Valorizzare i beni culturali attraverso l’innovazione digitale: la multidisciplinarietà come asset di sviluppo

L’approccio multidisciplinare alla valorizzazione dei beni culturali, in grado di unire la conoscenza del bene e del costruito con le competenze manageriali applicate al contesto specifico, possono rappresentare una chiave strategica per il rilancio del Paese.

 

Deborah Agostino
Associate Professor in Accounting Finance and Control e Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei beni e nelle attività culturali, School of Management Politecnico di Milano.

Stefano Della Torre
Professore Ordinario di Restauro, Politecnico di Milano e Direttore del Master in Management dei Beni e delle Istituzioni Culturali – MIP Graduate School of Business, Politecnico di Milano

 

La situazione pandemica attuale ha riportato al centro dell’attenzione l’importanza di avere un approccio multidisciplinare alla valorizzazione dei beni culturali, che unisca le competenze umanistiche a quelle tecnico-scientifiche.
Il patrimonio culturale è di per sé multidisciplinare, nella diversità dei meccanismi con cui può produrre benefici per lo sviluppo locale, e la resilienza in occasione delle grandi crisi. Nel corso degli ultimi anni si è parlato a più riprese dell’importanza di comprendere nella valorizzazione tutta la complessità dei beni culturali, coinvolgendo discipline diverse, dall’archeologia all’architettura, alla chimica alla matematica fino ad arrivare alle scienze dei materiali, al design e al management.

Con la chiusura fisica dei luoghi della cultura italiani a seguito dei decreti legislativi volti a contenere la pandemia Covid-19, , si è sottolineata ulteriormente l’importanza di creare sinergia tra figure professionali differenti per valorizzare il patrimonio, anche e soprattutto in momenti di crisi. In questo specifico momento storico è l’innovazione digitale, e la capacità di presidiare il canale digitale, a creare il fil-rouge tra discipline differenti. L’esperienza di fruizione si è momentaneamente spostata dal luogo fisico al luogo digitale: la visita in loco si è trasformata in tour virtuali, le visite scolastiche in momenti online o gli eventi e le manifestazioni in loco in dirette streaming. Nella maggior parte dei casi, l’erogazione di questi servizi non è avvenuta in modo strutturato con un team di professionisti. Al contrario, spesso è stato un approccio emergente e di sopravvivenza dettato dalla contingenza, scontando il ritardo su diversi fronti. La School of Management ha monitorato le tipologie di contenuti digitali proposti così come le risorse dedicate. Se i risultati in termini di partecipazione online agli eventi sono stati mediamente elevati (la partecipazione online dei pubblici è raddoppiata nei mesi di lockdown rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), non si può dire lo stesso per le competenze e le risorse coinvolte. Infatti, i risultati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Nelle Attività Culturali della School of Management mostrano che, a livello italiano, un museo su due è dotato di professionisti con competenze dedicate al digitale. Di questi, solo il 6% ha un team dedicato con un digital manager e un set di professionisti.

Sebbene l’approccio emergente utilizzato nel primo lockdown abbia garantito l’erogazione di contenuti culturali in digitale con le risorse disponibili, occorre ora fare una riflessione più strutturata rispetto alla sostenibilità nel medio-lungo periodo del modello di business, ulteriormente provato dalle chiusure e relativi mancati incassi. Questo richiede una riflessione su almeno tre aspetti:

  • La tipologia di contenuto culturale digitale, che non può essere una mera traduzione in digitale delle attività pensate per la fruizione in loco. Occorre, al contrario pensare e sviluppare offerte “native digitali”.
  • I meccanismi di revenue associati alla nuova offerta culturale digitale. I contenuti digitali emergenti nei periodi di lockdown sono stati gratuiti, ma questo non contribuisce alla sostenibilità economica dei musei.
  • Le competenze professionali da ingaggiare nello sviluppo del progetto che, inevitabilmente, deve unire le competenze sul patrimonio e sulle opere con le competenze manageriali, tecnologiche e del design dell’esperienza.

In questo contesto, la School of Management è attiva nel percorso di innovazione digitale delle istituzioni culturali, sia con la ricerca che con la formazione.
Sotto il profilo della ricerca, sono attivi progetti incentrati sull’analisi di nuovi modelli di business sostenibili, sugli approcci di digital transformation messi in atto e sulla misurazione degli impatti generati dall’innovazione. Ad esempio, con riferimento ai nuovi modelli di business, stiamo mappando le offerte fully digital e i relativi meccanismi di costo e ricavo. Dalle prime evidenze emerge una difficoltà nell’identificare una value proposition in grado di evidenziare il valore di una fruizione culturale digitale; questo vuol dire che se il visitatore è disposto a pagare il biglietto per la visita in loco, non è disposto a farlo per una attività digitale. La ricerca è nella fase iniziale, ma proseguirà nella mappatura dei modelli adottati a livello nazionale ed internazionale, anche in settori affini, in modo da contribuire alla definizione di un possibile “phygital approach” che sia in grado di unire la “fisicità” del patrimonio culturale al valore aggiunto dell’esperienza di fruizione digitale.

Sotto il profilo della formazione, è oggi più che mai necessario formare dei profili professionali multidisciplinari, includendo due competenze trasversali chiave: le soft skills e la capacità di comprendere linguaggi diversi all’interno del mondo dei beni culturali, e l’innovazione digitale, che comprende sia l’innovazione nel design dell’esperienza di fruizione, ma anche l’innovazione nelle tecniche di conservazione e nuovi linguaggi digitali. In questo contesto, la School of Management con il Master in Management dei Beni e delle Istituzioni Culturali – un unicum nel panorama italiano per aver unito le competenze politecniche dell’architettura, del management e del design in un unico percorso si è posta l’ambizioso obiettivo di formare figure apicali in grado di presidiare e governare i grandi cambiamenti in atto nel mondo dei beni culturali, unendo una profonda conoscenza del bene e del costruito con le competenze manageriali applicate al contesto specifico.
Questo è stato fatto con un approccio applicativo che consente di “sperimentare” nel contesto reale, la complessità nella gestione e valorizzazione del bene, favorendo il dialogo tra “teoria” e “pratica”, fra università e istituzioni culturali e tra professionisti diversi.
È una sfida ambiziosa quella che ci siamo dati, ma che riteniamo, oggi più che mai, possa essere un valore aggiunto per il mondo dei beni culturali, che sono parte del programma di rilancio del Paese.

 

Multidisciplinarietà: una nuova disciplina

 

Intervista a Vittorio Chiesa
Presidente MIP Graduate School of Business

 

Viviamo in un mondo caratterizzato da crescente contaminazione tra le discipline, in cui i profili professionali richiesti dalle imprese sono mutevoli: quale ruolo può avere una business school in questo contesto?

Il settore delle business school evolve di pari passo con le imprese e con il ruolo che queste assumono nella società in senso ampio. E’ da tempo che alle imprese viene richiesto di operare con “purpose”, ossia agire non solo per profitto ma per scopi più elevati, con la finalità di avere un impatto positivo su tutto il sistema di cui sono parte. Sia i mercati che i consumatori dimostrano una sensibilità crescente sul tema e per questo motivo per le imprese avere un rapporto con i propri stakeholder è diventato un elemento imprescindibile.

Allo stesso modo, le business school devono avere la medesima attenzione sia nei confronti degli allievi, sia nei confronti delle imprese. E’ con questo obiettivo in mente che quest’anno abbiamo ottenuto la certificazione Bcorp (Benefit Corporation) entrando nella community internazionale di società che si distinguono per l’impegno a coniugare profitto, ricerca di benessere per la società, inclusione, attenzione all’ambiente.

Il “purpose” deve diventare parte fondamentale nello sviluppo delle competenze delle persone, affinché si formino manager capaci di concepire l’impresa al servizio della società.
Si tratta di un salto culturale che le stesse imprese ci chiedono e che possiamo facilitare, insegnando ai nostri allievi come un’impresa possa e debba contribuire in modo positivo in un sistema e un territorio.
E’ questo il nostro ruolo: preparare professionisti a introdurre innovazioni fortemente orientate a “purpose” di natura non solo economica ma anche sociale.

La multidisciplinarietà è funzionale a questo obiettivo in quanto impone ampiezza di vedute, flessibilità, spirito critico, intuizione. Formare oggi non è solo specializzare in ambiti ristretti, è soprattutto contaminare con altre discipline per creare profili professionali più completi, capaci di analisi di livello sistemico e in grado di guidare le imprese definendo e ispirandosi ad un “purpose”.

La multidisciplinarietà quindi come strumento per mantenere una mentalità aperta ed elastica nei confronti del mondo. Come integrarla nella formazione?

Tradizionalmente l’approccio alla multidisciplinarietà è quello di fornire prospettive diverse all’interno di un percorso formativo, quindi offrire contributi diversi all’interno della formazione di base e specialistica. La sintesi tra multidisciplinarietà e competenze specialistiche è poi in genere lasciata al singolo individuo.

Ma è possibile applicare un approccio radicalmente diverso integrando in un percorso formativo la multidisciplinarietà, e facendola diventare parte integrante qualsiasi tema si insegni. La sfida oggi è proprio gestire la complessità di questo nuovo approccio, usando per esempio tecniche didattiche innovative che, modificando la logica di interazione tra docente e allievo, possano rendere più efficace questo tipo di formazione. Al momento non è di ampia e facile diffusione, ma sono certamente in corso diverse sperimentazioni.

Richiede una progettazione dei percorsi formativi specifica e quindi anche i docenti, o meglio gruppi di docenti, che operino in team vanno preparati in questa direzione. Dall’altro lato, la formazione multidisciplinare ha bisogno di maggiore interazione, quindi di essere erogata con piccoli gruppi e con forte ricorso a format didattici che coinvolgono gli allievi in modo attivo.

Credo che in futuro l’elemento distintivo tra le offerte formative sarà proprio questo: da un lato iniziative con contenuti specialistici fornite con modalità standardizzate e per grandi numeri, dall’altro iniziative con contenuti più trasversali e metodologie didattiche innovative, dedicate a gruppi più circoscritti.

In questo periodo si parla molto di life-long education come chiave per l’aggiornamento continuo delle competenze. E’ una dinamica che si interseca con quella della multidisciplinarietà?

L’apprendimento continuo vuol dire rimanere allineati con l’evoluzione del contesto e questo avviene solo raramente o in parte attraverso degli approfondimenti verticali. Più spesso equivale ad un allargamento del profilo professionale.

Anche per il life-long learning quindi vale quanto detto finora: deve avvenire su contenuti più ampi, ma anche in modi diversi dal passato, usando per esempio specifiche piattaforme in grado di trattare ampi spettri disciplinari.

“Purpose” e multidisciplinarietà: quali sono i piani del MIP per il futuro relativamente a questi aspetti?

Inserire in tutti i programmi formativi dei moduli sul “purpose”, sul ruolo dell’impresa e quello dei managers in qualità di leader e innovatori in questa direzione.

Sempre su questo tema, inaugurare dei “Purpose lab”, ovvero iniziative formative dedicate a studiare e analizzare in profondità come un’impresa possa costruire il proprio purpose, e supportare così i vertici delle imprese in questa evoluzione.

Infine innovare i formati di erogazione dei nostri servizi, affinché la scuola non sia solo un luogo di formazione, ma un luogo che favorisca la crescita di una persona a tutto tondo: dalla valutazione delle competenze, all’orientamento, allo sviluppo professionale.