Come si propagano gli spillover tra le materie prime energetiche durante periodi di maggiore stabilità ed episodi di crisi, distinguendo tra effetti a breve e a lungo termine

I combustibili fossili dominano la trasmissione degli shock lungo la catena di approvvigionamento energetico, con effetti amplificati durante gli episodi di crisi. Uno studio esplora come questi spillover influenzano i mercati delle materie prime, rivelando l’importanza di strategie di mitigazione per contenere l’instabilità.

 

I combustibili fossili spesso agiscono come principali trasmettitori di spillover – inteso come “propagazione dello shock” in un contesto economico e finanziario – verso i derivati energetici, con un’intensificazione dell’interconnessione tra le materie prime durante le crisi energetiche.

Un recente studio pubblicato sull’International Review of Financial Analysis da Mattia Chiappari, Francesco Scotti e Andrea Flori della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano analizza le dinamiche della trasmissione degli shock tra le materie prime energetiche, descrivendo come gli spillover influenzino le materie prime lungo la catena di approvvigionamento.

Lo studio ha due obiettivi principali: primo, determinare se i combustibili fossili a monte della catena di approvvigionamento, come petrolio, gas naturale e carbone, o i derivati a valle, come benzina, gasolio da riscaldamento ed etanolo, siano dominanti nella trasmissione degli shock; secondo, valutare se questi effetti varino in base alle condizioni di mercato, soprattutto durante crisi come la crisi globale delle materie prime del 2014-2015, la pandemia di COVID-19, il conflitto tra Russia e Ucraina e il conflitto israelo-palestinese.

I risultati rivelano che i combustibili fossili sono tipicamente i principali trasmettitori di shock, mentre i derivati agiscono solitamente come ricevitori, assorbendo le fluttuazioni. Tuttavia, in periodi di grave crisi, anche i derivati possono cambiare ruolo e diventare trasmettitori, amplificando l’impatto sui mercati delle materie prime. All’interno delle materie prime, la catena di approvvigionamento del petrolio guida la trasmissione degli spillover. In particolare, l’analisi delle frequenze degli shock a breve termine mostra che i mercati delle materie prime energetiche possono assorbire gli shock nel giro di pochi giorni, evidenziando l’efficienza con cui questi mercati incorporano nuove informazioni.

Principali approfondimenti:

  • I combustibili fossili svolgono un ruolo fondamentale nella trasmissione degli shock di mercato, in particolare durante i periodi di crisi.
  • I derivati energetici, al contrario, assorbono principalmente gli shock ma possono amplificarli durante periodi di instabilità estrema del mercato.
  • L’efficienza dei mercati energetici nella gestione degli shock apre a potenziali strategie per mitigare gli impatti delle crisi di mercato.

 

Per ulteriori approfondimenti, l’articolo completo è disponibile qui: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1057521924005970?via%3Dihub

Il ruolo delle tecnologie digitali nella transizione circolare del settore tessile

 

Le tecnologie digitali stanno trasformando il settore tessile, un’industria dal forte impatto ambientale, verso un modello più circolare e sostenibile. Uno studio condotto dalla POLIMI School of Management del Politecnico di Milano esplora come soluzioni come IoT, blockchain e intelligenza artificiale possano ridurre sprechi, migliorare la trasparenza e ottimizzare i processi lungo l’intero ciclo di vita del prodotto, gettando le basi per una filiera più responsabile e innovativa.

 

I consumi relativi al settore tessile rappresentano il quarto impatto più elevato sull’ambiente e sui cambiamenti climatici. Il settore tessile è tra i settori con più alta intensità di risorse utilizzate a causa di un approccio ancora fortemente lineare, che si basa su un flusso take-make-waste e per questo motivo deve trovare nuove soluzioni per affrontare problemi ambientali. Nonostante la crescente consapevolezza di questi problemi e gli sforzi da parte del settore nell’adottare pratiche di economia circolare volte a ridurre gli sprechi, riutilizzare i materiali e riciclare i prodotti, ad oggi risulta ancora frammentata l’integrazione dei principi circolari nell’intero ciclo di vita del prodotto. Inoltre, le tecnologie digitali come IoT, blockchain e AI sono ampiamente riconosciute come promettenti abilitatori di questa transizione.

Uno studio di Rabia Hassan, dottoranda presso la School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Federica Acerbi, Paolo Rosa e Sergio Terzi, esamina il ruolo delle tecnologie digitali nella transizione circolare del settore tessile attraverso le fasi del ciclo di vita del prodotto pubblicato sul Journal of the Textile Institute.

Lo studio analizza criticamente la letteratura per offrire approfondimenti sul possibile ed efficiente utilizzo delle tecnologie digitali nella produzione tessile dalla progettazione alla fase di smaltimento. Il documento evidenzia tecnologie come Internet of Things (IoT), tecnologie 3D, blockchain, intelligenza artificiale (AI) e piattaforme digitali, che sono essenziali per abilitare questa transizione. Queste tecnologie migliorano la trasparenza della supply chain, ottimizzano i processi di produzione e promuovono il riciclaggio e il riutilizzo. Ad esempio, IoT consente un migliore tracciamento dei materiali, blockchain garantisce transazioni sicure e trasparenti e AI può prevedere le tendenze e gestire i rifiuti in modo più efficace. Gli autori hanno proposto un quadro concettuale per includere queste tecnologie lungo il ciclo di vita del prodotto per aiutare le aziende del settore tessile a raggiungere la circolarità attraverso la digitalizzazione.

Sebbene l’applicazione di queste tecnologie abbia diversi vantaggi per il settore tessile, ci sono alcuni problemi che questo settore deve affrontare durante l’adozione. Ad esempio, alcune delle sfide sono riferite agli elevati costi di implementazione, alle infrastrutture talvolta limitate e la necessità di formazione della forza lavoro. Pertanto, gli autori suggeriscono la creazione di partnership strategiche tra fornitori IT e aziende tessili, consapevoli allo stesso tempo della necessità di un adeguato supporto governativo per la realizzazione di una digitalizzazione sostenibile. Inoltre, suggeriscono anche altre forme di supporto e di scambio come ad esempio il leasing e quindi l’utilizzo di nuove tecnologie sottoforma di servizio.

Global IoT and Edge Computing Summit: l’articolo scritto dal Manufacturing Group vince il “Best Paper Award”

Durante la GIECS -Global IoT and Edge Computing Summit 2024, tenutasi il 24 settembre a Bruxelles, l’articolo è stato premiato con il prestigioso “Best Paper Award”.

 

Il Global IoT and Edge Computing Summit è un’importante conferenza internazionale che mira a raccogliere e presentare le ricerche più avanzate nel campo dell’Internet of Things e computing continuum. Questo evento riunisce ricercatori, ingegneri, scienziati e professionisti di tutto il mondo, offrendo una piattaforma ideale per confrontarsi sugli ultimi sviluppi tecnologici e sulle tendenze del settore.

Il summit rappresenta un’opportunità per i principali esperti del settore di condividere i propri studi attraverso articoli e presentazioni, permettendo così ai partecipanti di rimanere aggiornati sui progressi più significativi. Un rigoroso processo di peer review consente al comitato organizzativo di selezionare i migliori contributi provenienti dai membri della comunità tecnico-scientifica che operano nell’intersezione tra cloud, edge e Internet of Things (IoT), promuovendo una comprensione più approfondita di come il computing continuum stia plasmando il futuro della valorizzazione dei dati.

Quest’anno, l’articolo scritto da Danish Abbas Syed, Walter Quadrini, Nima Rahmani Choubeh, Marta Pinzone e Sergio Gusmeroli del Manufacturing Group della POLIMI School of Management, è stato premiato come miglior lavoro scientifico. Il paper, dal titolo “Approaching interoperability and data-related processing issues in a human-centric industrial scenario”, è stato riconosciuto per la sua rilevanza e originalità dal comitato scientifico della conferenza.

Il lavoro, che ha come primo autore il collega ricercatore Danish Abbas Syed, si inserisce in una nuova visione antropocentrica che guiderà il futuro della produzione industriale.

In linea con HumanTech il progetto finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) per il periodo 2023-2027 nell’ambito dell’iniziativa “Dipartimenti di Eccellenza”, l’articolo esplora l’uso di reti mobili private e architetture software distribuite per risolvere problematiche legate alla latenza e alla gestione dei dati generati dagli operatori di processo. In particolare, il suo contenuto pone le basi per la realizzazione di una rete di calcolatori distribuiti tra i diversi livelli di un’architettura software per monitorare lo stato di affaticamento di un operatore addetto a delle mansioni di assemblaggio manuale.

Nella sua versione prototipale, realizzata presso il centro di sperimentazioni “MADE Competence Center”, lo stato di affaticamento dell’operatore è infatti costantemente monitorato e, all’aumentare della fatica dello stesso, una serie di operazioni ausiliarie vengono prese in carico da due robot collaborativi, rilevando i carichi di lavoro più impegnativi e consentendo quindi un recupero delle condizioni ottimale, prevenendo inoltre disturbi e infiammazioni dell’apparato muscolo-scheletrico.

La comunità tecnico-scientifica dell’Alliance for IoT and Edge Computing Innovation (AIOTI), promotrice dell’evento, ha inoltre manifestato il suo interesse verso le soluzioni proposte nell’articolo, così come ha condiviso la necessità, evidenziata dal paper, di opportuni framework conformi ai principi etici di trasparenza al centro dell’attuale dibattito a livello europeo.

Innovazione e Visione: l’arte di lasciare andare per creare idee rivoluzionarie

La creazione di una visione innovativa non si limita all’ideazione individuale, ma richiede la capacità di lasciar andare le intuizioni iniziali per far emergere soluzioni collettive migliori. Lo studio, pubblicato sul Journal of Business Research, sfida le concezioni tradizionali sull’innovazione, dimostrando che il “letting go” è cruciale quanto la generazione di idee.

 

Cosa serve davvero per creare una visione innovativa? Non è solo una questione di avere l’idea giusta, ma di saperla lasciare andare.

Questo è il punto cruciale dello studio di Paola Bellis, Roberto Verganti e Federico Zasa, docenti alla POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, pubblicato sul Journal of Business Research, che esplora come le intuizioni individuali e la capacità di “letting go” (lasciar andare) siano fondamentali per far emergere visioni di prodotto completamente nuove all’interno di un team.

L’articolo dal titolo “Who drives the creation of a novel vision? The role of individual insights and the ability of “lettingGo”” affronta due approcci contrastanti che dominano la letteratura sull’innovazione.

Da un lato, c’è l’idea che la visione nasca dal leader creativo che guida il processo e ottiene il consenso degli altri membri del team. Dall’altro, si suggerisce che una visione possa svilupparsi attraverso uno sforzo collaborativo equilibrato, in cui tutti i membri contribuiscono in modo paritario.

Gli autori, tuttavia, introducono una nuova prospettiva, sottolineando che non importa tanto chi sia il principale promotore della visione, ma piuttosto la capacità dei membri del team di abbandonare le prime intuizioni quando necessario.

Attraverso l’analisi di 26 gruppi di top management, i ricercatori dimostrano come le descrizioni iniziali di una visione si trasformano da semplici idee individuali a concetti condivisi. Questo processo, chiamato “sense-breaking“, è altrettanto importante quanto l’aggiunta di nuove intuizioni: abbandonare o modificare le prime idee permette alla creatività collettiva di evolversi e crescere.

Questo suggerisce che il successo nell’innovazione non deriva solo dalla brillantezza di un’idea iniziale, ma dalla capacità di adattarsi e rielaborare collettivamente le intuizioni, lasciando spazio a una visione più grande e condivisa.

 

Per leggere l’articolo completo: Who drives the creation of a novel vision? The role of individual insights and the ability of “letting go”

Verso l’economia circolare: un approccio evolutivo per la riconfigurazione delle catene di approvvigionamento

La trasformazione delle catene di approvvigionamento è una sfida cruciale per le aziende che puntano a un modello economico più sostenibile. Un nuovo studio propone un framework strategico che aiuta le imprese a navigare questa transizione, mantenendo flessibilità e capacità di adattamento in un contesto industriale incerto.

 

La transizione verso l’economia circolare è un processo di cambiamento necessario, ma complesso da governare per molti settori industriali. Le aziende manifatturiere sono oggi chiamate a trasformare le loro catene di approvvigionamento e realizzare filiere sempre più circolari (Closed-Loop Supply Chains, CLSC) integrando processi di logistica inversa, recupero e riciclaggio. Questa trasformazione è una risposta alle necessità ambientali ed è anche una strategia per rimanere competitivi in un contesto di mercato in rapida evoluzione. Il settore automobilistico è certamente un epicentro di questo cambiamento radicale.

Nello studio, “Strategic closed-loop supply chain configuration in the transition towards the circular economy of EV batteries: an evolutionary analytical framework”, di Armaghan Chizaryfard, Yulia Lapko e Paolo Trucco, gli autori introducono un quadro innovativo che offre una visione d’insieme e un approccio evolutivo allo sviluppo delle catene di approvvigionamento circolari (CLSC). Il paper è stato premiato con l’Outstanding Paper Award ai 2024 Emerald Literati Awards nel International Journal of Logistics Management. Il riconoscimento evidenzia l’importanza di sviluppare ricerca interdisciplinare per supportare la transizione verso l’economia circolare. Esaminando le interazioni dinamiche tra tecnologia, design del prodotto, produzione e infrastrutture, il l’articolo fornisce chiare indicazioni su come governare il complesso percorso di transizione da tradizionali modelli industriali lineari a quelli circolari. Il tema è particolarmente rilevante per industrie come quella degli autoveicoli, dove la tecnologia e i mercati stanno cambiando rapidamente e con grandi incertezze sotto la spinta di una progressiva elettrificazione della mobilità. Per creare una filiera circolare per le batterie dei veicoli elettrici occorre infatti definire una strategia di sviluppo a lungo termine, che sappia orchestrare le evoluzioni, non necessariamente sincrone, delle tecnologie, del mercato e delle relazione tra i diversi attori della filiera.

 

Una visione evolutiva della configurazione della catena di approvvigionamento chiusa

Il framework proposto offre indicazioni di natura strategica e pratica per affrontare le incertezze e le sfide legate a una trasformazione così significativa.
I punti chiave sono:

  • Allineare la pianificazione a breve e lungo termine

Allineare le azioni immediate agli obiettivi di lungo termine è fondamentale nello sviluppo di una filiera circolare, specialmente in un contesto tecnologico e di mercato imprevedibile. Ad esempio, i produttori di veicoli elettrici devono sviluppare strategie che tengano conto dell’aumento graduale dei volumi di batterie a fine vita e delle traiettorie di innovazione delle tecnologie di riciclaggio al momento ancora poco mature. . Nella selezione dei fornitori, le imprese devono quindi orientarsi verso partner in grado di gestire la domanda attuale e di espandersi man mano che i volumi cresceranno e le tecnologie di riciclaggio matureranno. Questo allineamento strategico è indispensabile per garantire flessibilità e capacità di adattarsi ai cambiamenti del contesto industriale e di mercato.

  • Nel breve periodo flessibilità e adattamento della filiera sono più importanti della sua efficienza

La flessibilità è un elemento centrale del modello proposto. Le catene di approvvigionamento devono essere adattabili, capaci di evolvere insieme alle tecnologie e ai mercati. Le aziende possono sviluppare strategie di transizione che consentano cambiamenti graduali anziché ristrutturazioni improvvise. Adottando configurazioni di transizione, le imprese possono aumentare lentamente il loro coinvolgimento in processi come la rigenerazione o il riciclaggio senza impegnare risorse eccessive troppo presto. Questo approccio riduce il rischio di restare bloccati in strategie non ottimali e fornisce l’agilità per adeguarsi a nuove condizioni di mercato.

  • Promuovere collaborazione e co-sviluppo

Affrontare i cambiamenti tecnologici al di fuori delle competenze core di un’azienda pone un dilemma: un’azienda dovrebbe investire pesantemente per acquisire nuove conoscenze, collaborare con i fornitori o affidarsi completamente a partner esterni? Co-sviluppare tecnologie consente alle aziende di mantenere un certo controllo sull’innovazione, condividendo al contempo rischi e benefici. Questo equilibrio tra indipendenza e cooperazione aiuta le imprese a rimanere competitive in tempi incerti. Tuttavia, affidarsi troppo ai fornitori per tecnologie critiche può limitare la flessibilità. Le imprese industriali devono quindi considerare attentamente i loro obiettivi a lungo termine, per garantire che le loro catene di approvvigionamento rimangano resilienti e adattabili.

  • Gestire le dipendenze e i vincoli

Le decisioni prese nelle fasi iniziali iniziali di sviluppo di filiere circolari possono generare condizioni difficili da modificare nelle fasi successive, riducendo la capacità di realizzare modelli efficienti in regimi più stabili e con un mercato che ha già raggiunto grandi volumi.. Se un’azienda investe inizialmente  in una sola tecnologia o fornitore, potrebbe faticare a cambiare rotta nel momento in cui emergessero  nuove tecnologie e fornitori. Il framework proposto fornisce indicazioni per configurare filiere con un maggior grado di reversibilità e scalabilità degli investimenti che vincolano in modo minore scelte di configurazione future.

  •  Sfruttare le complementarietà

E’ frequente che diverse parti di una filiera industriale si rafforzino a vicenda. I miglioramenti conseguiti in un’area possono avere un impatto positivo sull’intero sistema industriale. Ad esempio, un miglior design delle batterie può rendere i processi di riciclaggio più efficienti e favorire una collaborazione più agevole con operatori attivi nel riciclaggio. Queste complementarità sono di cruciale importanza per governare la transizione verso di filiere circolari. Tuttavia, le aziende devono gestirle attentamente per evitare di generare nuove dipendenze o vincoli legati ad una specifica tecnologia o partner, il che potrebbe limitare opzioni future più efficienti ed efficaci.

 

Mettere in pratica il framework
Manager di diversi settori possono utilizzare questo framework per supportare decisioni strategiche e tattiche legate alo sviluppo di filiere circolari. Partendo dalla mappatura della loro attuale catena di approvvigionamento e dall’individuazione dei fattori tecnologici e di mercato a maggior grado di incertezza, il framework indirizza i manager verso i) la selezione di appropriati elementi di flessibilità e collaborazione; ii) lo sviluppo di strategie che consentano miglioramenti graduali, fissando obiettivi a breve termine senza perdere di vista quelli a lungo termine; iii) l’implementazione di sistemi per monitorare i cambiamenti tecnologici e di mercato in modo che la catena di approvvigionamento possa rispondere efficacemente. Questo approccio proattivo aiuta a evitare le insidie di dipendenze e vincoli nascosti, garantendo la necessaria  agilità. 

Uno sguardo al futuro
Il framework evolutivo proposto è uno strumento potente per affrontare la transizione da filiere lineari a circolari; ponendo l’accento sulla pianificazione a lungo termine, lo sviluppo di capacità adattive l’adozione di approcci collaborativi con nuovi attori di filiera, fornisce ai manager una guida pratica per configurare catene di approvvigionamento circolari, resilienti e adattabili.

L’evoluzione dei sistemi industriali verso modelli più sostenibili e circolari rappresenta nel medio periodo un elemento strategico di crescente rilevanza. Sarà quindi sempre più pressante per il top management aziendale disporre di criteri e strumenti che li guidino nella formulazione di coerenti strategie di supply chain.

 

Per leggere lo studio completo:

Chizaryfard A., Lapko Y., Trucco P., “Strategic closed-loop supply chain configuration in the transition towards the circular economy of EV batteries: an evolutionary analytical framework”,
The International Journal of Logistics Management, Vol. 34, No. 7, 2023, pp. 142-176

Alessandro Paravano insignito del “PMI Young Researcher Award 2024”

Durante il Global Summit 2024 del Project Management Institute a Los Angeles, il più importante evento dell’anno dedicato ai professionisti del Project Management con oltre 4.000 partecipanti, Alessandro Paravano ha ricevuto il prestigioso PMI Young Researcher Award.

 

Il PMI Young Researcher Award, un premio assegnato annualmente a livello mondiale sulla base di un rigoroso e competitivo processo di selezione, riconosce e celebra i leader emergenti nel campo accademico della gestione di progetti, programmi e/o portafogli, con risultati potenzialmente in grado di avere un impatto significativo sulla disciplina e sulla pratica del project management.

Il comitato del PMI ha riconosciuto che la ricerca di Alessandro Paravano, Post-Doc alla POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, si distingue per il suo rigoroso contributo alla teoria e alla pratica del project management, ampiamente documentato in articoli sottoposti a peer review. La sua capacità di colmare il divario tra i progressi teorici e la loro applicazione pratica dimostra la sua eccezionale attitudine a contribuire sia alla conoscenza accademica che al successo dell’industria.

La ricerca, apporta contributi significativi ai campi della gestione dei progetti e della Space Economy, avanzando la comprensione del valore dei progetti complessi. Tradizionalmente, il valore dei progetti viene valutato a livello del singolo progetto, con un focus sui risultati a breve termine e sui ritorni economici diretti per gli stakeholder. L’autore ridefinisce ed estende la concettualizzazione del successo dei progetti, spostando l’attenzione verso le ecologie di progetto, che considerano l’interconnessione tra i progetti e il contesto più ampio in cui operano. Questo cambiamento permette una comprensione più completa delle trasformazioni socio-economiche a lungo termine che i progetti complessi, in particolare nel settore spaziale, possono catalizzare.

Lo studio estende la visione tradizionale di successo dei progetti, includendo forme di valore sia tangibili che intangibili. Ad esempio, vengono esaminati e dimostrati il valore dei progetti complessi spaziali nel rispondere a sfide globali come il cambiamento climatico, attraverso la tecnologia satellitare, o nell’avanzare la conoscenza umana studiando la vita in condizioni estreme sulle stazioni spaziali commerciali. La ricerca evidenzia come il valore generato da questi progetti vada ben oltre il loro impatto finanziario immediato, creando benefici sociali duraturi.

L’approccio dello studio si basa sulla Value Theory e sul Systems Architecting, che consente di analizzare la natura dinamica e multidimensionale del valore dei progetti. Sottolinea il ruolo critico delle relazioni tra gli attori all’interno delle ecologie di progetto, come stakeholder, utilizzatori finali e organizzazioni, e come queste relazioni plasmino il valore di un progetto nel tempo. Questa prospettiva sfida l’enfasi tradizionale del project management sui soli metriche di successo di progetto (tempo, costi, e qualità), promuovendo una visione sinottica che include il potenziale trasformativo dei progetti a livello industriale o sociale.

La ricerca inoltre contribuisce alla comprensione approfondita della Space Economy, un ambito in rapida crescita guidato dall’innovazione tecnologica, dalla commercializzazione e dall’emergere di nuovi stakeholder. Questo lavoro colma così il divario tra la ricerca teorica e l’applicazione pratica, offrendo a politici e leader del settore nuovi strumenti per valutare e sfruttare meglio il valore dei progetti spaziali complessi.

 

Per maggiori dettagli: https://www.pmi.org/about/awards/research-academic

 

16 docenti della School of Management del Politecnico di Milano tra i migliori ricercatori al mondo secondo la classifica Stanford-Elsevier

Un prestigioso riconoscimento che celebra l’impatto scientifico globale dei nostri docenti nel panorama della ricerca accademica.

 

Nell’ultimo aggiornamento della banca dati internazionale degli autori scientifici con relative citazioni, stilata dall’Università di Stanford in collaborazione con Elsevier, sono 14 i docenti della School of Management del Politecnico di Milano inclusi nel 2% dei ricercatori più citati al mondo nell’anno 2023 e 6 i docenti riconosciuti per il loro contributo scientifico lungo tutta la loro carriera, fino al 2023, per un totale di 16 docenti

Per valutare l’impatto delle pubblicazioni, la classifica utilizza dati bibliometrici estratti da Scopus, uno dei più grandi database di citazioni scientifiche.

La lista dei 14 i docenti della School of Management del Politecnico di Milano inclusi nel 2% dei ricercatori più citati al mondo nell’anno 2023, suddivisa in 22 aree scientifiche e 174 sottocategorie tematiche, include i seguenti docenti:

  • Tommaso Agasisti
  • Enrico Cagno
  • Massimo G. Colombo
  • Antonio Ghezzi
  • Luca Grilli
  • Josip Kotlar
  • Giorgio Locatelli
  • Marco Macchi
  • Elisa Negri
  • Giuliano Noci
  • Lucia Piscitello
  • Paolo Rosa
  • Massimo Tavoni
  • Sergio Terzi

La lista dei 6 i docenti inclusi nel 2% dei ricercatori più citati al mondo lungo tutta la loro carriera, fino al 2023:

  • Tommaso Agasisti
  • Enrico Cagno
  • Vittorio Chiesa
  • Massimo G. Colombo
  • Giorgio Locatelli
  • Carlo Vercellis

Questi risultati offrono una panoramica dell’impatto della ricerca della School of Management a livello internazionale, dimostrando una significativa capacità di influenzare il dibattito scientifico in modo trasversale rispetto a diverse aree disciplinari. Le ricerche condotte spaziano da tematiche legate alla gestione aziendale e all’ingegneria gestionale, fino all’innovazione tecnologica e alla sostenibilità. Il riconoscimento riflette non solo l’elevata qualità dei contributi accademici prodotti, ma anche la rilevanza delle linee di ricerca, che continuano a generare valore per la comunità scientifica e per il mondo industriale e manageriale.

 

Per consultare la banca dati complete:
Ioannidis, John P.A. (2024), “August 2024 data-update for “Updated science-wide author databases of standardized citation indicators””, Elsevier Data Repository, V7, doi: https://elsevier.digitalcommonsdata.com/datasets/btchxktzyw/7

Il ruolo delle tecnologie 4.0 per migliorare la sostenibilità nelle strutture logistiche

La ricerca analizza come le tecnologie 4.0 possano migliorare la sostenibilità nelle strutture logistiche, individuando opportunità per aumentare l’efficienza e diminuire l’impatto ambientale. Lo studio evidenzia diverse aree di sviluppo, considerando le implicazioni economiche, sociali e ambientali.

 

Con la crescente complessità delle catene di distribuzione, la necessità di ridurre i tempi di consegna e rispondere ad una domanda progressivamente più articolata ed esigente, i manager della logistica si affidano sempre di più ad una combinazione di soluzioni di magazzino che vedono la coesistenza di attività manuali e automazione, supportata anche dalle tecnologie 4.0, così da bilanciare flessibilità ed efficienza. Questi sviluppi comportano anche implicazioni ambientali e sociali ed emergono pressioni crescenti da parte degli stakeholder per considerare l’effetto di tali tecnologie 4.0 sulla sostenibilità delle strutture logistiche.

Tali implicazioni sono al centro di uno studio pubblicato sulla rivista International Journal of Production Research (IJPR) dal titolo “Reviewing and conceptualising the role of 4.0 technologies for sustainable warehousing”.

Lo studio è il risultato di una collaborazione internazionale tra la POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, con la partecipazione della prof.ssa Sara Perotti e dell’ing. Luca Cannava, l’Universität des Saarlandes in Germania, con il contributo del prof. Eric H. Grosse e la Bayes Business School di Londra, con il coinvolgimento del prof. Jörg M. Ries.

Lo studio, a partire da una attenta analisi della letteratura scientifica, sviluppa un modello concettuale per valutare l’impatto in termini di sostenibilità delle soluzioni 4.0 applicate nelle strutture logistiche, valutandone la triplice prospettiva economica, ambientale e sociale e le implicazioni in termini di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) esaminando l’applicazione delle tecnologie 4.0 nelle diverse fasi dei processi di magazzino (es. ricezione, stoccaggio, prelievo degli ordini, imballaggio e spedizione).

Questo approccio sistematico ha consentito di individuare le aree di lavoro su cui agire per rendere più sostenibili i processi logistici realizzati all’interno dei magazzini (ad esempio in termini di riduzione dei consumi e della carbon footprint) e migliorare l’attività lavorativa degli operatori secondo un approccio human-centric.

In particolare, la ricerca evidenzia come i benefici delle tecnologie 4.0 si realizzano solo attraverso un’integrazione efficiente nei processi di magazzino, la cui efficacia è strettamente legata ai processi coinvolti. In termini di ricadute legate all’adozione delle tecnologie 4.0, vi sono ancora sfide importanti legate all’impatto ambientale e sociale di tali innovazioni.

Lo studio consente infine di identificare quattro principali aree di sviluppo e opportunità per il futuro:

  • “Opportunities from a processual perspective”: legate alla tipologia di processi di magazzino, con una attenzione particolare alle attività di allestimento ordini;
  • “Opportunities from a technological perspective”: opportunità tecnologiche, fra cui quelle legate all’applicazione di soluzioni di intelligenza artificiale;
  • “Opportunities from a measurement perspective”: legate alla misurazione/quantificazione sia sul versante dei KPI ambientali che su metriche legate alle attività svolte dall’operatore, con focus sulle fasi di raccolta e processamento dati;
  • “Opportunities from a sustainability perspective”: opportunità legate alla sostenibilità, in particolare nei contesti che vedono la coesistenza automazione e capitale umano.

 

Per leggere l’articolo completo: Reviewing and conceptualising the role of 4.0 technologies for sustainable warehousing

Leadership, Curiosità e Innovazione: un dialogo con Roberto Verganti

 

Venerdì 20 settembre 2024 si è svolta la cerimonia di conferimento del Dottorato Honoris Causa in Economics and Business Administration da parte dell’Università di Vaasa in Finlandia, al Prof. Roberto Verganti, professore di Leadership & Innovation e co-fondatore del Leadin’Lab alla School of Management del Politecnico di Milano.

Il conferimento del titolo, la cui notizia era stata ufficializzata nel luglio scorso, rappresenta il più alto riconoscimento accademico che l’Università finlandese ha destinato a personalità di rilievo che si sono distinte per i loro contributi scientifici e sociali offrendo benefici significativi all’ateneo e al Paese.

In questa occasione, abbiamo incontrato il prof. Verganti per parlare con lui del percorso che l’ha portato a questo importante risultato.

 

Il dottorato è ciò che tipicamente segna l’inizio di una carriera accademica. Se ripensi ai tuoi inizi, e alle sfide che hai affrontato, quali suggerimenti daresti al “Roberto del passato”?

Vengo da una famiglia umile nella periferia di Milano. Quando mi fu proposto, dal Prof. Emilio Bartezzaghi, di intraprendere la carriera accademica non avevo idea di cosa significasse. Gli studenti vedono solo la parte formativa di quanto facciamo, ma non sanno quanto lavoro ci sia dietro le quinte. Quando ho iniziato, ero completamente inesperto e non avevo chiaro il percorso che avrei intrapreso. Se avessi avuto tempo, all’epoca, forse avrei dovuto dedicarmi anche alla mia crescita complessiva come persona. Il lavoro accademico, infatti si trasforma presto in un ruolo di leadership. Nessuno mi aveva preparato al ruolo di docente, tanto meno a gestire un team o un’istituzione.

 

Pensando invece alle sfide che deve affrontare un dottorando che si approccia oggi al mondo accademico e della ricerca, cosa è cambiato? Che consigli daresti ai dottorandi di oggi?

Oggi, se dovessi dare un suggerimento, sarebbe proprio di dedicare più tempo alla propria crescita personale, oltre che impegnarsi nella ricerca e nella formazione.
Consiglio ai dottorandi di prendersi cura della loro crescita come individui, e non solo come ricercatori. Ne beneficia anche la ricerca. Soprattutto in un momento in cui le tecnologie ci pongono sfide sul lato morale non indifferenti.

 

Pensi che chi comincia il percorso di dottorato adesso riceva questo tipo di formazione?

Non ancora. Parlando del mondo accademico globale (non necessariamente del Politecnico), c’è una crescente attenzione spasmodica alla ricerca e una minore attenzione alla didattica, per cui chi cresce come dottore alla ricerca matura poca formazione alla didattica. Impara un po’ da solo e un po’ per affiancamento ad altri docenti che a loro volta si sono fatti da soli. E soprattutto non riceve nessuna vera formazione alla leadership. Il risultato è che si selezionano e si creano dei ricercatori molto capaci, bravissimi a lavorare da soli, ma che non hanno sviluppato la sensibilità e la sofisticazione del lavoro di leadership e crescita degli altri.

La mia raccomandazione è di prendersi eventualmente più tempo e di non sacrificare la crescita personale e la didattica per voler raggiungere velocemente risultati di ricerca. I ricercatori devono essere innanzitutto donne e uomini di grande sensibilità e profondità. Purtroppo vediamo le università come cattedrali della conoscenza, il che è vero e importantissimo, ma la conoscenza vale poco (o è perfino pericolosa) in assenza di spessore umano. Chi si prende cura di questo?

 

Che valore dai alla ricerca e cosa significa per te fare ricerca oggi?

Dal punto di vista personale, la ricerca è uno dei lavori più belli al mondo. Ci permette di imparare continuamente, in ambiti che ci siamo scelti, e di condividere quanto abbiamo appreso e la nostra visione del mondo con gli altri. E’ una delle cose che fa più piacere nella vita ed è una grande soddisfazione personale.

Dal punto di vista delle università, la ricerca è il motore che alimenta la capacità di insegnare. Oltre agli articoli e ai brevetti, il contributo più potente che la ricerca offre alla società è attraverso gli studenti che formiamo.

È fondamentale che la ricerca goda di piena libertà, soprattutto in un periodo come questo, segnato da sfide cruciali. Un esempio è la pandemia da Covid-19: grazie all’impegno di alcuni ricercatori, che inizialmente non hanno ricevuto il giusto riconoscimento, siamo riusciti a sviluppare un vaccino in tempi record, uscendo dalla crisi in appena otto mesi. Fortunatamente il mondo accademico è libero, altrimenti Drew Weissman e Katalin Kariko’ non avrebbero potuto procedere (con enormi difficoltà) con la loro ricerca sull’mRNA.

La ricerca può produrre risultati concreti di fronte a ogni tipo di sfida, come ad esempio la sostenibilità, dove è indispensabile trovare soluzioni che riducano il nostro impatto sull’ambiente, o nel campo manageriale, dove il fine ultimo è quello di far sviluppare un pensiero critico che aiuti a guidare le organizzazioni in un mondo complesso.

L’università non dovrebbe essere solo un luogo per apprendere metodi e strumenti, ma piuttosto un ambiente in cui coltivare questo pensiero critico verso ciò che ci circonda. In fondo, sono i leader a tracciare la rotta per il futuro del mondo. Spesso, presi dall’urgenza di insegnare concetti e modelli, rischiamo di dimenticare l’importanza di formare persone capaci di riflettere in modo libero e profondo, uomini e donne in grado di prendere decisioni con una visione più ampia e consapevole della realtà che li circonda.

 

Oltre a pensiero critico e visione, chi lavora con te ti riconosce una grande curiosità. Da dove deriva questa curiosità e come fare a nutrirla?

La curiosità nasce dall’ambizione e dal sapere di non sapere. Nel sistema universitario c’è sempre la pressione a dimostrare ciò che si sa, ma la vera curiosità è sapere di non sapere, perché permette di scoprire cosa non si conosce.
È la coscienza che ci spinge a fare meglio, a raggiungere un livello di soddisfazione di cui possiamo essere orgogliosi.

 

Molto della tua ricerca è in collaborazione con le aziende. La vera innovazione nasce da questa sinergia?

Assolutamente. Ho avuto la fortuna di lavorare con tanti manager e tanti leader che hanno accolto l’innovazione design-driven. Quando abbiamo iniziato a fare ricerca ero molto giovane, proprio gli inizi e se ne sapeva poco. E’ stato anche grazie al coraggio di alcuni leader che hanno creduto in noi che è stato possibile sviluppare nuovi approcci all’innovazione.

La ricerca manageriale è pratica e pragmatica: richiede contatto con la realtà, con sfide tecnologiche, ma anche umane. La curiosità e la ricerca del bello sono motori importanti per l’innovazione in azienda.

 

Ci spieghi meglio che cosa intendi per ricerca del bello? Come si fa a parlare di ricerca del bello quando si fa ricerca con le imprese?

Bello, per me, significa cose che hanno senso, non solo dal punto di vista estetico.

La ricerca del bello ti costringe a porti delle domande profonde, è anche ricerca dell’ambizione e fare le cose con cura. E’ quasi una sensazione fisica, il tuo corpo ti dice che qualcosa non funziona in quello che stai facendo e ti impone di raggiungere un livello di soddisfazione più alto, per esserne davvero orgoglioso.

E’ quella coscienza estetica che ti suggerisce che c’è qualcosa che non funziona, e che invece anela a un risultato più elevato.

In un mondo dove la sostenibilità è la sfida, cercare il bello significa creare qualcosa di cui ci innamoriamo e di cui ci prendiamo cura. In un certo senso è il contrario del consumismo: quando qualcosa è bello e ci tieni, non vuoi disfartene, vuoi conservarlo e prendertene cura.

 

Guardando al futuro, quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sto per iniziare una nuova ricerca con la Stockholm School of Economics su arte e innovazione, per esplorare come l’arte possa aiutare i leader a riflettere e affrontare meglio le sfide dell’innovazione. A sviluppare quella ricerca di senso di cui c’è un enorme bisogno. Un progetto molto stimolante, che spero aprirà nuovi orizzonti.

Giulia Piantoni premiata con l’Outstanding Paper Award agli Emerald Literati Awards 2024

Il paper, scritto in collaborazione con Marika Arena e Giovanni Azzone, analizza come diversi ecosistemi di innovazione possano creare valore condiviso, identificando tre archetipi principali. Questo lavoro, pubblicato sull’European Journal of Innovation Management, è stato premiato per il suo impatto scientifico e il potenziale nel generare cambiamenti concreti nel mondo reale.

 

Giulia Piantoni, Junior Assistant Professor presso la School of Management del Politecnico di Milano, ha ricevuto l’Outstanding Paper Award nell’ambito degli Emerald Literati Awards 2024 per il paper intitolato “Exploring How Different Innovation Ecosystems Create Shared Value: Insights from a Multiple Case Study Analysis”.
Il lavoro, scritto insieme ai docenti Marika Arena e Giovanni Azzone, è stato premiato per il suo contributo significativo.

Gli Emerald Literati Awards sono un riconoscimento prestigioso che Emerald Publishing assegna ogni anno a lavori di eccezionale valore scientifico. I paper premiati si distinguono per una struttura particolarmente solida e per il contributo innovativo apportato alla letteratura esistente. Un paper vincitore, come in questo caso, è valutato per il suo impatto non solo in ambito accademico ma anche nel mondo reale, dimostrando potenziale nel supporto alla generazione di cambiamenti concreti.
I paper premiati, scelti da una giuria composta dal comitato editoriale di riviste Emerald, rappresentano i contributi più notevoli dell’anno precedente.

La ricerca di Giulia Piantoni e dei suoi co-autori si concentra sugli ecosistemi di innovazione e sulla loro capacità di sostenere la creazione di valore condiviso. Gli ecosistemi di innovazione sono reti composte da diversi attori che, grazie alle relazioni dinamiche e orizzontali che intercorrono tra loro, possono co-creare valore a beneficio di tutte le parti coinvolte, favorendo così innovazione e sostenibilità.

Il paper identifica tre archetipi principali di ecosistemi di innovazione: Hub- and Chain-Driven, Place-Driven, e Competence- and Issue-Driven innovation ecosystems, caratterizzati da differenze in termini di prossimità fisica e presenza di una problematica dominante condivisa tra i vari attori. Attraverso l’analisi di questi archetipi, la ricerca mira a comprendere le dinamiche di creazione del valore condiviso all’interno di ciascuno di essi, con un particolare focus sul ruolo delle pratiche di gestione e delle politiche adottate.

Il paper è stato pubblicato sull’European Journal of Innovation Management ed è disponibile in open access al seguente link: Exploring how different innovation ecosystems create shared value: insights from a multiple case study analysis | Emerald Insight