La comunicazione ha bisogno di rotondità

Oggi quando parliamo di pubblicità, pensiamo subito a slogan accattivanti e messaggi che lasciano il segno. Ce ne sono alcuni che sono diventati iconici, basti pensare al “Just do it” della Nike o a “Un diamante è per sempre” di De Beers.Eppure, non è sempre stato così. In origine, le agenzie di comunicazione si limitavano alla vendita di spazi pubblicitari, mentre i claim – ideati dai venditori – avevano un messaggio univoco. Comprami.  È stato J. Walter Thompson, a inizio ‘900, il primo ad affidare la concezione dei claim pubblicitari a scrittori e sceneggiatori teatrali, trasformando così le pubblicità da semplice invito all’acquisto a contenuto di comunicazione di qualità.

Da allora, come è cambiato il ruolo della comunicazione? E quali sono le prospettive di carriera in questo settore? Lo abbiamo chiesto al Prof. Lucio Lamberti, Direttore International Master in Media and Communication Management del MIP.

 

A volte, si ha una percezione un po’ limitata di cosa significhi “fare comunicazione”. Come mai? E qual è il ruolo che invece ricopre oggi?

Fare il capo della comunicazione è un po’ come fare l’allenatore della Nazionale di calcio: tutti hanno la propria opinione in merito. È molto percepibile che cos’è la comunicazione e forse proprio per questo viene vista come qualcosa di banale. Invece non lo è affatto.

Basti pensare a quanti ruoli diversi ci sono in questo settore. C’è chi acquista spazi pubblicitari, chi progetta i messaggi di comunicazione, chi fa pubbliche relazioni, chi si occupa dei social network, chi fa Search Engine Marketing…
Tra l’altro, la comunicazione è un fenomeno economico tutt’altro che banale, da cui dipende anche una filiera occupazionale importante. Per darvi un’idea, l’investimento a livello globale in pubblicità si aggira intorno ai 590 miliardi di dollari all’anno, di cui il 25% è dedicato al digitale.

Investimenti che, per raggiungere gli obiettivi di comunicazione prefissati, devono essere allocati su diversi canali. Per farlo, non solo è importante conoscere perfettamente come i singoli canali possono contribuire al raggiungimento del risultato,ma anche saperli orchestrare in modo da veicolare un’immagine coerente e di valore. Ma non solo, occorre anche valutare quale fetta del budget destinare a ogni canale.
Dopotutto, non è così banale come può apparire a prima vista. Anzi, è richiesta una professionalità avanzata. Ed è da questa necessità che è nato l’International Master in Media and Communication Management.

 

Da quelle prime agenzie di comunicazione dedite solamente all’acquisto di spazi pubblicitari, il settore ne ha fatta di strada. In che modo è cambiato l’approccio delle aziende e delle agenzie?  

Il digitale ha cambiato il mondo della comunicazione, rendendola accessibile non solo alle grandi realtà ma anche quelle più piccole, grazie a meccanismi come il cost per click.

L’avvento dei canali digitali ha messo in evidenza anche il tema dell’ottimizzazione delle spese di comunicazione. Grazie a modelli statistici, è possibile infatti modificare le percentuali di budget allocato ai vari canali in modo da ottimizzare l’output in termini di vendite, brand awareness…

Non è un’operazione semplice, tutt’altro. E infatti, tradizionalmente, le aziende si sono sempre appoggiate alle agenzie per farlo.
Agenzie che, dopo aver subito una grande frammentazione negli anni a causa di una eccessiva specializzazione, oggi stanno andando nella direzione contraria. Abbiamo assistito a un consolidamento che ha portato alla formazione delle big 4 – WPP, che tra l’altro è partner del Master, Omnicon, Publicis e Interpublic – a cui si è aggiunta Dentsu.

Le agenzie sono importanti per le aziende anche perché hanno una visione del mercato tale da identificare i nuovi trend di comunicazione e conoscere al meglio le piattaforme, che sono in continua evoluzione.
Questo è sempre più importante perché, con l’esplosione dei canali digitali, la comunicazione si è trasformata in conversazione. Oggi le aziende sono chiamate ad ascoltare, oltre che a comunicare. Il che rappresenta un’opportunità per conoscere meglio il proprio target e identificare i toni, i registri e i contenuti a cui è sensibile.

Sapevate che, secondo le statistiche, siamo espositi a più di 800 messaggi di marketing al giorno? Di questi, quali ricorderemo? Probabilmente quelli che per noi sono rilevanti. E solo ascoltando il consumatore, un’azienda può capire cosa è rilevante per il proprio pubblico.

 

Appare evidente che il mondo della comunicazione è molto vario e in continua evoluzione. A livello di opportunità professionali, quali sono i profili più ricercati oggi e quale consiglio vuole dare a chi desidera entrare in questo settore?

Il mio consiglio? Di non porsi come obiettivo quello di diventare social media manager. Non perché non sia una professione valida o interessante, ma perché in questo momento un professionista della comunicazione dovrebbe avere una visione a 360 gradi. Non è tanto importante specializzarsi, ma piuttosto comprendere a fondo i processi. La specializzazione si costruisce nel corso del proprio percorso professionale. Chi ha le basi, ha anche la capacità di trasformarsi di pari passo al mondo della comunicazione.
L’obiettivo è dell’International Master in Media and Communication Management è proprio questo: creare un professionista rotondo, che conosca tutto sufficientemente bene, ma che la cosa che conosce meglio è il tutto.

Questo significa saper comprendere i vari canali, le logiche di comunicazione, conoscere i processi creativi così come gli aspetti analitici. Vogliamo che i nostri studenti possano comprendere sia il punto di vista del committente, ovvero l’azienda, che dell’agenzia, che è l’esecutore.
Infatti, il lavoro in agenzia è molto diverso da quello del responsabile comunicazione di un’azienda. Motivo per cui all’interno del Master abbiamo deciso di valorizzare questi due diversi approcci tramite due filoni dedicati.

C’è poi un altro tema che un professionista “rotondo” non può ignorare: è quello della sostenibilità.
A volte si pensa che comunicazione e sostenibilità siano termini antitetici, dimenticando che gli stessi strumenti possono essere usati in un’impresa così come in una ONG. Anzi, proprio il settore No Profit spesso è un esempio di grandi capacità a livello comunicativo e di importanti investimenti nel settore.
Diverso è invece quando si parla di comunicazione sostenibile nel senso di etica. Infatti, è importante che un professionista conosca i confini entro i quali muoversi per evitare di scadere nella comunicazione ingannevole o nel greenwashing. Ecco perché abbiamo inserito anche questo aspetto nel programma del Master.

Il mondo della comunicazione è un ecosistema frammentato, che vede la partecipazione di player diversi, con ruoli diversi e a volte sovrapposti. Solo chi ne ha una visione chiara è in grado non solo di gestire la complessità che ne deriva, ma anche di sfruttarla per creare valore.

È proprio questa la cifra caratterizzante di questo master: creare un professionista in grado di sapersi adattare al contesto.

Infatti, in un mondo che corre sempre più veloce, quello di cui hanno bisogno le aziende è di una persona che sia in grado di muoversi non solo in verticale, ma anche in orizzontale, in modo da poter essere speso su più fronti.

È tutta una questione di mindset. E qui arriva il valore aggiunto di fare un master in comunicazione in una scuola di ingegneri. Un certo tipo di impostazione nella risoluzione dei problemi ti permette di gestire tutto, dalla progettazione di un impianto ingegneristico automatizzato alla modellizzazione delle interazioni sociali.