AIRIC: primo annual meeting

Il centro del Politecnico di Milano per la ricerca applicata sull’intelligenza artificiale si racconta

 

Lunedì 21 novembre si è svolto il primo Annual Meeting di AIRIC, il Centro per la Ricerca e l’Innovazione in ambito Intelligenza Artificiale del Politecnico di Milano.

L’incontro è stata l’occasione per presentare il nuovo centro che riunisce le principali competenze su intelligenza artificiale e innovazione dei processi del Politecnico, e per condividere i risultati dei primi progetti di ricerca, presentati direttamente dalle aziende che per prime hanno aderito a questa iniziativa.

AIRIC si connota come un centro di ricerca molto innovativo: ispirato alle migliori esperienze internazionali, il cuore di AIRIC è rappresentato dalla sua multidisciplinarietà: competenze tecniche per lo sviluppo di algoritmi e strumenti di intelligenza artificiale, che hanno la loro naturale collocazione nel Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, e competenze di management e gestione dei progetti, fornite dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale. AIRIC si avvale inoltre della collaborazione di tutti gli altri dipartimenti, sia in ambito tecnico sia di dominio applicativo.

La missione di AIRIC è aiutare le aziende a mettere a fuoco le potenzialità dell’intelligenza artificiale, guidarle nell’introduzione dell’AI nei propri processi e prodotti, e supportarle nello sviluppo di competenze interne che siano all’altezza delle sfide future. Punta di diamante della collaborazione è la capacità di sviluppare soluzioni ad hoc, affiancando l’azienda anche nel trasferimento e nella formazione tecnica necessaria: una combinazione indispensabile per creare un differenziale competitivo e usare l’AI in modo esperto, per generare valore di business.

AIRIC è diretto dai professori Nicola Gatti e Marcello Restelli del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria e da Giovanni Miragliotta del Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

Il progetto HAwK tra i vincitori di Switch2Product | Innovation Challenge 2021

Il progetto HAwK proposto da Domenico Nucera (Dottorando del Dipartimento di Ingegneria Gestionale), Luca Bertulessi (Ricercatore del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria) e Tommaso Maioli (Alumnus del Politecnico di Milano) ha vinto il Grant Switch2Product, nella categoria “Industry Transformation“, classificandosi tra i 26 team vincitori su un totale di 250 progetti presentati al programma S2P organizzato da PoliHubTechnology Transfer Office del Politecnico di Milano e Officine Innovazione di Deloitte.

HAwK è un acceleratore hardware per l’analisi di dati provenienti da sensori ad elevato data rate con lo scopo di ridurre costi e consumo energetico, abilitando Intelligenza Artificiale “on edge”.

Il premio di 30.000 euro servirà per lo sviluppo tecnologico del progetto che verrà realizzato con la scientific advisory dei Proff. Marco Macchi e Luca Fumagalli del DIG e del Prof. Salvatore Levantino del DEIB.

Domenico Nucera ha iniziato il Dottorato di Ricerca in Management Engineering nel 37° ciclo e lavora da 2 anni presso il Laboratorio Industry 4.0 del DIG. Luca Bertulessi è ricercatore presso il Laboratorio ARPLab del DEIB.
HAwK potrà quindi favorire anche lo sviluppo di attività cross-disciplinari tra i due citati laboratori di DIG e DEIB.

La cerimonia di premiazione si è svolta al MADE Competence Center Industry 4.0, nel campus Bovisa del Politecnico di Milano.

 

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Gestione dei dati e delle risorse umane: le nuove frontiere del project management

Mauro Mancini, direttore del Percorso executive in Project Management FLEX, ci illustra i motivi per cui la gestione di progetto abbia assunto un ruolo sempre più rilevante nelle nostre aziende e quali siano le competenze richieste dal contesto in cui viviamo.

Saper analizzare moli crescenti di dati, valorizzare le risorse umane, familiarizzare con l’utilizzo di intelligenza artificiale. Sono solo alcune delle qualità che devono contraddistinguere un project manager, figura sempre più centrale per aziende e organizzazioni. «È un’evoluzione causata principalmente dalla digital transformation e da uno scenario globale il cui sviluppo è sempre più rapido e imprevedibile», spiega il professor Mauro Mancini, direttore del Percorso executive in Project Management FLEX presso il MIP Politecnico di Milano. «A livello internazionale è in atto un fenomeno che la comunità scientifica chiama projectification. In altri termini, anche le attività ordinarie e di processo devono essere sempre più gestite con gli strumenti tipici della gestione di progetto».

Competenze hard, soft, di contesto

Ad accomunare gli approcci del project management è l’idea di unicità: «Unicità del prodotto finale, del capitale umano disponibile, del contesto sociale, della contingenza temporale e del partenariato coinvolto nel progetto stesso», chiarisce Mancini. Ma per valorizzare questi elementi, il project manager deve disporre di un ampio ventaglio di competenze: «Innanzitutto di ordine tecnico, le cosiddette hard skill: mi riferisco alla conoscenza di metodi, tecniche ed approcci studiati per contesti a rapida evoluzione come Evms, Scrum, Real Option, Data visualization. Per quanto riguarda le soft skill, fondamentali la leadership e le capacità di delega, mentoring, training, team building e di team working». Ma c’è un terzo ordine di competenze da non sottovalutare, che Mancini definisce “di contesto”: «Un bravo project manager deve comprendere in tempo reale gli elementi principali di un contesto organizzativo, sociale e culturale, perché non solo gli elementi strutturali ma soprattutto quelli contingenti risultano determinanti per il successo di un’iniziativa. Su questi, se necessario, bisogna essere in grado di rimodulare la natura stessa del progetto, adattandolo con tempestività e lungimiranza secondo approcci che molti chiamano di agile business. L’equilibrio di questi tre set di competenze rendono un project manager pronto ad affrontare le sfide del futuro».

Dati e persone: elementi chiave

Se andiamo a esaminare l’evoluzione del project management negli ultimi anni, i fattori che ridefiniscono i confini della disciplina sono essenzialmente due: da una parte l’importanza della gestione delle informazioni, dall’altra delle risorse umane. «Viviamo in un’era in cui abbiamo a disposizione una mole crescente di dati. Il project manager deve essere in grado di assumere decisioni non solo sulla base delle informazioni disponibili, ma anche sulla chiara coscienza di quelle mancanti. Ad aiutarlo in questo processo di scrematura e schematizzazione dei dati oggi ha a disposizioni molti strumenti sviluppatisi grazie all’evoluzione dell’intelligenza artificiale, che permette la rapida implementazione di regole di autoapprendimento. Ma in un contesto dove intervengono normalmente piccoli o grandi imprevisti, il project manager dovrà sempre più far valere le proprie capacità personali e la propria esperienza», illustra Mancini. «La decisione finale sia difronte alla propria struttura che difronte al cliente (che a volte coincidono) spetta al project manager, e questo vale anche nella gestione del team. Tra i suoi obiettivi primari deve esserci la la valorizzazione dei collaboratori ed il loro pieno coinvolgimento, in grado di moltiplicare le capacità di azione del gruppo di lavoro. Suo rimane il compito di guidare questa partecipazione e orientarla proteggendola dalle pressioni degli stakeholder coinvolti nel progetto».

La didattica digitale espande il networking

Il Percorso executive in Project Management FLEX del MIP affronta questi e altri temi, puntando a formare una figura professionale completa e, soprattutto, aggiornata: «Il percorso ha un formato completamente digitale, che favorisce la partecipazione di manager e professionisti provenienti da un contesto geografico molto allargato. Questo fattore espande le possibilità di networking tra i partecipanti. La didattica», spiega Mancini, «seguirà due binari: sincrono e asincrono. La formazione asincrona permette di acquisire le competenze in autonomia, per poi affinarle e metterle a punto in modalità sincrona, vale a dire interagendo direttamente con i docenti. Il nostro obiettivo non è solo fornire strumenti utili fin da subito, ma anche condividere con i i partecipanti quelle skill necessarie per l’autoapprendimento e la formazione continua, cruciali per affrontare i cambiamenti che caratterizzeranno i decenni a venire».

Flessibilità, competenze, intelligenza artificiale: la sfida di Logol nasce dal MIP

Marco Farina, alumnus del Flex EMBA 2015, racconta come è nata Logol e che cosa ha appreso dalla partecipazione al master. A partire dalla capacità di lavorare a distanza, usando le nuove tecnologie

Perché intorno alla tecnologia, spesso, è ancora diffuso un sentimento negativo? E perché non si abbracciano appieno le sue potenzialità? Sono le domande da cui è partito Marco Farina, alumnus del Flex EMBA 2015 presso il MIP Politecnico di Milano, per fondare Logol, società svizzera che dal 2017 opera nel campo dell’intelligenza artificiale. «La mia idea», spiega Farina, «è che troppo spesso i servizi di trasformazione digitale siano gestiti in maniera improvvisata. L’obiettivo era e rimane quello di portare competenze vere all’interno delle aziende, competenze che possono tradursi in un reale valore aggiunto per il business. E in questo processo l’intelligenza artificiale gioca ormai un ruolo fondamentale».

I pilastri operativi di Logol

Sono quattro i pilastri su cui si regge il business model di Logol, racconta Farina: «Siamo innanzitutto degli advisor. Il nostro primo obiettivo è sostenere le aziende nel loro avvicinamento all’IA». Il secondo pilastro, invece, si ricollega all’idea da cui Logol è nata: «Nasciamo come una società senza un ufficio fisico. Lo smart working fa parte della nostra mentalità, ed è lo stesso atteggiamento che vogliamo esportare nelle aziende che si rivolgono a noi. Questo processo passa soprattutto dalla migrazione delle infrastrutture dai server al cloud. Nel passaggio di questi dati sensibili, l’aspetto della data security è fondamentale, e l’IA aiuta ad accrescere il livello di sicurezza».

Il terzo pilastro riguarda le business application. «Oggi le aziende devono essere snelle, se vogliono essere competitive. L’oro di oggi sono i dati, quindi la progettualità di un sistema informativo va pensata usando applicativi moderni che permettano di avere una visione olistica dell’azienda».

L’ultimo pilastro riguarda l’IA pura. «Dopo aver razionalizzato le tecnologie e i processi dell’azienda, applichiamo l’intelligenza artificiale alla tecnologia di riferimento, che si tratti di un chatbot, dell’ottimizzazione di uno stock di magazzino o dell’engagement del cliente nell’ecommerce».

Logol fa della flessibilità uno dei suoi punti di forza e opera sia con imprese medio-piccole sia con aziende più grandi: «Nel mondo dello small e medium business ci poniamo come unici interlocutori, perché andiamo a ridisegnare totalmente il loro approccio tecnologico», spiega Farina. «Nel rapporto con le imprese più grandi, con cui non abbiamo un rapporto esclusivo, esprimiamo le nostre competenze in ambiti più specifici».

L’esperienza Flex Emba: prove generali di flessibilità

Prima di fondare una realtà di business così innovativa, Marco Farina ha frequentato il Flex EMBA. Un’esperienza che gli è stata utile da diversi punti di vista: «Innanzitutto sentivo il bisogno di irrobustire il bagaglio delle mie competenze. Presso il Politecnico avevo già studiato ingegneria informatica, ma dovevo ancora acquisire le nozioni necessarie alla comprensione e alla gestione dei processi aziendali». Il master ha anche permesso a Farina di stringere relazioni importanti con i suoi colleghi: «Il rapporto con loro era fantastico, e lo è ancora, visto che siamo ancora in contatto. Ad accomunarci, ora come allora, è la voglia di metterci continuamente in gioco con l’obiettivo di migliorare. La possibilità di confrontarsi con persone dai background formativi molto diversi, adottando così punti di vista sempre nuovi, era un vero e proprio valore aggiunto». Il formato FLEX si sposava poi alla perfezione con le esigenze di quel particolare periodo della sua carriera: «Era un momento decisamente impegnativo, la flessibilità era fondamentale». Una flessibilità che si è tradotta in un banco di prova importante, su cui sviluppare quelle modalità di lavoro smart su cui poi sarebbe nata Logol: «Per due anni ci siamo abituati a interagire da remoto come se fossimo uno di fronte all’altro. Questo è fondamentale: si tratta di pratiche che noi, come imprenditori e dirigenti, dobbiamo trasmettere ai collaboratori. I lavoratori del futuro saranno persone che interagiranno in questo modo».

Perché il valore umano nell’era digitale è ancora più prezioso

La crescita della digitalizzazione è vista da tanti con preoccupazione. Eppure le nuove tecnologie possono aiutare produttività e flessibilità. A patto che i manager sappiano individuare le giuste opportunità

 

“L’interazione umana è la prima vittima dell’era digitale”. È il titolo che introduce un editoriale firmato da Vivek Wadhwa, imprenditore del settore tech, docente ad Harvard e, tra le altre cose, un entusiasta della prima ora dei social media. Con il tempo, come molti altri, Wadhwa ha cambiato idea, convincendosi che i mezzi di comunicazione digitali hanno fatto più male che bene ai rapporti interpersonali. Allo stesso modo, sono in molti a sostenere che le tecnologie digitali avanzate possano ridimensionare la centralità dell’elemento umano nel mondo del lavoro. Ma è davvero così? Una serie di dati e previsioni mostrano come in realtà sia possibile prendere delle contromisure. E come il ruolo dei manager, in questo scenario, sia centrale.

Rapporti umani: tra relazioni e connessioni

Un’indagine del World Economic Forum, condotta nel 2016 su un campione di oltre 5 mila individui sparsi per i cinque continenti, rivela una percezione diffusa in netta controtendenza rispetto ai timori di Wadhwa. Secondo la maggior parte degli intervistati, l’utilizzo dei social media ha portato una maggiore capacità di stringere amicizie nel mondo reale, di mantenere le relazioni con amici già acquisiti e con il proprio partner e – sorpresa! – anche di sviluppare una maggiore empatia.
Ma non è tutto oro quel che luccica. Se è vero che da una parte i media digitali abilitano l’interazione sociale, spesso dando rilievo alle voci delle minoranze, dall’altra parte esistono dei rischi che è lo stesso World Economic Forum a sottolineare nel report Digital Media and Society: è possibile che lo sviluppo delle capacità relazionali online non corrisponda a un analogo incremento delle social skills offline. Uno scenario a luci e ombre, insomma, che ritroviamo anche in ambito lavorativo.

Il lavoro che cambia

Le tecnologie digitali stanno plasmando forme e contenuti dell’offerta lavorativa. Tra le ricadute positive si possono annoverare un incremento della produttività e della flessibilità, in particolare nel ricorso sempre maggiore a forme di telelavoro, o di smart working, rese possibili dallo sviluppo di connessioni di rete sempre più rapide e di strumenti di comunicazione digitale sempre più efficienti. Anche in questo caso, però, non mancano i dubbi. I media digitali, infatti, possono provocare un aumento delle diseguaglianze, causate da un rapido avvicendamento nelle skill più richieste. Non è azzardato prevedere un allargamento della forbice del valore (e quindi anche di quella economica) tra i dipendenti con skill di basso livello e colleghi con abilità più evolute e preziose.

Sfruttare la tecnologia, valorizzare l’umano

Per evitare questi rischi, la figura del leader diventa centrale. Deve “avere le conoscenze e le capacità adatte a riconoscere e anticipare le tendenze digitali, capirne le implicazioni per il business e usare a proprio vantaggio la tecnologia per rimanere al passo”, afferma il report Digital Media and Society. Spetta alle organizzazioni, e quindi ai loro manager, sviluppare le strategie adeguate per integrare i media digitali nel flusso lavorativo, e agire attivamente sulle opportunità e i pericoli che i loro dipendenti dovranno affrontare. Un altro report del World Economic Forum, Our Shared Digital Future, ha suggerito delle ulteriori linee guida per affrontare la rivoluzione digitale: spicca la creazione di una rete di leader responsabili che incoraggino il reskilling dei dipendenti. Se è vero, come suggerisce il Future of Jobs Report del 2018, realizzato sempre dal WeF, che entro il 2022 l’automazione sottrarrà agli esseri umani percentuali importanti di carico di lavoro, diventa infatti fondamentale la valorizzazione di quelle attività che le intelligenze artificiali ancora non riescono a svolgere: un paradosso apparente, ma il vantaggio competitivo di aziende e lavoratori dipenderà sempre più dalla capacità di dimostrarsi inimitabilmente umani. A dispetto di qualsiasi innovazione digitale.

Con Epson e Re Mago, MIP Politecnico di Milano crea in Italia la prima Smart Classroom dedicata alla collaboration e pensata per favorire il brainstorming

Il MIP ha completato il processo di digitalizzazione delle proprie aule didattiche. Con l’utilizzo delle più moderne tecnologie di videoproiezione e di collaborazione è ora possibile condurre lezioni in maniera completamente interattiva e coinvolgente.

 

 

Il MIP, la scuola di management del Politecnico di Milano, ha completato il processo di digitalizzazione totale delle proprie aule didattiche e inaugura la prima Digital Classroom “speciale”, dedicata alla condivisione visuale delle informazioni ed al brainstorming. Con questa iniziativa si conferma ancora una volta il continuo e forte impegno nell’utilizzare le possibilità offerte dai più moderni strumenti digitali per offrire la migliore esperienza di apprendimento.

Come le altre 13 già attrezzate con strumenti analoghi nel Campus Bovisa, a Milano, l’aula utilizza la più innovativa soluzione tecnologica messa a punto da Epson in partnership con Re Mago Ltd., società inglese che si è affidata ad un team di sviluppo in buona parte italiano e che ha sviluppato un software per visual collaboration e brainstorming, ideale per Smart Classroom e Smart Working. Il software permette di condividere, annotare e presentare contenuti digitali (testi, suoni, immagini, video, link) ed informazioni in tempo reale da qualsiasi dispositivo PC o Mobile presente in aula o collegato da remoto. Tutte queste attività vengono svolte in maniera semplice ed intuitiva, grazie all’interfaccia utente del software, studiato e messo a punto in modo da poter essere immediatamente utilizzato anche dalle persone meno amanti della tecnologia.

Otto videoproiettori interattivi laser Epson EB-710Ui, disposti a coppie sulle quattro pareti dell’aula, le trasformano in altrettante aree di lavoro condivise, dove docente e allievi posso scrivere, condividere, annotare e modificare i documenti, registrando ogni passo dell’attività svolta e salvando il tutto al termine per avere una copia digitale completa e totalmente usufruibile.

Il MIP – ha affermato Federico Frattini, Associate Dean for Digital Transformation – è una scuola di management che affronta le esigenze del mondo del business con corsi di formazione specializzati, post-laurea e post-experience, progettati per chi ha già intrapreso una carriera professionale. Con la realizzazione delle Smart Classroom vogliamo dare a docenti e allievi una modalità ancora più interattiva, moderna ed ingaggiante per lavorare in aula in modo collaborativo.

Come è fatta e come funziona la Smart Classroom?

Nel mondo della formazione così come in azienda, la sfida per una reale e ottimale collaborazione è fare in modo che tutte le parti coinvolte possano agire utilizzando in modo semplice, diretto e immediato tutti gli strumenti e le funzionalità disponibili, così da non stravolgere le abitudini dei singoli, ma anzi di offrire un vero e valido supporto.

Ciascuno dei due videoproiettori presenti sui lati della Smart Classroom può essere utilizzato per proiettare contenuti diversi (per esempio la lezione del docente e i contributi degli allievi) o per formare un’unica grande area di lavoro. In entrambi i casi, tutta la superficie proiettata è interattiva e le persone possono intervenire impiegando non solo le apposite penne fornite con i videoproiettori, ma anche semplicemente utilizzando le dita (grazie alla funzione Finger Touch) oppure, se collegati da remoto, scrivendo sul proprio dispositivo smartphone, tablet o pc connesso alla stessa sessione tramite il Cloud.

In questo modo, l’area può essere utilizzata per fare brainstorming, per disegnare, per condividere file di qualsiasi tipo (immagini, video, PDF, documenti di Office, link a siti internet), ma anche per navigare sul web e accedere e presentare applicazioni. Dietro a semplici strumenti, come ad esempio il “Lazo Tool” del software Re Mago, si nasconde tutta la complessità di servizi AI (Machine Learning) che permettono ad esempio di riconoscere e suggerire immagini vettoriali il più vicine possibile al disegno originale effettuato a mano libera dall’utente, immagini che verranno poi utilizzate durante le presentazioni. Altre funzioni speciali come il riconoscimento della scrittura (OCR) e delle forme geometriche e la ricerca di immagini, video, siti online sono a portata di mano o con comando vocale. Sarà sufficiente trascinare nell’area di lavoro il risultato ottenuto dalla ricerca per poterlo utilizzare e consultare. I file possono essere facilmente condivisi da e verso qualsiasi sistema di storage locale o servizio Cloud.

Un altro vantaggio è che, durante la lezione o al termine della stessa, i partecipanti non hanno bisogno di fotografare l’area di lavoro o di prendere appunti perché il riepilogo completo di quanto fatto (compresi tutti gli schizzi, le note, i file, le registrazioni audio video, ecc) può essere salvato, memorizzato e condiviso attraverso diversi canali.

Google: l’intelligenza artificiale al servizio delle imprese italiane

 

Dalla collaborazione tra Google e la School of Management del Politecnico di Milano nasce il Machine Learning Checkup: uno strumento gratuito che permetterà alle imprese italiane di valutare la propria maturità per l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale (IA) e comprendere come sfruttare al meglio le sue applicazioni nel proprio settore di riferimento.

Annunciato a Roma in occasione dell’evento “L’economia dell’intelligenza. Machine Learning: il futuro delle imprese”, il Machine Learning Checkup è disponibile su www.leconomiadellintelligenza.it e offrirà un report personalizzato sui potenziali benefici dell’IA, insieme alle migliori applicazioni in base al settore di riferimento dell’azienda e al suo posizionamento nella filiera produttiva. Oltre al report, le aziende interessate potranno accedere alla consulenza dedicata di Unioncamere, attraverso i Punti Impresa Digitale delle Camere di Commercio sul territorio, e agli incentivi del Ministero dello Sviluppo Economico.

Attraverso una ricerca commissionata da Google, la School of Management del Politecnico di Milano ha individuato per i settori a maggiore potenziale di adozione dell’IA in Italia, agroalimentare, tessile, arredamento, metalsiderurgico e metalmeccanico, 65 applicazioni IA e 230 diverse possibilità applicative, concentrate principalmente sulle aree di analisi predittiva e riconoscimento delle immagini e dei suoni.

Per alcune applicazioni, come per esempio l’agricoltura di precisione, in cui l’IA aiuta a definire trattamenti e piani di coltivazione personalizzati per ciascuna pianta, la ricerca ha evidenziato come esistano potenzialità di risparmio fino all’80% nei costi e nell’utilizzo dei fattori produttivi (acqua, diserbanti, insetticidi, ecc.). Riduzione dei costi, dei tempi di produzione e di risposta ai clienti, aumento dell’efficienza e miglioramento dei prodotti, controllo della qualità e pianificazione avanzata sono gli aspetti su cui l’IA può portare i maggiori benefici.

Insieme a Google, Politecnico e Unioncamere, sul palco dell’evento sono intervenute anche due aziende italiane che rappresentano un esempio di adozione matura dell’IA in Italia.
Nata nel 1939 per produrre sacchi da vecchi tessuti, Saccheria Franceschetti conta oggi 50 addetti ed è il terzo distributore di imballaggi flessibili in Europa. Attraverso l’adozione di soluzioni IA per l’ottimizzazione dei magazzini e della logistica, riesce a monitorare in tempo reale i processi aziendali dalle forniture alla consegna. “Grazie anche a questo efficientamento,” ha detto il Presidente dell’azienda, Luigi Franceschetti, “il fatturato è salito dai 16 milioni del 2015 ai quasi 20 previsti nel 2019 e la marginalità è raddoppiata. Dato ancora più interessante, il numero di contestazioni per errori occasionali si è enormemente ridotto, fidelizzando ulteriormente i nostri clienti.
Agrintesa, azienda che riunisce una comunità di 4.000 aziende agricole prevalentemente di piccole e medie dimensioni, utilizza grazie all’IA il riconoscimento visivo per selezionare parte della sua produzione da oltre 440.000 tonnellate l’anno. “I risultati sono stati evidenti: si sono ridotte le contestazioni dei clienti per la qualità del prodotto e il processo è diventato più rapido ed efficiente,” afferma Federico Cavassi, Responsabile Magazzini e Logistica di Agrintesa. “Entro due anni contiamo di vedere anche un miglioramento consistente della marginalità”.

Il quadro che emerge dalla nostra ricerca è quello di un ventaglio decisamente ampio di possibilità applicative per le nostre PMI, con possibili ricadute in grado non solo di migliorare i risultati della singola impresa, ma di contribuire a un’innovazione dei loro modelli di business, aiutando il nostro sistema industriale a valorizzare le proprie eccellenze e a superare alcune debolezze strutturali, dalla scalabilità delle soluzioni offerte al miglioramento dell’efficacia dell’azione commerciale. Non si tratta né di soluzioni appannaggio esclusivo di grandi imprese, né di formule “magiche” per la trasformazione delle imprese. Si tratta di soluzioni che a livello internazionale stanno trovando crescente applicazione e rispetto alle quali è importante posizionarsi anche per non perdere competitività.Lucio Lamberti, docente della School of Management del Politecnico di Milano e Responsabile Scientifico della ricerca

Questa iniziativa permetterà a tanti imprenditori di accedere con facilità ai servizi delle Camere di commercio per la digitalizzazione. Sono i servizi di informazione, formazione, assistenza, orientamento e sostegno offerti dagli 88 Punti impresa digitale del sistema camerale che hanno già raggiunto oltre 70mila imprese. In particolare finora 15mila aziende hanno misurato il proprio livello di maturità digitale attraverso l’assessment offerto dai Pid per conoscere i propri punti di forza e debolezza sui cui investire per competere cavalcando la quarta rivoluzione industriale.Giuseppe Tripoli, Segretario generale di Unioncamere

L’intelligenza artificiale rappresenta oggi una nuova opportunità per il Paese e per noi è fondamentale che sia al servizio delle persone e accessibile a tutti. Da molti anni siamo impegnati in Italia in progetti di alfabetizzazione digitale e approfondimento delle competenze necessarie per trovare un lavoro o potenziare la propria attività grazie a Internet: con il Machine Learning Checkup facciamo un ulteriore passo in questa direzione.Fabio Vaccarono, Managing Director Italia, Google

Le macchine? Sempre più intelligenti

Alla scoperta dell’intelligenza artificiale e del machine learning, tecnologie che cambieranno sempre più rapidamente le nostre abitudini (e quelle delle aziende)

 

Algoritmi in grado di prevedere i gusti del pubblico. Test capaci di diagnosticare in anticipo una serie di patologie, ma anche quali parti meccaniche hanno maggiori probabilità di rompersi. E, ancora, applicazioni in mille altri campi, dalla guida autonoma alla manifattura, dal riconoscimento vocale al marketing e ai social network. Se il futuro è già oggi, parte del merito è dell’intelligenza artificiale e di una sua sotto-area: il machine learning.
«Il machine learning (alla lettera: apprendimento automatico, ndr) è una disciplina che sviluppa algoritmi in grado di rendere le macchine intelligenti, cioè capaci di imparare dal passato e prendere decisioni sul futuro» spiega Carlotta Orsenigo, professore associato di Computer Science al Politecnico di Milano ed esperta di algoritmi di machine learning.
I vantaggi? «Enormi, anche in termini economici: maggiori ricavi e minori costi. Una migliore previsione della domanda ci permette, per esempio, di ottimizzare il livello delle scorte e di offrire un servizio migliore ai nostri clienti».
Carlotta Orsenigo è anche condirettore di un master della School of Management del Politecnico di Milano pensato per formare data scientist da inserire in contesti anche aziendali. «Il Master Internazionale in Business Analytics and Big Data si rivolge a laureati in materie scientifiche ed economiche con un massimo di cinque anni di esperienza. L’obiettivo è fornire competenze in tre campi distinti: tecnologico, metodologico e di business. Dura un anno, al termine del quale i tassi di occupazione sono altissimi».

Previsione della domanda

La figura chiave del machine learning è il data scientist, figura in grado da un lato di analizzare i dati e sviluppare gli algoritmi che li rendono uno strumento di previsione (e decisione) efficace, dall’altro di interfacciarsi con le figure di riferimento in azienda (responsabile marketing o produzione, per esempio), a seconda dell’obiettivo perseguito.
«Il machine learning può essere utilissimo nel retail, per l’analisi e la previsione della domanda di prodotti e servizi. Si parte dagli acquisti fatti dai clienti nel passato, per prevedere quelli che verranno fatti in futuro. E, in base allo stesso principio, l’algoritmo sarà in grado di dirci che cosa sceglierà il nostro pubblico, in base alle scelte di un pubblico simile, cioè con caratteristiche molto vicine» prosegue Orsenigo.
L’altra faccia della previsione della domanda è rappresentata dalla cosiddetta recommendation, cioè dai suggerimenti che grandi operatori come Amazon e Netflix fanno ai loro clienti. “Hai visto quel film? Ti piacerà anche questo! Cerchi un nuovo libro? Lettori simili a te hanno apprezzato questo titolo”. Funziona, e senza lo zampino dell’uomo: l’intelligenza della macchina, da sola, elabora una gran quantità di dati da cui estrapola significati e tendenze.

Una pluralità di applicazioni

«Un’altra applicazione è nel settore manifatturiero. I dati analizzati possono essere in questo caso quelli forniti dai sensori, e qui entriamo nell’ambito dell’Internet of things (IoT, Internet delle cose, ndr). Ciò permette ad esempio di identificare in anticipo pezzi potenzialmente difettosi e prevenire futuri guasti».
In realtà, il primo ambito di applicazione del machine learning è quello medico-scientifico. «L’analisi delle espressioni geniche, ad esempio, consente di mettere in luce regolarità tra soggetti sani e soggetti malati e permette di progettare test diagnostici mirati» continua Orsenigo.
Importantissimo anche l’ambito del riconoscimento vocale e della centralità della voce, come dimostra il successo di Alexa e di ausili simili. «La nostra generazione preferisce ancora la possibilità di digitare, ma i giovani sono sempre più abituati a usare la voce per interagire con i device».
Ma anche quello dei chatbot, software progettati per simulare una conversazione con un essere umano, che apprendono via via dall’interlocutore (da tono, temi, domande…) in modo da fornire risposte sempre più mirate. O della guida autonoma.
Insomma, il futuro è ancora tutto da scrivere. Anzi, da programmare.

Il Project Manager oggi tra tecnologia, esperienza, rapidità

Nuove tecnologie, Big Data e dimensione internazionale sono alcuni dei fattori con cui oggi si deve misurare il Project Manager, figura spesso sottovalutata che, in virtù di scenari sempre più complessi e fluidi, assume crescente importanza. Ne abbiamo parlato con Mauro Mancini, professore di Project and Programme Management alla School of Management del Politecnico di Milano.

«È bene aver chiaro che la gestione di un progetto è la gestione di persone e di informazioni, e l’era della digitalizzazione che stiamo attraversando sta cambiando approcci e metodi di interazione e comunicazione tra le persone – precisa il professor Mancini –. Quanto più un’azienda riesce a dotarsi di strumenti di gestione dei progetti che possano beneficiare di tutto questo, tanto più riuscirà a cavalcare efficacemente i continui cambiamenti del contesto in cui opera».

In questo senso, l’Intelligenza Artificiale (AI), più che una minaccia, va considerata un’alleata. «La quantità di dati che dobbiamo gestire oggi è nettamente superiore al passato. Un Project Manager deve riuscire a capire in tempi molto rapidi la situazione, recuperare il maggior numero possibile di dati, verificarne la qualità ed elaborarli per definire un piano tattico o strategico – in funzione del contesto. L’Intelligenza Artificiale sarà sempre più importante per un Project Manager, perché sempre più quest’ultimo si troverà di fronte a situazioni non previste». Ma secondo Mauro Mancini, la parte più qualitativa del lavoro resterà appannaggio dell’uomo: «L’Intelligenza Artificiale compie delle simulazioni sulla base di regole fornite dall’uomo, ma non può prevedere il futuro. Chi deve gestire un progetto ha bisogno che tutto ciò che rispetta le regole del passato venga gestito ‘in automatico’, e in questo l’AI è molto utile, ma lo spunto vincente da punto di vista innovativo o della creatività sarà, a mio modo di vedere, sempre in mano all’intelligenza umana».

L’accento posto dalla società in cui viviamo sulla rapidità, e la possibilità, spesso offerta dalla tecnologia, di sperimentare soluzioni velocemente, sta portando alla diffusione dell’approccio noto come “cultura del fallimento”, il cui senso è racchiuso nell’espressione inglese “Fast fail, cheap fail”. «È un approccio che mi trova totalmente d’accordo – afferma Mancini –. In alcune culture, in particolare quella americana, se non hai mai sbagliato, non sei adatto a guidare dei processi particolarmente complessi e innovativi, perché non avere mai sbagliato vuol dire non avere mai rischiato. Ovviamente un progetto ha bisogno di tutti: persone che rischiano come di conservatori. E il Project Manager deve avere la capacità di capire quali sono le aree in cui è giusto sbagliare per imparare velocemente dall’errore e quali aree in cui muoversi con maggior attenzione».

Alla questione della velocità si lega in parte anche un altro tema molto dibattuto in questo periodo, quello della giusta proporzione fra soft skills e hard skills nelle professioni manageriali. In questo senso, a essere rapidi sono da un lato i mutamenti di scenario – nel mercato o in un singolo progetto – che richiedono capacità di adattamento e apprendimento, dall’altro il cambiamento delle competenze specialistiche richieste a chi lavora (soprattutto nell’hi-tech). «Uno dei compiti del Project Manager – spiega Mancini – è proprio quello di capire in tempi molto rapidi le competenze tecniche richieste per un determinato progetto (hard skill). Quanto alle soft skill, che io preferisco chiamare competenze comportamentali, sono in questo periodo oggetto di grande attenzione in Europa. Anche in questo caso c’entra il fattore tempo: sono competenze che, proprio in quanto ‘soft’, vengono sollecitate quotidianamente fin da piccoli. I settori industriali sono caratterizzati da diversi gradi di complessità tecnica, ma affinché un Project Manager sappia valutare la correttezza di una risposta alla fondamentale domanda ‘quanto tempo ci vuole a svolgere questa attività?’ indipendentemente dal fatto che sia posta ad una risorsa interna o esterna alla propria organizzazione, è necessario che quell’attività l’abbia svolta anche lui o, quantomeno, abbiamo tutti gli elementi per verificarne in tempi rapidi (spesso in tempo reale) la correttezza della valutazione. Avere competenza tecnica per un Project Manager non significa saper progettare un componente, un sistema o un’organizzazione, ma conoscere e/o acquisire in tempi rapidi le regole del gioco del contesto in cui ci si deve muovere».

Fra le competenze comportamentali, sono destinate a rivestire sempre maggiore importanza quelle interculturali. «Sempre più ci scontriamo con progetti in cui i soggetti in gioco provengono da culture completamente diverse. Nei vari paesi le capacità relazionali fanno leva su strumenti tecnici diametralmente opposti a quelli tipici della propria cultura di appartenenza. Dovremmo quindi esser sempre più capaci di interagire con modalità di pensiero e comportamenti molto diversi dai nostri, che possono nascondere valori altrettanto diversi».

 

 

Quali lavori sopravviveranno all’Intelligenza Artificiale

Vogliamo portare l’intelligenza in ogni cosa, dappertutto, e per chiunque”. L’ha detto Satya Nadella, Ceo di Microsoft, azienda che ha recentemente lanciato la chatbot “Zo” in grado di costruire sofisticati colloqui uomo-macchina. Ed è proprio attraverso strumenti di intelligenza artificiale (IA) di Microsoft che la School of Management del Politecnico di Milano ha sviluppato FLEXA, innovativa e rivoluzionaria piattaforma digitale di personalised e continuous learning, un digital mentor in grado di individuare e selezionare specifici contenuti, utili per il percorso di studi di ciascun utente.

«Questo progetto, ma il discorso vale in generale per l’Intelligenza Artificiale, è partito da una consapevolezza: avevamo individuato determinate necessità e la tecnologia poteva aiutarci a soddisfarle – racconta Federico Frattini, Associate Dean of Digital Transformation di MIP Politecnico di Milano nonché ideatore di FLEXA –. Nello specifico, gli studenti dei nostri master volevano conoscersi meglio, anche in un’ottica comparativa, per poi intraprendere percorsi di formazione ad hoc, mentre i nostri Alumni, gli ex studenti, ci chiedevano soluzioni efficaci di continuous learning. Abbiamo ragionato sulla base di questi input e il risultato è stato FLEXA: su questa piattaforma è possibile effettuare un assessment delle proprie soft, hard e digital skill e dichiarare le proprie ambizioni di carriera; una volta elaborate queste informazioni, FLEXA fornisce tutte le indicazioni per colmare questi skill gap attraverso eventi, corsi e percorsi di formazione individuati sulla base delle necessità indicate. E non si tratta solo di contenuti del Politecnico di Milano: abbiamo accordi con Gartner, New York Times, Financial Times, MIT e tante altre realtà prestigiose. Con FLEXA, inoltre, sarà possibile farsi raccomandare un mentor, creare un sistema di matching con il mondo delle startup e con quello delle imprese, creare nuovi contenuti».

È comprensibilmente acceso il dibattito sull’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sull’occupazione. Oltre che nei lavori più meccanici e ripetitivi, come quelli svolti dagli operai alla catena di montaggio e alla guida delle auto, e ad alcune attività nella ristorazione e nei supermercati, l’automazione sta entrando anche nel campo dei servizi. Secondo alcuni studi, per esempio, entro il 2030 non ci saranno più call center “umani”, mentre in Giappone molti robot sono già operativi nell’assistenza agli anziani.

Per contro, l’intelligenza artificiale ha dei limiti che in molti casi le impediscono di sostituirsi al lavoro umano, e al contempo è ancora forse sottovalutato il ruolo che la tecnologia può avere per affiancare e rafforzare l’uomo nell’esercizio di alcune delle sue attività più qualificate. Il cinese Kai-Fu Lee, noto esperto di intelligenza artificiale, imprenditore proprio in questo settore e autore del recente volume AI Superpowers: China, Silicon Valley, and the New World Order, individua quattro debolezze dell’IA nella performance lavorativa:

  1. l’IA non può creare, concettualizzare o gestire una pianificazione strategica complessa;
  2. l’IA non può svolgere lavori complessi che richiedono una precisa coordinazione di mani e occhi;
  3.  l’IA non può far fronte a spazi sconosciuti e non strutturati, specialmente quelli che non ha precedentemente osservato;
  4.  l’IA, diversamente dagli umani, non può interagire con empatia e compassione (intesa come sensibilità), e quindi è improbabile che gli umani optino di interagire con un robot apatico per i tradizionali servizi di comunicazione.

Data questa premessa, Kai-Fu Lee stila una lista di dieci professioni che saranno immuni dall’invasione robotica, almeno nei prossimi 15 anni: psichiatria, terapia fisica, medicina, ricerca e ingegneristica nel campo dell’intelligenza artificiale, scrittura di fiction, insegnamento, avvocatura, scienza e ingegneristica nel campo dei computer, scienza, management. In tutte queste professioni l’IA potrà essere di aiuto, ma solo in senso collaborativo per la gestione di certi dettagli tecnici.

“Non vi è alcun dubbio che la rivoluzione dell’intelligenza artificiale richiederà aggiustamenti e una grande dose di sacrifici” afferma Kai-Fu Lee, “ma disperarsi invece che prepararsi per ciò che è in arrivo è improduttivo e, forse, pure incauto”. E poi aggiunge: “Dobbiamo ricordarci che la nostra capacità umana di avere compassione ed empatia sarà un bene prezioso per la forza lavoro del futuro, e che le attività che dipendono dalla cura, dalla creatività e dall’istruzione rimarranno vitali per la nostra società”.

«Io credo che il miglior modo per avvicinarsi all’intelligenza artificiale sia ricondurla alle teorie che spiegano l’innovazione e l’imprenditorialità – conclude Federico Frattini –. Possiamo definirla come un acceleratore dei processi di distruzione creatrice determinati dall’innovazione digitale, prendendo spunto da ciò che sosteneva l’economista austriaco Joseph Schumpeter quasi un secolo fa a proposito dei grandi cambiamenti che hanno avuto un impatto sull’economia e sulla società: si creano nuove opportunità, nascono nuove aziende e nuove professionalità, altre evolvono e altre ancora, inevitabilmente, spariscono. Non possiamo certo opporci alle forze creative che hanno cambiato la società nel corso dei secoli».