La condizione “ibrida” delle organizzazioni come strumento chiave per lo sviluppo di business sostenibili

Le imprese non puntano solo al profitto: lo studio del Politecnico di Milano e dell’Università di Bologna analizza le organizzazioni ibride, aziende che integrano sostenibilità e crescita economica. Focus sulle B Corp, con due macro-tipi di condizione ibrida: missione sociale interna o strategia di mercato. Un modello per il futuro del business sostenibile.

 

Nel panorama economico attuale, caratterizzato da crisi ambientali e sociali sempre più urgenti, le imprese non possono più limitarsi a massimizzare il profitto. Cresce la consapevolezza che il successo aziendale debba essere misurato non solo in termini finanziari, ma anche in base all’impatto sociale e ambientale generato. In questo contesto si inseriscono le organizzazioni ibride, ovvero quelle imprese che si distinguono per integrare una logica sia sociale che economica nel modo di fare impresa.

Ma cosa significa realmente essere un’organizzazione ibrida? Lo studio condotto da Leonardo Boni, Assistant Professor della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, e afferente al centro di ricerca TIRESIA, insieme a Riccardo Fini e Laura Toschi dell’Università di Bologna, analizza la natura e misura le varie sfaccettature della condizione ibrida all’interno di un campione di imprese italiane che possiedono la certificazione B Corp, uno standard ottenuto da imprese for-profit che possiedono alti livelli di performance sociali ed ambientali.

Lo studio propone una scala di misurazione dell’ibridazione che si sviluppa su tre livelli principali:

  • L’emergere della condizione ibrida – Perché un’azienda decide di perseguire obiettivi sociali insieme a quelli economici? Le motivazioni possono essere strategiche (migliorare la reputazione, attrarre nuovi clienti sensibili alla sostenibilità) o più profonde, legate alla visione etica dell’imprenditore e all’influenza di stakeholder esterni.
  • L’integrazione della dimensione sociale – Non basta dichiarare un impegno verso la sostenibilità, serve tradurlo in azioni concrete. Le imprese ibride devono poter sviluppare competenze specifiche per gestire al meglio il duplice obiettivo economico e sociale, adottano processi interni per allineare governance e strategia d’impresa, e creano meccanismi di incentivazione per i dipendenti.
  • Lo sviluppo della tesi di impatto – Le imprese ibride non si devono limitare a mitigare gli effetti negativi della loro attività, ma devono puntare a creare un impatto positivo duraturo. Questo approccio richiede la definizione di una chiara tesi di impatto: quali obiettivi sociali e ambientali si vogliono raggiungere? Come misurarli?

Dall’analisi di 101 B Corp italiane, lo studio ha identificato e validato una scala di misurazione con quattro fattori: (i) l’interpretazione strategica dell’impatto sociale; (ii) le dinamiche individuali e imprenditoriali; (iii) la diffusione di competenze organizzative; e (iv) l’influenza degli attori esterni. Da questa scala, lo studio ha prodotto come risultato due macro-tipi di imprese ibride:

  • Le B Corp orientate all’identità interna – Imprese che nascono con una missione sociale forte e la incorporano in ogni aspetto della loro strategia. Per loro, il profitto è un mezzo per amplificare l’impatto positivo.
  • Le B Corp orientate al mercato – Aziende che adottano il modello B Corp per differenziarsi, attrarre investimenti e rispondere a pressioni esterne (clienti, fornitori, istituzioni).

Questo studio aiuta la comprensione di come e quanto un’impresa coglie una condizione ibrida, supportando il percorso di innovazione e di aggiustamento di pratiche e processi fondamentali alla generazione di impatti sociali positivi. Da questo paper si supera la divisione tra profit e non-profit, ma si propone alle due anime di poter coesistere in modelli organizzativi che possono essere misurati e realizzati.

SOMe, l’eMagazine della POLIMI School of Management, si rinnova

Una nuova veste grafica e tanti contenuti di valore per il nuovo numero di SOMe, l’eMagazine della POLIMI School of Management.

L’ultima edizione offre uno sguardo approfondito su ricerca, innovazione e iniziative strategiche che caratterizzano la nostra Scuola.

 

Tra ricerca, purpose e transizione digitale

In questo numero, esploriamo le più recenti pubblicazioni scientifiche della Faculty, con focus sulla disclosure in R&D, la sicurezza nei luoghi di lavoro nelle PMI manifatturiere e il valore strategico dei dati nel settore Insurtech.

Diamo spazio ai risultati dell’Osservatorio Purpose in Action e a progetti innovativi su idrogeno e sostenibilità marittima, oltre a iniziative a supporto dei giovani NEET.

Chiudiamo con un approfondimento sulla transizione digitale, grazie agli insight emersi dal nostro evento HumanTech Day e alle ultime novità sulla food policy milanese, in cui siamo attivamente coinvolti.

 

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Il Platform Thinking come leva di innovazione per le imprese consolidate: evidenze dall’Italia

Il Platform Thinking è una leva strategica per l’innovazione nelle imprese consolidate, permettendo di creare ecosistemi di valore e sfruttare gli effetti di rete. Un recente studio ha analizzato l’adozione di questo approccio tra le aziende italiane del FTSE MIB.

 

Il Platform Thinking si sta affermando come una strategia cruciale per le imprese consolidate che vogliono innovare e competere in un mercato sempre più digitalizzato. Questo approccio, ispirato ai modelli di business delle grandi piattaforme come Uber, Airbnb e Amazon, permette alle aziende di orchestrare ecosistemi di valore, scalare attraverso gli effetti di rete e sfruttare asset sottoutilizzati.

Uno studio condotto dal Platform Thinking HUB della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, guidato dai professori Daniel Trabucchi e Tommaso Buganza, ha analizzato lo stato dell’adozione del Platform Thinking tra le principali aziende italiane del FTSE MIB, l’indice della Borsa Italiana relativo alle 40 aziende più capitalizzate del Paese. I risultati mostrano che l’88% delle imprese ha avviato iniziative di piattaforma, ma solo il 22% ha realmente adottato un modello multi-sided capace di generare valore attraverso effetti di rete e co-creazione con gli utenti.

Il lavoro di ricerca ha evidenziato tre principali benefici del Platform Thinking per le aziende tradizionali:

  1. Miglioramento dell’efficienza delle transazioni esistenti– Come nel caso di Klöckner, che ha trasformato la vendita di acciaio con una piattaforma digitale aperta anche ai concorrenti.
  2. Abilitazione di nuove transazioni– Come il modello di AXA, che utilizza dati e collaborazione esterna per migliorare la gestione dei rischi aziendali.
  3. Utilizzo strategico dei dati– Come dimostrato da John Deere, che ha sviluppato una piattaforma per l’analisi dei dati agricoli, creando valore per gli agricoltori e nuove opportunità di business.

Tuttavia, lo studio sottolinea anche tre errori comuni che le imprese devono evitare quando adottano il Platform Thinking: trattare i clienti come semplici fornitori, gestire la piattaforma in modo lineare senza sfruttare gli effetti di rete, e investire nella tecnologia senza una chiara strategia di creazione di valore.

L’analisi condotta dalla POLIMI School of Management conferma che il Platform Thinking non è solo un trend, ma una vera e propria opportunità strategica per le imprese consolidate che vogliono innovare. Per avere successo, le aziende devono adottare un approccio consapevole, sfruttando il potenziale delle piattaforme non solo per migliorare l’efficienza, ma per ridefinire il proprio ruolo nell’ecosistema economico.

Questi risultati sono stati recentemente pubblicati nell’edizione di marzo di Harvard Business Review Italia, sottolineando l’importanza del Platform Thinking per il futuro dell’innovazione aziendale.

Dalla pandemia alle tensioni geopolitiche: come cambiano i rischi nella filiera farmaceutica

Crisi sanitarie, instabilità geopolitica e carenza di materie prime stanno ridefinendo le priorità del settore farmaceutico. Uno studio della POLIMI School of Management analizza come le recenti turbolenze globali abbiano trasformato la percezione e la gestione del rischio nella supply chain farmaceutica, evidenziando l’urgenza di strategie integrate, nuove tecnologie e una maggiore collaborazione tra gli attori della filiera.

 

Negli ultimi anni, il settore farmaceutico si è trovato di fronte a sfide senza precedenti. La Brexit, il COVID-19, le tensioni geopolitiche e la crisi delle materie prime hanno messo a dura prova la filiera farmaceutica, dimostrando quanto sia cruciale una gestione efficace dei rischi per garantire la continuità della produzione e della distribuzione dei farmaci.

Una recente ricerca condotta da Claudia Ciceri, Camilla Borsani, Michela Guida, Marco Farinelli e Federico Caniato della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano analizza in profondità queste problematiche. Pubblicata sul International Journal of Operations & Production Management la ricerca si intitola “Impact Pathways: Navigating Risks in the Pharmaceutical Supply Chain – A Multi-Actor Perspective” e fornisce una panoramica sui rischi che colpiscono la filiera farmaceutica e su come vengono percepiti dai diversi attori coinvolti.

Secondo lo studio, i recenti eventi geopolitici hanno cambiato la percezione dei rischi più rilevanti. Se prima le fonti di rischio più severe erano quelle legate a ritardi nella logistica o fluttuazioni dei costi, dopo gli ultimi eventi dirompenti emergono nuove priorità dettate dal contesto globale in continuo cambiamento. Tra i fattori oggi più rilevanti spiccano la scarsità di materie prime, la capacità produttiva insufficiente e le complesse normative di conformità. Inoltre, i diversi attori della filiera hanno percezioni diverse e adottano strategie spesso frammentate per la gestione dei rischi, aumentando la vulnerabilità del settore. Lo studio propone quindi delle nuove direzioni di ricerca per rispondere a esigenze reali e non soddisfatte nell’ambito della gestione del rischio della catena di fornitura farmaceutica.

Innanzitutto, emerge l’importanza di sviluppare modelli di valutazione del rischio che integrino probabilità di accadimento e impatti economici e sociali, consentendo alle aziende di allocare in modo più efficace le risorse per la mitigazione del rischio.

Emerge cruciale il ruolo delle tecnologie digitali come l’intelligenza artificiale, la blockchain e l’internet of things, che potrebbero migliorare la tracciabilità e il monitoraggio della catena di fornitura, aumentando la trasparenza e la reattività agli imprevisti.

Inoltre, l’analisi sottolinea l’importanza di includere nella gestione del rischio l’analisi di fattori macroeconomici e geopolitici, come conflitti internazionali e politiche commerciali, per anticipare possibili interruzioni nella supply chain farmaceutica.

Infine, lo studio vuole incoraggiare gli enti regolatori a includere nelle loro iniziative tutti gli attori coinvolti all’interno della filiera, i quali potrebbero fornire esperienza sul campo per un approccio più integrato alla gestione del rischio. Infatti, attraverso un approccio sistemico, è possibile costruire una supply chain più resiliente e capace di affrontare le sfide future.

La ricerca apre quindi nuove strade per la gestione del rischio, stimolando il dibattito tra accademici, industria ed enti regolatori per affrontare al meglio le sfide di domani.

Per leggere l’articolo completo:  https://doi.org/10.1108/IJOPM-06-2024-0458

Come rendere la consegna a domicilio dell’e-Grocery sostenibile e flessibile con veicoli on-demand

La crescita del commercio di generi alimentari online ha amplificato le sfide della consegna last-mile. Uno studio pubblicato su Computers & Industrial Engineering propone un modello di ottimizzazione che bilancia costi, sostenibilità e flessibilità operativa.

 

La rapida crescita dell’e-grocery – ovvero il commercio al dettaglio di generi alimentari online – ha portato a un aumento della domanda di servizi di home-delivery, in particolare nel settore dell’e-grocery.

Tuttavia, la consegna last-mile – la consegna effettiva dell’oggetto al cliente – è la fase più complessa della supply chain dell’e-grocery e presenta sfide logistiche e ambientali uniche a causa di diversi fattori: i clienti richiedono consegne sempre più rapide e affidabili, la natura deperibile dei prodotti alimentari impone la programmazione delle consegne entro finestre temporali ristrette così da garantire la freschezza e sicurezza dei prodotti riducendo il rischio di mancata consegna.

Questa esigenza può limitare le possibilità di ottimizzare i percorsi di consegna, spesso generando la necessità risorse aggiuntive. L’aumento dei veicoli per le consegne incrementa le emissioni e la congestione urbana, inoltre mantenere una flotta aziendale comporta costi elevati, rendendo particolarmente vantaggiose soluzioni flessibili come le partnership con fornitori di servizi logistici (3PL). Questi fattori creano un ambiente operativo complesso, in cui la necessità di garantire un’elevata soddisfazione del cliente deve essere bilanciata con l’efficienza dei costi e la riduzione dell’impatto ambientale.

Il recente studio, “Sustainable E-Grocery Home Delivery: An Optimization Model Considering On-Demand Vehicles”, pubblicato su Computers & Industrial Engineering, analizza come i rivenditori e-grocery possano sfruttare i fornitori di servizi logistici e flotte di veicoli on-demand per ottimizzare le operazioni di consegna.

La ricerca, condotta da Sara Perotti e Vittoria Tudisco  della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano insieme a Banu Yetkin Ekren e Emel Aktas della Cranfield School of Management, UK, introduce un modello di ottimizzazione che integra la composizione della flotta, le strategie di routing e gli obiettivi di sostenibilità.

Vengono valutati tre diversi approcci di ottimizzazione:

  1. Strategia orientata ai costi: mira a minimizzare il costo totale di consegna.
  2. Strategia orientata alla sostenibilità: privilegia la sostenibilità, mediante una flotta di furgoni a biodiesel.
  3. Strategia bilanciata: equilibra costi e impatto ambientale.

Il modello è stato applicato a un caso studio italiano. I risultati dimostrano che sfruttare i furgoni a biodiesel e ottimizzare congiuntamente la composizione della flotta e i percorsi di consegne può ridurre significativamente le emissioni senza incrementare drasticamente i costi operativi.

L’approccio bilanciato evidenzia che privilegiare metodi di consegna ecologici non comporta necessariamente costi proibitivi. Inoltre, utilizzare veicoli on-demand permette ai rivenditori di evitare investimenti elevati per l’acquisto di mezzi di proprietà, mantenendo al contempo un’elevata flessibilità operativa.

Questa ricerca offre un contributo significativo alla letteratura accademica e fornisce indicazioni pratiche per i rivenditori e-grocery interessati a ottimizzare le loro operazioni di consegna dell’ultimo miglio.

Per maggiori dettagli sull’articolo: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0360835225000191?via%3Dihub

Funding e profittabilità: due facce della crescita delle startup FinTech

Crescere a ogni costo o puntare alla sostenibilità? Le startup FinTech si trovano di fronte a una scelta cruciale: raccogliere fondi per scalare rapidamente o concentrarsi sulla redditività. Un nuovo studio analizza come il funding influenzi il raggiungimento del break-even, offrendo spunti preziosi per investitori e founder.

 

Le startup FinTech rappresentano un motore di innovazione e competizione nel settore finanziario. Tuttavia, raggiungere il break-even – ovvero il punto in cui i ricavi coprono i costi – è una sfida cruciale per la loro sostenibilità e crescita.

Lo studio “Predicting break-even in FinTech startups as a signal for success”, condotto da Claudio Garitta e Laura Grassi della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano e pubblicato su Finance Research Letters, esamina l’impatto del funding sul raggiungimento del break-even, offrendo preziosi insight per investitori, partner e founder.

Funding e sostenibilità

L’ingresso di nuovi capitali è spesso una necessità per le startup, non solo per ottenere risorse finanziarie, ma anche per accedere a competenze e network strategici. Tuttavia, la ricerca evidenzia che le startup FinTech che ricevono investimenti da venture capital (fondi specializzati in startup) sono meno verosimilmente a break-even rispetto a quelle che crescono senza supporto esterno. Questo fenomeno può essere attribuito a diversi fattori:

  • Focus sulla crescita vs. redditività: Il capitale esterno porta aspettative di crescita e un orizzonte temporale più lungo, spesso a discapito della sostenibilità finanziaria nel breve periodo.
  • Gestione finanziaria meno rigorosa: La pressione per espandersi rapidamente può posticipare l’adozione di pratiche di gestione finanziaria più strutturate.
  • Impatto delle negoziazioni: La ricerca di investitori richiede trattative complesse e spesso prolungate, rallentando l’attività operativa. Nelle prime fasi, i founder devono gestire simultaneamente sviluppo del prodotto, vendite e fundraising, con risorse limitate.

Break-even: un segnale per il mercato e le partnership

Nel mondo delle startup, e in particolare nei servizi finanziari, il break-even non è solo un traguardo interno, ma un segnale chiave per investitori e potenziali partner industriali. Raggiungerlo indica un modello di business sostenibile, riducendo il rischio percepito e aumentando le opportunità di collaborazione con intermediari finanziari e aziende consolidate.


Conclusioni e implicazioni

Questi risultati non suggeriscono che il finanziamento esterno sia un ostacolo, ma sottolineano la necessità di un bilanciamento tra crescita e sostenibilità. Per investitori e partner, comprendere la relazione tra funding e break-even è essenziale per valutare non solo il potenziale di crescita di una startup, ma anche la sua capacità di generare valore nel presente.

 

Per maggiori informazioni: Predicting break-even in FinTech startups as a signal for success

Food policy. La rete degli Hub aiuto alimentare si consolida: nel 2024 recuperate oltre 795 tonnellate di cibo, il 25% in più rispetto al 2023

Nella Giornata contro lo spreco alimentare del 5 Febbraio 2025, sono stati presentati i risultati della rete degli Hub milanesi, i nuovi progetti per il futuro e il coinvolgimento dei partner del Comune di Milano nella Food Policy della città. Un impegno corale e concreto, con lo sguardo rivolto al futuro e azioni strutturare e coordinate, per trasformare la lotta allo spreco alimentare.

 

Nella Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare del 5 Febbraio 2025, la Vicesindaco con delega alla Food Policy e all’Agricoltura Anna Scavuzzo ha presentato negli spazi di Sogemi – Mercato Alimentare di Milano insieme ai partner della Food Policy tra cui la POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, i risultati dell’ultimo anno delle politiche che riguardano il cibo e la gestione degli Hub Aiuto Alimentare, oltre che i progetti e le azioni in programma per il prossimo anno.

“Una giornata che è occasione per confrontarci, misurare i risultati raggiunti e valutare gli strumenti che abbiamo attuato e che nel tempo hanno reso la Food Policy una pratica cittadina partecipata, efficace e innovativa – ha sottolineato la Vicesindaco Scavuzzo -. La lotta agli sprechi vede oggi azioni sempre più ampie e condivise, capaci di restituire valore al cibo e sottolineare l’impegno perché si parli di salute e sostenibilità come un binomio inscindibile. Il 2024 è stato un anno importante: abbiamo aperto ben tre nuovi Hub grazie ai fondi dell’Earthshot Prize, che abbiamo investito in modo intelligente, efficiente e lungimirante. Abbiamo rafforzato la rete cittadina degli Hub, aumentando di oltre 25% rispetto al 2023 il recupero di cibo. Abbiamo intensificato il recupero delle eccedenze alimentari nelle mense scolastiche attraverso l’utilizzo di cargo bike e promosso linee guida per ottimizzare il recupero e la redistribuzione delle eccedenze insieme al Politecnico di Milano con il sostegno di Fondazione Snam ETS. E ancora: l’Hub Foody zero sprechi in Sogemi e lo studio per un nuovo strumento legato allo studio dell’impatto delle diverse progettualità sulla riduzione dello spreco alimentare. Il 2025 sarà un anno intenso: a dieci anni dall’Expo Milano 2015, il prossimo ottobre Milano tornerà a essere luogo di incontro e confronto internazionale per città da tutto il mondo che verranno per la nona edizione del MUFPP Global Forum”.

Nel 2024 la rete dei cinque Hub Aiuto Alimentare già attiva (Isola, Lambrate, Gallaratese, Foody zero sprechi e Centro) si è ampliata e ha visto l’apertura di tre nuovi Hub: Selinunte, Loreto e Cuccagna. Anche grazie a questa implementazione, nel 2024 sono state recuperate 795,3 tonnellate di cibo (nel 2023 erano state 615 tonnellate), che hanno raggiunto 14.973 nuclei familiari per un totale di oltre 126mila persone e 3.867 minori con oltre 1 milione e 590mila pasti equivalenti e 176 associazioni servite.

Per rendere ancora più efficiente il sistema, nel 2025 l’area Food Policy e l’area Welfare del Comune di Milano avvieranno un’azione congiunta per approfondire la mappatura delle risorse disponibili e delle reti degli Hub a livello municipale insieme alle organizzazioni e alle associazioni della rete QuBi.

 

Le novità del 2025: il nuovo Hub Sogemi Foody zero sprechi, il progetto di recupero nelle mense scolastiche e le linee guida della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano.

Delle 795,3 tonnellate di cibo recuperate, oltre 440 tonnellate sono state raccolte nell’Hub Foody Zero Sprechi ospitato nel mercato agroalimentare di Sogemi: tra tutti gli Hub attivi nella rete cittadina, è risultato essere quello maggiormente efficiente in termini di volumi di eccedenze recuperate e redistribuite, funzionale al lavoro sinergico di quattro gestori e all’ingaggio di 99 grossisti per la redistribuzione di prodotti ortofrutticoli a oltre cento enti del Terzo settore attivi in città. Per proseguire in questo percorso, nel corso del 2025 grazie a un nuovo accordo con il Comune di Milano, l’Hub troverà una nuova collocazione all’interno degli spazi del nuovo padiglione e si amplierà in termini di azioni e apertura alla città.

Sempre nel corso di quest’anno si svilupperà ulteriormente una sperimentazione la cui programmazione è partita nel 2024 e che ha visto Milano Ristorazione protagonista nel recupero delle eccedenze alimentari nelle mense scolastiche in collaborazione con la rete degli Hub Aiuto Alimentare con il progetto europeo Cultivate, finanziato dal programma Horizone Europe.

Il progetto, da avviarsi nei Municipi 4 e 5, ha visto nel dicembre 2024 una convenzione tra Fondazione Snam ETS, Comune di Milano e Magma Srl per una ulteriore implementazione con l’utilizzo di cargo bike per il trasporto sostenibile delle eccedenze, oltre a varie azioni come momenti di formazione sui temi del cibo sano e sostenibile all’interno delle scuole.

Nell’ambito delle “azioni di sistema” che il Comune di Milano realizzerà per implementare le Food Policy cittadine, nel 2025 saranno due gli ambiti di sviluppo:

  • la presentazione e la condivisione delle linee guida realizzate grazie al contributo di Fondazione Snam ETS e insieme alla POLIMI School of Management, i quali si sono occupati di raccogliere e monitorare i dati e risultati che riguardano il modello degli Hub così da ottimizzare il recupero e la redistribuzione oltre che diventare strumento operativo per amministratori pubblici, enti del Terzo Settore e professionisti interessati a sviluppare progetti analoghi;
  • la ridistribuzione, attraverso parametri di impatto, delle risorse residue dell’Earthshot Prize per le attività degli Hub Aiuto Alimentare tra i partner co-progettanti che avranno raggiunto i KPI definiti in base ad un indice composito.

L’utilizzo dei big data per la gestione del trasporto pubblico

Un nuovo studio esplora il potenziale delle fonti di dati innovative per ottimizzare pianificazione, operatività e performance nel settore del trasporto pubblico.

 

I dati tradizionalmente utilizzati per supportare la gestione del trasporto pubblico presentano limitazioni intrinseche legate alla rappresentatività, ai costi e alla capacità di catturare la variabilità spazio-temporale. Queste restrizioni evidenziano l’importanza di esplorare fonti di dati innovative per integrare quelli più tradizionali. Per gli operatori del trasporto pubblico, responsabili di decisioni strategiche in ambito di pianificazione, operatività e misurazione delle performance, le fonti di dati innovative rappresentano ancora un territorio in gran parte inesplorato.

L’esplorazione delle fonti di big data per la gestione del trasporto pubblico è il focus di uno studio recentemente pubblicato da Valeria Maria Urbano, Marika Arena e Giovanni Azzone della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, sulla rivista “Research in Transportation Business & Management, dal titolo Big data for decision-making in public transport management: A comparison of different data sources”.

Lo studio è il risultato di un programma di ricerca di lungo termine volto a esplorare il potenziale delle nuove fonti di dati e affrontare le sfide emergenti nella gestione del trasporto pubblico. Il programma di ricerca comprende quattro progetti realizzati dal team di ricerca in collaborazione con due dei principali operatori di trasporto pubblico del nord Italia, Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. e Trenord S.r.l., nell’arco di cinque anni (2019–2023).

Lo studio propone un framework per valutare le fonti di dati innovative, evidenziando le caratteristiche specifiche che i dati devono possedere per supportare il processo decisionale nel settore della gestione dei trasporti. Inoltre, attraverso un’analisi comparativa basata su dati empirici raccolti dagli operatori del trasporto pubblico in Lombardia, vengono esaminati dati provenienti da smart card, telefoni cellulari e sistemi automatici di localizzazione dei veicoli, con l’obiettivo di comprendere se e in che misura queste fonti rispondano ai requisiti sopra identificati.

Questo studio può supportare gli operatori del trasporto pubblico nella selezione delle fonti di dati più coerenti con i tre principali ambiti decisionali, evidenziando i potenziali benefici e le principali sfide legate all’uso dei big data nella gestione del trasporto pubblico. Oltre alla valutazione delle singole fonti di dati, lo studio sottolinea il ruolo cruciale dell’integrazione dei dati per migliorare la comprensione dei comportamenti di viaggio, ottimizzare i processi operativi e valutare le metriche di performance.

 

Per maggiori informazioni sullo studio: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2210539525000136

Disparità di genere nella partecipazione alle campagne di equity crowdfunding

Nonostante l’avvento dell’equity crowdfunding abbia aumentato la democratizzazione, l’accesso alle risorse di capitale e abbia contribuito al finanziamento di progetti sostenibili, vi sono prove del fatto che le donne sono meno propense a investire in offerte di capitale su Internet. Un recente studio evidenzia le determinanti della partecipazione delle donne alle campagne di equity crowdfunding.

 

L’equity crowdfunding è una forma di finanziamento in cui delle persone acquisiscono quote di partecipazione in un’azienda in cambio del capitale investito utilizzando delle piattaforme collettive. Il valido contributo che l’equity crowdfunding sta potenzialmente offrendo al raggiungimento di obiettivi globali sostenibili è accompagnato da un problema che caratterizza questo settore a livello globale: la scarsa partecipazione delle donne investitrici ai progetti proposti. Le piattaforme di equity crowdfunding ridefiniscono il rapporto tra tecnologia e persone, sostenendo una transizione digitale sostenibile che accelera la valorizzazione delle donne come leader e investitrici.

Lo studio analizza quattro ipotesi specifiche relative ai fattori che attraggono gli investimenti femminili nell’equity crowdfunding. In primo luogo, si ipotizza che le imprese guidate da donne abbiano maggiori probabilità di attrarre investitrici femminili. In secondo luogo, si suppone che le potenziali investitrici prestino maggiore attenzione alle questioni di sostenibilità rispetto agli uomini. In terzo luogo, si ipotizza che la partecipazione delle donne agli investimenti in equity crowdfunding sia più probabile se la soglia minima richiesta è più bassa. Infine, si ritiene che le donne siano relativamente meno attratte dalle campagne successive di finanziamento.

L’articolo “Gender disparity in the participation to equity crowdfunding campaigns” di Claudio Bonvino, Andrea Odille Bosio e Giancarlo Giudici della School of Management del Politecnico di Milano, pubblicato come parte del numero specialeCrowdfunding campaigns for a sustainable development” nella rivista Finance Research Letters, indaga le determinanti che, nell’ambito dell’equity crowdfunding, sono associati a una maggiore (o minore) partecipazione delle donne.

La ricerca si basa su un database proprietario che comprende tutte le campagne di equity crowdfunding pubblicate dalle piattaforme italiane dal 2014 al 2023.

I risultati evidenziano che:

  • Le donne hanno minori probabilità di investire nelle campagne di equity crowdfunding.
  • Le investitrici hanno maggiori probabilità di finanziare progetti proposti da donne.
  • Le donne prestano attenzione alle questioni di sostenibilità nella decisione di investire.
  • Meno donne finanziano progetti quando la soglia minima richiesta è più elevata.
  • Le donne sono relativamente meno rappresentate nelle campagne successive di finanziamento.

Il coinvolgimento delle donne è ancora lontano dall’essere pienamente valorizzato nell’equity crowdfunding, nonostante questo canale di finanziamento sia considerato dalla letteratura potenzialmente più inclusivo e orientato alla sostenibilità rispetto alle fonti di finanziamento tradizionali.

Per maggiori dettagli: https://authors.elsevier.com/c/1kPiU5VD4KyeER

Blockchain e cultura: nuove frontiere per i servizi pubblici

Uno studio interdisciplinare esplora come la tecnologia blockchain possa rivoluzionare i servizi culturali pubblici, dalla gestione dei diritti digitali alla conservazione del patrimonio, mappando opportunità e sfide in un settore ancora poco esplorato.

 

La tecnologia blockchain è sempre più riconosciuta per il suo potenziale trasformativo in vari settori, tra cui i servizi culturali pubblici. Un recente articolo a cura di Deborah Agostino della POLIMI School of Management, insieme a Federica Rubino e Davide Spallazzo del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, esplora questo potenziale attraverso una revisione sistematica della letteratura esistente sul tema.

Lo studio pubblicato su International Journal of Public Sector Management identifica i principali casi d’uso ed esamina esempi empirici di applicazioni della blockchain nei servizi culturali pubblici trattati in letteratura, ambito in cui l’adozione di questa tecnologia rimane ancora poco esplorata, nonostante le sue promettenti possibilità.

La revisione della letteratura ha messo in luce un insieme interdisciplinare di studi esistenti, che integra prospettive provenienti da campi come l’informatica, il management culturale, digital humanities, ingegneria, diritto e scienze politiche.
Dei 54 articoli iniziali individuati, 38 articoli pubblicati su riviste scientifiche peer-reviewed (dove il lettore può conoscere sia l’identità del revisore che la sua valutazione) sono stati selezionati per un’analisi dettagliata, riflettendo l’ampio e frammentato interesse verso le applicazioni della blockchain nei servizi culturali pubblici. Geograficamente, gli studi includono contributi da paesi come gli Stati Uniti, l’Italia, la Cina e il Regno Unito, evidenziando la natura globale del dibattito esistente in accademia. Tuttavia, una notevole concentrazione di studi è emersa in Europa, sottolineando l’interesse regionale per il patrimonio culturale e l’integrazione della tecnologia blockchain nei servizi culturali.

La ricerca mette in evidenza diversi casi d’uso principali della tecnologia blockchain nel settore culturale. Tra questi figurano la tokenizzazione, ovvero la rappresentazione digitale di un asset, dunque dei beni culturali e la proprietà frazionata, la gestione dei diritti digitali, la digitalizzazione dei processi di asset management, i sistemi di finanziamento decentralizzato e le piattaforme decentralizzate per la conservazione del patrimonio culturale. Ad esempio, la tokenizzazione consente la proprietà frazionata di beni come manoscritti rari o artefatti digitali, democratizzando l’accesso a questi contenuti e potenzialmente generando nuove fonti di reddito. Allo stesso modo, la blockchain può garantire i diritti di proprietà intellettuale, migliorando la trasparenza e la responsabilità nelle organizzazioni culturali.

Nonostante queste prospettive, l’articolo sottolinea la limitata disponibilità di dati empirici sulle applicazioni della blockchain in questo settore. La maggior parte del dibattito attuale rimane a livello teorico, evidenziando la necessità di studi più approfonditi e di valutazioni pratiche. Sfide come l’incertezza normativa, la mancanza di formazione adeguata per professionisti culturali, e la resistenza all’adozione di nuove tecnologie sono indicate in letteratura come barriere significative all’integrazione della blockchain.

L’articolo esplora inoltre le implicazioni più ampie delle tecnologie blockchain per la governance pubblica nella gestione di servizi culturali. Promuovendo strutturalmente la trasparenza e il coinvolgimento delle comunità, la blockchain ha il potenziale di rivoluzionare l’erogazione dei servizi pubblici, spingendo verso la distribuzione di potere sempre più orizzontali e decentralizzate. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, sono necessari quadri normativi solidi e una collaborazione tra istituzioni pubbliche, responsabili politici e stakeholder coinvolti.

Questo lavoro contribuisce alla conversazione accademica emergente sulla blockchain nei servizi pubblici, con particolare attenzione alla sua applicazione nei contesti culturali. Mappando la ricerca esistente e identificando le lacune di conoscenza, gli autori forniscono una base per future indagini, aprendo la strada a una comprensione più approfondita su come la blockchain possa contribuire a portare innovazione digitale nei servizi culturali pubblici.