16 docenti della School of Management del Politecnico di Milano tra i migliori ricercatori al mondo secondo la classifica Stanford-Elsevier

Un prestigioso riconoscimento che celebra l’impatto scientifico globale dei nostri docenti nel panorama della ricerca accademica.

 

Nell’ultimo aggiornamento della banca dati internazionale degli autori scientifici con relative citazioni, stilata dall’Università di Stanford in collaborazione con Elsevier, sono 14 i docenti della School of Management del Politecnico di Milano inclusi nel 2% dei ricercatori più citati al mondo nell’anno 2023 e 6 i docenti riconosciuti per il loro contributo scientifico lungo tutta la loro carriera, fino al 2023, per un totale di 16 docenti

Per valutare l’impatto delle pubblicazioni, la classifica utilizza dati bibliometrici estratti da Scopus, uno dei più grandi database di citazioni scientifiche.

La lista dei 14 i docenti della School of Management del Politecnico di Milano inclusi nel 2% dei ricercatori più citati al mondo nell’anno 2023, suddivisa in 22 aree scientifiche e 174 sottocategorie tematiche, include i seguenti docenti:

  • Tommaso Agasisti
  • Enrico Cagno
  • Massimo G. Colombo
  • Antonio Ghezzi
  • Luca Grilli
  • Josip Kotlar
  • Giorgio Locatelli
  • Marco Macchi
  • Elisa Negri
  • Giuliano Noci
  • Lucia Piscitello
  • Paolo Rosa
  • Massimo Tavoni
  • Sergio Terzi

La lista dei 6 i docenti inclusi nel 2% dei ricercatori più citati al mondo lungo tutta la loro carriera, fino al 2023:

  • Tommaso Agasisti
  • Enrico Cagno
  • Vittorio Chiesa
  • Massimo G. Colombo
  • Giorgio Locatelli
  • Carlo Vercellis

Questi risultati offrono una panoramica dell’impatto della ricerca della School of Management a livello internazionale, dimostrando una significativa capacità di influenzare il dibattito scientifico in modo trasversale rispetto a diverse aree disciplinari. Le ricerche condotte spaziano da tematiche legate alla gestione aziendale e all’ingegneria gestionale, fino all’innovazione tecnologica e alla sostenibilità. Il riconoscimento riflette non solo l’elevata qualità dei contributi accademici prodotti, ma anche la rilevanza delle linee di ricerca, che continuano a generare valore per la comunità scientifica e per il mondo industriale e manageriale.

 

Per consultare la banca dati complete:
Ioannidis, John P.A. (2024), “August 2024 data-update for “Updated science-wide author databases of standardized citation indicators””, Elsevier Data Repository, V7, doi: https://elsevier.digitalcommonsdata.com/datasets/btchxktzyw/7

Il nuovo ruolo delle DAO nella ricerca sanitaria

Uno studio sui vantaggi delle organizzazioni autonome decentrate rispetto ai sistemi tradizionali di finanziamento

 

Una nuova modalità di finanziamento della ricerca in ambito farmacologico/sanitario, con l’obiettivo di superare alcuni vincoli e rendere disponibili migliori cure per tutti.

È il focus di uno studio pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology da Laura Grassi, docente di Investment banking e del Finance Lab della School of Management del Politecnico di Milano.

Nel campo farmaceutico, i lunghi cicli di sviluppo, i costi elevati, i tassi di fallimento significativi e l’incertezza sui prezzi rappresentano ostacoli sostanziali allo sviluppo di nuovi farmaci. I sistemi di finanziamento tradizionali, basati sull’utilizzo di equity o grant, si rivelano spesso lenti e inadeguati per rispondere alle esigenze della ricerca innovativa.

In questo contesto, le Organizzazioni Autonome Decentralizzate (DAO) emergono come una possibile promettente alternativa. Le DAO utilizzano la tecnologia blockchain per facilitare una governance trasparente e decentralizzata, permettendo decisioni rapide e dirette senza la necessità di intermediari. Attraverso gli smart contract, le DAO possono rapidamente eseguire azioni complesse, migliorando l’efficienza e riducendo le barriere burocratiche e amministrative.

Lo studio si è concentrato, in particolare, su VitaDAO, un esempio di come una DAO possa essere impiegata nel settore delle scienze della vita.

Focalizzata sul finanziamento della ricerca sulla longevità, VitaDAO consente agli stakeholder di partecipare attivamente alla governance e al processo decisionale attraverso l’emissione di token, che conferiscono diritti di voto e una quota di proprietà dell’organizzazione. Questo modello non solo democratizza il processo di finanziamento, ma allinea anche gli interessi dei partecipanti verso l’obiettivo comune dell’avanzamento della ricerca.

Tuttavia, pur offrendo numerosi vantaggi come la trasparenza e l’efficacia decisionale, diversi sono i punti di attenzione. La regolamentazione delle DAO e dei token utilizzati può essere complessa e variare significativamente tra diversi contesti legali, creando incertezze. Inoltre, la gestione delle decisioni in modo completamente decentralizzato e pubblico può richiedere tempo e compromettere l’efficienza in situazioni di crisi.

Nonostante questi ostacoli, il caso di VitaDAO illustra il potenziale rivoluzionario delle DAO nel superare le limitazioni del sistema attuale di finanziamento della ricerca. Attraverso collaborazioni strategiche, come quella realizzata con Pfizer, VitaDAO non solo ha validato il suo modello operativo ma ha anche dimostrato la sua capacità di attrarre investimenti significativi, favorendo un ambiente di R&D più aperto e produttivo nel settore delle scienze della vita.

 

Per saperne di più
The potential of DAOs for funding and collaborative development in the life sciences.

World’s Top 2% Scientist 2023: 13 docenti del Dipartimento di Ingegneria Gestionale nella classifica dei migliori scienziati al mondo

Pubblicato l’aggiornamento 2023 (su dati 2022) della classifica mondiale delle scienziate e degli scienziati con livello più elevato di impatto scientifico.

 

L’aggiornamento di ottobre 2023 della World Top 2% Scientists include 13 nostri colleghi nel novero dei top scientists a livello mondiale.

La World Top 2% Scientists è una classifica elaborata dalla Stanford University in collaborazione con Elsevier e il database per la ricerca scientifica mondiale “Scopus”, e mira a identificare, tra i circa 9 milioni di scienziati che contribuiscono con i loro articoli scientifici, il top 2% per ciascuna disciplina in termini di impatto sulla ricerca scientifica a livello globale nell’ultimo anno.

I docenti che hanno raggiunto questo prestigioso riconoscimento sono stati: Tommaso Agasisti, Enrico Cagno, Massimo Colombo, Antonio Ghezzi, Luca Grilli, Christine Harland, Josip Kotlar, Giorgio Locatelli, Marco Macchi, Elisa Negri, Paolo Rosa, Massimo Tavoni e Sergio Terzi.

 

Per conoscere la lista completa: https://elsevier.digitalcommonsdata.com/datasets/btchxktzyw/6

ERC Consolidator Grant a Massimo Tavoni

Massimo Tavoni, Professore Ordinario di economia del clima alla School of Management del Politecnico di Milano, è vincitore dell’ERC Consolidator Grant con il progetto EUNICE che mira a ridurre le incertezze nei percorsi di stabilizzazione climatica. 

 

Massimo Tavoni, docente della School of Management del Politecnico di Milano e Direttore di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE), è fra vincitori dell’edizione 2022 degli ERC Consolidator Grants del Consiglio europeo della ricerca (European Research Council, ERC), la prima organizzazione pan-europea per la ricerca di frontiera.

La ricerca del Prof. Tavoni è stata selezionata tra le oltre duemila proposte ricevute da ERC che ha l’obiettivo di stimolare l’eccellenza scientifica sostenendo e incoraggiando la competizione per i finanziamenti fra i ricercatori migliori e più originali.

Nel dettaglio EUNICE aspira a correggere gli errori e le distorsioni degli insiemi (ensemble) di modelli clima-energia-economia che studiano la stabilizzazione climatica, e a sviluppare modalità per validare e confermare le intuizioni degli scenari.

Il principale traguardo che il progetto vuole conseguire è quindi quello di sviluppare un approccio innovativo e integrato per quantificare, tradurre e comunicare in maniera efficace e tempestiva le principali incertezze associate ai percorsi a basse emissioni di carbonio e agli scenari che esplorano futuri molto distanti nel tempo, andando a rinnovare le basi metodologiche e sperimentali delle valutazioni climatiche basate sui modelli. Tre obiettivi fondamentali per tre principali linee di ricerca: estendere gli attuali scenari al futuro “profondo” (deep) e quantificare le loro incertezze; eliminare errori e distorsioni dagli scenari, perché siano in grado di tener conto delle perturbazioni a breve termine (come, per esempio, eventi estremi e inattesi); tradurre le mappe del futuro fornite dai modelli in linee guida solide e affidabili e testare sperimentalmente le modalità per comunicarle nel modo più efficace e tempestivo.

EUNICE è un progetto di alta rilevanza anche per altri ambiti di ricerca: l’approccio e le innovazioni sviluppate da EUNICE potranno essere applicate infatti anche per altre valutazioni ambientali, sociali e tecnologiche ad alto rischio. La sua combinazione unica di scienza computazionale e comportamentale e il coinvolgimento dei cittadini sarà un importante strumento di mediazione nei dibattiti sulle decisioni fondamentali per la nostra società, aumentando la fiducia e il riconoscimento del metodo scientifico.

 

 

Per maggiori informazioni su ERC Consolidator Grants 2022: https://erc.europa.eu/news/erc-2021-consolidator-grants-results

 

 

“The challenge of pursuing impact in research”: è online il nuovo numero di SOMeMagazine

E’ uscito l’ottavo numero di SOMe, l’eMagazine della nostra Scuola in cui raccontiamo storie, punti di vista e progetti attorno a temi-chiave della nostra missione.

In questa edizione parliamo di impatto della ricerca: definire cosa sia e come misurarlo rappresenta una sfida sempre più attuale.
Con lo sviluppo di un framework metodologico per valutare l’impatto della ricerca della School of Management, Stefano Magistretti e Federico Caniato spiegano come la nostra Scuola stia lavorando per creare una “cultura dell’impatto” incoraggiata e sostenuta nel tempo.

E per mostrare alcuni impatti specifici, Enrico Cagno, Giulia Felice e Lucia Tajoli raccontano il ruolo fondamentale della ricerca accademica nel supportare la transizione green dei paesi in via di sviluppo.

Diletta Di Marco racconta alcune evidenze sul ruolo dell’opinione pubblica nel valutare l’impatto sociale della ricerca scientifica e come si sceglie se sostenere o meno un progetto. Angelo Cavallo presenta le opportunità di innovazione e sostenibilità emergenti dalle tecnologie space-based che impongono nuovi modelli di business.

Infine nelle “Stories” raccontiamo gli effetti del Covid sulla vita delle donne lavoratrici, e alcuni progetti per la promozione della sostenibilità nell’ambito della moda e dei comportamenti aziendali.

 

 

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I numeri precedenti:

  • # 1 “Sustainability – Beyond good deeds, a good deal?”
  • Special Issue Covid-19 – “Global transformation, ubiquitous responses
  • #2 “Being entrepreneurial in a high-tech world”
  • #3 “New connections in the post-covid era”
  • #4 “Multidisciplinarity: a new discipline”
  • #5 “Inclusion: shaping a better society for all”
  • #6 “Innovation with a human touch”
  • #7 “From data science to data culture: the emergence of analytics-powered managers”

La sfida di perseguire l’impatto nella ricerca

Intervista a:
Federico Caniato, Full Professor of Supply Chain & Procurement Management, School of Management, Politecnico di Milano
Stefano Magistretti, Assistant Professor of Agile Innovation, School of Management, Politecnico di Milano

 

Le università sono sempre più impegnate a dimostrare l’impatto della loro ricerca. Qual è l’impatto della ricerca? 

L’impatto della ricerca è fondamentale non solo per il Politecnico di Milano, ma per l’intero sistema universitario italiano e più in generale per le università di tutto il mondo. Non è facile definire quale sia l’impatto della ricerca. Possiamo dire che l’impatto della ricerca comprende tutti i risultati, le implicazioni e le conseguenze derivanti dalle attività di ricerca scientifica volte a generare conoscenza, ma ci si aspetta anche che forniscano benefici concreti. Nella nostra scuola, abbiamo definito l’impatto della ricerca secondo tre livelli progressivi di maturità: diffusione, adozione e benefici. Per diffusione si intende la diffusione dei risultati e delle scoperte tra gli stakeholder, l’adozione è l’uso dei risultati della ricerca da parte degli stakeholder e i benefici sono le conseguenze di questa adozione.

Perché l’impatto è così importante per la ricerca?

La ricerca è spesso accusata di essere autoreferenziale, cioè di «parlare» solo ai membri della comunità accademica senza fornire un contributo significativo alla società in generale. Al contrario, la ricerca può avere un impatto molto più ampio e significativo del previsto. Pertanto, è fondamentale illustrare tali impatti a un pubblico più ampio, richiedendo ai ricercatori di imparare a valutare e condividere il valore del loro lavoro con un maggior numero di stakeholder.

Qual è l’approccio alla valutazione dell’impatto nella School of Management?

Nel 2017, abbiamo iniziato un percorso nella School of Management per sviluppare una cultura della valutazione dell’impatto della ricerca. Questo percorso ha comportato una riflessione sul quadro di valutazione, lo sviluppo di un metodo e la raccolta e l’analisi delle valutazioni di impatto della ricerca. Abbiamo iniziato esaminando la letteratura per le valutazioni d’impatto, intervistando esperti e interagendo con il nostro comitato consultivo internazionale per definire il nostro quadro. Il quadro comprende i tre livelli di maturità (diffusione, adozione e benefici) e cinque settori degli stakeholder (istituzioni, imprese, studenti e docenti, cittadini e comunità accademica). Il secondo passo è stato l’adozione del quadro, avviata inizialmente nel 2019 con una serie di 16 progetti pilota, che si sono poi estesi a una serie più ampia di progetti (42 nel 2020; 43 nel 2021).

L’idea convenzionale di «impatto» ha senso in un modello lineare: i cambiamenti o le scoperte nella scienza e nella ricerca dovrebbero causare cambiamenti nella società, ma i quadri di valutazione dell’impatto sono generalmente molto più complessi, può spiegare perché?

La valutazione dell’impatto della ricerca è più complessa perché l’impatto non è lineare. Alcuni elementi hanno un impatto su una delle parti interessate, causando effetti indiretti su altre parti interessate. Ad esempio, i risultati della ricerca adottati dalle istituzioni pubbliche possono andare a beneficio dei cittadini, oppure i risultati diffusi agli studenti possono essere adottati in seguito, quando gli studenti sono professionisti all’interno delle aziende. Pertanto, la rete di impatto è intrecciata. Vedere il legame tra i settori e il livello di maturità e come un’iniziativa possa influenzare altre aree di impatto richiede un quadro in grado di riunire tutti gli elementi. Facciamo un esempio. Quando si pubblica un articolo accademico, c’è una diffusione all’interno della comunità accademica, ma se lo si condivide in classe, vi è anche un impatto sugli studenti; se si usa nella formazione aziendale, quel nuovo progetto di ricerca può diventare il seme di un potenziale progetto aziendale. Quindi da una singola azione – la diffusione della ricerca tra la comunità accademica – si può avere un impatto su più stakeholder a diversi livelli.

In che misura questa analisi d’impatto deve essere effettuata ex ante, durante la pianificazione dell’attività, e in che misura ex post?

La valutazione dell’impatto è uno strumento utile in ogni momento di un progetto di ricerca. Abbiamo visto colleghi adottarlo nel presentare proposte per un progetto dell’UE o un’iniziativa di ricerca interna. Questo perché l’impatto è sia ex ante che ex post. La cosa più importante è immaginare il potenziale impatto ex ante, che aiuta a stabilire le aspettative e l’obiettivo del progetto. La valutazione ex post mira invece a misurare i risultati ottenuti in termini di impatto, monitorare i risultati delle attività pianificate e dimostrare i risultati effettivi. Pertanto, non c’è un solo momento per l’analisi d’impatto; è sempre bene misurarlo prima, durante e dopo l’iniziativa di ricerca.

L’impatto è «originale» o costruito nel tempo? Abbiamo bisogno che i nostri dottorandi siano «impattatori nativi» o è un orientamento che può essere incoraggiato e sostenuto nel tempo?

La cultura dell’impatto non è nativa. È qualcosa per cui i dottorandi e i ricercatori in generale dovrebbero ricevere una formazione. In effetti, alcuni impatti sono facili da progettare e ottenere, ma gli impatti di livello superiore sono più impegnativi e richiedono un’attenta considerazione, quindi è importante costruire un impatto nel tempo. In effetti, è difficile ottenere tutto con un unico nuovo programma di ricerca. Per quanto riguarda i dottorandi, è probabilmente qualcosa che dovremmo condividere con loro e su cui incoraggiarli a riflettere. Abbiamo avviato questo approccio durante l’ultima Summer School AIiG (Associazione Italiana Ingegneria Gestionali) tenuta dal Politecnico di Bari nel settembre 2021, in occasione della quale abbiamo condiviso il framework con più di 50 dottorandi italiani e abbiamo chiesto loro di applicarlo alla loro ricerca di dottorato. I dottorandi sono rimasti positivamente sorpresi dagli esiti inaspettati di questo esercizio di valutazione. Diffondere la cultura della valutazione d’impatto della ricerca è qualcosa che dobbiamo fare a tutti i livelli.

Transizione alle tecnologie verdi nei Paesi emergenti: come la ricerca può aiutare a indirizzare le risorse

Selezionare le aree geografiche e le tecnologie verdi per il finanziamento di successo di una crescita economica sostenibile è un compito difficile, soprattutto nei Paesi emergenti. La ricerca accademica è fondamentale per fornire strumenti a supporto delle istituzioni pubbliche e private in questo compito.

 

Enrico Cagno, Full Professor in Industrial Systems Engineering, School of Management, Politecnico di Milano
Giulia Felice, Associate Professor in Economics, School of Management, Politecnico di Milano
Lucia Tajoli, Full Professor in Economics, School of Management, Politecnico di Milano

Di recente, la crisi del COVID ha portato alla luce nell’opinione pubblica in che misura la ricerca è per molti versi fondamentale per la sopravvivenza della comunità. Ciò è parso estremamente evidente per le discipline con un impatto diretto e riconosciuto sulla vita umana e sullo sviluppo. Tuttavia, l’impatto diretto e indiretto della ricerca accademica in molte altre aree e discipline potrebbe essere considerevole per il benessere delle persone e l’evoluzione delle società in numerosi ambiti.

Un caso importante, particolarmente rilevante nell’attuale fase economica, è il ruolo della ricerca accademica nel fornire analisi e metodologie che possano supportare le istituzioni pubbliche e private nel veicolare e utilizzare in modo appropriato le risorse in paesi, regioni, settori per favorire una crescita economica equa e sostenibile.

Un esempio pertinente riguarda le risorse a sostegno della transizione dei Paesi verso le tecnologie verdi. I finanziamenti per il clima svolgono un ruolo fondamentale nella lotta al cambiamento climatico e nella promozione di una crescita sostenibile dal punto di vista ambientale nelle economie in transizione e in via di sviluppo. Un presupposto per avere successo è la capacità di selezionare quei paesi in cui il sostegno agli investimenti green non va a scapito degli investimenti privati, ma apre invece spazio alla loro espansione, in linea con il potenziale di mercato esistente. Diverse banche e istituzioni operano con questo obiettivo e, come è noto, gran parte dei finanziamenti di Next Generation EU è destinata al Green Deal europeo. Contemporaneamente, il vertice Cop26 di Glasgow ha evidenziato ancora una volta l’inevitabile dimensione globale della transizione green e la posizione asimmetrica delle economie in via di sviluppo e mature a causa del loro diverso stadio di sviluppo.

Una questione importante nel mantenere i diversi approcci delle economie in via di sviluppo e mature verso le tecnologie green è che in molti casi non è facile sostenere la transizione green nei paesi in via di sviluppo a causa della mancanza di informazioni adeguate sull’accesso e sulle opportunità offerte dalle tecnologie. I finanziamenti potrebbero essere allocati in modo errato, vale a dire, potrebbero essere convogliati laddove eliminano gli investimenti privati o dove non vi è alcun potenziale per la diffusione dell’investimento nella nuova tecnologia dopo il sostegno iniziale. È qui che la ricerca diventa utile. È possibile sviluppare metodologie e strumenti a supporto delle istituzioni nella selezione di aree e tecnologie per un finanziamento di successo.

In questo contesto e a questo scopo, la ricerca del SOM può contribuire a sviluppare un quadro concettuale e fornire metodologie per ottenere una valutazione complessiva della disponibilità di paesi, regioni o settori ad adottare tecnologie verdi, classificando paesi o aree in termini di esposizione a queste tecnologie. In un recente progetto sviluppato per la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), l’obiettivo finale era quello di cogliere la misura in cui i paesi interessati potrebbero trarre vantaggio dal finanziamento delle tecnologie green, in particolare quei paesi in via di sviluppo ed emergenti per i quali i dati sulla diffusione di queste tecnologie sono scarsi o non disponibili. La creazione e l’utilizzo di una tecnologia da parte di un Paese o di un’impresa è il presupposto per la sua diffusione ed eventuale adozione. Pertanto, per beneficiare della promozione degli investimenti verdi, il paese target dovrebbe già disporre di un livello e di un mix adeguati di utilizzo e produzione della tecnologia verde. Questo mix dipende dalla situazione economica complessiva e dal livello di sviluppo del Paese, come indicato, ad esempio, dal reddito pro capite, dalla capacità produttiva installata e dal livello di tecnologia nei prodotti a economia chiusa. Non esiste una definizione o misurazione specifica universalmente accettata della diffusione di una tecnologia. Il commercio internazionale di prodotti che incorporano una tecnologia specifica rivela la presenza di tale tecnologia nei paesi commerciali. Pertanto, il commercio è spesso utilizzato nella letteratura economica per tracciare la diffusione della tecnologia. I vantaggi dell’utilizzo di dati commerciali e metodologie avanzate per elaborarli sono che sono affidabili e disponibili per la maggior parte dei paesi a un livello di categoria di prodotto molto raffinato e per un lungo arco di tempo.

Seguendo questo approccio, i ricercatori del SOM hanno utilizzato i dati commerciali e pubblici ufficiali dei “green goods” (come definiti dall’Organizzazione mondiale del commercio e dall’OCSE) che coprono tutti i paesi per valutare la potenziale diffusione e adozione di tecnologie “verdi”, costruendo una serie di indicatori per misurare la maturità del mercato e la capacità di produzione di un paese per un determinato prodotto. Sulla base di questi indicatori, è stata sviluppata una sequenza di passaggi per identificare l’opportunità di azioni di successo. La metodologia è stata poi discussa e migliorata durante l’attuazione del progetto con gli esperti della BERS che l’avrebbero utilizzata, per poi essere validata con gli esperti del Paese sull’effettiva diffusione dei prodotti analizzati in termini di domanda e capacità produttiva.

La BERS utilizzerà la metodologia sopra descritta come strumento per selezionare i potenziali obiettivi del finanziamento, ovvero il binomio paese-tecnologia. La metodologia è facilmente replicabile su dati pubblicamente disponibili e quindi idonea ad orientare l’ente nelle sue scelte. La BERS è di proprietà di una settantina di paesi dei cinque continenti, nonché dell’Unione Europea e della Banca Europea per gli Investimenti. Ciò implica che le sue attività hanno un impatto su una vasta popolazione, di imprese, che saranno sostenute finanziariamente dalla BERS per l’adozione/produzione di tecnologie verdi, e di cittadini che trarranno vantaggio da una crescita sostenibile e da una migliore qualità della vita grazie all’adozione da parte delle imprese di tecnologie verdi.

Il progetto potrebbe potenzialmente incidere su diversi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Salute e Benessere, Acqua pulita e servizi igienico-sanitari, Energia accessibile e pulita, Città e comunità sostenibili, Consumo e produzione responsabili, Azione per il clima) nella misura in cui dovrebbe supportare la diffusione delle tecnologie verdi e merci nei paesi in via di sviluppo ed emergenti.

 

Space Economy: verso una nuova frontiera per l’innovazione e la sostenibilità

La combinazione di tecnologie spaziali e digitali rappresenta una forza pervasiva che abilita una innovazione di tipo cross-settoriale, ed al contempo rende il mondo più sostenibile. Tuttavia le opportunità tecnologiche sono solo un terreno fertile che per concretizzarsi necessita di strategie manageriali ed imprenditoriali per il rinnovamento strategico di organizzazioni consolidate e per la creazione e crescita di startup innovative

 

Angelo Cavallo, Assistant Professor in Strategy & Entrepreneurship, School of Management, Politecnico di Milano

La Space Economy è un fenomeno di frontiera dell’innovazione e della sostenibilità che si concretizza nella combinazione di tecnologie spaziali e digitali utili a sviluppare opportunità di business che danno la possibilità a molte imprese, in svariati settori, di accrescere la propria competitività su scala globale attraverso l’innovazione a tutti i livelli – dal prodotto/servizio, ai processi, sino al modello di business complessivo.

Il valore economico generato dall’uso combinato di tecnologie dello spazio e digitali è stimato per circa 371 miliardi di dollari nel 2021 (Satellite Industry Association). Tuttavia, il valore della Space Economy va oltre una stima di mercato e si distingue per la possibilità di innovare in tanti ambiti ed al contempo contribuire a rendere il nostro pianeta più sostenibile attraverso l’integrazione dei dati terrestri e satellitari, alla base di nuovi servizi space-based.
Mediante delle mappe globali di copertura del suolo ad alta risoluzione, i climatologi possono sviluppare modelli climatici e capire come sta evolvendo il clima sulla superficie terrestre. Tramite immagini multispettrali e radar, combinate con tecniche di machine learning e deep learning è possibile oggi creare modelli predittivi circa la deforestazione. Il monitoraggio tempestivo e continuo delle dinamiche della foresta è fondamentale per l’attuazione delle politiche di conservazione. Un altro campo di applicazione dei dati satellitari è nel monitoraggio dell’inquinamento. Un caso ormai molto noto riguarda il monitoraggio dei livelli di inquinamento durante il periodo di lockdown dovuto alla pandemia Covid-19. Ad oggi moltissime di queste analisi vengono fatte tramite dati provenienti da sensori a terra, largamente diffusi nel territorio europeo. Le tecnologie satellitari sono complementari e utili in aree dove non vi siano sensori terrestri.

Un numero sempre maggiore di studiosi inserisce la combinazione di tecnologie digitali e dello spazio tra i driver che possono abilitare il raggiungimento dei Sustainable Development Goals (SDGs), strumento adottato a livello globale per indirizzare le attività economiche e sociali verso il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità.
Ad esempio, servizi space-based contribuiscono al SDG 7 “Affordable and Clean Energy” che si prefigge di garantire l’accesso all’energia per una più vasta platea di utenti e può essere favorito attraverso sistemi di monitoraggio remoto degli impianti in luoghi in cui condizioni atmosferiche e altri fenomeni naturali possono portare ingenti danni all’infrastruttura e dove la manutenzione può risultare difficoltosa.

Lo sviluppo di un mercato delle space economy e di soluzioni space-based passa però necessariamente dalla strutturazione e esplorazione di nuovi modelli di business ripercor­rendo tutta la catena del valore, da chi sviluppa i servizi a chi crea nuove in­frastrutture fino agli utilizzatori finali di tali servizi che possono rendere più efficienti le loro operations e/o creare nuovi prodotti. Innovare i modelli di business tradizionali e muoversi verso una logica di platformization, servitization e open innovation è fondamentale per far sì che i nuovi servizi space-based abbiano impatto economico, ambientale e sociale su larga scala.

 

I cittadini la sanno più lunga?

Un team di scienziati hanno chiesto ai cittadini di valutare l’impatto sociale e scegliere quale ricerca sostenere. Ecco cos’hanno scoperto.

 

Diletta Di Marco, PhD Student in Management Engineering – Innovation and Public Policy 

La scienza si adopera per migliorare le condizioni dell’Umanità e della natura. Tuttavia, non è sempre facile capire come individuare la ricerca capace di soddisfare le esigenze più impellenti. Per tanto tempo la direzione della scienza è stata decisa unicamente da scienziati professionisti mediante peer review. Esistono però nuove iniziative di democrazia partecipata che stanno tentando di assecondare il desiderio dei cittadini di assumere un ruolo attivo nelle decisioni importanti in ambito scientifico. Ad esempio, un’amministrazione locale danese ha chiesto ai cittadini di scegliere tramite votazione online i progetti di ricerca medica da finanziare.[1] Anche il Canadian Fathom Fund ha scelto di finanziare gli scienziati che presentano i propri progetti su piattaforme di crowdfunding e che raccolgono online almeno il 25% del budget prefissato.[2] 

In un mondo che affronta sfide sociali, ambientali ed economiche senza precedenti, l’idea alla base di queste iniziative è quella di coinvolgere i destinatari principali dei problemi e delle loro conseguenze – ossia i cittadini.

Mentre gli scienziati, gli istituti di ricerca e i finanziatori stanno sperimentando nuove modalità per collaborare attivamente con i cittadini, una delle perplessità è il fatto che la definizione di questione ad alto impatto sociale è problematica e soggettiva. Inoltre, il meccanismo utilizzato per coinvolgere attivamente i cittadini nel processo di definizione dell’agenda può generare preconcetti oppure conferire un’influenza sproporzionata ai gruppi più ricchi e potenti.

Per queste ragioni, la valutazione dell’impatto della ricerca è fonte di emozione per scienziati professionisti, agenzie finanziatrici e politici: ognuno di essi desidera individuare nuovi criteri per giudicare la sostenibilità e il valore della ricerca. Questi integrano quelli tradizionali, più incentrati su prerequisiti quali età, genere, esperienze pregresse nella ricerca e nei progetti nello stesso campo di ricerca.

Nel tentativo di esaminare quest’area tanto importante quanto inesplorata, un team di ricerca della nostra School of Management ha studiato le modalità con cui l’opinione pubblica valuta l’impatto sociale e sceglie di concedere o rifiutare il sostegno alla ricerca scientifica. Il team è composto da Chiara Franzoni e Diletta Di Marco del Politecnico di Milano, in collaborazione con Henry Sauermann di ESMT Berlin.

Il team ha selezionato quattro autentiche proposte di ricerca che hanno raccolto attivamente dei fondi sulla piattaforma Experiment.com. I progetti riguardavano settori molto diversi, e spaziavano dagli studi ambientali sulla diffusione delle lontre in Florida, passando per studi sociali sull’orientamento sessuale e i divari di retribuzione, fino a studi per la ricerca di una cura per la malattia di Alzheimer e il Covid-19. Hanno reclutato oltre 2300 cittadini su Amazon Mechanical Turk e chiesto loro di valutare uno dei quattro progetti in base ai tre criteri normalmente utilizzati nella valutazione delle ricerche: i) impatto sociale, ii) merito scientifico e iii) qualifiche del team.
Successivamente, hanno chiesto ai cittadini se avevano un interesse o un’esperienza diretti del problema che la ricerca stava tentando di risolvere (es. un familiare affetto dalla malattia di Alzheimer in fase di valutazione di un progetto che studiava una cura per l’Alzheimer), e infine hanno chiesto ai cittadini se il progetto in questione andasse finanziato o meno. A tale scopo, hanno utilizzato due meccanismi di voto differenti: i) una raccomandazione semplice e gratuita a finanziare o meno il progetto (voto senza costi) e ii) una piccola donazione destinata al progetto (voto con costi), che i valutatori potevano effettuare scegliendo di non incassare un bonus da 1 USD fornito dal team. Alla fine della giornata, il team ha quindi devoluto i bonus donati a progetti di ricerca autentici.
Il team ha poi analizzato le risposte con modelli statistici ed econometrici, come pure con una codifica qualitativa delle risposte testuali.

Le analisi hanno rivelato tre risultati fondamentali:

  1. In primo luogo, i cittadini hanno posto una forte enfasi sull’impatto sociale. Erano più propensi a sostenere un progetto se gli attribuivano un impatto sociale elevato, anche se a loro avviso il merito scientifico o le qualifiche del team erano ridotti. Un’analisi complementare delle opinioni fornite sotto forma di risposte aperte ha corroborato la suddetta prospettiva. I cittadini tendevano a concentrarsi sull’importanza percepita del problema (es. dimensione della popolazione interessata, gravità del problema), prestando meno attenzione alla capacità del progetto di risolvere il problema.
  2. In secondo luogo, il sistema di voto adottato ha influenzato notevolmente la composizione dei votanti. Il voto con costi ha fatto sì che a votare fossero persone con un livello d’istruzione e di reddito superiori. Se ne deduce che i meccanismi che impongono anche solo un piccolo costo personale spingeranno i cittadini coinvolti a rinunciare ai vantaggi dell’inclusione e della rappresentatività.
  3. In terzo luogo, i cittadini che avevano un interesse personale nel problema affrontato dal progetto erano più propensi a votare a favore del progetto, indipendentemente dal meccanismo di voto utilizzato (con o senza costi). Tuttavia, non sembravano sopravvalutare le aspettative in termini di impatto sociale del progetto. Di conseguenza, il crowdsourcing può conferire un potere maggiore a gruppi di interesse e membri dell’opinione pubblica con interessi personali nella ricerca. Al tempo stesso, persino i cittadini con un interesse personale nel progetto sembravano essere in grado di valutare l’impatto sociale in modo oggettivo, se veniva loro richiesto di farlo indipendentemente dall’espressione del proprio sostegno al progetto stesso.

Le scoperte di questo ampio progetto di ricerca contribuiscono al progresso del dibattito accademico in varie aree, tra cui la gestione delle comunità online (facendo luce sulla correlazione tra i meccanismi di voto, l’auto-selezione e la letteratura che confronta il pubblico e i contributi degli esperti con il finanziamento scientifico).
Soprattutto, tali scoperte hanno un’utilità pratica e immediata per politici, agenzie finanziatrici e gruppi d’interesse che lavorano per promuovere la democrazia partecipata.

Considerando che i tradizionali meccanismi di finanziamento della ricerca così come quelli di revisione si concentrano su ciò che potrebbe andare storto e non dedicano la giusta attenzione ai potenziali vantaggi, questi risultati indicano che le valutazioni dell’impatto sociale da parte dei cittadini non sono necessariamente “migliori”, tuttavia potrebbero fornire una prospettiva diversa e potenzialmente complementare.

 

[1] https://www.sdu.dk/da/forskning/forskningsformidling/citizenscience/afviklede+cs-projekter/et+sundere+syddanmark Accesso effettuato il 15 novembre 2021.

[2] https://fathom.fund/ Accesso effettuato il 15 novembre 2021.

Research Impact Assessment: un modello in continua evoluzione

Dal 2016 la School of Management (SoM) del Politecnico di Milano promuove la cultura della valutazione e del miglioramento dell’impatto della ricerca su istituzioni, aziende, studenti e docenti, cittadini e comunità accademica

 

Federico Caniato, Professore Ordinario di Supply Chain & Procurement Management, School of Management, Politecnico di Milano
Stefano Magistretti, Assistant Professor di Innovation & Design Management, School of Management, Politecnico di Milano

Sempre più spesso oggi viene messo in discussione il contributo che le università forniscono alla società, per cui sempre più spesso si richiede loro di misurare e dimostrare tale contributo, spesso definito “impatto”. L’approccio tradizionale è stato quello di identificare tre grandi missioni: ricerca, formazione e la cosiddetta “terza missione”, termine ampio che include le interazioni con la società in generale, ad esempio il trasferimento tecnologico, la promozione culturale, la comunicazione esterna. Vi è però un limite in questo approccio, in quanto rischia di vedere le tre missioni come attività separate, ognuna con le proprie regole e metriche.

Dal 2016 la School of Management (SoM) del Politecnico di Milano sta lavorando su questo tema con un approccio più integrato, che non vede le tre missioni come separate, ma piuttosto la ricerca come motore che può generare impatto su molteplici domini, non solo la comunità accademica e gli studenti, ma la società in generale. Per questo motivo promuoviamo la cultura della valutazione e del miglioramento dell’impatto della ricerca, in linea con la nostra mission:

contribuire al bene collettivo attraverso una comprensione critica delle opportunità offerte dall’innovazione. Questa missione si realizza creando e condividendo la conoscenza attraverso un’istruzione di alta qualità, una ricerca di alta qualità e un impegno attivo con la comunità“.

Quando abbiamo iniziato questo cammino, abbiamo prima di tutto voluto incoraggiare tutti i colleghi a riflettere sull’impatto dei loro progetti di ricerca a 360 gradi. Nei primi anni, ci siamo occupati di stimolare il pensiero critico e la creazione di una cultura della misura dell’impatto. Inizialmente non era scontato che ogni progetto, dal più semplice al più complesso, dal più breve al più lungo potesse avere un impatto su diverse aree della mission della nostra scuola. Questa cultura della misura era ed è tutt’oggi però fondamentale per valutare e dimostrare l’impatto su molti domini e non solo sugli indicatori più tradizionali (e.g., numero di pubblicazioni academiche, numero di pubblicazioni su testate giornalistiche).

Per questo motivo abbiamo sentito la necessità di sviluppare un nostro modello per guidare la valutazione dell’impatto all’interno di tutta la SoM, che ci permettesse di perseguire i seguenti obiettivi:

  • Aumentare la consapevolezza di tutta la nostra comunità
  • Imparare a valutare l’impatto della ricerca
  • Incoraggiare tutti i colleghi a progettare, condurre e diffondere ricerche volte ad avere un impatto misurabile
  • Migliorare la capacità di rendere conto dell’impatto generato
  • Riconoscere i risultati della ricerca della SoM
  • Diffondere i risultati della ricerca sia all’interno della SoM sia all’esterno

Per raggiungere questi obiettivi, abbiamo costruito un modello, ispirato alla letteratura scientifica, che identifica 5 domini e 3 livelli di maturità di impatto della ricerca.
I 5 domini rispetto ai quali viene misurato l’impatto sono:

  1. Le istituzioni
  2. Le imprese
  3. Gli studenti e i docenti
  4. I cittadini
  5. La comunità accademica

L’impatto su ciascun dominio è poi misurato su una scala di maturità crescente a 3 livelli:

  • Comunicazione dei risultati della ricerca
  • Adozione dei risultati della ricerca
  • Benefici ottenuti tramite l’adozione

Questo modello è volutamente generale, affinché possa essere adattato ai diversi temi e tipologie di ricerca della SoM. Per ciascun dominio e ciascun livello di maturità, è necessario identificare precisi indicatori, possibilmente quantitativi (e.g., numero di partecipanti a eventi, numero di articoli in rivista pubblicati, numero di conferenze academiche organizzate), che permettano di misurare e dimostrare l’impatto. Tali indicatori devono essere scelti coerentemente con la natura di ciascun progetto di ricerca.

Il modello è stato dapprima testato da alcuni colleghi che nel 2019 hanno valutato 16 progetti su queste dimensioni. Questo ha permesso di comprendere la solidità e validità del modello e identificare numerose metriche utili per i diversi domini e i diversi livelli di maturità.

Nel 2020 abbiamo investito nel coinvolgimento di tutta la SoM nel compiere questo importante esercizio, allargando così la partecipazione, arrivando a raccogliere il Research Impact Assessment per 42 diversi progetti condotti all’interno della SoM, di cui almeno uno per ciascuna linea di ricerca della Scuola.
E’ stata prima di tutto un’occasione formativa e di riflessione sul tema per tutta la scuola, per cui sono stati organizzati momenti di confronto e discussione. La sintesi e le evidenze principali sono state raccolte in un Booklet, che presenta una grande ricchezza e varietà di impatti e che servirà inizialmente come strumento di comunicazione interna per creare consapevolezza e raccogliere best practice.

Il lavoro continua, è già partita la raccolta per il 2021, con l’obiettivo di aggiornare le informazioni sui 42 progetti e ampliare ulteriormente la partecipazione.
La speranza e l’augurio è che questo esercizio permetta sempre più non solo di misurare a posteriori, ma anche di pianificare sin dall’inizio l’impatto dei progetti di ricerca, e spinga a coprire tutti i domini e a raggiungere il massimo livello di maturità possibile, ovvero quello dei benefici concreti.