Come le aziende del lusso si stanno preparando al post Covid-19

L’emergenza legata alla pandemia del virus Covid-19 sta avendo impatti significativi anche sull’industria del lusso: i più importanti player del settore hanno già iniziato a rivedere le loro strategie, alla luce del fatto che le minacce legate a cambiamenti strutturali nel mercato potrebbero per alcuni trasformarsi in opportunità.

 

Alessandro Brun, Professore di Quality Management, Direttore del Global Executive Master of Luxury Management e fondatore Sustainable Luxury Academy
Co-autrice Cecilia Castelli, Extended Faculty MIP Graduate School of Business

School of Management Politecnico di Milano

Nella prima parte di questo articolo (L’impatto del Covid-19 sulle abitudini di acquisto dei clienti del lusso) abbiamo mostrato i principali cambiamenti che ci attendiamo nel settore. I manager dell’industria del lusso non stanno certo fermi a guardare.
Mentre le fabbriche sono state convertite a – e dal New York Post [i] al the Guardian [j] arrivano i plausi ad Armani che realizza camici, Prada e Gucci mascherine, Bulgari si focalizza sull’hand-sanitizer, e anche la tecnologia di Ferrari viene messa al servizio dell’emergenza per realizzare Respiratori – nelle stanze dei bottoni si pensa già alle strategie per il dopo-Covid.

 

Le reazioni dei brand

Come si stanno muovendo i brand del lusso oggi? Ce ne parlano Lorenzo Bertelli, Head of Marketing and Head of CSR di Prada, Giorgio Ravasio, Country Manager Vivienne Westwood Italia, ed Eugenia Di Muzio, Worldwide Commercial Manager Rene Caovilla.

Per Bertelli: “Riteniamo che verrà assegnata più importanza al valore intrinseco del prodotto (ad esempio per l’eccellenza delle lavorazioni, dei materiali), ma non a scapito del valore del brand, non è un trade-off. I valori rappresentati dal brand saranno ancora più importanti nel momento in cui saranno percepiti come credibili. Il consumatore chiederà maggiore trasparenza e l’attenzione ai temi della sostenibilità diventerà ancora più centrale, non solo rispetto al prodotto ma anche con riferimento alla mission aziendale. Ipotizziamo una rinnovata scoperta delle relazioni interpersonali nei comportamenti d’acquisto, con rapporti più diretti e umani. Attendiamo una maggiore elasticità della domanda al prezzo anche nelle fasce premium quale conseguenza di un atteggiamento d’acquisto più consapevole e orientato a prediligere prodotti con un riconoscibile valore intrinseco”.

E’ simile la percezione di Ravasio: “Gli acquisti saranno più consapevoli per due motivi principali: la diminuzione dei redditi e la riflessione generata da una situazione nuova che ha reso l’umanità più fragile e meno certa. Sopravviveranno i brand che hanno una forte identità, che lavorano con bene in mente la qualità del prodotto, l’affidabilità del servizio, la garanzia di continuità e che rappresentino dei forti valori in tema etico, ambientale e sociale. Chi non sarà in grado di dare questi messaggi non sopravviverà a lungo e il Covid-19 non ha fatto altro che accelerare un processo di trasformazione già in atto”.

Per Vivienne Westwood l’on-line è “esploso letteralmente. I negozi fisici saranno di meno ma saranno tutti rinnovati per dare la migliore presenza e immagine possibile ai brand. Diventeranno ambasciatori dei valori del brand e consulenti del cliente per valorizzare la propria immagine. Chi sarà semplicemente alternativo all’on-line senza offrire nulla di più non avrà futuro. La tendenza che sarà accelerata sarà legata alla “maisonizzazione” della filiera distributiva. Come già successo per la produzione, ci si avvierà verso la gestione diretta della catena retail. Sarà un processo graduale ma credo inesorabile” conclude Ravasio.

Anche la risposta di Prada è all’insegna della continuità, in quanto – prosegue Bertelli “Il retail non sarà accantonato e rimarrà centrale in una strategia omnichannel dove conterà ancora di più l’integrazione tra i vari canali diretti, retail ed e-commerce diretto, e indiretti, market place e wholesale. Il consumatore premium, ma anche i marchi di questa fascia, vogliono sempre meno intermediari, sia nel fisico che nel digitale; si tratta [per Prada] di un trend già in essere che sta subendo un’accelerazione a seguito di questa crisi”.

Per Caovilla, “In un’integrata ottica multichannel, non avremo più assortimenti e stock segregati per punto vendita o città, ma un unico grande stock, orientato all’unico risultato che conta: la vendita del prodotto al cliente a prescindere dalla location in cui essa avviene.
Ciò richiederà sforzi di ammodernamento di sistemi gestionali e operativi nonché di flussi logistici e di un rodato meccanismo di consegne, spedizioni e resi. Anche il mondo dei negozi retail cambierà sia in ottica di assortimento delle collezioni, sia in ottica di esperienza di vendita. Le nuove norme improntate al rispetto della social distance, renderanno necessario ridisegnare gli spazi dei punti vendita, in chiave di maggiore separazione e distanza. Tuttavia, squisitamente nell’ambito del lusso questa nuova esperienza di vendita, lascia intravedere anche un’opportunità di ridisegnare per il cliente una esperienza di ulteriore unicità ed esclusività. Una esperienza di vendita one-to-one simile agli appuntamenti negli atelier di Haute Couture. Ancora una volta una potenziale opportunità derivata da una nuova restrizione imposta”.

Ma ciascun canale dovrà trovare il modo di raggiungere il break-even, come spiega Di Muzio: “Un grosso interrogativo, per le aziende con negozi retail, sarà come sostenere finanziariamente la rete di punti vendita e flagship stores con elevati costi di gestione, a fronte di una vendita che avviene sempre di più online. Il retail rimarrà sempre e comunque la massima espressione dei valori visibili del brand e dovrà fare lo sforzo di cambiare, di rendersi meno ovvio e di provare al consumatore l’effettivo vantaggio di una store experience. Che sia con collezioni dedicate, con momenti di puro intrattenimento tramite eventi dedicati o inviti a esperienze uniche per i clienti più loyal, o offrendo ai clienti servizi in più – dal made to order alla consulenza di immagine, al supporto in ottica cross-selling e total look. Certamente contare solo sulla disponibilità dell’assortimento in attesa che il cliente varchi l’ingresso non sarà più percorribile”.

Di Muzio racconta come stanno gestendo l’emergenza nel breve in Rene Caovilla, per tenere in vita le piccole realtà locali: “Certamente pur non esistendo la ricetta perfetta, un buon mix di interventi mirati alla riduzione dei costi del personale in un’ottica di maggiore efficienza, uniti agli aiuti stanziati dai vari governi, insieme ad una stretta collaborazione tra aziende della filiera, sono gli ingredienti primari. In un momento in cui il flusso di cash-in è ridotto o inesistente, occorre collaborare in maniera organica e organizzata con tutti i fornitori e partner della filiera, cercando soluzioni. Tempi di pagamento più lenti, ma costanti; scontistiche più favorevoli a fronte di pagamenti a vista; piccoli ordini scadenzati nel tempo anziché un unico grosso ordine. Tutto deve essere ribilanciato con un’ottica di “contagocce”, il sistema non deve e non può entrare in stasi: sarebbe la fine accertata per molti piccoli fornitori e vari distretti di eccellenza delle nostre regioni italiane”.

In attesa delle decisioni dei Governi, Prada ha già pronto un piano per la riapertura delle fabbriche che consentirà agli operatori di poter lavorare nel rispetto degli standard di sicurezza sanitaria più elevati (distanza, dispositivi di protezione, controlli, sanificazione, turni, etc..).
Tutti i brand intervistati hanno confermato che l’arrivo della collezione Autunno Inverno 20-21 verrà leggermente posticipato.

Una mobilità ancora limitata potrebbe influenzare le campagne vendita per il mercato wholesale, per questo Ravasio ci parla di come stiano lavorando “alla creazione di showroom digitali che consentiranno di evitare viaggi e trasferte a buyer di tutto il mondo”. In quest’ottica le settimane della moda cambierebbero la loro vocazione, continua Ravasio “Le sfilate manifesteranno la vera realtà di show per il pubblico. Valori ma non prodotti – o prodotti con valore. Non più funzionali al business”.

Con i buyer impossibilitati a viaggiare da tutto il mondo per recarsi negli showroom per gli ordini di collezione, l’intero sistema subirà una stasi fisica a favore di una maggiore vivacità virtuale: appuntamenti su showroom e piattaforme virtuali per conoscere le collezioni e finalizzare i propri ordini. Incrementando la domanda per la produzione di contenuti digitali e piattaforme di condivisione in grado di restituire in maniera sempre più chiara la realtà dei prodotti”, prosegue Di Muzio, “Sarà una fase di sperimentazione in cui capiremo cosa funziona e cosa no… cosa è possibile fare a distanza e cosa non è possibile. Il lusso segue delle logiche ben precise che la contingenza sta modificando, ma che non riuscirà a eliminare o sradicare. I prodotti del lusso che presentano prezzi elevati, richiedono in fase di selezione ed acquisto dei buyer (ma anche dei clienti) una amplificata attenzione alla qualità e ad ogni singolo dettaglio. E già nella passata FW20 si sono evidenziati chiari limiti e perplessità sulla fattibilità degli ordini a distanza. Anche e soprattutto quando i volumi di acquisto sono importanti. Più facile quando il prodotto è già noto, ma difficilissimo quando il prodotto non è conosciuto o nelle fasi di start-up o negoziazione di nuove opportunità di business”.

 

Quali suggerimenti quindi dare ai brand del lusso per la ripresa?

I brand dovrebbero innanzitutto riprendere piena coscienza del vero significato del lusso: tornare alle origini del savoir faire artigianale, del bello fatto bene, prendersi una pausa dai ritmi incessanti del fast fashion, o quantomeno rallentare – e tornare a fare sentire i propri clienti “esclusivi”. Come sottolineato da tutti gli intervistati, la disintermediazione dei canali di vendita porterà ad un rapporto più “intimo” con i clienti.
Per non risultare fuori luogo, in un clima di morigeratezza sociale, l’approccio al marketing dovrà essere da un lato più discreto e al tempo stesso responsabile. Una parte significativa del budget per comunicazione “above the line” potrebbe essere utilizzato per “cause related marketing” o trasformato in budget per comunicazione “below the line”.
Per evitare il rischio di financial distress nel breve periodo, sarà fondamentale iniziare la ripresa da quei canali, mercati, e categorie merceologiche che ripartiranno più velocemente: online e discount i canali su cui scommettere; per le economie mature, e per la Cina, cercare di incontrare i clienti localmente (anche se i Cinesi in viaggio in Europa sono più incentivati a fare shopping di lusso Tax Free); e, in termini di categorie di prodotto, beauty, fine food and wine, art de la table, personal mobility, articoli evergreen e no logo e, ovviamente, esperienze. Ma per sopravvivere nel lungo periodo i brand dovranno completare la transizione da player brick and mortar a player omnipresenti.
Infine per superare la crisi le aziende dovranno fare leva sulle tecnologie digitali, con impatto sia sulla semplificazione dei processi che sull’organizzazione del lavoro, e attivare meccanismi di collaborazione e condivisione con i vari partner della filiera, che vadano dai dati alle strategie, per essere più forti assieme.

Già c’è chi parla di “selezione della specie”. Probabilmente, come dice Lorenzo Bertelli, “Attendiamo, verosimilmente, un ritorno alla normalità pre-pandemia solo con l’arrivo del vaccino, quando le persone potranno tornare a circolare liberamente. Per noi quest’emergenza richiede sicuramente degli adattamenti, ma non mette in discussione i fondamentali del settore del lusso, né ci richiede di modificare il nostro modello di business.”

Presenza online e strategia digitale consolidate; collezioni fluide senza una vera e propria dicotomia Primavera-Estate e Autunno-Inverno; focus sul valore intrinseco del prodotto e investimenti sulla sostenibilità a livello di intera filiera: alcuni brand si sono presentati a inizio 2020 meglio preparati di altri per affrontare l’inaspettata emergenza Covid. Per tutti gli altri, la capacità di adattamento si rivelerà, oggi più che mai, indispensabile per superare la crisi.

 

______________________________

[i] A. Moussavian. Luxe Labels Gucci, Armani, Bulgari make protective gear to fight coronavirus. New York Post, 26 Marzo 2020 https://nypost.com/2020/03/26/luxe-labels-gucci-armani-bulgari-make-protective-gear-to-fight-coronavirus/
[j] E. V. Bramley. Prada the latest fashion brand to make medical face masks. The Guardian, 24 Marzo 2020 https://www.theguardian.com/fashion/2020/mar/24/prada-the-latest-fashion-brand-to-make-medical-face-masks

L’impatto del Covid-19 sulle abitudini di acquisto dei clienti del lusso

Un cambiamento di paradigma che andrà oltre la stagione Autunno Inverno 20/21.

 

Alessandro Brun, Professore di Quality Management, Direttore del Global Executive Master of Luxury Management e fondatore Sustainable Luxury Academy
Co-autrice Cecilia Castelli, Extended Faculty MIP Graduate School of Business
School of Management Politecnico di Milano

 

L’emergenza legata alla pandemia del virus Covid-19 è lungi dall’essere finita, e già molti esperti sono concordi nel prevedere che vi saranno impatti significativi sull’industria del lusso che andranno ben oltre il breve termine, in quanto la quarantena potrebbe portare a cambiamenti duraturi nel comportamento di acquisto dei clienti del segmento top di gamma: meno viaggi e più occasioni sociali tra le mura domestiche; un consumo più responsabile, che privilegi oggetti di qualità e produzioni locali, ma con attenzione al portafoglio; e gli acquisti online che cresceranno ulteriormente…
I più importanti player del settore hanno già iniziato a rivedere le loro strategie, alla luce del fatto che – come già avvenuto nelle precedenti crisi globali – le minacce legate a cambiamenti strutturali nel mercato potrebbero per alcuni trasformarsi in opportunità.

L’effetto delle chiusure

Nel recente Luxury Study Spring 2020, Bain&Co e Altagamma [1] prevedono un 2020 con una riduzione del giro d’affari tra il 20% (nel migliore degli scenari – quello che vede una ripresa importante già dal terzo quarter) e il 35% (qualora gli effetti negativi della pandemia si trascinassero a lungo) per i cosidetti “personal luxury goods”, ovvero quelle categorie su cui si sono concentrati negli scorsi anni gli acquisti aspirazionali di una classe media in cerca di legittimazione. Già quando la crisi muoveva i primi passi, l’indagine di BCG e Altagamma[2] prospettava una contrazione importante, con un valore complessivo che ci riporta ai livelli del 2015 e una riduzione dei margini oltre il 13%. Nonostante la ripartenza del Dragone Asiatico, quindi, sembra che i numeri delle prime analisi vengano confermati. Numeri impressionanti, che – nello scenario più pessimistico – in valore assoluto corrisponderebbero ad un calo di fatturato di quasi 100 miliardi di € per i soli beni personali di lusso, e che sintetizzano difficoltà non trascurabili per tre categorie di attori:

  • Retailer finanziariamente molto esposti, che si trovano in carico buona parte della collezione Primavera-Estate 2020, invenduta e probabilmente invendibile;
  • Player di piccole dimensioni, su cui gli impatti di una chiusura prolungata possono essere devastanti;
  • Attori a monte delle filiera, che nel migliore dei casi sono messi in difficoltà da dilazioni a tempo indeterminato dei pagamenti e contestuale assenza di ordini.
I cambiamenti nel comportamento di acquisto

Con la ripresa, il mercato non sarà più quello di prima. Nella nostra indagine abbiamo intervistato una dozzina di manager delle aziende del lusso e numerosi consumatori, e abbiamo ricevuto conferme sui cambiamenti più verosimili:

  • Patrimonio, non reddito – con l’avvento del cosiddetto “Mass Marketing of Luxury”[a], i brand di lusso hanno spostato il target principale al ceto medio. Nello scenario ha caratterizzato gli ultimi due decenni, gli HENRY di tutto il mondo hanno speso una frazione significativa del proprio “disposable income” in beni ed esperienze di lusso[b], ma, dopo il lockdown, le famiglie della classe media potrebbero aver limitate disponibilità finanziarie da dedicare ad acquisti non di prima necessità, mentre gli HNWI si troverebbero con una capacità di spesa non modificata. Una dozzina di anni fa svolgemmo una ricerca nel mercato delle auto di lusso, per capire se la crisi dei mercati finanziari avesse portato ad una perdita di vendite o ad uno spostamento in avanti nel tempo delle stesse. Un giovane banker londinese dichiarò che si sarebbe dovuto comprare una Ferrari con il bonus di fine anno – niente bonus, e l’acquisto della Rossa di Maranello sfumò. Un imprenditore italiano dichiarò di aver rinunciato all’acquisto di una Maserati per “solidarietà” con i propri dipendenti – anche se, nonostante la crisi aziendale, il patrimonio di famiglia gli avrebbe permesso acquisti ben più consistenti di una berlina del tridente. In questo caso, l’acquisto venne semplicemente posticipato a momenti migliori. Lo stesso potrebbe succedere nel post-Covid: i brand e le categorie di beni di lusso che hanno come target il patrimonio soffriranno di meno.
  • Per chi continua a rimanere a casa. Le riduzioni di viaggi – legate a restrizioni normative che potrebbero perdurare a lungo, paura di nuovi contagi, sostituzione di meeting di persona non strategici con più efficienti videoconferenze – porteranno ad una riduzione del fatturato di canali specifici (travel retail), destinazioni specifiche (e.g. Las Vegas), di segmenti specifici di mercato nei flagship store delle capitali mondiali del lusso (Cinesi in visita a Parigi, Milano, Londra per turismo o viaggio d’affari) e di categorie di prodotto quali trolley e valigie. Per contro, il fatto di continuare a rimanere a casa potrebbe trasformarsi in una opportunità per altre categorie quali Art de La Table, che negli ultimi hanni ha sofferto di un tasso di crescita ridotto rispetto alla media del comparto lusso[c]. Nelle categorie che a Marzo 2020 hanno avuto il maggior incremento di vendite su internet[d], seconde dopo ai guanti usa e getta, troviamo le macchine per fare il pane (+652% rispetto a Marzo 2019). Con il ritorno alla normalità, questo ritorno forzato ai fornelli potrà portare a maggior occasioni sociali tra le mura domestiche. I brand che ne sapranno approfittare, potranno spingere su acquisti in servizi tavola (per chi ospita), fiori, vini, superalcolici (per chi è ospitato). Della paura di viaggiare su mezzi pubblici, inoltre, potrebbe beneficiare anche la mobilità personale – automotive, ma magari anche yacht e jet privati.
  • Appagamento personale – Sin dai tempi più lontani, i beni di lusso hanno costituito acquisti emotivi fatti da una clientela abbiente “per sentirsi meglio”. Dopo i sacrifici della quarantena, i consumatori torneranno ad avere voglia di spendere, ma lo faranno privilegiando l’esperienza edonistica al possesso materiale; peraltro, anche dopo un allentamento della quarantena, le occasioni di vita sociale potrebbero rimanere rarefatte per un periodo di tempo piuttosto lungo, e quindi beni e brand di lusso che prima della crisi venivano prevalentemente acquistati in quanto “Social Marker”[e] potrebbero lasciare il posto a brand meno appariscenti o a esperienze particolarmente intense (fine food & drinks, beauty, SPA e centri benessere, …).
  • Lusso Responsabile – l’ineluttabilità del contagio e della Perdita di persone care ha portato molti ad interrogarsi su temi quali “dove sta andando l’umanità?”. La crescente sensibilità verso temi di sostenibilità ambientale e sociale non potrà che risultarne ulteriormente rinforzata; i brand e le categorie di prodotto (ad esempio beni artigianali piuttosto che industriali) che permettano un “consumo responsabile” verranno privilegiati. Giorgio Armani ha scritto una lettera aperta a WWD[f], nella quale lo stilista italiano ringrazia l’autorevole magazine per aver alimentato il dialogo su quanto assurdo sia l’attuale stato delle cose – caratterizzato da sovrapproduzione di abiti e un “disallineamento criminale” tra la stagione metereologica e quella commerciale.
  • Alla ricerca di saldi e sconti – se, da un lato, ci possiamo aspettare un’ondata di anti-consumismo, l’abitudine di aspettare i saldi o di fare pellegrinaggi ai c.d. Factory Outlet verrà esacerbata dal generale autorichiamo alla frugalità[g]. Se brand e retailers dovessero ricorrere a pesanti scontistiche per liberarsi dello stock della stagione PE 2020, rischierebbero di alimentare ulteriormente il circolo vizioso dell’attesa dei saldi.
  • Online per vendere, per comunicare, per intercettare – durante il lockdown, siamo tutti testimoni in prima persona di come la transizione ad una vita nel mondo digitale abbia subito un salto quantico. I consumatori acquistano di più online, consumano più contenuti digitali, e in generale trascorrendo più tempo online sono più propensi al dialogo con le aziende. I brand del lusso dovranno rivedere la propria strategia digitale, per cogliere la triplice opportunità di incrementare le vendite del canale eCommerce, incrementare la frequenza e la profondità della comunicazione ai propri clienti, e raccogliere un prezioso bottino di informazioni con il quale arricchire il proprio database CRM[h].
  • Un rinnovato senso di orgoglio per le produzioni locali – questo purtroppo potrebbe dipendere dallo specifico mercato, ma già si sono visti i primi segni che presagiscono la nascita di veri e propri movimenti di “buy local”.

In conclusione, senza dubbio vedremo un ruolo diverso dei canali di vendita: la crescita costante del travel retail si fermerà inevitabilmente; si consoliderà l’abitudine di acquistare online, soprattutto per quei clienti che spinti dall’emergenza hanno superato le barriere psicologiche, con un boost double digit quanto più anche le attività branding si sposterà online; il ruolo delle boutique fisiche sarà certamente da ripensare; i canali discount dovranno essere gestiti con attenzione per mantenere un posizionamento coerente del band pur andando a catturare quel 56% di clienti che (secondo il report BoF-Mc Kinsey) andranno a caccia di occasioni. In questo tipo di scenario, assumerà un ruolo ancora più importante la comunicazione – non solo di brand e prodotto, ma anche il racconto delle strategie che si stanno mettendo in atto sia per rispondere all’emergenza sanitaria che per dare solidità al business – che deve essere vista come un investimento prioritario.

_________________________________________________________

[1] L. Zargani. Personal Luxury Goods expected to contract 20% to 35% in 2020. Women’s Wear Daily, 7 Maggio 2020 https://wwd.com/business-news/business-features/personal-luxury-goods-expected-to-contract-20-to-35-in-1203628347/
[2] A. Biondi. Coronavirus could cause a €40 billion decline in luxury sales in 2020. Vogue Business, 21 Febbraio 2020 https://www.voguebusiness.com/companies/coronavirus-luxury-brands-impact-sales-altagamma

[a] Nueno e Quelch. “The Mass Marketing of Luxury”. Business Horizons, Novembre-Dicembre 1998
[b] Silverstein e Fiske. Trading up: the new American Luxury. Penguin Group, 2003
[c] S. Lazzaroni. Altagamma Consensus 2019 – June update. Altagamma, Giugno 2019
[d] J. Styrk. The top 100 fastest growing and declining categories in eCommerce. Stackline, 31 Marzo 2020
[e] Kapferer e Bastien. The Luxury Strategy: break the rules of marketing to build luxury brands. Kogan Page publishers, 2012.
[f] L. Zargani. “Giorgio Armani writes open letter to WWD”. WWD, April 3rd, 2020
[g] Amed, Berg, Balchandani, Hendrich, Rölkens, Young, Jensen. The State of Fashion 2020: Coronavirus Update. BoF e McKinsey&Company
[h] M. Nicolelli. The Covid-19 Carousel. Challenges and Disruptions in the Fashion Luxury Sector. Hydra Advisory.

Il Gruppo Prada supporta l’International Master in Luxury Management di MIP Politecnico di Milano

Il Gruppo Prada e Champagne Taittinger a fianco del prestigioso master specialistico IMLux, primo al mondo nel formare professionisti del lusso

 

 

Il programma, condotto in collaborazione con la francese Neoma Business School, offre un doppio titolo di studio. Al via le lezioni della settima edizione, ma da ottobre ci si può già iscrivere alla successiva

 

L’International Master in Luxury Management (IMLux) è il primo master specialistico al mondo in luxury management secondo il ranking EdUniversal 2018 (nella cui classifica è preceduto solo da due MBA con differenti finalità) e da quest’anno è supportato dal Gruppo Prada ‐ uno dei leader internazionali nel settore del lusso ‐ in qualità di main sponsor insieme al francese Champagne Taittinger.

Il corso si configura come una collaborazione italo‐francese ‐ i due Paesi più importanti al mondo per prodotti di alta gamma ‐ e dà accesso a un doppio titolo di studio: master di I livello del Politecnico di Milano e “master of science” della francese Neoma Business School.

IMLux è in partenza il 9 settembre 2019 e da ottobre sarà già possibile iscriversi all’edizione 2020: un programma formativo erogato da MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business e da Neoma Business School in collaborazione con il Gruppo Prada e Champagne Taittinger, specificamente pensato per chi vuole acquisire le competenze necessarie a ricoprire posizioni chiave nelle aziende del lusso che, per la loro natura, richiedono abilità e creatività particolari.

Il programma in lingua inglese ‐ 12 mesi full time più un project work finale, trascorsi per metà a Reims, città francese ben nota per lo champagne, e per metà a Milano, una delle capitali della moda ‐ si sviluppa in un contesto internazionale per provenienza degli studenti (ogni anno si contano circa venti differenti nazionalità), della faculty e delle aziende partner e offre l’opportunità di entrare in contatto con vere eccellenze nel campo della moda, della cosmesi, dell’arredamento, del food&beverage, dell’hôtellerie e dell’automotive.

Stefano Rastrelli, Direttore Risorse Umane Gruppo Prada: “Consapevoli del prezioso valore dell’istruzione nell’attuale panorama contemporaneo, siamo lieti di annunciare che il Gruppo Prada aderisce con entusiasmo a questo progetto, apprezzando la multiculturalità degli studenti coinvolti provenienti da diversi paesi, e le loro competenze trasversali. È con piacere che sosteniamo questo percorso geograficamente articolato e contraddistinto da differenti contribuiti provenienti dal mondo accademico e dal mondo delle imprese”.

La vicinanza con le imprese fa di questo master un programma praticamente unico – aggiunge Fabrizio Maria Pini, direttore del Master-. Infatti, non ci limitiamo a ospitare in aula testimonianze di imprenditori e manager e seminari specifici, o a proporre visite sul campo, pur fondamentali per una full immersion nel mondo del lusso, ma le aziende intervengono anche attivamente sui contenuti del corso chiedendo agli studenti di affrontare progetti concreti, di dare il loro contributo per risolvere problemi o sfide che davvero in quel momento hanno bisogno di una soluzione. Un ulteriore aspetto di unicità – prosegue Pini – è l’approccio integrato alla creazione del valore nel comparto del lusso. IMLux infatti offre una visione approfondita sull’intero processo di value creation: dall’ideazione ai processi di manufacturing, dalla supply chain al retail, alla comunicazione on e off line”.

Il lusso ai tempi di Instagram

C’erano una volta le riviste patinate. Oggi c’è Instagram. E i brand del lusso ne approfittano. Con le dovute cautele, però, perché se da una parte l’opportunità di rivolgersi direttamente ai potenziali clienti è immensa, dall’altra stiamo parlando di un mondo le cui regole cambiano in continuazione.

Trovare un equilibrio nel coinvolgimento della community e nella conservazione del proprio status non è affatto semplice. «Il lusso ha sempre lavorato su un’idea di distribuzione esclusiva e su una comunicazione conseguente», spiega il professor Fabrizio Maria Pini, Direttore dell’International Master in Luxury Management della School of Management del Politecnico di Milano. «I media digitali, invece, all’inizio venivano percepiti come qualcosa di indefinito e massificato. In un contesto in cui tutti potevano creare tutto, la messa in scena di un prodotto di lusso, che si distingue per il suo alto contenuto simbolico e narrativo, sembrava perdere la sua fascinazione. C’è una bella differenza tra una vetrina digitale e una boutique».

Il panorama social è così variegato e cangiante che diventa impossibile identificare un modello strategico univoco: «Le aziende del lusso possono adottare strategie estremamente innovative, con le quali si inseriscono in tutto e per tutto nel flusso comunicativo dei social, interagendo direttamente con gli utenti e potenziali clienti, o al contrario rimanere ancorati a modelli che, esagerando, sono ancora molto vicini alla pubblicazione delle campagne sulle riviste».

Di certo, però, negli anni i marchi di lusso non sono rimasti a guardare. «Sono partiti in ritardo, ma ora stanno bruciando le tappe» racconta Pini. E i numeri lo confermano. Instagram in particolare si dimostra il social network più appetibile per i brand fashion. Nel 2017 uno studio condotto da L2, azienda specializzata nelle metriche sulle performance digitali, rilevava una crescita del 53% nel numero di followers. Complici anche i fashion blogger: il professor Pini li definisce dei «traduttori del lusso, che all’inizio hanno saputo approfittare di vere e proprie praterie social. Mentre dapprima venivano percepiti quasi come delle groupies entusiaste, oggi sono forse l’incarnazione concreta del cambiamento dei rapporti di forza subentrati nel mondo del fashion. A discapito, ad esempio, di attori più istituzionali e percepiti come maggiormente qualificati, come i giornalisti».

«Sono proprio gli influencer, ora, ad agire come filtro e anello di collegamento tra la marca e i suoi potenziali consumatori» prosegue Pini. «Mentre in precedenza erano i clienti a inseguire il brand, ora è quest’ultimo che deve cercare di inserirsi nelle conversazioni, perché farsi trovare è diventato più problematico».

L’attuale fase di transizione lascia spazio anche alla sperimentazione di nuove strategie produttive, magari passando per i nuovi strumenti di profilazione degli utenti. Anche in questo caso il leitmotiv non cambia: «Alcune aziende continuano a pensare collezioni e linee in maniera tradizionale, brand più giovani invece partono proprio dal coinvolgimento della comunità».

Osare, però, significa anche rischiare. Basta un passo falso per generare una crisi di reputazione, che è molto più difficile da gestire rispetto al passato: «Le regole della conversazione sono diverse da quelle della comunicazione, e le icone, di solito, comunicano, non conversano» riflette Fabrizio Maria Pini. «Inoltre le conversazioni social sono scandite da tempistiche rapidissime, mentre aziende grandi e strutturate sono per forza di cose più lente nel reagire. Per reperire le informazioni necessarie a una risposta, a volte è necessario coinvolgere diverse funzioni aziendali. Nel frattempo, però, sui social network le altre conversazioni e le altre storie prendono piede e diventano sovrastanti. Così si ha una lotta tra narrazioni e miti. A volte, però, non c’è altro da fare che chiedere scusa e ammettere le proprie colpe. Anche questa è una grande differenza rispetto al passato: in altri tempi i brand non prendevano in considerazione l’idea di dichiararsi in torto».