Il professor Carlo Vercellis, direttore del Percorso executive in data science e business analytics, racconta le ultime tendenze nel mercato dei big data e lancia un appello: «I consulenti esterni non bastano più. Ora le organizzazioni devono integrare queste figure al proprio interno»
Una crescita che da cinque anni si mantiene costantemente in doppia cifra, intorno al 20%, e investimenti che in Italia hanno raggiunto il valore di 1,7 miliardi di euro. È il mercato degli analytics, in parole semplici l’analisi dei dati, arrivato a un punto di svolta. «Ma ora è tempo di crescere», annuncia il professor Carlo Vercellis, Full Professor of Machine Learning al Politecnico di Milano, direttore del Percorso executive in data science e business analytics presso il MIP Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics. «Le grandi aziende hanno preso confidenza con questi strumenti, anche se finora si sono appoggiate soprattutto a consulenti esterni. È il momento di integrare queste figure all’interno delle organizzazioni, anche per le Pmi. Tante le sfide da affrontare, altrettante le figure professionali richieste e quindi gli sbocchi lavorativi per chi vuole operare in questo ambito».
Organizzazione, gestione, automazione dei processi: le ultime tendenze
Sono due, in particolare, le tendenze identificate da Vercellis. «La prima sfida è di ordine organizzativo e gestionale, e riguarda il governo della filiera dei progetti data driven, quelli basati cioè sui dati: passare dalle sperimentazioni, ormai sempre più numerose e complesse, al progetto pilota, e poi alla messa in produzione fino ad arrivare al deployment. La seconda sfida riguarda i processi di business, che devono essere cambiati in una prospettiva data driven. Pensiamo alla process automation, ossia un’automazione dei processi che sostituisca le attività umane a scarso valore aggiunto attraverso algoritmi che consentono ai software e ai robot di svolgere una serie di mansioni ripetitive. Questo consente di liberare numerose risorse, umane e materiali».
Tanti dati, tanti algoritmi: la necessità di una consapevolezza funzionale
I dati, però, da soli non bastano. Bisogna saperli interrogare, leggere, interpretare, e per questo c’è bisogno di professionalità specifiche: «Siamo sommersi dai dati. Le due fonti principali sono le attività social, che forniscono dati non strutturati, non riducibili a tabelle di numeri; e l’Internet of Things, ossia quella rete di oggetti, elettrodomestici inclusi, con caratteristiche smart, che raccolgono moli di dati più strutturati», spiega Vercellis. «Per leggerli bisogna sapere quali strumenti di analisi impiegare: parliamo degli algoritmi, ovviamente, che pur condividendo delle impostazioni di base non sono tutti uguali. A seconda del compito che gli si chiede di svolgere, uno può rivelarsi più adatto di un altro. Per questo c’è bisogno di figure dotate di “consapevolezza funzionale”: esperti capaci di adoperare gli strumenti di data e business analytics, senza dover essere dei tecnici. Sono queste le professionalità che oggi le aziende cominciano a cercare, perché pian piano ci si sta rendendo conto che i consulenti esterni non bastano».
Gli sbocchi professionali nel mondo degli analytics
I profili di questo tipo sono diversi. «Si va dal business user, capace di comprendere logiche e limiti di questi strumenti, al translator, una figura ponte che conosce i linguaggi del data science e del business, ed è in grado di far comunicare tra loro questi due mondi. Le figure oggi sono sempre più tecniche: ci sono il data scientist, il data engineer, il business analytics data scientist solution architect».
Il Percorso executive in data science e business analytics del MIP Politecnico di Milano si propone esattamente di formare professionalità variegati delle diverse tipologie indicate: «È un corso che inizia a ottobre, richiede un impegno di due giorni al mese e tocca tutti i temi legati a quest’ambito», illustra Vercellis. «Prevede delle sessioni di hands-on e, infine, un project work conclusivo grazie al quale gli studenti dovranno applicare le nozioni apprese a un problema, proposto da loro stessi o dai docenti della faculty del MIP. Il corso è rivolto ai singoli, che magari cercano un reskill, ma mi aspetto che siano soprattutto le aziende a sfruttare quest’occasione: è una grande opportunità per formare una risorsa interna in grado di gestire le esigenze dell’organizzazione, un compito che un consulente esterno non sarebbe mai in grado di svolgere».