Dati, tecnologie digitali e robot in campo: benvenuti nell’Agricoltura 4.0

Intervista a Matteo Matteucci (a sinistra nella foto), docente di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il Dipartimento di Elettronica Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano e Filippo Renga (a destra nella foto), docente del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano.

 

Filippo Renga e Matteo Matteucci collaborano da alcuni anni nello studio delle tecnologie digitali impiegate nell’agricoltura. Tengono insieme il corso di Data Analytics for Smart Agriculture del programma PoliMI Ambassador in Green Technologies, che si occupa di applicare le tecniche di intelligenza artificiale all’analisi dei dati in ambito agronomico e di valorizzare il mondo dei dati anche dal punto di vista economico e strategico.

 

Partiamo da alcuni chiarimenti. A cosa ci riferiamo quando parliamo di Agricoltura 4.0? Che cosa la differenzia, ad esempio, dall’AgriTech?

 

FR: L’Agri Tech riguarda tutta la tecnologia applicata al mondo dell’agricoltura: non riguarda solo l’innovazione digitale, ma anche quella meccanica, biochimica, dei processi e molto altro. Ciò su cui io e Matteo ci concentriamo è in particolare l’applicazione dell’innovazione digitale nei processi produttivi dell’agricoltura. In questo caso, si parla di agricoltura 4.0: semplificando, si tratta di un paradigma che segue quello dell’industria 4.0 ed è l’unione dell’agricoltura di precisione (meccanica ed elettronica, ad esempio), che è nel mercato ormai da una trentina d’anni, con le tecnologie più recenti come l’Internet delle cose, l’intelligenza artificiale, la sensoristica, ecc.

Ci tengo subito a chiarire che, sebbene si possa pensare il contrario, l’agricoltura non è un settore arretrato; anzi, la maggior diffusione di robot (questo me l’ha insegnato Matteo) si trova nell’agricoltura, soprattutto nell’allevamento. Per fare un esempio, per tanto tempo i wereable device più diffusi sono stati quelli applicati ai bovini.

La componente che presenta senza dubbio maggiori opportunità è l’interconnettività. I sistemi di monitoraggio delle temperature nei mezzi di trasporto di alimenti, ad esempio, permettono di ritirare un prodotto dalla vendita, nel caso in cui sia decaduto come qualità; la mappatura satellitare permette, d’altro canto, di riconoscere gli stress idrici e di conseguenza intervenire con un’irrigazione mirata e più attenta. L’agricoltura 4.0 è quindi un’agricoltura più interconnessa, soprattutto a livello di filiera.

MM: La connettività e la disponibilità del dato permettono inoltre la sua storicizzazione e l’ottimizzazione dei processi grazie all’applicazione di modelli basati, appunto, sui dati. È importante sottolineare che i dati riguardano tutti i passaggi di filiera: in passato, i dati venivano raccolti principalmente negli ultimi passaggi della filiera, per ragioni logistiche e gestionali, mentre ora, grazie alla connettività, vengono già acquisiti nei campi.

L’agricoltura di precisione, già citata da Filippo, è agire dove serve, quanto serve, quando serve; la connettività del dato estende questo paradigma, perché permette di agire sul futuro attraverso modelli di previsione basati sul dato; oggi infatti i sistemi di intelligenza artificiale possono supportare le decisioni di lungo periodo grazie a questa visione di filiera che l’agricoltura 4.0 permette.

FR: Parafrasando Lord Kelvin, ciò che non si misura non può essere migliorato. È questo il senso del lavoro che stiamo cercando di fare, utilizzando l’intelligenza artificiale e l’elaborazione dei dati nel settore agricolo. I dati possono supportare anche la pubblica amministrazione nell’operare scelte concrete nel settore, come ad esempio gli incentivi, gli interventi nei casi a rischio di epidemia, la gestione di stock superiori rispetto alle quantità necessarie e così via. I dati sono inoltre utili per la certificazione delle caratteristiche di salubrità (un progetto di alcuni studenti del Politecnico ha infatti dimostrato come gli animali in Italia sono meno soggetti ad interventi con antibiotici rispetto a quelli di altri paesi) generando così più valore in tutta la filiera (si pensi ai prodotti DOP).

I dati permettono infine un’agricoltura più sostenibile, sia in senso economico che ambientale e sociale. Ad esempio, la disponibilità e la connessione del dato favoriscono l’intervento tempestivo nel caso in cui ci siano prodotti inutilizzati in una determinata regione, che possono essere impiegati in un’altra. Avendo più informazioni sprechiamo e spendiamo di meno.

 

Per leggere tutta l’intervista visita la pagina di Frontiere: https://www.frontiere.polimi.it/dati-tecnologie-digitali-e-robot-in-campo-benvenuti-nellagricoltura-4-0/

Intervista a Fulvio Catalano, founder MOKAPEN, dal MBA alle regole d’oro per lanciare una start-up

1. Raccontaci MOKAPEN: com’è nato, cos’è, a chi si rivolge.

Mokapen è una piattaforma CRM che nasce da una constatazione: le piattaforme di collaborazione esistenti nel mercato sono complesse, non modulari e non sempre in lingua italiana. Questo crea una barriera di accesso non permettendo alle piccole imprese italiane di avere un “fast CRM”. Ho deciso quindi di sviluppare un tool che potesse essere semplice, logico, ma che fosse anche pronto per essere scalabile. Mokapen può quindi essere utilizzata da piccole imprese per organizzare le attività, liberi professionisti per collaborare con i clienti nei vari progetti o studenti per coordinare attività di studio, ma anche da aziende più strutturate dove l’organizzazione per funzioni aziendali è indispensabile. Perché “Mokapen”? Perché credo fermamente che la vera digital transformation tenga un piede nel cloud e uno per terra. La caffettiera moka e la penna sono due oggetti tradizionali ai quali ancora non rinunciamo quando siamo digital.

2. “Gratuito. Semplice. Italiano.” Quali sono gli obiettivi di lungo termine dietro il claim di MOKAPEN?

Quando si parte è sempre importante sapere dove si vuole arrivare, pur non escludendo cambi di programma. Sicuramente tutti i CRM trattano più o meno gli stessi argomenti: task, progetti, collaborazione, contatti e altro. La competitività si sposta quindi sull’accessibilità economica, su come queste entità vengono organizzate e su quanto l’utente è in grado di capire in autonomia come funziona la piattaforma. Poiché Mokapen deve sempre permettere l’accessibilità, in futuro manterrà sempre una base gratuita senza limiti temporali pur offrendo funzionalità premium a pagamento oltre quelle attualmente disponibili. Pur crescendo il focus dietro ogni sviluppo o logica è sempre la semplicità, per questo spendo molto tempo nell’analizzare come un processo deve funzionare per non rendere Mokapen complessa come le altre piattaforme. Italiano, si perché ho deciso questa volta di partire dall’Italia, anche se Mokapen è già disponibile anche in lingua inglese. Ovviamente il piano è di introdurre altre lingue, ma il punto di forza della localizzazione credo sia soprattutto il far conoscere Mokapen come qualcosa di, appunto, “locale”.

3. Quanto bisogno di uno strumento come MOKAPEN c’è in questo momento di ricorso massiccio a Smartworking e Homeworking?

Ben detto. Smartworking e homeworking sono due concetti diversi. Strumenti come Mokapen sono proprio da smartworking, innanzitutto per far risparmiare tempo tenendo traccia delle cose da fare. Anni fa, ogni mattina ero solito scrivere la tipica lista dei task da fare, alcuni dei quali dovevo rimandare al giorno successivo. Perché quindi scrivere sempre lo stesso task ogni giorno quando sarebbe più smart scriverlo solo una volta in un tool online? Se poi pensiamo allo stato forzato di homeworking di questo periodo, è immediato vedere in strumenti digitali la risposta smart per imparare a lavorare in un modo migliore, abbattendo le barriere delle distanze, comprimendo il tempo di esecuzione e raggiungendo il 100% della condivisione delle attività di un team. Lavorare da Palermo, Milano o Mumbai è quindi indifferente.

4. Dopo il tuo primo successo con Wardroba, nata al MIP e incubata al Polihub, quanto dell’esperienza “politecnica” hai messo nella tua nuova iniziativa?

Sorrido. Wardroba è stata la prima fiamma, ma la scintilla è stato il MIP. In questa esperienza si è letteralmente aperta la mente e grazie al progetto Wardroba ho avuto con i miei compagni qualcosa dove letteralmente sporcarci le mani, tra idee a volte non chiare, piani strategici visti e rivisti, soddisfazioni e aspettative deluse. Poi è arrivata l’incubazione al Polihub dove ho capito che la realtà su come si lancia una startup è ben diversa da quello che raccontiamo negli elevator pitch. Dalle esperienze MIP/Polihub ho imparato tre regole per me d’oro che hanno determinato la nascita Mokapen:

– Per avere successo devi sapere “fare” in prima persona. A differenza di Wardroba, ho imparato la programmazione web e ho creato Mokapen.

Parti dal basso, rendi solido e poi cresci. Il mio socio di Wardroba Federico Della Bella mi ha fatto capire che è meglio far poche cose bene che molte male (grazie Fede).

Devi realmente risolvere un problema, altrimenti lascia perdere. Spesso qualcosa che per me è una soluzione per gli altri non è niente di utile.

L’innovazione digitale in azienda? È roba per manager

Da novembre al MIP Politecnico di Milano il primo Executive Program in Digital Transformation FLEX erogato in distance learning

 

La business school coniuga l’eccellenza riconosciuta a livello mondiale negli MBA erogati a distanza con la competenza sui temi digitali affrontati dal punto di vista strategico, per lanciare un percorso online dedicato a manager e imprenditori che vogliano cavalcare la trasformazione digitale nella propria impresa. L’ennesimo tassello dell’ampia offerta di corsi e master con cui la Scuola intende supportare il cambiamento culturale e organizzativo legato alla digitalizzazione

 

“Learning digital in a digital environment”. Ovvero, quando contenuto e forma coincidono. Per la prima volta, parte a novembre al MIP Politecnico di Milano un percorso di perfezionamento per executive sulla trasformazione digitale erogato quasi totalmente online, sfruttando, da un lato, l’eccellenza raggiunta dalla business school negli MBA a distanza (il Flex EMBA è settimo al mondo e quarto in Europa nei ranking internazionali dedicati alla categoria), dall’altro, la grande competenza sui temi tecnologici e di innovazione affrontati dal punto di vista imprenditoriale, strategico e organizzativo. Né poteva essere altrimenti per una scuola di management che ha anche radici e anima “politecniche” e che può far leva sul principale centro di ricerca italiana sull’innovazione digitale, rappresentato dagli Osservatori Digital Innovation.

Il nuovo percorso si chiama Executive Program in Digital Transformation FLEX, prevede 8 moduli in distance learning (da novembre a giugno) di carattere sia metodologico che applicativo e si basa su una consapevolezza che da anni permea la School of Management del Politecnico di Milano: la trasformazione digitale non è un tema da specialisti dell’ICT, ma pervade tutti i processi e i ruoli aziendali, le linee di business, i prodotti e i servizi, impatta sulle performance, genera nuovi mercati e opportunità, incide sull’organizzazione.

Dunque, la rivoluzione digitale deve essere conosciuta e governata da manager, imprenditori e liberi professionisti, deve rientrare nelle competenze di general management. E il MIP si candida a diventare la scuola di riferimento in questo cambiamento culturale, sfruttando in maniera sinergica le proprie competenze formative e quelle contenutistiche e professionali maturate negli anni dagli Osservatori Digital Innovation del Politecnico. Per formare una nuova classe di leader capaci di portare l’innovazione nei processi di business.

L’Executive Program in Digital Transformation FLEX è l’evoluzione in distance learning di un analogo percorso executive che continuiamo a svolgere con grande soddisfazione in modo “tradizionale” da 11 anni – spiega Antonio Ghezzi, docente di Strategia e Imprenditorialità alla School of Management e direttore del progetto insieme a Mariano Corso -. Adesso però, per la prima volta, il digitale sarà sia il cuore dell’insegnamento che il canale di erogazione, una sorta di “corso digitale al quadrato” che inaugurerà una serie di percorsi executive tutti in modalità flex, cavallo di battaglia della nostra scuola”.

Apprendere a distanza significa personalizzare modi e tempi di studio attraverso decine di video clip didattiche, lezioni da seguire in tempo reale ma anche interazioni “asincrone” rese possibili da una specifica piattaforma informatica sviluppata in collaborazione con Microsoft che permette il confronto tra docenti, partecipanti e un folto advisory board, un centinaio tra manager e imprenditori con forte background in ambito digitale ben lieti di condividere la loro esperienza ed entrare a fare parte del network. La flessibilità sarà massima, al punto che si potrà passare dalla forma tradizionale a quella flex, o viceversa, qualora le esigenze lavorative o di vita lo richiedano.

Il programma è un percorso di perfezionamento che dà diritto a 25 crediti CFU ed è costituito da 8 moduli di 3 settimane ciascuno fruibili in distance learning da novembre a giugno: 4 corsi metodologici che forniscono chiavi di lettura del fenomeno con un approccio strategico, imprenditoriale e organizzativo e altri 4 più applicativi che vertono sulla gestione strategica delle principali wave tecnologiche, come blockchain, big data, intelligenza artificiale, internet of things, cloud computing.

Inoltre, la MIP Management Academy mette a disposizione delle candidate interessate a partecipare al percorso un contributo allo studio di 1.000 euro (MIP4WOMEN).