Sostenibilita’ e sviluppo di carriere responsabili

“Non abbiamo un piano B perché non esiste un pianeta B”

Ban-Ki-Moon, Segretario Generale ONU al lancio dei 2030 Sustainable Development Goals

In un’epoca in cui possiamo solo scegliere quanto e come contribuire al piano A, ovvero alla conservazione del pianeta che abbiamo, il tema della sostenibilità si impone necessariamente come metro di misura di ogni nostra azione.

Ciò che chiamiamo sostenibilità ha infatti strettamente a che vedere con le scelte che facciamo e con i criteri che ci diamo per compierle. Quindi anche lo sviluppo di un percorso di carriera, che, come abbiamo detto qui, è esso stesso espressione di responsabilità sociale, non è esente da questo orizzonte.

Ma per comprendere quanto, nei nuovi scenari di sviluppo delle imprese, il tema della sostenibilità è intrecciato ad una carriera di successo dobbiamo innanzitutto addentrarci nel termine stesso “sostenibilità”. Derivato dal latino sustinere, ovvero tenere da sotto, il sostantivo sostenibilità, da cui l’aggettivo sostenibile, viene usato per qualificare scelte di uso delle risorse: “dare risposte sostenibili”, “fare investimenti sostenibili”, ecc. Ci richiama all’esigenza fondamentale di gestire l’oggi garantendo che ci sia un domani per tutti: si genera “sostenibilità” quando si sanno fare scelte di uso delle risorse che rispondono alle esigenze attuali, anticipando la possibilità di gestire anche le esigenze future della comunità.

Per praticare la sostenibilità occorre dunque imparare ad anticipare scenari futuri e utilizzarli come criterio di scelta, prefigurandosi come la scelta stessa d’uso delle risorse impatterà a livello economico, ambientale, sociale sulla gestione interna della comunità aziendale così come della comunità territoriale o della community virtuale di riferimento.

Verrebbe da sintetizzare che allenarsi a generare sostenibilità significa allenarsi ad essere manager d’eccellenza e viceversa: un legame indissolubile in cui la chiave è la continua sollecitazione a mettere in discussione le visioni parziali e gli interessi particolari, formandosi ad assumere una visione d’insieme, di un insieme grande quanto la comunità a cui apparteniamo. Quella della realtà organizzativa in cui siamo inseriti, quella della comunità umana in cui ci è dato di partecipare. E se alla comunità umana apparteniamo de facto, alle comunità organizzative possiamo scegliere di appartenere. E possiamo scegliere come contribuirvi.

Quali sono dunque i criteri su cui le realtà organizzative a cui professionalmente apparteniamo poggiano le proprie scelte d’uso delle risorse economiche, ambientali e umane? Quanto la sostenibilità è un fondamento dell’organizzazione?
E come possiamo contribuire, per il ruolo ricoperto o che potremo sviluppare, a favorire l’uso di criteri che contemplino la sostenibilità come orizzonte?

Sono 3 gli spunti che ognuno di noi può usare per costruire delle risposte e direzionare le proprie proposte:

  • Rispetto all’uso delle risorse ambientali: la sensibilità crescente in merito alla cosiddetta “sostenibilità ambientale” ci mostra quanto questo aspetto sia maggiormente entrato tra i riferimenti di molteplici organizzazioni, molto più della cosiddetta “sostenibilità sociale” che vedremo nell’ultimo punto. Ma, se si vuole allenarsi alla gestione in anticipazione, non accontentandosi di facili operazioni di green washing, possiamo chiederci se l’organizzazione di cui facciamo parte o di cui vogliamo far parte si limita a consumare le risorse ambientali, si impegna per preservarle/tutelarle o si spinge anche a rigenerarle. Così come, ogni giorno, qualunque sia il nostro ruolo, possiamo introdurre e promuovere in qualunque processo aziendale l’uso di criteri di ecosostenibilità, mettendo in circolo la domanda su quanto stiamo dando alle risorse che usiamo possibilità di rigenerazione futura.
  • Rispetto all’uso delle risorse economiche: una gestione sostenibile delle risorse economiche non è solo data dal rapporto positivo tra costi/benefici. Orientare le risorse economico-finanziarie necessita il riferirsi a criteri di scelta: quanto viene dato valore nelle scelte d’uso delle risorse economiche alle ricadute che queste scelte generano a 360 gradi? Come l’organizzazione investe sulla comunità? Sceglie di instaurare rapporti unicamente filantropici o investe per “sostenere” architetture comunitarie durature? E nel ruolo ricoperto, come contribuisco ad orientare scelte di investimento strategico in relazione alle esigenze della comunità (interna ed esterna)? Quali interazioni curo e promuovo per ampliare le possibilità organizzative di condividere anticipazioni circa scenari futuri sostenibili?
  • Rispetto all’uso delle risorse umane: come sarà ormai chiaro dai punti sopra, non si dà sostenibilità ambientale ed economica senza esseri umani competenti nel curare, gestire, studiare usi efficienti e lungimiranti delle risorse. La sostenibilità delle risorse umane passa attraverso l’anticipazione di come possano essere utilizzate e valorizzate dalla comunità (anche organizzativa) le competenze di ognuno, in modo che il patrimonio globale di competenze sia in costante sviluppo e ognuno possa diventare sempre più risorsa nell’offrire il proprio contributo. E allora posso chiedermi: come si muove la mia organizzazione in relazione alla possibilità di mettere in circolo le competenze delle risorse? E nel mio ruolo, come contribuisco a mettere in circolo le competenze? Come interagisco con le altre risorse? Anticipo quali modi di interagire favoriscono od ostacolano la crescita della comunità organizzativa? E fuori dalla mia organizzazione: curo con uguale attenzione la crescita e la messa in circolo di competenze della comunità destinataria dei miei prodotti o servizi, vedendo, oltre il cliente, un cittadino e un membro della medesima comunità umana di cui sono parte e che insieme dobbiamo conservare?

Trasversalmente alle tre dimensioni della sostenibilità (ambientale, economica, sociale,) collocarsi da communityholder, piuttosto che da stakeholder, ovvero da portatore di contributi orientati ad esigenze e obiettivi comuni, e incrementare costantemente le proprie competenze di anticipazione di scenari sono le due sfide che possono consentire di incrementare la corresponsabilità nello sviluppo di scelte organizzative sostenibili.

La sfida della sostenibilità, citando il professor Mario Calderini, “è innovazione”. E’ guardare al futuro, al domani e al dopodomani del nostro pianeta e delle nostre comunità, fatte primariamente di interazioni. Saperle governare responsabilmente, rigenerandone continuamente il valore, diventa oggi una priorità.

Per questo un percorso di carriera da “Responsable Career Leader” misura e sviluppa costantemente le proprie competenze di anticipazione circa l’uso delle risorse. Perché solo il contributo di carriere “ad alto impatto” consentirà di guardare al futuro del pianeta e della nostra comunità umana né con speranza né con timore, ma con l’impegno del progettista di mondi possibili.

Che posto occupa la responsabilità sociale nel percorso di un career leader?

“Responsible Career Leader”, ci insegna questa rubrica, è chi riesce ad anticipare, progettare e gestire lo sviluppo della propria carriera. È dunque Responsible in quanto chiamato a governare in prima persona la trasformazione delle occasioni di cambiamento in opportunità per il proprio percorso di crescita professionale.

Ma cos’altro cela il termine Responsible? A chi e di cosa risponde un Career Leader responsabile?

Spesso siamo portati a pensare che agire responsabilmente sia andare oltre i “confini del proprio orto”, quindi fare del volontariato nel tempo libero, andare al lavoro in bicicletta, evitare le bottiglie di plastica e compensare le emissioni di CO2 piantando alberi. Oppure, cambiare carriera dopo anni di profit e andare a lavorare nel Terzo Settore. Tutte scelte assolutamente encomiabili ma, muovendosi in questi termini, il rischio è di considerare incompatibili efficacia, efficienza e produttività con la possibilità di abbracciare i valori etico-sociali.

Ma esiste una accezione di responsabilità, per la quale il successo del proprio percorso professionale – e i legittimi vantaggi che da quest’ultimo ci si può aspettare – possano dialogare produttivamente con ciò che sta “fuori dall’orto”? Sì, se iniziamo ad allargare i confini. A partire dall’intendere il nostro successo non come sostantivo (“ho raggiunto un buon esito / un buon livello”), ma come verbo (“ho fatto accadere qualcosa di valore nel contesto in cui ho lavorato”).

In questi termini possiamo dire che una “vera” carriera di successo è quella che offre un contributo alla propria comunità: ogni ruolo professionale infatti – che sia entrepreneur, executive, manager, expert –attraverso le proprie scelte di carriera, può contribuire a sviluppare le risorse e le competenze della comunità in cui opera, a partire dall’evidenza che saranno queste stesse risorse e competenze che renderanno l’orto di cui sopra ancora più rigoglioso, ampio, produttivo e legittimato.

Come ci insegna l’ormai planetario movimento delle B-Corp, “Fare Impresa” in questi termini vuol dire superare l’antitesi tra vantaggio personale – o aziendale – e interesse generale. O tra “obiettivi di business” e senso civico. Le ore passate in ufficio (o connessi in smart working) possono essere un’occasione per contribuire alla comunità tanto quanto l’adoperarsi nel volontariato nel weekend.

Infatti, esercitare il ruolo che si ricopre in azienda tenendo conto delle implicazioni delle proprie azioni sugli altri e sulla collettività, è già un’operazione di responsabilità sociale. Citando Edward Schultz, ex CEO di Starbucks: “L’impresa è responsabilità sociale e la responsabilità sociale è l’impresa”.

Quindi come operazionalizzare questo salto culturale e di metodo, passando da una mentalità da stakeholder – portatore di interessi particolari e specifici, talvolta in competizione con quelli di altri – a una da communityholder (Turchi, Gherardini 2014) – ovvero risorse che possono far crescere la propria comunità?

Si può riassumere in 3 step:

DEFINIRE IL PURPOSE CHE DIREZIONA LA CARRIERA

Il primo passo consiste nello scegliere le domande che poniamo a fondamento del nostro percorso di carriera. Si tratta di chiedersi ‘a quale cambiamento un lavoratore della mia epoca può contribuire?’. Se gli esiti da “stakeholder” – raggiungere un certo livello di carriera, incrementare il proprio stipendio ecc – sono vantaggi che si raccolgono lavorando nel proprio orto, il Career Leader che si muove da Communityholder va oltre il suo recinto e si chiede: “cosa posso offrire alla comunità attraverso le mie competenze? Quali competenze posso sviluppare per incrementare ulteriormente il contributo che offro?”. Domande che consentono di intrecciare il proprio percorso professionale con le esigenze che la comunità esprime e a cui come cittadino, attraverso la propria “carriera”, può contribuire a rispondere. E, come detto sopra, questo non significa contrapporsi all’interesse personale. Per fare un esempio, si pensi a Salvatore Aranzulla, un imprenditore digitale che attraverso la sua idea di business ha “istruito” milioni di italiani ad interagire con la tecnologia. Aranzulla ha offerto il proprio contributo per la digital transformation della comunità ben prima che questa fosse “mainstream”, rendendo accessibili informazioni preziose per una comunità che si stava rapidamente digitalizzando, in un momento storico in cui le competenze informatiche erano appannaggio di pochi. E ha scelto di farlo ben prima di definire quali vantaggi personali poteva trarne: ha iniziato all’età di 12 anni la sua attività e forse non immaginava il fatturato milionario che avrebbe raggiunto

COSTRUIRE E CURARE UNA SQUADRA

Come descritto in un precedente articolo, “anche il più solitario dei viaggi è il prodotto di una catena di interazioni e collaborazioni di una moltitudine di persone che hanno investito in quel viaggio risorse, strumenti, competenze”. Nel momento in cui si progetta o modifica la propria carriera in un’ottica Career Leader Communityholder, non si è mai soli: ci sono attori della comunità che hanno il mandato di contribuire a tale processo e che, corresponsabilmente, si è chiamati a sollecitare. In questo senso, un docente può essere consultato come esperto di settore per ragionare insieme su un tema o un trend emergente, su cui ha maggiore visibilità grazie al suo ruolo, e su cui si avrebbe una visione e una conoscenza parziale se si guardasse solo nel proprio orto. Contemporaneamente un consulente di carriera può essere coinvolto per condividere, grazie alle sue competenze e ad un “punto d’osservazione” differente, una rilettura del proprio percorso professionale e delle proprie competenze, volta a costruire un cambiamento o uno sviluppo lavorativo. Allo stesso modo il professionista che si è interfacciato con docente e consulente, non posizionandosi da mero fruitore stakeholder, mette a disposizione dati ed elementi del suo percorso (di cui rimane massimo esperto) che diventeranno la base di un ragionamento comune. In questo senso le interazioni non sono gestite nella logica del solo proprio interesse: in ogni interazione si è anche, sempre, contributori. Un Career leader stakeholder chiede, aspetta, definisce che solo l’altro è portatore di un contributo. Un Career leader communityholder è giocatore di una squadra, responsabile nel contribuire insieme agli altri al buon esito della partita

SAPER VALUTARE IL CONTRIBUTO

Quanto le scelte di carriera stanno portando contributo alla comunità? Ancora una volta serve prendere le distanze dai luoghi comuni che potrebbero intendere come “Responsible” una carriera orientata dalla domanda ‘quel ruolo o quell’azienda, mi consente di fare del bene?’, dando per assodato che una certa struttura organizzativa o mission aziendale diano garanzia di generare un impatto positivo per la comunità.

Una carriera Responsible, che vada oltre, si orienta con la domanda ‘al di là della tipologia di organizzazione per cui lavoro o potrei lavorare, quanto nel farlo contribuisco a rispondere alle esigenze comunitarie?’.

Per costruire una risposta serve dotarsi di indicatori che offrano dati su quanto si sta contribuendo alla comunità attraverso la propria carriera. Ad esempio, i dati messi a disposizione a chi redige il Bilancio sociale e di sostenibilità di un’organizzazione e che ci dicono se e in che modo si sta generando valore per la comunità, a partire dall’engagement della comunità stessa (geografica ma anche virtuale) nel leggere risorse ed esigenze. Ma anche le verifiche periodiche dei singoli reparti o ruoli, ci informano se oltre ai traguardi economici raggiunti si siano raccolti dei dati anche sulle implicazioni di questi al di fuori delle proprie mura. Le ulteriori connessioni che si generano tra l’essere responsible e il contribuire alla comunità le leggeremo nell’articolo che uscirà ad aprile, in cui si affronterà lo sviluppo di carriera in chiave di sostenibilità.

Concludendo, il successo di una carriera sta nel ‘far succedere’, quotidianamente e in qualsiasi assetto lavorativo, cambiamenti che contribuiscono a rispondere ad esigenze trasversali della comunità in cui il Career Leader Communityholder vive ed opera. Ponendosi quelle domande, da soli e in squadra, che consentano di andare oltre il proprio sguardo, e ben sapendo che se oggi “coltivo” valore per la comunità, domani potrò raccoglierne i frutti anche nel mio orto.

Networking: liberare il “genio” dalla lampada e guidarlo con metodo per il proprio successo

Questa è l’immagine che ho voluto utilizzare, anche per il mio sito, per trasferire l’essenza e complessità di gestire il proprio network, vero e proprio asso nella manica per il nostro successo professionale.

Il networking è il nostro capitale sociale, il più grande e intangibile asset che ognuno di noi ha e oggi, mai come prima nella storia dell’umanità, è in grado di fornirci risorse cruciali per la nostra vita, professionale (oltre che personale).

Per comprenderne la “potenza” mi fermerei un attimo a pensare a quanta ricchezza possiamo attingere grazie al sistema, spesso complesso, delle relazioni in cui siamo inseriti: possiamo apprendere, arricchirci in termini di nuove informazioni, acquisire nuove idee/stimoli, attingere a nuove risorse cui non avremmo mai pensato, conoscere interlocutori che potrebbero diventare cruciali per la nostra crescita, creare sinergie/alleanze/partnership, trovare risorse e la lista… potrebbe proseguire di molto.

La metafora del genio della lampada è emblematica: abbiamo la necessità di guardare dentro il nostro contenitore di relazioni, comprenderne l’essenza e le logiche e capire come sbloccarne l’enorme potenzialità.

Se non liberiamo il genio – cioè il potenziale delle reti sociali intorno a noi – tutto rimane immobile e si rimane spettatori passivi e dormienti, incapaci di creare valore per sé e il nostro ecosistema.

La prevalenza delle persone non è consapevole della potenzialità e ricchezza delle relazioni intorno a sé, non mappa le relazioni/circuiti che ha e ancora meno lo fa con quelle del proprio interlocutore, non cogliendo gli invisibili “dot” che sono lì per essere connessi e creare nuove sinapsi/opportunità.

A noi la responsabilità e il “potere” di utilizzare al meglio le nostre relazioni, ma per ottenere di più dobbiamo avere una visione più alta e non meramente utilitaristica/opportunistica.

Se la vita personale/professionale non ci sta dando le esperienze che desideriamo vuole dire che dobbiamo fare nuove scelte relazionali e cambiare approcci e creare nuova energia relazionale intorno a noi.

Oggi per la prima volta nella storia dell’umanità abbiamo a disposizione un secondo braccio armato del networking, quello online: viviamo in un contesto trainato dai social e accelerato in modo esponenziale dal digitale e in questa faticosa (in alcuni casi dolorosa) fase post pandemica ci siamo “finalmente” resi conto di quanto siamo profondamente interconnessi e interdipendenti.

I social e LinkedIn ci hanno dato la possibilità di superare, con un semplice click, i vincoli cognitivi che caratterizzano le dimensioni umane: se Dunbar ci dice che possiamo mantenere fino a 150 relazioni stabili continuative (che poi è la dimensione media dei gruppi sociali nella storia dell’umanità) i social ribaltano il paradigma e ci raccontano qualcosa di profondamente diverso.

Nelle piattaforme le relazioni cosiddette deboli, oltre ad essere di gran lunga le prevalenti, non solo non si spezzano ma si rinnovano e possono rimanere sempre attive: con un altro click posso collegarmi con chiunque e trasformare un collegamento online con uno/a sconosciuto/a prima in un caffè e poi in una solida relazione professionale grazie ai contenuti, valori e interessi che ogni giorno si espongono in vetrina e che richiamano un pubblico che ha affinità e/o interessi vicini ai nostri.

Tenere relazioni sui social non è a costo zero perché richiede la risorsa più preziosa che abbiamo, il tempo, il più bel dono che possiamo fare alla nostra rete.

E allora doniamo del tempo per fare networking e diamoci del tempo per rafforzare questa metacomptenza: aspettarci che la crescita del nostro network dipenda dagli altri è l’errore più grave che potremmo commettere.

Per prepararsi ad un 2022 ricco di valore qui di seguito 5 pillole per un lifelong networking journey e per mantenere elasticità e aggiornata questa meta competenza.

  1. Stabilisci connessioni nuove, periodicamente, con cadenza regolare regalando sempre gentilezza/sorrisi alle persone che incontri e ricambia i doni ricevuti;
  1. Coltiva ogni giorno il tuo network e ingaggia la tua rete, sii sempre pronto a raccontare la tua storia con occhi nuovi e a raccogliere feed back e input preziosi;
  1. Cura la tua immagine e brand, attraverso la tua rete: se non sei tu ad andare verso gli altri, saranno loro a venire da te e questo grazie ai contenuti di valore che promuovi e pubblichi, vera calamita per l’attenzione del tuo pubblico;
  1. Costruisci la tua tribe di sostegno e confronto e sii sempre “open” network per cogliere le infinite possibilità che si celano nella tua rete;
  2. Segui e circondati di persone che fanno networking, osservandone modalità e approcci e poi crea il tuo stile.

E se l’universo relazionale non è mai qualcosa di fisso e immutabile ma una dinamica fluttuante tra più persone è bene ricordarsi che il dono è il più potente abilitatore di nuove alchimie relazionali.

Opportunità per le aziende: project work e recruitment dei candidati MBA

Sono aperte le selezioni dei candidati dell’International Full Time MBA! Gli studenti del nostro Master Internazionale in Business Administration sono alla ricerca di opportunità di collaborazione e immediatamente disponibili per un colloquio.

Saresti interessato a valutarli per la tua azienda?

Potrai scegliere tra oltre 50 candidati MBA: profili ad alto potenziale, sia italiani che internazionali, con diverso background accademico (ingegneristico, economico, scientifico o umanistico). Hanno già maturato almeno 3 anni di esperienza lavorativa in diversi settori e funzioni, e sviluppato interessanti competenze interculturali e multilinguistiche.

I candidati saranno disponibili da Aprile/Maggio 2022 per collaborazioni a tempo pieno:

  • sviluppando un progetto strategico con impatto sul business, formalizzato come stage curriculare di almeno 3 mesi o come progetto di consulenza;
  • andando a ricoprire eventuali posizioni aperte in diverse aree funzionali dell’azienda.

Le selezioni sono aperte! Non esitare a contattare il Career Service all’indirizzo career@mip.polimi.it per ricevere il CV Book e approfondire insieme ai nostri professionisti i profili dei candidati esplorando le opportunità di collaborazione con la tua azienda!

Progetta il tuo futuro con il Personal Branding

In questo articolo vogliamo proporre un esercizio rapido e innovativo per imparare a progettare la propria carriera.

Il presupposto principale è che in questa epoca di incertezza e complessità il concetto stesso di carriera è ormai messo in discussione. Il termine “carriera” infatti, nella sua etimologia, rimanda alla carreggiata, ai binari, ad un percorso predefinito, chiaro, da percorrere in modo lineare, possibilmente in modo scorrevole e veloce. Aspettarsi una carriera in questi termini è sempre meno probabile. Si riducono sempre di più infatti i periodi di tempo dove le condizioni rimangono sufficientemente costanti per garantire una certa stabilità, né percorsi lineari e predeterminati, neppure all’interno delle aziende o nei confini delle professioni tradizionali. Insomma, quella che oggi ci troviamo a dover gestire sono sempre di più “carriere senza carriera”.

Ciò porta con sé una conseguenza importante: la fine della pianificazione di carriera così come la conoscevamo. In questo contesto occorre quindi passare da un modello di sviluppo professionale tradizionale ad un paradigma più moderno e in linea con i tempi: l’innovazione professionale.

L’obiettivo? Avere un obiettivo!

Ottengo un riscontro di tutto ciò quasi quotidianamente. Quando infatti lancio la sfida agli studenti di dirmi come si vedono al termine del Master, molti di loro si rivelano senza un vero obiettivo di carriera. Non hanno infatti un obiettivo nel formato SMART tanto amato dai career coach. Hanno al massimo uno scope, un perimetro, una direzione, un ambito di sviluppo.

Del resto la disarmante verità è che nella carriera contemporanea il vero obiettivo è quello di avere un obiettivo o, meglio, imparare a progettare quello più adeguato, coerente e appagante. Ma come fare?

Personal Branding

Uno degli esercizi di design più apprezzati che proponiamo sia nei master sia nei programmi di sviluppo dei talenti delle aziende, è quello di farlo applicando il paradigma del Personal Branding in una modalità che potremmo definire agile. Di fatto si tratta di scegliere un obiettivo, direzione e ambito, anche non ben definito, e di prototipare una vera e propria strategia di Personal Branding coerente con esso. L’idea è quella di generare preziosi apprendimenti andando a verificare fattibilità, credibilità e rilevanza, ad esempio rispondendo a domande tipo:

  • Posso realmente propormi per quella posizione?
  • Ho tutte le competenze necessarie sulla carta?
  • Posso raggiungere le persone che devo influenzare?
  • Sono sufficientemente credibile per la posizione in questione?
  • Riesco a differenziarmi e ad emergere concretamente dal rumore di fondo?
  • Sono in grado di far percepire il mio valore adeguatamente?
  • Ciò che prometto è rilevante per loro?

Progetta, testa, apprendi

Il processo a grandi linee è il seguente:

  1. Si sceglie un obiettivo plausibile, anche vago, ad esempio ottenere una posizione specifica in un certo ambito, attrarre progetti o clienti di una specifica tipologia.
  2. Si prototipa “sulla carta” una strategia di Personal Branding coerente con l’obiettivo in questione. Ciò facendo mente locale sui concetti fondamentali del Personal Branding: pubblico di riferimento (le ad esempio persone da influenzare), valori e visione professionale, specificità della professione svolta e approccio lavorativo potenziali, competenze e punti di forza, competizione, elementi di differenziazione, etc. Molte delle domande coinvolte in questa attività saranno utili a far mente locale su elementi importanti sulla fattibilità  e concretezza dell’obiettivo in questione.
  3. Ci si fanno le domande di cui sopra magari compiendo anche opportune verifiche di validazione. Ciò ad esempio tramite piccoli esperimenti, quali interviste, attività di networking, partecipazione ad eventi, test, assessment, etc.
  4. Si identificano eventuali mancanze in termini di inclinazioni, competenze necessarie e certificazioni: la conseguenza di ciò è quella di sviluppare un piano di sviluppo professionale coerente con i propri obiettivi di immagine professionale!

Nel caso il lavoratore può valutare se progettare e attivare una serie di attività di comunicazione e ingaggio del proprio pubblico. Come è ben noto ormai oggi tipicamente avvengono online e che spesso possono coinvolgere un uso attivo di LinkedIn. Va da sé che solo grazie ad una concreta attivazione per prova ed errore della strategia possono essere tratti i più importanti apprendimenti. Ciò grazie ai preziosi feedback ricevuti in tempo reale dalla Rete.

Il Digital You Canvas

Il Digital You Canvas è lo strumento ideale per fare questo esercizio. Grazie ad esso è possibile prototipare rapidamente la propria strategia di Personal Branding e sviluppare una presenza digitale coerente con i propri obiettivi. Con il Canvas è possibile individuare tutti gli elementi strategici citati sopra e comprendere come sviluppare un’identità digitale che sia coerente con quella reale.

L’idea è quella di mappare in maniera visuale uno specifico processo in una sola pagina, suddivisa in blocchi logici relazionati tra di loro e favorendo una fertile visione d’insieme. Questa favorisce la chiarezza, la generazione di nuove idee e permette di comprendere nuove relazioni tra elementi noti e meno noti. Mette anche in evidenza eventuali aspetti da sviluppare e priorità e soprattutto offre una mappa per garantire un strategia di Personal Branding autentica e coerente.

Questo strumento di pensiero visuale è incluso fisicamente al libro Digital You pubblicato da Hoepli scritto insieme all’autore statunitense William Arruda, di fatto il massimo esperto internazionale di Personal Branding.

È possibile scaricare gratuitamente la versione completa del Digital You Canvas, che include i testi guida nei blocchi e tutte le istruzioni per l’uso, presso il sito divulgativo PersonalBranding.it [https://www.personalbranding.it/digitalyou].

Career Action plan: strategia, pianificazione e flessibilità di pensiero

Per anni mi sono occupata di pianificazione, considerando un bel piano organizzato e strutturato come una specie di coperta di Linus. Quando ho iniziato ad occuparmi di contenuti HR, ho avuto un momento di dubbio: la pianificazione e il recruiting vanno davvero d’accordo? Sì, certo, se pensiamo al completamento di singoli compiti lavorativi, ma nel complesso – se non utilizzata con un fine specifico – ho pensato che saper pianificare fosse una competenza come un’altra, anzi, qualche volta, la rigidità di un buon planning poteva risultare anche piuttosto fastidiosa/inutile/controproducente.

Poi la scoperta. Iniziando a lavorare come career advisor ho incontrato moltissime persone e per tutti – attraverso le domande sui loro obiettivi e la costruzione dei loro percorsi – mi si è proposta la stessa sfida: imparare e insegnare a conciliare la pianificazione di un piano di carriera con la flessibilità che la ricerca attiva del lavoro richiede.

Questo perché non basta desiderare qualcosa e chiamarlo obiettivo professionale: l’attenta analisi individuale che porta alla definizione di un cosa ci attiva immediatamente nell’identificazione del come ed è fondamentale non perdersi in questo percorso piuttosto articolato.

Chi sono quindi i migliori alleati che ci supportano nella creazione di un career action plan efficace?

Sicuramente l’informazione è il nostro primo importante amico. Conoscere, approfondire, raccogliere dati è la prima attività che permette di indagare la concretezza del nostro interesse: possiamo evidenziare e raccogliere tutti quei punti di forza che ci potranno rendere interessanti agli occhi di chi ci intervisterà.
La raccolta dei dati è facilitata dal web che, attraverso network più o meno professionali, ci fornisce una vastità di elementi utili (dall’analisi dei profili di chi occupa già il ruolo che desideriamo, alla raccolta di informazioni di dettaglio sul nostro target), ma è fondamentale che sia svolta con cura e attenzione perché possa portare a risultati utili e di apertura verso il nuovo. La tastiera e il pc infatti sono uno strumento importante solo se uniti alla testa e ad una strategia di ricerca!

Tra le attività più efficaci e anche più difficili, c’è poi anche una buona capacità di networking, che ci consente il confronto diretto con persone che lavorano o hanno lavorato in aziende o posizioni professionali che sono il nostro target, raccogliendo preziose informazioni che nessun sito web può offrirci.

Dalla nostra mappatura è importante che risulti una chiara e reale sintesi dei classici cosa, come, dove e perché.

Ecco perché il secondo step è la scelta di ciò ci interessa davvero. Anche se abbiamo le competenze per svolgere un certo ruolo, serve filtrare le opportunità di lavoro e le aziende che intercettiamo, per sondare le caratteristiche che contribuiranno a renderci soddisfatti della scelta finale.

Leggere annunci e consultare bacheche alimenta infatti  l’istinto diffuso del “provarci”, inviando cv nella speranza che qualcuno chiami. Tuttavia – soprattutto per coloro che sono mossi da una motivazione stringente perché sono disoccupati o molto insoddisfatti del lavoro che stanno facendo – il rischio è non ritrovarsi soddisfatti accettando la prima offerta che arriva.

Se invece usiamo i dati della nostra ricerca per fermarci a ragionare e scegliamo di candidarci verso opportunità e aziende in coerenza con quelli che sono i cardini del nostro obiettivo, ci concediamo l’opportunità di un miglioramento professionale e non solo un cambiamento.

Ed è qui che compare il nostro terzo alleato: la flessibilità. L’idea originaria potrebbe infatti cambiare, arricchirsi di dettagli o evolvere in altri progetti. Come saggiamente consiglia Chiara Girola, nel suo articolo sulla definizione dell’obiettivo di carriera, è importante che l’obiettivo mantenga sufficiente astrazione per concederci di essere creativi.

Il processo di raccolta delle informazioni e di scelta dei nostri passi sono momenti importanti, ma che non devono produrre un risultato cristallizzato nel tempo.

Dal mettersi in gioco nella ricerca di un nuovo lavoro possono nascere molte idee che creano obiettivi diversi da quelli iniziali. Possono nascere i piani B o C oppure, in certi casi, possono crearsi le evoluzioni, il piano A.0 o A.1 a cui non avevamo pensato, ma da cui possiamo farci coinvolgere tanto da farli diventare la meta del nostro nuovo percorso.

Possiamo – e dobbiamo! – concederci il lusso di cambiare idea e di aprire la mente a strade e opzioni meno evidenti o più creative, che possono sollecitarci verso una sfida e attivare le nostre risorse più nascoste. Raccogliendo elementi e mettendo alla prova il nostro piano originario, apriamo la strada a progetti paralleli e ugualmente possibili che possono portarci ottime opportunità

Quale che sia il vostro obiettivo è fondamentale, a mio parere, che il piano di azione costruito per perseguirlo sia cucito sui vostri desideri e sulle vostre inclinazioni più che sul nome altisonante di una società di grido. Noi possiamo scegliere di dare il nostro meglio in qualsiasi ambiente, ma sappiamo scegliere l’ambiente che ci offrirà le condizioni per sostenere il desiderio di fare del nostro meglio?

 

Viaggio nel mondo del lavoro

Che cos’è un Master se non un viaggio? Chi si iscrive ad un corso di formazione intraprende un percorso che parte dall’esplorazione del sé e prosegue con la scoperta del mondo del lavoro, mentre si naviga verso la meta: il raggiungimento del proprio obiettivo professionale.

La prima fase di analisi del proprio profilo professionale è fondamentale: quali sono i punti di forza e quali le aree di miglioramento? Quali sono le competenze distintive? Come colmare le lacune? Grazie alla piattaforma di Artificial Intelligence del MIP, FLEXA, i candidati possono sottoporsi ad un assessment delle proprie competenze hard, soft e digital.

Da un lato, essere consapevoli dei propri punti di forza è fondamentale per strutturare la propria “value proposition” ed essere in grado di presentarsi in modo efficace.

Dall’altro lato, è importante individuare le proprie aree di miglioramento ed essere guidati nello sviluppo delle competenze necessarie per colmare i propri gap.

Completata la fase di self-assessment e identificazione delle proprie core competencies, si apre uno dei momenti più delicati nel percorso di un Career Leader, ovvero analizzare e comprendere le dinamiche tipiche del mercato del lavoro.

Questa fase è fondamentale per costruire e governare il proprio action plan perché consente di trovare le giuste coordinate per orientarsi all’interno di un contesto in continua evoluzione e valorizzare il proprio bagaglio di competenze in virtù dell’obiettivo di carriera che ci si è posti.

È necessario partire dall’identificazione dei fattori che possono influire sul mercato del lavoro, come ad esempio l’analisi delle competenze maggiormente ricercate.

In un recente report pubblicato dal World Economic Forum, “The Future Jobs 2020”, si afferma che entro il 2025 l’accelerazione del progresso tecnologico determinerà una sostanziale trasformazione dei ruoli già esistenti e che il 40% delle competenze tradizionali richieste cambierà. La concomitanza di fattori come la digitalizzazione e la pandemia hanno accelerato un processo noto da anni.

Tra le skills più richieste ci saranno certamente competenze trasversali come la capacità di sviluppare un pensiero critico positivo e strategico, così come l’abilità di gestire problemi complessi perché è quello di cui le aziende hanno bisogno per navigare nella complessità e gestire potenziali cambiamenti di rotta non prevedibili, come la pandemia ci ha dimostrato. Altrettanto richieste saranno competenze di ruolo specifiche legate ad esempio alla Digital Transformation o ai Big Data.

Orientarsi in un contesto in rapida evoluzione e tanto competitivo può rappresentare un’ardua impresa anche per il candidato più assennato perché dopo aver completato l’assessment delle proprie competenze e identificato i propri punti di forza e aree di miglioramento, dovrà confrontarli con quello che il mercato del lavoro sta ricercando.

Le piattaforme digitali possono offrire ai candidati delle coordinate di base per interpretare l’attuale mercato del lavoro, come ad esempio:

  1. Identificare le competenze attraverso keywords ed impostarle come criteri di ricerca
  2. Utilizzare modificatori booleani per perfezionare ulteriormente la ricerca e trovare rapidamente ed efficacemente le posizioni che si adattano alle proprie competenze
  3. Analizzare quali sono le competenze più richieste per ruolo, area di business e settore con particolare attenzione per le competenze trasversali
  4. Se la ricerca è aperta a più aree geografiche, verificare se ci siano competenze o requisiti specifici richiesti (es. competenze linguistiche, visa, etc.)
  5. Tenersi costantemente informati sui trend di business del proprio settore o aziende di riferimento

Come Career Consultant MIP poniamo da sempre una forte attenzione all’analisi del mercato del lavoro ritenendolo un elemento chiave per i nostri Career Leader.

Infatti, oltre ad offrire all’interno del nostro programma momenti di approfondimento con coach ed head hunters, e aver stretto nel corso degli anni collaborazioni con piattaforme di carriera digitali a livello internazionale, ci siamo dotati di uno strumento di analisi come LinkedIn Talent Insights per accedere ad informazioni sui trend del mercato del lavoro attendibili e costantemente aggiornati.

LinkedIn è conosciuta per essere la piattaforma di carriera più usata al mondo, milioni di professionisti e aziende la utilizzano quotidianamente per aggiornare i propri profili, pubblicare offerte di lavoro, condividere aggiornamenti (anche noi stiamo utilizzando LinkedIn per condividere questo post!), mantenere vivo il proprio network professionale.

Centinaia di milioni di dati che Talent Insights permette di analizzare ed interpretare per costruire una strategia efficace di talent intelligence, individuando ad esempio uno specifico target di talenti, quali sono le competenze ricercate nei professionisti, in quali settori, come vengono selezionati, quali aziende li stanno assumendo e come variano le tendenze in base alle aree geografiche di interesse.

I dati, in forma aggregata, restituiscono una fotografia del mercato del lavoro accurata e in tempo reale.

In un mondo sempre più governato dai dati, il rischio di sentirsi smarriti e di non avere gli strumenti per orientarsi è molto alto, ma al MIP il CareerLeader non è lasciato solo: nel suo viaggio può fare affidamento non solo sugli strumenti digitali, ma anche sulla guida dei Consulenti di Carriera, che incontra sia in aula durante workshop e laboratori in gruppo, sia individualmente durante colloqui di orientamento. Confrontandosi con un professionista, il candidato può definire meglio la rotta verso la meta e governare in modo più consapevole e strategico il viaggio verso il proprio obiettivo di carriera.

Career Leader: Strategia e atteggiamento imprenditoriale

“Un buon giocatore di hockey gioca là dove sta il disco. Il miglior giocatore di hockey gioca là dove il disco sta per andare” Wayne Gretzky

Nello scorso editoriale Chiara Girola ha approfondito l’importanza di saper costruire un “buon” obiettivo di carriera. Per il Career Leader l’obiettivo è il faro che guida costantemente la nave della nostra carriera. È il miglioramento continuo a cui aspirare e non, ci ricorda Chiara, il vantaggio concreto che da questo miglioramento otteniamo (stipendio, riconoscimento, cambi di ruolo..).

Ma, una volta fatto il settaggio della nostra nave e definito l’obiettivo di miglioramento, qual è l’atteggiamento giusto con cui affrontare il mare, ovvero, fuor di metafora, le strategie attraverso cui perseguire il nostro obiettivo?

Vediamo le principali secche in cui la nostra nave potrebbe arenarsi e le strategie da mettere in campo per governare l’incertezza che ogni processo di cambiamento comporta.

Affrontare il mare senza conoscere il mare

Tra gli errori più ingenui, ma anche più impattanti rispetto allo sviluppo di carriera, annoveriamo la mancanza di approfondimento circa i segmenti di mercato o i ruoli a cui aspiriamo. L’interesse o la passione personale talvolta rappresentano, in modo del tutto autoreferenziale, i riferimenti che vengono utilizzati dai Career Leader per gestire e orientare la navigazione. Questo atteggiamento comporta l’aumento della dose di incertezza in quanto al navigante sfuggono esigenze, criticità, regole, riferimenti culturali ed organizzativi dell’assetto in cui aspirerebbe ad inserirsi. Inoltre, non secondario, rischia di minare la credibilità del Career Leader agli occhi di potenziali interlocutori esperti che già conoscono il mare.

Cosa serve dunque? Fare ricerca. Ovvero incrementare una conoscenza prospettica e multidimensionale dell’ambito o del ruolo di interesse, facendosi guidare dalle domande: cosa può servire a questo contesto lavorativo? Quale contributo potrei dare io, ora e in prospettiva futura, per migliorarne competitività e capacità di innovazione?

Affrontare il mare ritenendo di conoscere il mare

Può sembrare una contraddizione rispetto al punto precedente ma, da un punto di vista metodologico si tratta del medesimo errore, ovvero basarsi su criteri autoreferenziali per costruire delle valutazioni e delle scelte d’azione conseguenti. Infatti l’esperienza, anche pluriennale in un certo settore, rischia di esporci a fare delle previsioni invece che delle anticipazioni. Qual è la differenza? Nel primo caso la forma mentis è quella del “so già tutto di come funziona quel settore, quindi andrà sicuramente così anche nella prossima azienda in cui mi candiderò”. Paradossalmente il massimo della certezza rappresenta il più grosso punto debole per un Career Leader. La logica del “già visto” e del “prevedibile” fa perdere di vista il processo, ovvero la necessità di contestualizzare e valutare ogni specifico assetto a cui ci si approccia, decentrandosi dalla propria personale esperienza e mettendola alla prova attraverso la strategia del “fare ricerca” illustrata al punto 1. Questo consente di allenare l’anticipazione, ovvero la competenza di prefigurarsi scenari possibili (e non un unico film) a partire dai dati raccolti. Anticipare ci mette in condizione di prepararci piani diversi, riducendo lo spiazzamento e la delusione se quello che pensavamo maggiormente probabile non si realizzasse e potendo effettivamente mettere a frutto il considerevole bagaglio della propria pluriennale esperienza.

Pensare che il mare si divida in due per farci passare, forti dell’innovativa idea che portiamo

Immaginiamo un Career Leader che si mette in gioco in un percorso di crescita animato dall’intenzione di contribuire all’innovazione dell’azienda in cui già lavora. Spesso si è posto le domande che abbiamo visto al punto 1 e ritiene anche di aver fatto le anticipazioni di scenari a partire dagli elementi raccolti, come suggerito nel punto 2. Compiute queste due tappe si può vedere chiaramente cosa può essere utile ad un certo contesto e, in alcuni casi, anche a costruire delle idee progettuali ad alto tasso di innovazione. Ma arrivati a questo punto spesso accade si scontrino con le resistenze al cambiamento dei vertici aziendali.

Qual è in questo caso la specifica criticità in cui un Career Leader può cadere?

Si tratta della confusione tra hard e soft skills. La competenza tecnica, per quanto implementata, raffinata e orientata all’innovazione non è sufficiente a sostenere il perseguimento di obiettivi di sviluppo. In questo caso sono due le indicazioni strategiche:

  • imparare sia ad osservare gli aspetti hard del lavoro, che (e soprattutto) gli aspetti soft, legati alle interazioni tra i diversi ruoli, alle modalità con cui si usano, in un certo contesto lavorativo, i contributi dei collaboratori per perseguire lo sviluppo d’impresa.
  • curare lo sviluppo di competenze di comunicazione efficace e di promozione di una visione comune, consapevoli che il valore attribuito alla propria idea sarà direttamente proporzionale alle soft skills che si saprà mettere in campo per renderla comprensibile, condivisibile e sostenibile…

Andar per mare da soli

È facile pensare che la navigazione di un Career Leader sia un viaggio in solitaria. Un “imprenditore di sé stesso”, si dice, introducendo implicitamente l’idea che si tratti di un self made man (o woman) che conta solo e pervicacemente sulle proprie risorse e che deve “rubare” con destrezza il lavoro e le occasioni. Ma anche il più solitario dei viaggi è il prodotto di una catena di interazioni e collaborazioni di una moltitudine di persone che hanno investito in quel viaggio risorse, strumenti, competenze. Trascurare questa evidenza, collocandosi da consumatori di risorse che provano a trarne il maggior vantaggio personale, rappresenta a tutti gli effetti, un potenziale perso. Cosa serve dunque?

Adottare una logica da Responsible Career Leader comporta considerare il lavoro di squadra con tutte le risorse (docenti, consulenti, servizi di supporto, colleghi di corso, aziende partner..) come un’opportunità per allenarsi a moltiplicare il valore del processo di sviluppo in cui si è inseriti e quindi, in ultima istanza, il valore del proprio contributo come manager di domani.

Riprendendo l’immagine iniziale del miglior giocatore di hockey che va dove il disco sta per arrivare, lo sguardo d’insieme di questi aspetti critici e strategie di gestione mostra come queste siano le 4 tappe che il Career Leader può percorrere per farsi trovare preparato ad affrontare l’incertezza del mercato del lavoro con competenza, esperienza e lavoro di squadra.

Come costruire un “buon” obiettivo di carriera?

Qual è il tuo obiettivo di carriera? Da consulente alla carriera, le risposte che spesso si raccolgono a questa domanda sono descritte in termini di risultati attesi: avere un aumento di stipendio, avere un posizionamento migliore rispetto al ruolo ricoperto, cambiare contesto aziendale o settore.

Ai più, i risultati sembrano obiettivi. “È lì che voglio arrivare!”

Quali sono dunque le implicazioni quando confondiamo gli obiettivi con i risultati?

Vediamone tre:

  1. Non vedo il “come”, la strada: “come faccio ad arrivare lì?” Senza un obiettivo, risulta difficile costruire strategie
  2. Non uso fino in fondo il “dove sono”, sottovaluto l’analisi del punto di partenza, del patrimonio di conoscenze e competenze che ho a disposizione
  3. Non ho strumenti per individuare eventuali errori e per gestirli

Accade dunque che, anziché lavorare alla costruzione di un obiettivo fondato e di un piano di azione coerente, il modo di procedere diventi casuale oppure si deleghi all’esterno la responsabilità del proprio percorso di sviluppo professionale.

Da dove ri-partire allora? Quali caratteristiche deve avere un obiettivo per poter essere definito tale?

Ancora tre i punti a disposizione:

  1. Un obiettivo è astratto! Ma come, si chiederà qualcuno? Come “astratto”? La caratteristica metodologica dell’astrazione è quella che garantisce all’obiettivo di generare processi, ovvero di avere la forza di far vedere più strade possibili, di attivare percorsi concreti. Ma la concretezza viene dopo, nel piano d’azione. Non può essere una caratteristica dell’obiettivo, pena la perdita della sua capacità generativa
  2. Un obiettivo è condivisibile! Significa che non può essere frainteso, non può essere compreso in modo diverso da persone diverse. Qual è l’utilità di questa caratteristica metodologica? La condivisibilità serve a garantire la “terzietà” dell’obiettivo, ovvero ci “obbliga” ad esplicitare i criteri e i riferimenti su cui lo costruiamo. In base a cosa lo definiamo così? Cosa intendiamo con le parole che utilizziamo?
  3. Un obiettivo è misurabile! Èdall’obiettivo che discendono gli indicatori di processo e di risultato che mettono nella condizione di misurare costantemente il “dove siamo” rispetto all’obiettivo. Non si dà a livello teorico che l’obiettivo, vista la sua astrattezza, sia “raggiunto”, sebbene nell’accezione comune utilizziamo l’espressione “obiettivo raggiunto”. Conseguiamo risultati e lo facciamo in base agli obiettivi che ci siamo dati. L’obiettivo è il faro, non il porto a cui approdiamo.

E allora da dove partire per costruire un “buon” obiettivo di carriera?

La risposta sembra banale: parti da dove sei. Analizza in ogni suo lato il dove ti trovi, come sei arrivato lì, e soprattutto quali sono le competenze che esprimi e quali quelle su cui sai (o puoi scoprire) che ti serve lavorare.

Una valutazione rigorosa delle competenze che possiedi e di quelle che ti serve sviluppare è un punto di partenza imprescindibile, una conditio sine qua non per poter definire il proprio faro.

Cosa dici di te, del tuo patrimonio di competenze? Cosa gli altri ti riconoscono? Quali sono i tuoi punti di criticità, i tuoi talloni d’Achille? Quali esigenze di sviluppo di competenze leggi per il tuo percorso?

Nella metafora, prima di scegliere il faro, guarda la nave! Guarda chi sei, quali sono i tuoi valori e le tue competenze.

Lo sguardo alle competenze espresse ed esprimibili è l’analisi necessaria per costruire un obiettivo fondato rispetto al proprio percorso di sviluppo. Non c’è sviluppo di carriera che non passi da uno sviluppo di competenze.

E in base a cosa scelgo poi il faro? Come costruisco un obiettivo correlandolo all’esigenza di sviluppo di competenze? Uno spunto arriva dalle parole di Kurt Vonnegut, che ci esorta così: “Non chiedetevi che lavoro avete voglia di fare, chiedetevi a quale successo volete contribuire”.

Non c’è nulla di delegabile all’esterno dunque. C’è la propria responsabilità da mettere in campo per definire quale contributo vogliamo portare nel mondo. Del lavoro e non solo. I risultati sono conseguenze.

E se la nebbia avvolge la nave e rende difficile vedere il faro, uno strumento c’è. La consulenza alla carriera si pone esattamente lì, nel coadiuvare l’analisi e il processo di costruzione del motore del proprio sviluppo: l’obiettivo di carriera.

Sul concetto di Opportunità nel mondo del lavoro

Per scelta, nel mio percorso professionale, mi sono occupata delle carriere delle persone, prima supportando le imprese a identificare il candidato ideale, e ora, lavorando a servizio di chi ha deciso di investire su di sé per la propria crescita lavorativa.

Ho usato spesso la parola opportunità per presentare, in qualità di selezionatrice, una job description ai miei candidati o per offrire un feedback nel mio ruolo di Career Coach rispetto a bivi professionali da intraprendere.

Spesso oggi, e ancora di più con il dipanarsi dell’emergenza, ho sentito usare  dalle persone questa parola – opportunità- con i significati più disparati- Spesso alludono proprio a un’assenza di opportunità, come se queste fossero semplici commodity da acquistare, senza invece chiedersi se ciascuno di noi può essere un generatore di “finestre sul mondo” per sè stessi,  per la propria azienda e per la comunità.

È raro che la parola opportunità venga pronunciata senza ricadere nel cliché motivazionale. Viene spesso usata per palesare un desiderio, in cui sovente manca  un vero e proprio disegno strategico relativo al proprio percorso di carriera, oppure per evidenziare scenari forieri di criticità.

In questo scenario, parlare di opportunità significa cambiare  paradigma. Dobbiamo  accogliere un sistema che contempli la responsabilità del singolo e non solamente delle organizzazioni e delle imprese come unici player capaci di cambiare la sorte professionale di professionisti e manager.

L’opportunità, per diventare massima espressione della possibilità umana, non può essere considerata come uno stato finito e non ripetibile, una condizione statica in cui si crea un connubio fatto di occasione fortuita unito a serendipità.  .

E in un momento di complessità di mercato come questo, in cui le caselle degli organigrammi non si moltiplicano ma si trasformandola domanda da porci è: “in che modo possiamo creare valore e contribuire attraverso i servizi di consulenza di carriera (per fare leva sul classico ciclo “demand and supply”?”

In questa direzione si inserisce la nuova struttura del programma di orientamento e sviluppo professionale, e dei relativi Career Services, costruito all’interno del MIP, la Business School del Politecnico.

L’approccio adottato implica dover ripensare il concetto di employability e e di “placement” – ovvero il candidato giusto al posto giusto.

Nello specifico, l’innovazione consiste nel dare agli studenti un ruolo in prima linea. Grazie allo sviluppo e il rinforzo di un set di competenze specifico, le “Career Management Skills”. Oggi anche la  comunità EU, riconosce queste skill quali capisaldi per governare con successo la dinamicità del mercato del lavoro, che in momenti di crisi come l’attuale pandemia, evidenzia il suo essere imprevedibile.

La sfida di “muoversi” in modo efficace entro un contesto, come quello del mercato del lavoro, in continuo cambiamento, mette la forza lavoro- professionisti, manager, executive/imprenditori – di fronte all’esigenza non solo di affrontare i cambiamenti, ma di apprendere a leggere e anticipare scenari evolutivi al fine di costruire, , “alternative di carriera”. In tutto questo gli studenti giocano un ruolo attivo, partecipando all’individuazione disentieri non ancora battuti e potenziando le “occasioni” di incontro create dal MIP con il mondo delle imprese.

Vedere spiragli di possibilità da trasformare in vantaggio competitivo, generare condizioni per costruire un passo verso il cambiamento, intuire l’invisibile e usare ciò che si ha a disposizione in modo strategico ha a che fare molto con i concetti di visione, imprenditorialità e leadership. In particolar modo questo implica poter applicare all’individuo quei metodi rigorosi, come strategia e design thinking, che vengono solitamente riservati al business.

Imprenditore non è solo colui che dà vita ad una azienda; può esserlo ognuno di noi, nei diversi ruoli disponibili. Imprenditore è chi costruisce contributi di valore per i propri interlocutori, dirige le attività che lo coinvolgono arrivando a traguardi che sembravano impossibili.

Le persone con cui ho lavorato e che sono riuscite a interiorizzare questi principi come linee guida per un continuous improvement di sé hanno fatto germinare meravigliosi fiori in campi aridi sui quali nessuno avrebbe investito nemmeno una semina senza certezza del raccolto.

Opportunità è anche questo: navigare nell’incertezza del risultato continuando a dare forza alla linea direttrice che abbiamo intravisto, essere disposti ad ogni sforzo, moltiplicando occasioni o gettando ponti per spingersi verso orizzonti mai esplorati.