MBA Career Services & Employer Alliance – European Conference

La quarta rivoluzione industriale e l’Intelligenza Artificiale stanno avendo un grande impatto sull’evoluzione del mercato del lavoro e sulle skill ricercate nei lavoratori di domani.

Di questo si è parlato alla conferenza annuale tenuta da MBA Career Services & Employer Alliance, il principale fornitore di istruzione, informazioni e competenze per il supporto e lo sviluppo degli studenti MBA.

Uno degli aspetti interessanti emersi durante l’evento è che, a differenza di quanto si possa immaginare, l’Intelligenza Artificiale ha uno stretto legame anche col mondo delle soft skill.
Infatti, in uno studio di LinkedIN, si mostra come la crescita dell’AI non faccia che accrescere l’importanza delle soft skill.
Questa previsione indica che tra le competenze più richieste dal mondo del lavoro negli anni a venire ci saranno skill come analysis & problem solving interpersonal relationships & leadership, time management, self awareness & self development.

Di fronte a questo tipo di cambiamenti, è quindi importante per la nostra Scuola mantenersi aggiornati sulle nuove sfide che si troveranno ad affrontare gli studenti e sulle nuove competenze digitali ricercate dai recruiter.

L’MBA CSEA European Conference ha rappresentato non solo un’occasione per approfondire questi temi ma anche un momento di incontro e di condivisione di idee e di metodologie tra le più importanti Business School internazionali. Ecco perché all’evento tenutosi a Berlino ad aprile c’era anche il Career Development Center del MIP.

Intelligenza artificiale, scelte umane

“Non esistono cattivi studenti, solo cattivi maestri”. Massima forse non sempre vera, ma perfetta per capire come funziona quello che per il grande pubblico è ancora un oggetto misterioso e (per alcuni) un po’ inquietante: l’Intelligenza Artificiale. «Temere l’IA e il machine learning di per sé sarebbe un errore – sostiene Fabio Moioli, direttore della Divisione Enterprise Services di Microsoft Italia –. Se le intelligenze artificiali a volte commettono degli errori clamorosi, ad esempio quando analizzano i curricula adottando criteri non inclusivi, la colpa non è loro, ma dei programmatori che si sono occupati del loro training e che probabilmente non hanno tenuto conto di certe variabili. Un errore umano, quindi, come succede in tanti altri settori fondamentali».

Non una IA razzista, dunque, né tantomeno dotata di un subconscio e di un volere proprio, ma uno strumento che invece va utilizzato tenendo conto del suo immenso potenziale. «Per questo è bene –spiega Moioli – interrogarsi sui possibili rischi connessi agli usi impropri dell’IA, come fa ad esempio Elon Musk. Pensiamo all’impatto che hanno avuto sul mondo la fissione atomica o la polvere da sparo: ci sono aspetti cui dobbiamo prestare la massima attenzione, come la privacy, la trasparenza, la sicurezza, l’inclusività».

Le aziende sanno bene che la maggior parte delle persone, quando pensa all’IA, spesso si basa su narrazioni fantasiose, quasi “apocalittiche”. Anche per combattere questa tendenza, sono molte le imprese direttamente coinvolte nel settore dell’IA, Microsoft in testa, «ad aver dato vita al proprio interno a veri e propri comitati etici, slegati da qualsiasi valutazione di profitto o di marketing, che analizzano criticamente e in molti casi bocciano dei progetti considerati a rischio. Un tema che interessa molto anche le aziende nostre clienti», racconta ancora Moioli.

E proprio le aziende sono chiamate a confrontarsi in prima persona con le potenzialità offerte dall’IA: «Si tratta di una tecnologia pervasiva, che definirei general purpose, alla pari dell’elettricità –spiega Moioli –. Si può usare in qualsiasi processo: nell’interazione con i clienti, nella personalizzazione dei servizi, nella trasformazione dei prodotti. Ma può rivoluzionare anche le strategie produttive, aiutando le persone a lavorare meglio. Vantaggi che valgono per l’operaio così come per l’ingegnere».

Vantaggi, soprattutto, che grazie ai nuovi sviluppi possono essere sfruttati anche da piccole e medie imprese. Solitamente queste ultime non possono permettersi una squadra di data scientist, né hanno a disposizione le immense quantità di informazioni come le aziende più grandi. La situazione sta però mutando rapidamente: «Il trend in maggiore crescita è quello delle IA capaci di imparare di più, ma usando meno dati. Inoltre, sono sempre più diffuse librerie di cognitive services preconfigurati, servizi pronti all’uso basati sull’IA (per fare alcuni esempi: traduzioni automatiche, riconoscimento facciale, chatbot, ndr) che sono altamente personalizzabili in base alle esigenze di ogni singolo imprenditore. L’altro grande vantaggio è che in questo caso non servono dei veri e propri esperti di data science che programmino tutto da zero, ma sono sufficienti professionalità più diffuse e meno specializzate, come ad esempio gli sviluppatori software».

I tecnici, quindi, servono, non c’è dubbio. Ma Moioli offre un suggerimento anche a chi lavora o lavorerà in funzioni aziendali in apparenza non coinvolte in questo processo di cambiamento: «Che si occupi di marketing, risorse umane o altro, un manager dovrà sempre conoscere le potenzialità offerte dall’IA. Deve sapere che determinati strumenti esistono, e deve sapere che possono migliorare il suo lavoro».

Una consapevolezza diffusa che dunque non può prescindere dalla formazione e dall’educazione, a tutti i livelli. «In Italia ci sono diverse eccellenze di settore. La stessa FLEXA, piattaforma digitale di personalised e continuous learning della School of Management del Politecnico di Milano, è stata premiata da Microsoft come uno dei progetti più innovativi al mondo. Ora, però, bisogna lavorare molto anche nelle scuole primarie e secondarie: in futuro avremo bisogno di figure che parlino con sempre maggiore dimestichezza il linguaggio dell’IA. Questa è la vera priorità».