allora tornare utilizzare con ancora più forza e maturità lo Smart Working per affrontare le tante “emergenze quotidiane”: l’inquinamento, il traffico, le discriminazioni e, soprattutto, l’arretratezza di un mercato del lavoro di una cultura manageriale e di un’economia da rilanciare per il bene e lo sviluppo nostro Paese!

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[1] Si fa rifermento in particolare alla legge 81/2017 sul Lavoro Agile.

[2] Ai fini della rilevazione sono stati considerati smart worker tutti quei lavoratori dipendenti che hanno flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro e che sono dotati di strumenti digitali adatti a lavorare in mobilità, anche all’esterno delle sedi aziendali.

[3] Rilevazione condotta su un campione di 1.000 lavoratori. Per approfondimenti si veda la nota metodologica


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