Che posto occupa la responsabilità sociale nel percorso di un career leader?

“Responsible Career Leader”, ci insegna questa rubrica, è chi riesce ad anticipare, progettare e gestire lo sviluppo della propria carriera. È dunque Responsible in quanto chiamato a governare in prima persona la trasformazione delle occasioni di cambiamento in opportunità per il proprio percorso di crescita professionale.

Ma cos’altro cela il termine Responsible? A chi e di cosa risponde un Career Leader responsabile?

Spesso siamo portati a pensare che agire responsabilmente sia andare oltre i “confini del proprio orto”, quindi fare del volontariato nel tempo libero, andare al lavoro in bicicletta, evitare le bottiglie di plastica e compensare le emissioni di CO2 piantando alberi. Oppure, cambiare carriera dopo anni di profit e andare a lavorare nel Terzo Settore. Tutte scelte assolutamente encomiabili ma, muovendosi in questi termini, il rischio è di considerare incompatibili efficacia, efficienza e produttività con la possibilità di abbracciare i valori etico-sociali.

Ma esiste una accezione di responsabilità, per la quale il successo del proprio percorso professionale – e i legittimi vantaggi che da quest’ultimo ci si può aspettare – possano dialogare produttivamente con ciò che sta “fuori dall’orto”? Sì, se iniziamo ad allargare i confini. A partire dall’intendere il nostro successo non come sostantivo (“ho raggiunto un buon esito / un buon livello”), ma come verbo (“ho fatto accadere qualcosa di valore nel contesto in cui ho lavorato”).

In questi termini possiamo dire che una “vera” carriera di successo è quella che offre un contributo alla propria comunità: ogni ruolo professionale infatti – che sia entrepreneur, executive, manager, expert –attraverso le proprie scelte di carriera, può contribuire a sviluppare le risorse e le competenze della comunità in cui opera, a partire dall’evidenza che saranno queste stesse risorse e competenze che renderanno l’orto di cui sopra ancora più rigoglioso, ampio, produttivo e legittimato.

Come ci insegna l’ormai planetario movimento delle B-Corp, “Fare Impresa” in questi termini vuol dire superare l’antitesi tra vantaggio personale – o aziendale – e interesse generale. O tra “obiettivi di business” e senso civico. Le ore passate in ufficio (o connessi in smart working) possono essere un’occasione per contribuire alla comunità tanto quanto l’adoperarsi nel volontariato nel weekend.

Infatti, esercitare il ruolo che si ricopre in azienda tenendo conto delle implicazioni delle proprie azioni sugli altri e sulla collettività, è già un’operazione di responsabilità sociale. Citando Edward Schultz, ex CEO di Starbucks: “L’impresa è responsabilità sociale e la responsabilità sociale è l’impresa”.

Quindi come operazionalizzare questo salto culturale e di metodo, passando da una mentalità da stakeholder – portatore di interessi particolari e specifici, talvolta in competizione con quelli di altri – a una da communityholder (Turchi, Gherardini 2014) – ovvero risorse che possono far crescere la propria comunità?

Si può riassumere in 3 step:

DEFINIRE IL PURPOSE CHE DIREZIONA LA CARRIERA

Il primo passo consiste nello scegliere le domande che poniamo a fondamento del nostro percorso di carriera. Si tratta di chiedersi ‘a quale cambiamento un lavoratore della mia epoca può contribuire?’. Se gli esiti da “stakeholder” – raggiungere un certo livello di carriera, incrementare il proprio stipendio ecc – sono vantaggi che si raccolgono lavorando nel proprio orto, il Career Leader che si muove da Communityholder va oltre il suo recinto e si chiede: “cosa posso offrire alla comunità attraverso le mie competenze? Quali competenze posso sviluppare per incrementare ulteriormente il contributo che offro?”. Domande che consentono di intrecciare il proprio percorso professionale con le esigenze che la comunità esprime e a cui come cittadino, attraverso la propria “carriera”, può contribuire a rispondere. E, come detto sopra, questo non significa contrapporsi all’interesse personale. Per fare un esempio, si pensi a Salvatore Aranzulla, un imprenditore digitale che attraverso la sua idea di business ha “istruito” milioni di italiani ad interagire con la tecnologia. Aranzulla ha offerto il proprio contributo per la digital transformation della comunità ben prima che questa fosse “mainstream”, rendendo accessibili informazioni preziose per una comunità che si stava rapidamente digitalizzando, in un momento storico in cui le competenze informatiche erano appannaggio di pochi. E ha scelto di farlo ben prima di definire quali vantaggi personali poteva trarne: ha iniziato all’età di 12 anni la sua attività e forse non immaginava il fatturato milionario che avrebbe raggiunto

COSTRUIRE E CURARE UNA SQUADRA

Come descritto in un precedente articolo, “anche il più solitario dei viaggi è il prodotto di una catena di interazioni e collaborazioni di una moltitudine di persone che hanno investito in quel viaggio risorse, strumenti, competenze”. Nel momento in cui si progetta o modifica la propria carriera in un’ottica Career Leader Communityholder, non si è mai soli: ci sono attori della comunità che hanno il mandato di contribuire a tale processo e che, corresponsabilmente, si è chiamati a sollecitare. In questo senso, un docente può essere consultato come esperto di settore per ragionare insieme su un tema o un trend emergente, su cui ha maggiore visibilità grazie al suo ruolo, e su cui si avrebbe una visione e una conoscenza parziale se si guardasse solo nel proprio orto. Contemporaneamente un consulente di carriera può essere coinvolto per condividere, grazie alle sue competenze e ad un “punto d’osservazione” differente, una rilettura del proprio percorso professionale e delle proprie competenze, volta a costruire un cambiamento o uno sviluppo lavorativo. Allo stesso modo il professionista che si è interfacciato con docente e consulente, non posizionandosi da mero fruitore stakeholder, mette a disposizione dati ed elementi del suo percorso (di cui rimane massimo esperto) che diventeranno la base di un ragionamento comune. In questo senso le interazioni non sono gestite nella logica del solo proprio interesse: in ogni interazione si è anche, sempre, contributori. Un Career leader stakeholder chiede, aspetta, definisce che solo l’altro è portatore di un contributo. Un Career leader communityholder è giocatore di una squadra, responsabile nel contribuire insieme agli altri al buon esito della partita

SAPER VALUTARE IL CONTRIBUTO

Quanto le scelte di carriera stanno portando contributo alla comunità? Ancora una volta serve prendere le distanze dai luoghi comuni che potrebbero intendere come “Responsible” una carriera orientata dalla domanda ‘quel ruolo o quell’azienda, mi consente di fare del bene?’, dando per assodato che una certa struttura organizzativa o mission aziendale diano garanzia di generare un impatto positivo per la comunità.

Una carriera Responsible, che vada oltre, si orienta con la domanda ‘al di là della tipologia di organizzazione per cui lavoro o potrei lavorare, quanto nel farlo contribuisco a rispondere alle esigenze comunitarie?’.

Per costruire una risposta serve dotarsi di indicatori che offrano dati su quanto si sta contribuendo alla comunità attraverso la propria carriera. Ad esempio, i dati messi a disposizione a chi redige il Bilancio sociale e di sostenibilità di un’organizzazione e che ci dicono se e in che modo si sta generando valore per la comunità, a partire dall’engagement della comunità stessa (geografica ma anche virtuale) nel leggere risorse ed esigenze. Ma anche le verifiche periodiche dei singoli reparti o ruoli, ci informano se oltre ai traguardi economici raggiunti si siano raccolti dei dati anche sulle implicazioni di questi al di fuori delle proprie mura. Le ulteriori connessioni che si generano tra l’essere responsible e il contribuire alla comunità le leggeremo nell’articolo che uscirà ad aprile, in cui si affronterà lo sviluppo di carriera in chiave di sostenibilità.

Concludendo, il successo di una carriera sta nel ‘far succedere’, quotidianamente e in qualsiasi assetto lavorativo, cambiamenti che contribuiscono a rispondere ad esigenze trasversali della comunità in cui il Career Leader Communityholder vive ed opera. Ponendosi quelle domande, da soli e in squadra, che consentano di andare oltre il proprio sguardo, e ben sapendo che se oggi “coltivo” valore per la comunità, domani potrò raccoglierne i frutti anche nel mio orto.

Progetta il tuo futuro con il Personal Branding

In questo articolo vogliamo proporre un esercizio rapido e innovativo per imparare a progettare la propria carriera.

Il presupposto principale è che in questa epoca di incertezza e complessità il concetto stesso di carriera è ormai messo in discussione. Il termine “carriera” infatti, nella sua etimologia, rimanda alla carreggiata, ai binari, ad un percorso predefinito, chiaro, da percorrere in modo lineare, possibilmente in modo scorrevole e veloce. Aspettarsi una carriera in questi termini è sempre meno probabile. Si riducono sempre di più infatti i periodi di tempo dove le condizioni rimangono sufficientemente costanti per garantire una certa stabilità, né percorsi lineari e predeterminati, neppure all’interno delle aziende o nei confini delle professioni tradizionali. Insomma, quella che oggi ci troviamo a dover gestire sono sempre di più “carriere senza carriera”.

Ciò porta con sé una conseguenza importante: la fine della pianificazione di carriera così come la conoscevamo. In questo contesto occorre quindi passare da un modello di sviluppo professionale tradizionale ad un paradigma più moderno e in linea con i tempi: l’innovazione professionale.

L’obiettivo? Avere un obiettivo!

Ottengo un riscontro di tutto ciò quasi quotidianamente. Quando infatti lancio la sfida agli studenti di dirmi come si vedono al termine del Master, molti di loro si rivelano senza un vero obiettivo di carriera. Non hanno infatti un obiettivo nel formato SMART tanto amato dai career coach. Hanno al massimo uno scope, un perimetro, una direzione, un ambito di sviluppo.

Del resto la disarmante verità è che nella carriera contemporanea il vero obiettivo è quello di avere un obiettivo o, meglio, imparare a progettare quello più adeguato, coerente e appagante. Ma come fare?

Personal Branding

Uno degli esercizi di design più apprezzati che proponiamo sia nei master sia nei programmi di sviluppo dei talenti delle aziende, è quello di farlo applicando il paradigma del Personal Branding in una modalità che potremmo definire agile. Di fatto si tratta di scegliere un obiettivo, direzione e ambito, anche non ben definito, e di prototipare una vera e propria strategia di Personal Branding coerente con esso. L’idea è quella di generare preziosi apprendimenti andando a verificare fattibilità, credibilità e rilevanza, ad esempio rispondendo a domande tipo:

  • Posso realmente propormi per quella posizione?
  • Ho tutte le competenze necessarie sulla carta?
  • Posso raggiungere le persone che devo influenzare?
  • Sono sufficientemente credibile per la posizione in questione?
  • Riesco a differenziarmi e ad emergere concretamente dal rumore di fondo?
  • Sono in grado di far percepire il mio valore adeguatamente?
  • Ciò che prometto è rilevante per loro?

Progetta, testa, apprendi

Il processo a grandi linee è il seguente:

  1. Si sceglie un obiettivo plausibile, anche vago, ad esempio ottenere una posizione specifica in un certo ambito, attrarre progetti o clienti di una specifica tipologia.
  2. Si prototipa “sulla carta” una strategia di Personal Branding coerente con l’obiettivo in questione. Ciò facendo mente locale sui concetti fondamentali del Personal Branding: pubblico di riferimento (le ad esempio persone da influenzare), valori e visione professionale, specificità della professione svolta e approccio lavorativo potenziali, competenze e punti di forza, competizione, elementi di differenziazione, etc. Molte delle domande coinvolte in questa attività saranno utili a far mente locale su elementi importanti sulla fattibilità  e concretezza dell’obiettivo in questione.
  3. Ci si fanno le domande di cui sopra magari compiendo anche opportune verifiche di validazione. Ciò ad esempio tramite piccoli esperimenti, quali interviste, attività di networking, partecipazione ad eventi, test, assessment, etc.
  4. Si identificano eventuali mancanze in termini di inclinazioni, competenze necessarie e certificazioni: la conseguenza di ciò è quella di sviluppare un piano di sviluppo professionale coerente con i propri obiettivi di immagine professionale!

Nel caso il lavoratore può valutare se progettare e attivare una serie di attività di comunicazione e ingaggio del proprio pubblico. Come è ben noto ormai oggi tipicamente avvengono online e che spesso possono coinvolgere un uso attivo di LinkedIn. Va da sé che solo grazie ad una concreta attivazione per prova ed errore della strategia possono essere tratti i più importanti apprendimenti. Ciò grazie ai preziosi feedback ricevuti in tempo reale dalla Rete.

Il Digital You Canvas

Il Digital You Canvas è lo strumento ideale per fare questo esercizio. Grazie ad esso è possibile prototipare rapidamente la propria strategia di Personal Branding e sviluppare una presenza digitale coerente con i propri obiettivi. Con il Canvas è possibile individuare tutti gli elementi strategici citati sopra e comprendere come sviluppare un’identità digitale che sia coerente con quella reale.

L’idea è quella di mappare in maniera visuale uno specifico processo in una sola pagina, suddivisa in blocchi logici relazionati tra di loro e favorendo una fertile visione d’insieme. Questa favorisce la chiarezza, la generazione di nuove idee e permette di comprendere nuove relazioni tra elementi noti e meno noti. Mette anche in evidenza eventuali aspetti da sviluppare e priorità e soprattutto offre una mappa per garantire un strategia di Personal Branding autentica e coerente.

Questo strumento di pensiero visuale è incluso fisicamente al libro Digital You pubblicato da Hoepli scritto insieme all’autore statunitense William Arruda, di fatto il massimo esperto internazionale di Personal Branding.

È possibile scaricare gratuitamente la versione completa del Digital You Canvas, che include i testi guida nei blocchi e tutte le istruzioni per l’uso, presso il sito divulgativo PersonalBranding.it [https://www.personalbranding.it/digitalyou].

Career Action plan: strategia, pianificazione e flessibilità di pensiero

Per anni mi sono occupata di pianificazione, considerando un bel piano organizzato e strutturato come una specie di coperta di Linus. Quando ho iniziato ad occuparmi di contenuti HR, ho avuto un momento di dubbio: la pianificazione e il recruiting vanno davvero d’accordo? Sì, certo, se pensiamo al completamento di singoli compiti lavorativi, ma nel complesso – se non utilizzata con un fine specifico – ho pensato che saper pianificare fosse una competenza come un’altra, anzi, qualche volta, la rigidità di un buon planning poteva risultare anche piuttosto fastidiosa/inutile/controproducente.

Poi la scoperta. Iniziando a lavorare come career advisor ho incontrato moltissime persone e per tutti – attraverso le domande sui loro obiettivi e la costruzione dei loro percorsi – mi si è proposta la stessa sfida: imparare e insegnare a conciliare la pianificazione di un piano di carriera con la flessibilità che la ricerca attiva del lavoro richiede.

Questo perché non basta desiderare qualcosa e chiamarlo obiettivo professionale: l’attenta analisi individuale che porta alla definizione di un cosa ci attiva immediatamente nell’identificazione del come ed è fondamentale non perdersi in questo percorso piuttosto articolato.

Chi sono quindi i migliori alleati che ci supportano nella creazione di un career action plan efficace?

Sicuramente l’informazione è il nostro primo importante amico. Conoscere, approfondire, raccogliere dati è la prima attività che permette di indagare la concretezza del nostro interesse: possiamo evidenziare e raccogliere tutti quei punti di forza che ci potranno rendere interessanti agli occhi di chi ci intervisterà.
La raccolta dei dati è facilitata dal web che, attraverso network più o meno professionali, ci fornisce una vastità di elementi utili (dall’analisi dei profili di chi occupa già il ruolo che desideriamo, alla raccolta di informazioni di dettaglio sul nostro target), ma è fondamentale che sia svolta con cura e attenzione perché possa portare a risultati utili e di apertura verso il nuovo. La tastiera e il pc infatti sono uno strumento importante solo se uniti alla testa e ad una strategia di ricerca!

Tra le attività più efficaci e anche più difficili, c’è poi anche una buona capacità di networking, che ci consente il confronto diretto con persone che lavorano o hanno lavorato in aziende o posizioni professionali che sono il nostro target, raccogliendo preziose informazioni che nessun sito web può offrirci.

Dalla nostra mappatura è importante che risulti una chiara e reale sintesi dei classici cosa, come, dove e perché.

Ecco perché il secondo step è la scelta di ciò ci interessa davvero. Anche se abbiamo le competenze per svolgere un certo ruolo, serve filtrare le opportunità di lavoro e le aziende che intercettiamo, per sondare le caratteristiche che contribuiranno a renderci soddisfatti della scelta finale.

Leggere annunci e consultare bacheche alimenta infatti  l’istinto diffuso del “provarci”, inviando cv nella speranza che qualcuno chiami. Tuttavia – soprattutto per coloro che sono mossi da una motivazione stringente perché sono disoccupati o molto insoddisfatti del lavoro che stanno facendo – il rischio è non ritrovarsi soddisfatti accettando la prima offerta che arriva.

Se invece usiamo i dati della nostra ricerca per fermarci a ragionare e scegliamo di candidarci verso opportunità e aziende in coerenza con quelli che sono i cardini del nostro obiettivo, ci concediamo l’opportunità di un miglioramento professionale e non solo un cambiamento.

Ed è qui che compare il nostro terzo alleato: la flessibilità. L’idea originaria potrebbe infatti cambiare, arricchirsi di dettagli o evolvere in altri progetti. Come saggiamente consiglia Chiara Girola, nel suo articolo sulla definizione dell’obiettivo di carriera, è importante che l’obiettivo mantenga sufficiente astrazione per concederci di essere creativi.

Il processo di raccolta delle informazioni e di scelta dei nostri passi sono momenti importanti, ma che non devono produrre un risultato cristallizzato nel tempo.

Dal mettersi in gioco nella ricerca di un nuovo lavoro possono nascere molte idee che creano obiettivi diversi da quelli iniziali. Possono nascere i piani B o C oppure, in certi casi, possono crearsi le evoluzioni, il piano A.0 o A.1 a cui non avevamo pensato, ma da cui possiamo farci coinvolgere tanto da farli diventare la meta del nostro nuovo percorso.

Possiamo – e dobbiamo! – concederci il lusso di cambiare idea e di aprire la mente a strade e opzioni meno evidenti o più creative, che possono sollecitarci verso una sfida e attivare le nostre risorse più nascoste. Raccogliendo elementi e mettendo alla prova il nostro piano originario, apriamo la strada a progetti paralleli e ugualmente possibili che possono portarci ottime opportunità

Quale che sia il vostro obiettivo è fondamentale, a mio parere, che il piano di azione costruito per perseguirlo sia cucito sui vostri desideri e sulle vostre inclinazioni più che sul nome altisonante di una società di grido. Noi possiamo scegliere di dare il nostro meglio in qualsiasi ambiente, ma sappiamo scegliere l’ambiente che ci offrirà le condizioni per sostenere il desiderio di fare del nostro meglio?

 

Viaggio nel mondo del lavoro

Che cos’è un Master se non un viaggio? Chi si iscrive ad un corso di formazione intraprende un percorso che parte dall’esplorazione del sé e prosegue con la scoperta del mondo del lavoro, mentre si naviga verso la meta: il raggiungimento del proprio obiettivo professionale.

La prima fase di analisi del proprio profilo professionale è fondamentale: quali sono i punti di forza e quali le aree di miglioramento? Quali sono le competenze distintive? Come colmare le lacune? Grazie alla piattaforma di Artificial Intelligence del MIP, FLEXA, i candidati possono sottoporsi ad un assessment delle proprie competenze hard, soft e digital.

Da un lato, essere consapevoli dei propri punti di forza è fondamentale per strutturare la propria “value proposition” ed essere in grado di presentarsi in modo efficace.

Dall’altro lato, è importante individuare le proprie aree di miglioramento ed essere guidati nello sviluppo delle competenze necessarie per colmare i propri gap.

Completata la fase di self-assessment e identificazione delle proprie core competencies, si apre uno dei momenti più delicati nel percorso di un Career Leader, ovvero analizzare e comprendere le dinamiche tipiche del mercato del lavoro.

Questa fase è fondamentale per costruire e governare il proprio action plan perché consente di trovare le giuste coordinate per orientarsi all’interno di un contesto in continua evoluzione e valorizzare il proprio bagaglio di competenze in virtù dell’obiettivo di carriera che ci si è posti.

È necessario partire dall’identificazione dei fattori che possono influire sul mercato del lavoro, come ad esempio l’analisi delle competenze maggiormente ricercate.

In un recente report pubblicato dal World Economic Forum, “The Future Jobs 2020”, si afferma che entro il 2025 l’accelerazione del progresso tecnologico determinerà una sostanziale trasformazione dei ruoli già esistenti e che il 40% delle competenze tradizionali richieste cambierà. La concomitanza di fattori come la digitalizzazione e la pandemia hanno accelerato un processo noto da anni.

Tra le skills più richieste ci saranno certamente competenze trasversali come la capacità di sviluppare un pensiero critico positivo e strategico, così come l’abilità di gestire problemi complessi perché è quello di cui le aziende hanno bisogno per navigare nella complessità e gestire potenziali cambiamenti di rotta non prevedibili, come la pandemia ci ha dimostrato. Altrettanto richieste saranno competenze di ruolo specifiche legate ad esempio alla Digital Transformation o ai Big Data.

Orientarsi in un contesto in rapida evoluzione e tanto competitivo può rappresentare un’ardua impresa anche per il candidato più assennato perché dopo aver completato l’assessment delle proprie competenze e identificato i propri punti di forza e aree di miglioramento, dovrà confrontarli con quello che il mercato del lavoro sta ricercando.

Le piattaforme digitali possono offrire ai candidati delle coordinate di base per interpretare l’attuale mercato del lavoro, come ad esempio:

  1. Identificare le competenze attraverso keywords ed impostarle come criteri di ricerca
  2. Utilizzare modificatori booleani per perfezionare ulteriormente la ricerca e trovare rapidamente ed efficacemente le posizioni che si adattano alle proprie competenze
  3. Analizzare quali sono le competenze più richieste per ruolo, area di business e settore con particolare attenzione per le competenze trasversali
  4. Se la ricerca è aperta a più aree geografiche, verificare se ci siano competenze o requisiti specifici richiesti (es. competenze linguistiche, visa, etc.)
  5. Tenersi costantemente informati sui trend di business del proprio settore o aziende di riferimento

Come Career Consultant MIP poniamo da sempre una forte attenzione all’analisi del mercato del lavoro ritenendolo un elemento chiave per i nostri Career Leader.

Infatti, oltre ad offrire all’interno del nostro programma momenti di approfondimento con coach ed head hunters, e aver stretto nel corso degli anni collaborazioni con piattaforme di carriera digitali a livello internazionale, ci siamo dotati di uno strumento di analisi come LinkedIn Talent Insights per accedere ad informazioni sui trend del mercato del lavoro attendibili e costantemente aggiornati.

LinkedIn è conosciuta per essere la piattaforma di carriera più usata al mondo, milioni di professionisti e aziende la utilizzano quotidianamente per aggiornare i propri profili, pubblicare offerte di lavoro, condividere aggiornamenti (anche noi stiamo utilizzando LinkedIn per condividere questo post!), mantenere vivo il proprio network professionale.

Centinaia di milioni di dati che Talent Insights permette di analizzare ed interpretare per costruire una strategia efficace di talent intelligence, individuando ad esempio uno specifico target di talenti, quali sono le competenze ricercate nei professionisti, in quali settori, come vengono selezionati, quali aziende li stanno assumendo e come variano le tendenze in base alle aree geografiche di interesse.

I dati, in forma aggregata, restituiscono una fotografia del mercato del lavoro accurata e in tempo reale.

In un mondo sempre più governato dai dati, il rischio di sentirsi smarriti e di non avere gli strumenti per orientarsi è molto alto, ma al MIP il CareerLeader non è lasciato solo: nel suo viaggio può fare affidamento non solo sugli strumenti digitali, ma anche sulla guida dei Consulenti di Carriera, che incontra sia in aula durante workshop e laboratori in gruppo, sia individualmente durante colloqui di orientamento. Confrontandosi con un professionista, il candidato può definire meglio la rotta verso la meta e governare in modo più consapevole e strategico il viaggio verso il proprio obiettivo di carriera.

Career Leader: Strategia e atteggiamento imprenditoriale

“Un buon giocatore di hockey gioca là dove sta il disco. Il miglior giocatore di hockey gioca là dove il disco sta per andare” Wayne Gretzky

Nello scorso editoriale Chiara Girola ha approfondito l’importanza di saper costruire un “buon” obiettivo di carriera. Per il Career Leader l’obiettivo è il faro che guida costantemente la nave della nostra carriera. È il miglioramento continuo a cui aspirare e non, ci ricorda Chiara, il vantaggio concreto che da questo miglioramento otteniamo (stipendio, riconoscimento, cambi di ruolo..).

Ma, una volta fatto il settaggio della nostra nave e definito l’obiettivo di miglioramento, qual è l’atteggiamento giusto con cui affrontare il mare, ovvero, fuor di metafora, le strategie attraverso cui perseguire il nostro obiettivo?

Vediamo le principali secche in cui la nostra nave potrebbe arenarsi e le strategie da mettere in campo per governare l’incertezza che ogni processo di cambiamento comporta.

Affrontare il mare senza conoscere il mare

Tra gli errori più ingenui, ma anche più impattanti rispetto allo sviluppo di carriera, annoveriamo la mancanza di approfondimento circa i segmenti di mercato o i ruoli a cui aspiriamo. L’interesse o la passione personale talvolta rappresentano, in modo del tutto autoreferenziale, i riferimenti che vengono utilizzati dai Career Leader per gestire e orientare la navigazione. Questo atteggiamento comporta l’aumento della dose di incertezza in quanto al navigante sfuggono esigenze, criticità, regole, riferimenti culturali ed organizzativi dell’assetto in cui aspirerebbe ad inserirsi. Inoltre, non secondario, rischia di minare la credibilità del Career Leader agli occhi di potenziali interlocutori esperti che già conoscono il mare.

Cosa serve dunque? Fare ricerca. Ovvero incrementare una conoscenza prospettica e multidimensionale dell’ambito o del ruolo di interesse, facendosi guidare dalle domande: cosa può servire a questo contesto lavorativo? Quale contributo potrei dare io, ora e in prospettiva futura, per migliorarne competitività e capacità di innovazione?

Affrontare il mare ritenendo di conoscere il mare

Può sembrare una contraddizione rispetto al punto precedente ma, da un punto di vista metodologico si tratta del medesimo errore, ovvero basarsi su criteri autoreferenziali per costruire delle valutazioni e delle scelte d’azione conseguenti. Infatti l’esperienza, anche pluriennale in un certo settore, rischia di esporci a fare delle previsioni invece che delle anticipazioni. Qual è la differenza? Nel primo caso la forma mentis è quella del “so già tutto di come funziona quel settore, quindi andrà sicuramente così anche nella prossima azienda in cui mi candiderò”. Paradossalmente il massimo della certezza rappresenta il più grosso punto debole per un Career Leader. La logica del “già visto” e del “prevedibile” fa perdere di vista il processo, ovvero la necessità di contestualizzare e valutare ogni specifico assetto a cui ci si approccia, decentrandosi dalla propria personale esperienza e mettendola alla prova attraverso la strategia del “fare ricerca” illustrata al punto 1. Questo consente di allenare l’anticipazione, ovvero la competenza di prefigurarsi scenari possibili (e non un unico film) a partire dai dati raccolti. Anticipare ci mette in condizione di prepararci piani diversi, riducendo lo spiazzamento e la delusione se quello che pensavamo maggiormente probabile non si realizzasse e potendo effettivamente mettere a frutto il considerevole bagaglio della propria pluriennale esperienza.

Pensare che il mare si divida in due per farci passare, forti dell’innovativa idea che portiamo

Immaginiamo un Career Leader che si mette in gioco in un percorso di crescita animato dall’intenzione di contribuire all’innovazione dell’azienda in cui già lavora. Spesso si è posto le domande che abbiamo visto al punto 1 e ritiene anche di aver fatto le anticipazioni di scenari a partire dagli elementi raccolti, come suggerito nel punto 2. Compiute queste due tappe si può vedere chiaramente cosa può essere utile ad un certo contesto e, in alcuni casi, anche a costruire delle idee progettuali ad alto tasso di innovazione. Ma arrivati a questo punto spesso accade si scontrino con le resistenze al cambiamento dei vertici aziendali.

Qual è in questo caso la specifica criticità in cui un Career Leader può cadere?

Si tratta della confusione tra hard e soft skills. La competenza tecnica, per quanto implementata, raffinata e orientata all’innovazione non è sufficiente a sostenere il perseguimento di obiettivi di sviluppo. In questo caso sono due le indicazioni strategiche:

  • imparare sia ad osservare gli aspetti hard del lavoro, che (e soprattutto) gli aspetti soft, legati alle interazioni tra i diversi ruoli, alle modalità con cui si usano, in un certo contesto lavorativo, i contributi dei collaboratori per perseguire lo sviluppo d’impresa.
  • curare lo sviluppo di competenze di comunicazione efficace e di promozione di una visione comune, consapevoli che il valore attribuito alla propria idea sarà direttamente proporzionale alle soft skills che si saprà mettere in campo per renderla comprensibile, condivisibile e sostenibile…

Andar per mare da soli

È facile pensare che la navigazione di un Career Leader sia un viaggio in solitaria. Un “imprenditore di sé stesso”, si dice, introducendo implicitamente l’idea che si tratti di un self made man (o woman) che conta solo e pervicacemente sulle proprie risorse e che deve “rubare” con destrezza il lavoro e le occasioni. Ma anche il più solitario dei viaggi è il prodotto di una catena di interazioni e collaborazioni di una moltitudine di persone che hanno investito in quel viaggio risorse, strumenti, competenze. Trascurare questa evidenza, collocandosi da consumatori di risorse che provano a trarne il maggior vantaggio personale, rappresenta a tutti gli effetti, un potenziale perso. Cosa serve dunque?

Adottare una logica da Responsible Career Leader comporta considerare il lavoro di squadra con tutte le risorse (docenti, consulenti, servizi di supporto, colleghi di corso, aziende partner..) come un’opportunità per allenarsi a moltiplicare il valore del processo di sviluppo in cui si è inseriti e quindi, in ultima istanza, il valore del proprio contributo come manager di domani.

Riprendendo l’immagine iniziale del miglior giocatore di hockey che va dove il disco sta per arrivare, lo sguardo d’insieme di questi aspetti critici e strategie di gestione mostra come queste siano le 4 tappe che il Career Leader può percorrere per farsi trovare preparato ad affrontare l’incertezza del mercato del lavoro con competenza, esperienza e lavoro di squadra.

Come costruire un “buon” obiettivo di carriera?

Qual è il tuo obiettivo di carriera? Da consulente alla carriera, le risposte che spesso si raccolgono a questa domanda sono descritte in termini di risultati attesi: avere un aumento di stipendio, avere un posizionamento migliore rispetto al ruolo ricoperto, cambiare contesto aziendale o settore.

Ai più, i risultati sembrano obiettivi. “È lì che voglio arrivare!”

Quali sono dunque le implicazioni quando confondiamo gli obiettivi con i risultati?

Vediamone tre:

  1. Non vedo il “come”, la strada: “come faccio ad arrivare lì?” Senza un obiettivo, risulta difficile costruire strategie
  2. Non uso fino in fondo il “dove sono”, sottovaluto l’analisi del punto di partenza, del patrimonio di conoscenze e competenze che ho a disposizione
  3. Non ho strumenti per individuare eventuali errori e per gestirli

Accade dunque che, anziché lavorare alla costruzione di un obiettivo fondato e di un piano di azione coerente, il modo di procedere diventi casuale oppure si deleghi all’esterno la responsabilità del proprio percorso di sviluppo professionale.

Da dove ri-partire allora? Quali caratteristiche deve avere un obiettivo per poter essere definito tale?

Ancora tre i punti a disposizione:

  1. Un obiettivo è astratto! Ma come, si chiederà qualcuno? Come “astratto”? La caratteristica metodologica dell’astrazione è quella che garantisce all’obiettivo di generare processi, ovvero di avere la forza di far vedere più strade possibili, di attivare percorsi concreti. Ma la concretezza viene dopo, nel piano d’azione. Non può essere una caratteristica dell’obiettivo, pena la perdita della sua capacità generativa
  2. Un obiettivo è condivisibile! Significa che non può essere frainteso, non può essere compreso in modo diverso da persone diverse. Qual è l’utilità di questa caratteristica metodologica? La condivisibilità serve a garantire la “terzietà” dell’obiettivo, ovvero ci “obbliga” ad esplicitare i criteri e i riferimenti su cui lo costruiamo. In base a cosa lo definiamo così? Cosa intendiamo con le parole che utilizziamo?
  3. Un obiettivo è misurabile! Èdall’obiettivo che discendono gli indicatori di processo e di risultato che mettono nella condizione di misurare costantemente il “dove siamo” rispetto all’obiettivo. Non si dà a livello teorico che l’obiettivo, vista la sua astrattezza, sia “raggiunto”, sebbene nell’accezione comune utilizziamo l’espressione “obiettivo raggiunto”. Conseguiamo risultati e lo facciamo in base agli obiettivi che ci siamo dati. L’obiettivo è il faro, non il porto a cui approdiamo.

E allora da dove partire per costruire un “buon” obiettivo di carriera?

La risposta sembra banale: parti da dove sei. Analizza in ogni suo lato il dove ti trovi, come sei arrivato lì, e soprattutto quali sono le competenze che esprimi e quali quelle su cui sai (o puoi scoprire) che ti serve lavorare.

Una valutazione rigorosa delle competenze che possiedi e di quelle che ti serve sviluppare è un punto di partenza imprescindibile, una conditio sine qua non per poter definire il proprio faro.

Cosa dici di te, del tuo patrimonio di competenze? Cosa gli altri ti riconoscono? Quali sono i tuoi punti di criticità, i tuoi talloni d’Achille? Quali esigenze di sviluppo di competenze leggi per il tuo percorso?

Nella metafora, prima di scegliere il faro, guarda la nave! Guarda chi sei, quali sono i tuoi valori e le tue competenze.

Lo sguardo alle competenze espresse ed esprimibili è l’analisi necessaria per costruire un obiettivo fondato rispetto al proprio percorso di sviluppo. Non c’è sviluppo di carriera che non passi da uno sviluppo di competenze.

E in base a cosa scelgo poi il faro? Come costruisco un obiettivo correlandolo all’esigenza di sviluppo di competenze? Uno spunto arriva dalle parole di Kurt Vonnegut, che ci esorta così: “Non chiedetevi che lavoro avete voglia di fare, chiedetevi a quale successo volete contribuire”.

Non c’è nulla di delegabile all’esterno dunque. C’è la propria responsabilità da mettere in campo per definire quale contributo vogliamo portare nel mondo. Del lavoro e non solo. I risultati sono conseguenze.

E se la nebbia avvolge la nave e rende difficile vedere il faro, uno strumento c’è. La consulenza alla carriera si pone esattamente lì, nel coadiuvare l’analisi e il processo di costruzione del motore del proprio sviluppo: l’obiettivo di carriera.

Come sviluppare le skills giuste per raggiungere gli obiettivi

Definizione, strategia e action plan

Quale direzione dare alla propria carriera professionale e quali sono le competenze da acquisire e le azioni da intraprendere per raggiungere gli obbiettivi professionali prefissati?

Il MIP ha progettato per i percorsi MBA ed Executive MBA, il “Career Self-Design”, un programma formativo volto ad accelerare lo sviluppo dei percorsi di carriera dei partecipanti attraverso fasi differenti: dalla definizione dell’obiettivo professionale fino all’identificazione delle barriere.

Il percorso parte dalla definizione del proprio obiettivo professionale, identificando le barriere acquisendo i tools per costruire piani personalizzati. Questo primo step rappresenta il processo di trasformazione professionale che mira a diventare imprenditori di successo.

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