Big Data: nuove competenze per nuove professioni

Lo sapevate che ogni giorno vengono creati 2,5 quintilioni di bytes di dati?  Ma che fine fanno tutte queste informazioni? Ne abbiamo parlato con Carlotta Orsenigo, co-direttrice dell’International Master in Business Analytics and Big Data.

Si tratta di un numero impressionante. Da dove arrivano e come vengono usati tutti questi dati?

Quando si parla di Big Data, sono due gli ambiti a cui pensiamo subito.
Da una parte c’è l’Internet of People, ovvero quei dati che sono generati dagli utenti come risultato della digitalizzazione delle relazioni personali. Mi riferisco a testi, messaggi, commenti, video, immagini…
Queste informazioni, lasciate dagli utenti sui blog, social network o siti di e-commerce, possono essere raccolti e utilizzati, ad esempio, per analisi del sentiment e quindi per dedurre l’inclinazione emotiva degli utenti nei confronti di un determinato argomento.

Dall’altro lato, si pensa poi all’Internet of Things, ovvero a tutti i dati generati dai sensori, come quelli relativi alla localizzazione o al funzionamento di un determinato device. Questi dati sono raccolti e utilizzati in diversi ambiti, come quello industriale. Un esempio? Progettare sistemi di predictive mantainance, in grado di predire anzitempo l’insorgenza di un malfunzionamento su una macchina o su una linea di produzione, con l’obiettivo di ridurre i rischi e i costi, e di garantire una maggiore sicurezza del processo produttivo.

C’è poi una terza categoria, quella dei dati raccolti dai sistemi transazionali delle imprese. Questi possono essere sfruttati per svariate applicazioni, come per esempio la costruzione di motori di raccomandazione, che generano suggerimenti su prodotti e servizi, personalizzati sulla base non solo degli acquisti passati ma anche degli interessi degli utenti.

Per poter trarre tutte queste informazioni dai dati raccolti, serve qualcuno in grado di farlo. Quali sono i profili professionali che stanno nascendo in risposta del crescente interesse delle aziende per i Big Data?

La figura di riferimento oggi, ricercatissima sul mercato, è quella del Data Scientist.
Le competenze richieste sono di tipo diverso: modellistiche, analitiche, skill relative all’ambito dell’Intelligenza Artificiale e del machine learning. Accanto a competenze hard legate alle tecnologie per la gestione dei dati, al machine learning, all’intelligenza artificiale, al coding – deve costruire e implementare algoritmi – è opportuno che il Data Scientist abbia anche competenze di management e di gestione. Questo è essenziale per potersi relazionare in modo efficace con chi, all’interno dell’organizzazione, si occupa delle attività dell’impresa e affinché le attività di analisi da lui condotte possano tradursi in effettivo valore.

Sintetizzando, il Data Scientist è l’esperto delle metodologie per l’analisi dei dati ed è la figura più ricercata.

Ma non c’è solo il Data Scientist. Il Data Science Architect, per esempio, è colui che prende in carico la responsabilità di gestire e sviluppare le pipeline analitiche, quindi l’intero processo analitico, e le tecnologie a supporto di analisi, gestione e raccolta dei dati. È una figura che detiene la responsabilità tecnologica del processo analitico.

C’è poi anche il Data Analyst, che usa le proprie capacità analitiche per il monitoraggio delle performance dell’azienda. In questo caso, le competenze ricercate sono più di statistica, reporting e di data visualization, skills forse più “tradizionali” ma di pari valore a quelle di machine learning e di AI.

In conclusione, gli esperti dell’analisi dei dati possono assumere diverse sfumature e giocano un ruolo di primaria importanza nel mondo delle imprese, che si stanno rendendo sempre più conto del valore nascosto all’interno dei dati che raccolgono. Tuttavia, questo valore emerge solo se le metodologie di analisi vengono utilizzate in modo appropriato. Per questo servono degli esperti che, in maniera consapevole, siano in grado di processare i dati ed effettuare le analisi ricorrendo a tecniche adeguate.

Secondo una ricerca di NewVantage Partners, oltre il 91% degli executive intervistati segnala un aumento di investimenti nei Big Data. Quali sono i settori più interessati da questa crescita?

Sicuramente ci sono alcuni settori più propensi, anche se in realtà la domanda si sta sviluppando – seppur con intensità diverse – trasversalmente in tutti i settori.

Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, il settore che registra una crescita più sostanziosa è rappresentato da quello bancario, seguito dal retail e dalle telecomunicazioni.
Tuttavia, anche altri settori stanno sperimentando una crescita significativa. Non da ultimi la Pubblica Amministrazione, la sanità e il manifatturiero.
Gli ultimi mesi hanno comportato una lieve flessione degli investimenti a causa della pandemia, ma le previsioni per i prossimi anni sono di una ripresa, anche consistente.

Probabilmente, i dati raccolti da una banca sono molto diversi da quelli generati da un ospedale. In che modo questo si ripercuote sulla formazione delle persone che lavoreranno in questi ambiti e come il MIP ha risposto a queste esigenze di mercato così diverse?
Come dicevo prima, la domanda di esperti nell’analisi dei dati è in crescita e il loro ruolo è sempre più variegato. Proprio per far fronte a questa costante e crescente domanda, la nostra Business School ha deciso di ampliare l’offerta, specializzandola.
Accanto al Master in Business Analytics and Big Data (BABD), che il prossimo anno arriverà alla sua sesta edizione, sono stati proposti due nuovi programmi – uno in ambito Supply Chain e un altro in ambito Healthcare. Due verticalizzazioni in due settori che prevediamo avranno sempre più bisogno di queste competenze nell’immediato futuro.

I tre master sono strutturati in modo da condividere la parte centrale del percorso formativo, che è dedicato alle tecnologie per la gestione dei big data e, soprattutto, alle metodologie per l’analisi dei dati, con particolare riferimento a machine learning, artificial intelligence e data science.

I tre programmi poi si diversificano: il master BABD, rimane trasversale alle tematiche di data science e intelligenza artificiale, con il supporto di casi di studio e applicazioni in diversi ambiti.
Gli altri due master, invece, offrono delle verticalizzazioni specifiche.
Così, per esempio, il Master in Big Data for Healthcare & Biotech, si pone l’obiettivo di formare data scientist che conoscano e sappiano governare le complessità di questo settore, che siano in grado di interagire con attori diversi, medici, sanitari e decision maker, sapendo anche proporre soluzioni innovative tramite l’analisi dei dati. Questo sempre nel rispetto delle regole e dei principi etici che regolano la raccolta e l’analisi dei dati in questo particolare contesto.

Viceversa, il Master in Big Data for Supply Chain Analytics si pone l’obiettivo di fornire delle competenze specificamente volte alla gestione della supply chain e all’utilizzo di tecnologie IoT per la collezione e il monitoraggio in tempo reale delle attività della supply chain, con l’obiettivo finale di ottimizzare i processi decisionali in questo ambito.

«Data science e business analytics: oggi le aziende non possono farne a meno»

Il professor Carlo Vercellis, direttore del Percorso executive in data science e business analytics, racconta le ultime tendenze nel mercato dei big data e lancia un appello: «I consulenti esterni non bastano più. Ora le organizzazioni devono integrare queste figure al proprio interno»

 

Una crescita che da cinque anni si mantiene costantemente in doppia cifra, intorno al 20%, e investimenti che in Italia hanno raggiunto il valore di 1,7 miliardi di euro. È il mercato degli analytics, in parole semplici l’analisi dei dati, arrivato a un punto di svolta. «Ma ora è tempo di crescere», annuncia il professor Carlo Vercellis, Full Professor of Machine Learning al Politecnico di Milano, direttore del Percorso executive in data science e business analytics presso il MIP Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics. «Le grandi aziende hanno preso confidenza con questi strumenti, anche se finora si sono appoggiate soprattutto a consulenti esterni. È il momento di integrare queste figure all’interno delle organizzazioni, anche per le Pmi. Tante le sfide da affrontare, altrettante le figure professionali richieste e quindi gli sbocchi lavorativi per chi vuole operare in questo ambito».

 

Organizzazione, gestione, automazione dei processi: le ultime tendenze

Sono due, in particolare, le tendenze identificate da Vercellis. «La prima sfida è di ordine organizzativo e gestionale, e riguarda il governo della filiera dei progetti data driven, quelli basati cioè sui dati: passare dalle sperimentazioni, ormai sempre più numerose e complesse, al progetto pilota, e poi alla messa in produzione fino ad arrivare al deployment. La seconda sfida riguarda i processi di business, che devono essere cambiati in una prospettiva data driven. Pensiamo alla process automation, ossia un’automazione dei processi che sostituisca le attività umane a scarso valore aggiunto attraverso algoritmi che consentono ai software e ai robot di svolgere una serie di mansioni ripetitive. Questo consente di liberare numerose risorse, umane e materiali».

 

Tanti dati, tanti algoritmi: la necessità di una consapevolezza funzionale

I dati, però, da soli non bastano. Bisogna saperli interrogare, leggere, interpretare, e per questo c’è bisogno di professionalità specifiche: «Siamo sommersi dai dati. Le due fonti principali sono le attività social, che forniscono dati non strutturati, non riducibili a tabelle di numeri; e l’Internet of Things, ossia quella rete di oggetti, elettrodomestici inclusi, con caratteristiche smart, che raccolgono moli di dati più strutturati», spiega Vercellis. «Per leggerli bisogna sapere quali strumenti di analisi impiegare: parliamo degli algoritmi, ovviamente, che pur condividendo delle impostazioni di base non sono tutti uguali. A seconda del compito che gli si chiede di svolgere, uno può rivelarsi più adatto di un altro. Per questo c’è bisogno di figure dotate di “consapevolezza funzionale”: esperti capaci di adoperare gli strumenti di data e business analytics, senza dover essere dei tecnici. Sono queste le professionalità che oggi le aziende cominciano a cercare, perché pian piano ci si sta rendendo conto che i consulenti esterni non bastano».

 

Gli sbocchi professionali nel mondo degli analytics

I profili di questo tipo sono diversi. «Si va dal business user, capace di comprendere logiche e limiti di questi strumenti, al translator, una figura ponte che conosce i linguaggi del data science e del business, ed è in grado di far comunicare tra loro questi due mondi. Le figure oggi sono sempre più tecniche: ci sono il data scientist, il data engineer, il business analytics data scientist solution architect».

Il Percorso executive in data science e business analytics del MIP Politecnico di Milano si propone esattamente di formare professionalità variegati delle diverse tipologie indicate: «È un corso che inizia a ottobre, richiede un impegno di due giorni al mese e tocca tutti i temi legati a quest’ambito», illustra Vercellis. «Prevede delle sessioni di hands-on e, infine, un project work conclusivo grazie al quale gli studenti dovranno applicare le nozioni apprese a un problema, proposto da loro stessi o dai docenti della faculty del MIP. Il corso è rivolto ai singoli, che magari cercano un reskill, ma mi aspetto che siano soprattutto le aziende a sfruttare quest’occasione: è una grande opportunità per formare una risorsa interna in grado di gestire le esigenze dell’organizzazione, un compito che un consulente esterno non sarebbe mai in grado di svolgere».