Donne tra cura e lavoro: cosa possiamo imparare dalla pandemia


Un progetto di ricerca congiunto tra l’università Cattolica e il Politecnico di Milano per studiare l’impatto del Covid sulla vita delle donne lavoratrici

 

A partire da Marzo 2020, il progetto CAREER (CARE for womEn woRk), finanziato dal Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca e nato dalla collaborazione tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia e Centro di Ricerca sul Lavoro “Carlo Dell’Aringa”-CRILDA) e la School of Management del Politecnico di Milano (Dipartimento di Ingegneria Gestionale), ha voluto indagare in profondità i vissuti delle donne lavoratrici durante la pandemia per identificare ambiti e soluzioni di intervento. Il progetto ha coinvolto 14 ricercatori e ricercatrici dei due atenei milanesi. Mercoledì 1 Dicembre sono stati presentati i primi risultati della ricerca durante l’evento “Donne tra lavoro e cura. Cosa possiamo imparare dalla pandemia”.

Le referenti del progetto Claudia Manzi, docente di Psicologia sociale presso l’Università Cattolica, e Cristina Rossi-Lamastra, docente di Business and Industrial Economics alla School of Management del Politecnico di Milano, raccontano come i risultati del progetto restituiscano un quadro estremamente complesso sul lavoro femminile nell’ultimo anno e mezzo.

Il lavoro da casa durante la pandemia ha avuto, infatti, significati ed effetti duplici per le donne lavoratrici. Da un lato, si è trattato di un’opportunità per avere maggior equilibrio vita-lavoro e una migliore performance sul lavoro stesso. Dall’altra però, le prescrizioni di genere che vedono le donne protagoniste (quasi del tutto solitarie) della gestione domestica e familiare hanno inibito la conciliazione lavoro e famiglia in un unico confine spaziale, quello domestico. Questo ha avuto conseguenze negative non tanto sulla performance lavorativa, quanto più sui livelli di stress e benessere mentale delle donne lavoratrici.

Come racconta la Prof.ssa Manzi: “Le cause di questa situazione sono il combinato disposto di ciò che accade sul piano culturale, relazionale e logistico-organizzativo. Dal punto di vista culturale, l’adozione, ancora in larga parte inconsapevole, di modelli stereotipici circa il ruolo delle donne nel mondo del lavoro e nella sfera familiare, ha rappresentato senz’altro un grande ostacolo per le lavoratrici”.

Tali modelli stereotipici – conclude la Prof.ssa Rossi-Lamastra  – si traducono in un’ineguale allocazione delle risorse: con il progetto CAREER, infatti, abbiamo visto come alle donne sia mancato più frequentemente uno spazio adeguato al lavoro da casa rispetto agli uomini”.

Gli stereotipi di genere sono stati poi aggravati dai pochi e mal formulati aiuti provenienti dalle istituzioni e dalle organizzazioni, dallo scarso supporto dei partner in alcuni casi, e da soluzioni poco adeguate allo svolgimento del loro lavoro in termini di spazio domestico.

Certamente il quadro è complesso, ma visti gli orientamenti futuri dell’organizzazione del lavoro in Italia per favorire la ripresa e la tenuta del lavoro femminile, occorre guardare il lavoro da casa in modo meno semplicistico, e soprattutto, fornire alle donne lavoratrici una visione identitaria più forte rispetto al loro ruolo nelle organizzazioni e nella società. Il lavoro da casa, infatti, non deve diventare un mezzo per allontanare le donne dalla vita professionale e dalla piena realizzazione della loro identità di lavoratrici.

Il progetto di ricerca CAREER (CARE for womEn woRk) è ancora in corso. Per saperne di più, è possibile visitare il sito ufficiale al seguente link: https://projectcareer.it/

Si rimanda inoltre a recenti articoli che hanno raccontato più estensi sul progetto recentemente pubblicati da Il Sole 24 Ore e IoDonna

Le diversità come occasione di business

Rispetto delle diversità come importante questione etica, ma anche inclusione delle differenze come leva di business. Cristina Rossi Lamastra, professor of Business and Industrial Economics del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, ha fatto del diversity management uno dei suoi oggetti di ricerca. Affiancata da Mara Tanelli e Silvia Strada, docenti del Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano, e con il supporto della linguista Cristina Mariotti, sta indagando sull’utilizzo degli strumenti di data analitycs per fare emergere i bias inconsci, in particolare gli stereotipi di genere nelle comunicazioni aziendali.

«Grazie al movimento Me Too, la gestione della diversità è un argomento che negli ultimi tempi ha attratto l’interesse del grande pubblico, ma il tema è presente da tempo nella letteratura scientifica, in contesti di business e accademici – spiega la professoressa –. Recentemente possiamo dire ci sia stata anche una presa di consapevolezza sui danni derivanti alle imprese dal mancato rispetto delle diversità». Il movimento Me Too, nato negli Stati Uniti, ha posto l’attenzione su un tema delicato sul quale il nostro Paese evidenzia però un ritardo. «Registriamo diverse velocità in questo movimento – continua Rossi Lamastra –. Il tema dell’uguaglianza uomo/donna è profondamente influenzato dalla cultura e va di pari passo con il reddito, si accompagna a maggior sviluppo economico e a una cultura più egualitaria fondata sull’ingresso della donna nel mondo del lavoro».

Oltre a quella di genere, le politiche di diversity management fanno riferimento ad altre diversità, espressione sempre più evidente dei nostri cambiamenti sociali. O meglio, possiamo dire che l’uguaglianza di genere non sia relativa solo al rapporto uomo/donna, ma possa essere declinato su più dimensioni. Pensiamo agli LGBT, le cui politiche di inclusione sono diventate a loro volta argomento, anche se più di recente, di letteratura scientifica. E poi c’è il tema della somma delle diversità. Riportando i risultati di un test dei recruiting svolto negli Stati Uniti, Cristina Rossi Lamastra ha evidenziato la penalizzazione in cui incorrono le donne rispetto agli uomini, ma anche le persone di colore rispetto ai bianchi arrivando così a posizionare le donne di colore come ultime della graduatoria delle inclusioni.

«Il problema della gestione delle diversità appare decisamente complesso, in quanto manca una tassonomia scientifica e universalmente accettata relativamente a queste politiche – indica la docente del Politecnico –. Ma possiamo affermare che se si ignora una parte della popolazione, nel caso delle donne addirittura la metà, si trascura la relativa fetta di potenzialità e si perde la molteplicità dei punti di vista. Si perde tutta la ricchezza cognitiva associata alla diversità e alcuni studi indicano quanto tutto questo determini una perdita economica. Ormai la scarsa presenza di donne ai vertici delle aziende è vissuta da tutti come un limite, ma il problema della discriminazione è più grave e urgente in quei settori in cui la rileviamo a tutti i livelli e non solo ai vertici, come in quello oil & gas, per esempio, dove c’è una netta predominanza di uomini».

Ma come può un’azienda sensibile alla tematica applicare concretamente politiche di gestione delle diversità, che sicuramente danno anche vantaggi sotto il profilo dell’immagine pubblica? «Si possono innanzitutto migliorare i processi di recruiting, puntando su una comunicazione neutrale e prevedendo delle blind audition che non svelino il genere dei candidati, soprattutto nei settori men dominated – ha concluso Cristina Rossi Lamastra –. Le nuove tecnologie possono essere utili in questo senso».

Il tema coinvolge anche lo stesso Politecnico di Milano e la sua School of Management, che, come la maggior parte delle università italiane, aderisce alla parità di genere per quanto riguarda le carriere universitarie e la popolazione studentesca. I problemi più acuti si evidenziano in aree come quelle della matematica, delle scienze e della tecnologia, dove la presenza di donne è molto inferiore a quella degli uomini, e si sono aperti luoghi di confronto e di dibattito per elaborare azioni mitigatrici.