Cambiamento climatico: un grado in più di temperatura costa mancati ricavi alle imprese italiane

Analizzate oltre un milione di aziende per dieci anni (2009-2018): Centro e Nord Est le zone più colpite. Le maggiori perdite si registrano nei settori costruzioni, finanza, estrazioni e ICT, pochi danni a turismo, agricoltura e trasporti.

 

Il cambiamento climatico costa al sistema economico, e non poco: esaminando dieci anni (2009-2018), un grado in più di temperatura ha determinato una riduzione media di fatturato e redditività per le imprese italiane pari rispettivamente a -5,8% e -3,4%. Se poi si considerano le variazioni effettive della temperatura nelle varie aree geografiche, nel solo 2018 – anno particolarmente caldo – il nostro tessuto imprenditoriale ha registrato mancati ricavi per 133 miliardi di euro, con le maggiori perdite percentuali al Nord Est e al Centro.

È quanto emerge dal primo anno di attività dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico di Milano, che lo scorso 27 aprile 2021  ha presentato i principali risultati in un convegno online dove sono intervenuti istituzioni, imprese, investitori e associazioni di categoria. Il surriscaldamento globale è ormai a pieno titolo un tema economico.  “Abbiamo sviluppato un database che incrocia le informazioni economico/finanziarie su 1.154.000 imprese in Italia tra il 2009 e il 2018 (22 milioni in Europa) con i dati metereologici di temperatura, piovosità, irraggiamento solare dal 1950 – spiega Vincenzo Butticè, vicedirettore dell’Osservatorioper trovare evidenze empiriche solide sul rapporto che lega clima e sistema economico”. Ne sono derivate metriche affidabili per supportare gli enti regolatori, le istituzioni finanziarie e le realtà produttive nell’analisi economico/finanziaria del cambiamento climatico.

L’Osservatorio ha infatti calcolato i danni reali, non ipotetici, dovuti all’aumento della temperatura di 1 grado centigrado in Italia: le piccole imprese sono quelle che più hanno perso in redditività, mentre le grandi realtà, potendo meglio agire sui costi e sui processi, nonostante una diminuzione di ricavi e di domanda, hanno contenuto meglio le perdite in marginalità.

Tra i settori, ad aver patito i maggiori contraccolpi dall’aumento di temperatura sono le costruzioni, la finanza e le estrazioni. L’information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno visto lo stesso calo di fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità più contenuta. Il manifatturiero e il retail sono i settori che si sono meglio difesi, preceduti solo da agricoltura, turismo e trasporti.

In termini geografici invece, sempre a fronte di un grado in più di temperatura, la ricaduta è stata peggiore nel Centro Italia e nel Nord Est, dove però le aziende sono riuscite a conservare una maggiore marginalità. Il Nord Ovest ha visto una brusca perdita di redditività ma non altrettanto di fatturato, mentre il Sud e le Isole hanno risentito poco dei cambiamenti climatici.

Esaminando invece il calo di fatturato in cifre assolute, le perdite decisamente più consistenti si sono registrate in Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana.

La gestione delle conseguenze del cambiamento climatico e le strategie di mitigazione rappresentano la maggiore sfida che le economie mondiali dovranno affrontare nel corso nei prossimi anni – commenta Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio Climate Finance -. Ad esempio, l’analisi mostra come un’alluvione possa costare alle aziende del territorio colpito fino al 4% di fatturato e una perdita di valore degli attivi di bilancio di circa lo 0.9%, che sale all’1,9% nel caso di un incendio di vaste proporzioni. Anche l’emergenza mondiale legata alla pandemia ha contribuito ad aumentare la percezione del rischio, perché ha mostrato come gli attori economici subiscano conseguenze non solo in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso i canali della domanda, dell’offerta o della propria catena di approvvigionamento”.

Dal punto di vista regolatorio e normativo, nel corso degli ultimi mesi sia la Commissione Europea che le agenzie di regolazione hanno redatto un numero elevato di documenti per migliorare la comprensione delle interrelazioni fra rischi climatici e attività economiche. Un esempio è costituito dalla “Tassonomia verde”, un documento che identifica, all’interno dei diversi settori, gli interventi in grado di promuovere l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici evitando nel contempo impatti negativi sull’ambiente.

E’ estremamente importante individuare i rischi e identificare strumenti e metriche per quantificare l’esposizione climatica delle attività in portafoglio. In questa direzione rilevante è l’azione della BCE, che ha condotto un’analisi su circa 4 milioni di imprese e 2.000 banche per identificare l’esposizione del sistema finanziario fino ai prossimi 30 anni. Lo studio rivela che i costi per adottare ora strategie di adattamento e mitigazione sono di gran lunga inferiori a quelli che si rischia di dover pagare in futuro: secondo la BCE, la probabilità di default delle banche sarà tanto più elevata quanto minori saranno le azioni intraprese dal sistema economico per modificare la traiettoria di incremento della temperatura.

 

Per maggiori informazioni: https://www.osservatoriefi.it/efi/2021/04/28/climate-change-finance-rischi-e-opportunita-per-le-imprese/

Come le scienze comportamentali ci aiutano a salvare il pianeta

 

Come si comportano i consumatori nei confronti delle politiche energetiche e climatiche? Gli interventi di riduzione delle emissioni, dalle tasse alle campagne informative, funzionano davvero?

Lo ha indagato il progetto europeo ERC COBHAM del Prof. Massimo Tavoni, del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, che integrando discipline diverse come economia comportamentale, reti complesse, analisi dei big data e modellistica, ha identificato un modello di comportamento dei consumatori e ne ha valutato l’impatto.

In particolare, nel progetto ERC COBHAM (The role of consumer behaviour and heterogeneity in the integrated assessment of energy and climate policies) sono stati testati su centinaia di migliaia di persone in Europa, Stati Uniti, Cina e in Paesi in via di sviluppo, una varietà di interventi comportamentali e la loro efficacia nel far risparmiare energia ed emissioni di CO2.

Le analisi di COBHAM si sono concentrate sulle politiche ambientali basate sul “dare informazioni” utilizzando i “nudge” (interventi comportamentali e strumenti informativi per promuovere scelte pro- ambiente). Tra gli altri è stato condotto un esperimento su 500 famiglie americane sull’uso dell’aria condizionata per testare la teoria psicologica della “discrepanza morale”, in base alla quale le persone evitano informazioni che potrebbero costringerli ad agire moralmente.
L’esperimento ha provato che l’imposizione di un sentimento di obbligo morale per ridurre l’uso di aria condizionata porta ad evitare le informazioni sulle conseguenze dei consumi energetici sull’ambiente. Ovviamente questo effetto è particolarmente significativo quando fuori fa caldo. Quando le famiglie evitano di conoscere gli impatti ambientali dell’aria condizionata, i loro consumi elettrici aumentano del 10%.

Cobham ha dimostrato come gli interventi comportamentali possano aiutare a ridurre l’impatto ambientale individuale, ma anche come gli effetti varino significativamente per tipologia di famiglia e di politica ambientale e che i “nudge”, che sono poco costosi e socialmente accettabili rispetto a strumenti tradizionali come la tassazione ambientale, sono strumenti utili di accompagnamento alle politiche pubbliche tradizionali, ma non le sostituiscono.

In conclusione, a seguito della varietà e non razionalità del comportamento umano, la natura e la forma dell’intervento di politica pubblica deve cambiare per poter risultare efficiente. Bisogna affiancare a strumenti di intervento ambientali classici, quali la tassazione, altri come i “nudge” o i sussidi che agiscano sul comportamento umano e facilitino il cambiamento.

COBHAM: European Research Council under the European Union’s Seventh Framework Programme (FP7/2007-2013) / ERC grant agreement no. 336155