Tra digitalizzazione e internazionalizzazione: il contributo del MIP a Smart Export

Le principali business school italiane uniscono le forze per offrire al sistema imprenditoriale italiano una serie di corsi di alta formazione. L’obiettivo è fornire strumenti strategici alle imprese e guidarle all’interno di un panorama globale che sta mutando rapidamente

Guidare le aziende italiane nei processi di digitalizzazione e internazionalizzazione. È il cuore di Smart Export, progetto promosso e finanziato dalla Farnesina e realizzato in collaborazione con Agenzia ICE e CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane), che vede unite cinque business school italiane (oltre al MIP, la Bologna Business School, l’SDA Bocconi School of Management, la Luiss Business School e Federica Web Learning – Università di Napoli Federico II).

L’obiettivo del progetto è ambizioso e urgente. I mutamenti globali causati dal Covid impongono infatti di rafforzare le competenze del sistema imprenditoriale italiano in due ambiti sempre più strategici. Per spiccare quello che il ministero degli Esteri definisce un “salto gestionale e digitale senza precedenti”, le aziende italiane potranno contare sulle eccellenze della formazione italiana. Tra queste, il MIP Politecnico di Milano. «Siamo molto contenti di poter dare il nostro contributo in un ambito considerato critico per lo sviluppo delle imprese», ha spiegato il presidente del MIP Vittorio Chiesa, «e di riversare la nostra esperienza nella trasformazione digitale in questo programma di formazione, che consideriamo di grande valore per il Paese».

La centralità dei canali digitali: il contributo del MIP

La partita, come detto, si gioca sull’internazionalizzazione e sulla digitalizzazione. «È importantissimo che si vadano a coniugare due elementi cruciali per la competitività delle imprese», riprende Vittorio Chiesa, illustrando in particolare quale sarà l’apporto del MIP all’interno di Smart Export. «Il nostro contributo si concentrerà principalmente sul tema dell’e-commerce, fondamentale nella competizione odierna». I numeri dell’ultimo anno parlano chiaro: «La crescita nell’utilizzo di questi strumenti all’interno dei mercati B2C è stata di oltre il 30%. E ha avuto un ruolo decisivo nel contenere il calo generato dalla pandemia sui tradizionali canali dell’export. Il ricorso al canale digitale ha consentito di conservare un buon livello di prestazioni da parte del nostro sistema imprenditoriale». La sfida del commercio elettronico è complessa e articolata: «Si compone di piattaforme, sistemi di pagamento, fatturazione elettronica, esige un sistema logistico strutturato appositamente e chiede che venga scelto un modello di export opportuno», spiega Chiesa. «Il nostro contributo consisterà nell’aiutare e sostenere le imprese a prendere coscienza di questo insieme di aspetti. Il tema della trasformazione digitale, poi, ci sta particolarmente a cuore: mi fa piacere ricordare che abbiamo lanciato il nostro primo Executive MBA in digital learning nel 2014».

Il corso del MIP per Smart Export

Il modulo curato dal MIP per Smart Export, infatti, sarà quello in Trasformazione digitale e gestione del cambiamento. Affrontando i temi dell’E-Commerce B2C, del Digital B2B e dell’export digitale, le aziende saranno in grado di sviluppare una strategia di digital export attraverso l’identificazione di elementi chiave come la scelta del canale commerciale, lo sviluppo di una strategia di marketing e comunicazione efficace e la strutturazione di una rete distributiva adeguata. Competenze fondamentali per poter affrontare le sfide di un mercato globale in cui anche le piccole e medie imprese possono e devono far valere i loro valori produttivi.

Smart Export – L’accademia digitale per l’internazionalizzazione

Mercoledì  10 marzo 2021 ha avuto luogo in formato virtuale la presentazione dell’iniziativa Smart Export – L’accademia digitale per l’internazionalizzazione, un progetto innovativo di alta formazione online per sostenere e ampliare la proiezione italiana verso i mercati esteri attraverso il rafforzamento della capacità strategica, digitale e manageriale delle micro, piccole e medie imprese e dei professionisti italiani.

Smart Export è coordinato e promosso dalla Farnesina in collaborazione con Agenzia ICE e la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) nell’ambito delle nuove strategie per il sostegno al Made in Italy del “Patto per l’Export”.

Il progetto si avvale del contributo didattico di cinque prestigiose Università e Business School italiane: Bologna Business School, Federica Web Learning – Università di Napoli Federico II, Luiss Business School, MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business e SDA Bocconi School of Management.

La presentazione del progetto è stata inaugurata dagli interventi del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Luigi Di Maio, del Ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, del Presidente dell’Agenzia ICE, Carlo Ferro e del Presidente CRUI, Ferruccio Resta.

Dopo il segmento di apertura, i rappresentanti delle Università e Business School hanno illustrato i singoli percorsi formativi di cui si compone l’iniziativa. I contenuti didattici – fruibili in modalità e-learning e completamente gratuiti –  saranno on-line per 12 mesi, 24 ore al giorno, sulla piattaforma di autoapprendimento Federica Web Learning dell’Università di Napoli Federico II accessibile attraverso la pagina dedicata https://www.smartexportacademy.it/.

Cliccando qui si potrà inoltre scaricare una brochure dedicata all’iniziativa.

MIP, EY, Sace: il tridente per affrontare le sfide dell’internazionalizzazione

Dalla Brexit alla pandemia, passando per le guerre commerciali e l’emergenza climatica: sono tanti gli elementi che hanno rivoluzionato le catene del valore globali su cui molte aziende basavano la propria organizzazione. Il cambiamento, però, apre nuovi spazi per le imprese italiane. Che, con le giuste strategie, possono cogliere nuove e importanti possibilità di crescita

 

Fino a pochi mesi fa, il modello economico di molte aziende si basava su catene del valore di scala globale. Le attività produttive erano dislocate in diversi continenti, secondo un principio di convenienza. La Brexit, le guerre commerciali, l’emergenza climatica e, dal 2020, la pandemia, potrebbero cambiare questo paradigma. «Il meccanismo è entrato in crisi», ci spiega il professor Stefano Elia, professore associato di International Business e direttore del programma di corsi brevi in Gestione dell’internazionalizzazione delle imprese presso il MIP Politecnico di Milano. «La risposta a questa battuta d’arresto può essere di due tipi: da una parte potremo assistere alla resilienza del modello attuale, dall’altra a una sua riconfigurazione». Questi sono i due scenari possibili.

 

Tra resilienza e cambiamento: un’opportunità per le imprese italiane

«Nel primo caso», spiega Elia, «assisteremmo a una crescente flessibilità del modello produttivo, accompagnata da una maggiore digitalizzazione. Inoltre, le aziende da una parte potrebbero concentrarsi su ambiti diventati improvvisamente strategici, come il chimico e il medicale; dall’altra, potrebbero puntare sui settori trainati dagli incentivi. Il secondo scenario presenta delle catene di produzione più corte. Si abbandona la scala globale, per riadattarsi a un orizzonte macroregionale. La stessa Unione Europea ha al suo interno una eterogeneità che permette di ridistribuire alcune attività, senza spostarle al di fuori del continente e, anche in questo caso, la digitalizzazione potrebbe giocare un ruolo importante nel favorire l’incremento della qualità sia dei prodotti che dei processi produttivi. Questo scenario presenta almeno tre vantaggi: si evitano guerre commerciali, si tengono a bada i venti nazional-sovranisti e si fa fronte all’emergenza climatica, visto che la catena produttiva diventa più circoscritta».

Ed è qui che potrebbero entrare in gioco le imprese italiane: «Ci sono gli spazi perché possano farsi valere in una competizione in cui diventa fondamentale la qualità, non solo nel b2b ma anche nel b2c. Si ritiene che gli Stati Uniti si riprenderanno in fretta, così come la Germania, la Cina, la Corea del Sud e il Vietnam. Sono quelli alcuni dei paesi a cui guardare, perché tra il 2021 e il 2022 il rimbalzo dei mercati è stimato tra il 5 e l’11%».

 

Verso l’internazionalizzazione: la necessità di una buona strategia

Un’occasione per cui bisogna farsi trovare pronti. «Le imprese hanno due alternative: o diversificano, o escono dai propri confini, andando incontro a una maggiore competizione, ma anche a maggiori opportunità di crescita. L’importante è che questo passaggio sia orientato da criteri di qualità». E con una buona strategia: «Prima di tutto bisogna comprendere l’attrattività del proprio prodotto e sulla base di questo capire quali sono i Paesi che potrebbero essere più interessati. Poi bisogna capire come presentarsi in questi Paesi, adattando la propria offerta alle specificità culturali e istituzionali, ma anche stabilendo se è il caso di entrare da soli o con dei partner. Infine, comprendere quali siano le modalità di finanziamento più adatte. Prestiti a fondo perduto, garanzie e assicurazione dei crediti, aspetti legali e fiscali: nulla va lasciato al caso».

 

MIP, EY e Sace: insieme per le competenze

I corsi brevi in Gestione dell’internazionalizzazione delle imprese del MIP si propongono di fornire gli strumenti per affrontare tutti questi ambiti. «I team che si occupano di internazionalizzazione devono avere una forte capacità di pianificazione strategica, di analisi, di gestione dei processi, ma anche capacità di adattamento e flessibilità, per correggere errori di valutazione o cogliere opportunità non previste. Da questo punto di vista», spiega Elia, «i corsi del MIP garantiscono una formazione che copre gli ambiti del business planning, del management e delle tecnologie digitali funzionali all’internazionalizzazione. La formula vincente sta però nel tridente MIP, EY, Sace: EY, nostro partner e tra le quattro più importanti imprese di advisory e revisione, completa le competenze manageriali offerte dal MIP con competenze di carattere tecnico e professionale, mettendo a disposizione tutto il suo know-how legale, fiscale, di risk management, oltre che dare accesso al suo network di consulenti e di imprese. Sace, l’Agenzia italiana per la promozione degli investimenti internazionali, fornisce una prospettiva di carattere istituzionale, mettendo a disposizione una serie di strumenti molto potenti per il supporto alle aziende in fase di internazionalizzazione ed è intenzionata a farli conoscere il più possibile alle imprese, affinché li utilizzino per cogliere le opportunità insite nello scenario attuale».

Formare, innovare, adattarsi al contesto: il futuro del MIP

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, da poco nominati rispettivamente Presidente e Dean, raccontano cambiamenti, strategia e obiettivi della Graduate School of Business del Politecnico di Milano

Archiviato il quarantennale celebrato nel 2019, il MIP inizia il 2020 all’insegna del cambiamento. A partire dai vertici. Vittorio Chiesa e Federico Frattini vanno a ricoprire rispettivamente le cariche di Presidente e Dean.
Cambiano quindi le persone nei ruoli di responsabilità, ma non cambia l’obiettivo della Business School: offrire ai propri studenti tutti gli strumenti per competere in un mercato del lavoro sempre più complesso. Ma, per farlo, è necessario mettere in campo nuove proposte e nuove strategie. «Lo scenario delle business school si è trasformato», ci racconta Vittorio Chiesa. «Il panorama in cui agiamo è cambiato, è diventato più competitivo e ha messo in discussione il modello della formazione tradizionale, mostrandone tutti i suoi limiti». Una realtà che, come ribadisce Federico Frattini, «impone un ripensamento nelle modalità di erogazione dell’offerta formativa, sempre più orientata al lifelong learning».

La digitalizzazione che guarda al mondo

Contenuti nuovi, formati differenti, lifelong learning: sono le parole chiave che raccontano le linee guida del MIP, e che a loro volta indicano anche le sfide da affrontare. «La prima riguarda l’innovazione delle modalità con cui avviene la formazione», spiega Frattini. «Vogliamo portare avanti una riflessione sugli spazi fisici in cui formiamo i nostri studenti. Il campus del futuro è distribuito, costituito da spazi più piccoli, agili e flessibili. È un’evoluzione resa possibile dalle tecnologie digitali. Ma proprio in quest’ottica dobbiamo interrogarci sulla natura dei formati: sono corretti? Possono diventare più integrabili con la vita professionale e privata dei nostri studenti? Noi abbiamo già sperimentato con dei progetti in questo campo, ad esempio con Flexa, ma dobbiamo fare ancora di più in ottica di continuous learning».
La digitalizzazione, d’altra parte, è uno dei due assi strategici che hanno portato alla crescita del MIP negli ultimi anni. «L’altro», racconta Vittorio Chiesa, «è l’internazionalizzazione. Le nostre classi accolgono studenti da tutto il mondo. Ma non dobbiamo fermarci qui: dobbiamo allargare il nostro scope geografico. E se da una parte possiamo contare su una città, Milano, che ormai può vantare lo stesso appeal delle più grandi e moderne capitali europee, dall’altra sta anche a noi espandere la nostra portata internazionale. La seconda sfida è questa».

Insieme alle aziende la formazione è continua

La terza e ultima sfida, invece, si ricollega al tema della formazione continua: «Va ripensato il concetto stesso di alumnus», interviene Federico Frattini. «Fino a non molto tempo fa, un percorso di formazione come un master terminava ed avviava gli studenti al lavoro. Oggi questo passaggio non è più così netto: il bisogno di formazione è continuo, per questo la didattica va ripensata secondo questa prospettiva. Ed è per questo che non possiamo prescindere dallo sviluppare nei nostri studenti capacità critiche ed il saper apprendere».
La stessa natura societaria del MIP offre un punto di vista privilegiato sulla realtà del mondo del lavoro e sulle esigenze delle aziende, come spiega il presidente Chiesa: «Il MIP è una società consortile per azioni senza scopo di lucro. Nel CDA del MIP siedono numerose aziende leader italiane e internazionali. Abbiamo notato che questa presenza si è tradotta in una moltiplicazione del valore della nostra offerta, sempre al passo con le richieste che arrivano dal mondo del lavoro».

Una business school competitiva

Le sfide, quindi, sono chiare. Così come la strategia per il futuro. «il panorama della business education è un contesto altamente competitivo», conclude Federico Frattini. «Una business school è a tutti gli effetti una azienda soggetta a forti pressioni competitive, determinate dall’ingresso di nuovi competitor nel mercato ed accelerate dalla digitalizzazione. La nostra priorità è impostare una modalità di gestione della scuola improntata a una professionalizzazione sempre maggiore. Lo si può fare coinvolgendo persone con capacità e competenze specifiche. Competitività, professionalità e velocità d’azione sono tre parole chiave per il futuro del MIP».

I futuri manager uzbeki si formeranno al MIP Politecnico di Milano

Da gennaio il Master in Global Project Management riservato a loro

Firmato l’accordo con la Republican Graduate School of Business and Management di Tashkent, che recluterà i candidati per la selezione. Sianesi: “L’acquisizione del Master costituisce un prezioso plus per inserirsi nel mercato del lavoro uzbeko, perché il programma al momento non ha eguali nell’offerta formativa del Paese, che ha grande necessità di competenze manageriali per gestire progetti di sviluppo”.
In arrivo a Milano a novembre anche una quarantina di executive uzbeki per un corso breve.

 

Il MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business formerà i futuri manager uzbeki. Da gennaio infatti partirà a Milano un master universitario di primo livello in Global Project Management, della durata di due anni, che ha l’obiettivo di offrire a giovani studenti uzbeki la formazione specialistica necessaria per gestire progetti con una visione sistemica e multidisciplinare.

Il programma nasce dalla collaborazione con la RGSBM, Rebublican Graduate School of Business and Management di Tashkent, in Uzbekistan, sancita proprio a Milano nella sede del MIP con la firma dell’accordo tra Andrea Sianesi, Dean di MIP e condirettore del master, e Rustam Abduraupov, Direttore della Scuola uzbeka. Direttore del corso è invece il professor Antonio Calabrese.

Un Paese in forte crescita come l’Uzbekistan ha grande necessità di competenze che permettano di gestire con successo progetti di natura industriale, infrastrutturale e di sviluppo in genere”, spiega Sianesi. Per questo la RGSBM si è rivolta alla business school del Politecnico di Milano, che con entusiasmo ha aderito alla richiesta di formare i futuri manager euroasiatici. E non solo, a novembre sono attesi in città anche una quarantina di executive uzbeki per un corso di 6 giorni su “Project and Portfolio Management” che prevede, tra l’altro, testimonianze di top manager e responsabili della PA e visite istituzionali.

Gli studenti che concluderanno il percorso avranno come sbocco occupazionale naturale le aziende, gli enti governativi e le organizzazioni che operano per progetti in Uzbekistan – continua Sianesi -. L’acquisizione del Master infatti, insieme alla possibilità di sostenere un esame di certificazione delle competenze di project management secondo il modello IPMA (International Project Management Association), costituisce un prezioso plus per inserirsi nel mercato del lavoro uzbeko, perché il programma al momento non ha eguali nell’offerta formativa del Paese”.

Il corso sarà erogato in lingua inglese e l’aula sarà formata da giovani proposti dalla Rebublican Graduate School of Business and Management di Tashkent, che si occuperà del reclutamento dei candidati, poi successivamente selezionati. Parte delle lezioni si terranno in Uzbekistan e parte in Italia e saranno costituite da sessioni frontali in aula, discussioni di casi di studio, esercitazioni, business game, simulazioni, testimonianze aziendali, cui andranno aggiunte ore di studio individuale.