Gender Lens Investing: la parità di genere passa dagli investimenti

Un approccio di investimento per coniugare risultati economici e impatto positivo per le donne

 

È stato pubblicato il primo report ‘Empowering women, building sustainable assets: Strengthening the depth of gender lens investing across asset classes’ promosso da UN Women, l’organizzazione delle Nazioni Unite dedicata all’uguaglianza di genere e all’emancipazione delle donne, da Politecnico di Milano (progetto TIRESIA), Università Bocconi (Axa Research Lab on Gender Equality) e Phenix Capital.

Il report esplora il mercato del Gender Lens Investing (GLI), attraverso analisi quantitative e qualitative. Il GLI è un approccio che pone l’uguaglianza di genere al centro delle decisioni di investimento con l’obiettivo di ridurre le disparità di genere attraverso l’allocazione strategica di risorse economiche.

Il rapporto mette in luce la mancanza di un consenso sulla definizione di uguaglianza e inclusione nel contesto finanziario, evidenziando l’urgente necessità di una migliore alfabetizzazione finanziaria. Migliorare l’educazione finanziaria è identificato come un passo fondamentale per incorporare le questioni di genere nelle decisioni di investimento.

Gli investitori, sempre più consapevoli, riconoscono l’importanza di misurare e rendicontare l’impatto dei loro investimenti, adottando pratiche di misurazione che coinvolgono questioni di genere e uguaglianza, contribuendo attivamente al successo e all’impatto positivo di tali iniziative.

Le iniziative dall’alto verso il basso, comprese le regolamentazioni più stringenti, sono accolte positivamente dalla comunità degli investitori, favorendo un ambiente propizio all’accelerazione delle iniziative di genere e disuguaglianza.

I risultati chiave emersi dal rapporto forniscono una panoramica dettagliata del mercato degli investimenti miranti all’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG) 5 delle Nazioni Unite, che promuove la diversità di genere.

“Non siamo stati ancora capaci di rendere l’impatto il fulcro centrale attorno a cui le istituzioni finanziarie generano valore.” commenta Mario Calderini, direttore di Tiresia.

A luglio 2023, il capitale investito ha raggiunto la cifra notevole di 56 miliardi di dollari USA, evidenziando una crescente domanda per i fondi di investimento d’impatto legati all’SDG 5. Il private equity si conferma come la strategia ad impatto più matura, vantando il maggior numero di fondi di investimento (41) e un significativo capitale allocato. Anche gli investimenti in asset reali, immobiliari ed infrastrutturali, sebbene con un numero limitato di fondi, hanno registrato un aumento di iniziative nel 2022.

Questo innovativo rapporto non solo rivela risultati importanti, ma sottolinea anche i profondi contributi che il Gender Lens Investing può apportare alla società. Allocando strategicamente il capitale per affrontare la disuguaglianza di genere, il GLI offre una soluzione pratica e potenzialmente impattante per affrontare il cronico sottofinanziamento delle iniziative di emancipazione delle donne e di parità di genere.

Mentre il mondo si impegna a raggiungere gli ambiziosi obiettivi stabiliti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, questo rapporto è una testimonianza del potenziale del Gender Lens Investing come forza trasformatrice per un cambiamento positivo, rompendo barriere e aprendo la strada a un futuro più inclusivo ed equo.

“Uno dei motivi più immediati per spiegare perché questo non è successo, è chiedersi chi non era all’interno dei consigli di amministrazione di grandi istituti finanziari. Le donne. Credo fortemente che la rivoluzione d’impatto dipenda da maggior inclusione, maggior presenza di donne e di diversità di genere tra gli organi decisionali.”

Le diversità come occasione di business

Rispetto delle diversità come importante questione etica, ma anche inclusione delle differenze come leva di business. Cristina Rossi Lamastra, professor of Business and Industrial Economics del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, ha fatto del diversity management uno dei suoi oggetti di ricerca. Affiancata da Mara Tanelli e Silvia Strada, docenti del Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano, e con il supporto della linguista Cristina Mariotti, sta indagando sull’utilizzo degli strumenti di data analitycs per fare emergere i bias inconsci, in particolare gli stereotipi di genere nelle comunicazioni aziendali.

«Grazie al movimento Me Too, la gestione della diversità è un argomento che negli ultimi tempi ha attratto l’interesse del grande pubblico, ma il tema è presente da tempo nella letteratura scientifica, in contesti di business e accademici – spiega la professoressa –. Recentemente possiamo dire ci sia stata anche una presa di consapevolezza sui danni derivanti alle imprese dal mancato rispetto delle diversità». Il movimento Me Too, nato negli Stati Uniti, ha posto l’attenzione su un tema delicato sul quale il nostro Paese evidenzia però un ritardo. «Registriamo diverse velocità in questo movimento – continua Rossi Lamastra –. Il tema dell’uguaglianza uomo/donna è profondamente influenzato dalla cultura e va di pari passo con il reddito, si accompagna a maggior sviluppo economico e a una cultura più egualitaria fondata sull’ingresso della donna nel mondo del lavoro».

Oltre a quella di genere, le politiche di diversity management fanno riferimento ad altre diversità, espressione sempre più evidente dei nostri cambiamenti sociali. O meglio, possiamo dire che l’uguaglianza di genere non sia relativa solo al rapporto uomo/donna, ma possa essere declinato su più dimensioni. Pensiamo agli LGBT, le cui politiche di inclusione sono diventate a loro volta argomento, anche se più di recente, di letteratura scientifica. E poi c’è il tema della somma delle diversità. Riportando i risultati di un test dei recruiting svolto negli Stati Uniti, Cristina Rossi Lamastra ha evidenziato la penalizzazione in cui incorrono le donne rispetto agli uomini, ma anche le persone di colore rispetto ai bianchi arrivando così a posizionare le donne di colore come ultime della graduatoria delle inclusioni.

«Il problema della gestione delle diversità appare decisamente complesso, in quanto manca una tassonomia scientifica e universalmente accettata relativamente a queste politiche – indica la docente del Politecnico –. Ma possiamo affermare che se si ignora una parte della popolazione, nel caso delle donne addirittura la metà, si trascura la relativa fetta di potenzialità e si perde la molteplicità dei punti di vista. Si perde tutta la ricchezza cognitiva associata alla diversità e alcuni studi indicano quanto tutto questo determini una perdita economica. Ormai la scarsa presenza di donne ai vertici delle aziende è vissuta da tutti come un limite, ma il problema della discriminazione è più grave e urgente in quei settori in cui la rileviamo a tutti i livelli e non solo ai vertici, come in quello oil & gas, per esempio, dove c’è una netta predominanza di uomini».

Ma come può un’azienda sensibile alla tematica applicare concretamente politiche di gestione delle diversità, che sicuramente danno anche vantaggi sotto il profilo dell’immagine pubblica? «Si possono innanzitutto migliorare i processi di recruiting, puntando su una comunicazione neutrale e prevedendo delle blind audition che non svelino il genere dei candidati, soprattutto nei settori men dominated – ha concluso Cristina Rossi Lamastra –. Le nuove tecnologie possono essere utili in questo senso».

Il tema coinvolge anche lo stesso Politecnico di Milano e la sua School of Management, che, come la maggior parte delle università italiane, aderisce alla parità di genere per quanto riguarda le carriere universitarie e la popolazione studentesca. I problemi più acuti si evidenziano in aree come quelle della matematica, delle scienze e della tecnologia, dove la presenza di donne è molto inferiore a quella degli uomini, e si sono aperti luoghi di confronto e di dibattito per elaborare azioni mitigatrici.