COVID-19: I benefici derivanti dai progetti collaborativi

I progetti collaborativi, intesi come lo scambio di dati e informazioni di natura strategica tra partner di business, possono essere un veicolo per garantire continuità operativa in situazioni di emergenza e validi alleati per la ripartenza.

 

Riccardo Mangiaracina, Professore di gestione dei sistemi logistici e produttivi, Responsabile Scientifico Osservatorio Digital B2b
Paola Olivares, Direttore Osservatorio Digital B2b School of Management Politecnico di Milano

Queste settimane di emergenza sanitaria ed economica hanno imposto alle aziende una forte revisione delle più tradizionali modalità di lavoro e alle aziende fornitrici di servizi di mettere in campo strumenti per garantire la continuità operativa dei propri clienti. Tra le iniziative avviate troviamo anche la messa a disposizione di soluzioni in grado di migliorare visibilità e collaborazione con terze parti. Un esempio sono gli strumenti per il monitoraggio della catena di fornitura.
L’Osservatorio Digital B2b della School of Management da 18 anni monitora la diffusione e calcola i benefici dell’eSupply Chain Collaboration che indica lo scambio di informazioni di natura strategica – tipicamente a livello di pianificazione congiunta, monitoraggio della supply chain, sviluppo nuovi prodotti, marketing e comunicazione, gestione della qualità – con l’obiettivo di migliorare l’efficacia dei processi grazie alla condivisione di informazioni e know-how e alla collaborazione nelle fasi decisionali. Solo il 32% delle imprese italiane ha attivato almeno un progetto collaborativo, con una predominanza per le grandi aziende che spesso impongono l’utilizzo del sistema anche al proprio indotto di piccoli attori [1]. La pandemia globale che abbiamo vissuto potrebbe rappresentare un impulso all’adozione di questo tipo di soluzioni.

Nel seguito sono descritti i vantaggi che si potrebbero avere in situazioni di emergenza, i benefici ottenibili in periodi di normalità e un esempio concreto.

I vantaggi in situazioni di emergenza
La trasparenza e la condivisione di dati e informazioni, anche strategiche, può rappresentare in situazioni di emergenza, un veicolo tramite per garantire continuità operativa. Tra i processi potenzialmente gestibili in modo collaborativo, i due con la maggiore utilità in situazioni di emergenza sono il monitoraggio della supply chain e la pianificazione congiunta. Questi infatti permettono:

  • lo scambio di dati relativi a vendite e capacità produttiva;
  • la visibilità sulle giacenze a magazzino e sulla domanda del cliente finale;
  • un rifornimento automatico più frequente.

I benefici in situazioni di normalità
I progetti collaborativi possono contribuire significativamente alla marginalità e alla competitività di un’impresa e dei propri partner di business in situazioni di normalità. I benefici possono essere di due tipi:

  • tangibili, riconducibili alla sfera dell’efficienza (es. riduzione dei costi operativi);
  • intangibili, riguardanti un aumento del livello di servizio con un conseguente miglioramento dell’immagine dell’azienda e un incremento della fedeltà dei clienti, un incremento della visibilità e quindi della capacità di reazione di fronte a eventi imprevisti e un miglioramento della qualità delle informazioni circolanti in azienda.

È importante tener presente che, per la corretta ed efficace realizzazione di tutti i progetti collaborativi, è necessario agire sulla leva del change management, attraverso formazione e meccanismi di incentivazione per i dipendenti dell’azienda, occorre un alto commitment, una chiara definizione della strategia da seguire, un corretto coinvolgimento degli attori interni ed esterni all’organizzazione e un uso sapiente degli strumenti tecnologici.

Un esempio concreto
Il rifornimento dei punti vendita della grande distribuzione e quindi il fenomeno dell’out of stock (indisponibilità dei prodotti a scaffale) è stato uno dei principali problemi vissuti durante l’emergenza Covid-19. Le cause tipiche dell’out of stock sono riconducibili in un’inefficienza nella pianificazione degli ordini o nel processo di rifornimento dello scaffale, in problemi del produttore o dei centri distributivi o in una inaccuratezza nella gestione del magazzino. In questa circostanza la causa scatenante è stata però la domanda imprevista e incontrollabile.

Un progetto concreto, particolarmente utile, è l’Optimal Shelf Availability (OSA). Applicato al settore del largo consumo, misura e analizza le cause dell’out of stock per garantire la disponibilità dei prodotti a scaffale e aumentare il livello di servizio. Il produttore e il retailer collaborano scambiandosi quotidianamente i dati di sell-out e il livello delle scorte per ogni codice articolo, producendo degli alert in caso di problemi e identificando in modo congiunto azioni correttive volte a ridurre l’out of stock del punto vendita. Il progetto – la cui implementazione produce una riduzione consistente dei costi di stock-out e di mantenimento a scorta quantificabili in risparmi del 19% per il produttore, del 2,5% per il retailer e del 12% per la coppia di attori – può essere estremamente utile nella gestione dell’emergenza. Permette infatti di coinvolgere il produttore in fasi tipicamente in capo al retailer, come la gestione delle scorte e il loro monitoraggio, aumentando la visibilità sulla filiera e migliorando la pianificazione e il rifornimento.

 

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[1] Per i risultati completi della Ricerca, “Digitalizzare per (r)esistere” disponibile su www.osservatori.net

Covid-19: l’impatto sull’eCommerce B2c

Il lockdown ha cambiato profondamente le abitudini dei consumatori: gli acquisti online di prodotti alimentari e beni di prima necessità sono cresciuti in modo esponenziale. La reazione dei retailer è stata diversa e condizionata dal comparto merceologico e dalla presenza di un’iniziativa eCommerce. Nella fase di ripresa, una profonda ristrutturazione attende il mondo Retail.

 

Riccardo Mangiaracina, Professore di gestione dei sistemi logistici e produttivi, Responsabile Scientifico Osservatorio eCommerce B2c
Valentina Pontiggia, Direttore Osservatorio eCommerce B2c e Innovazione Digitale nel Retail
School of Management Politecnico di Milano

 

Prima della crisi… l’eCommerce, canale in crescita in Italia e all’estero
Nei mercati più maturi l’eCommerce è diventato un canale di primaria importanza nella generazione dei consumi. Nel 2019 in Cina o in UK, ad esempio, ogni 100 euro spesi dai consumatori, circa 20 sono transitati online. Nei mercati dove l’offerta si è sviluppata con più ritardo, l’online si è comunque appropriato di importanti spazi di crescita del commercio. In Italia, ad esempio, l’eCommerce nel 2019, nonostante abbia rappresentato ancora una piccola parte degli acquisti complessivi (7,3% del totale), ha generato infatti il 65% della crescita Retail complessiva (online + offline) [1] .

Negli ultimi anni, il canale online ha aumentato non solo la dimensione del mercato, ma anche il suo perimetro di azione e di influenza. In prima battuta, l’eCommerce è diventato decisivo nello sviluppo e nella promozione di nuovi modelli di relazione con i consumatori fortemente innovativi che, pur partendo dall’online, si sono propagati a tutto il Retail. Questa trasformazione ha coinvolto l’intera catena del valore: il marketing, dove intelligenza artificiale e realtà aumentata hanno permesso al consumatore di “vivere” il prodotto (sia online sia in store) prima di possederlo; i pagamenti, dove l’utilizzo di biometria, già abbastanza diffuso online, ha acquisito sempre più importanza anche offline; la logistica, dove sono emerse diverse innovazioni sia per migliorare il servizio sia per dare al cliente finale un elevato controllo del processo.
In seconda battuta, il successo dell’eCommerce e la nascita di nuove modalità di acquisto e di interazione hanno cambiato il significato originario del negozio fisico, che non è più l’unica possibilità di accesso fisico al prodotto. In questo processo di trasformazione, i retailer tradizionali hanno attribuito al negozio nuove funzionalità, prevalentemente in ottica relazionale, demandando la fase transazionale all’eCommerce. Tante le sperimentazioni di nuovi format anche sul suolo italiano, in primis su Milano [2].

La rilevanza acquisita dall’eCommerce ha portato con sé anche una maggior attenzione (non sempre in chiave positiva) dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Nuovi obblighi normativi (PSD2 con la cosiddetta Autenticazione Forte del Cliente per autorizzare le transazioni finanziarie online e Web Tax), attenzione ai temi della sostenibilità (non solo economica ma anche ambientale) e la posizione dominante di alcuni grandi colossi, in primis Amazon e Alibaba, sono solo alcuni dei temi più dibattuti.

Durante la crisi… l’eCommerce, strumento per rispondere all’emergenza
Il commercio è uno degli ambiti più impattati dall’emergenza Coronavirus. La reazione dei retailer è stata fortemente condizionata dalla presenza o meno di una propria iniziativa sul canale online.
Molti negozi fisici, soprattutto quelli focalizzati sui beni alimentari e di prima necessità, si sono avvicinati per la prima volta all’eCommerce. La soluzione più immediata è stata l’utilizzo di soggetti terzi già presenti online. Sono diversi i ristoranti che hanno digitalizzato la propria offerta di piatti pronti attraverso piattaforme di food delivery e tanti i supermercati che hanno attivato l’eCommerce mediante alleanze con piattaforme che già da tempo abilitano (dal punto di vista tecnologico e operativo) la spesa online di alcune insegne della grande di distribuzione. Ancora più numerosi i negozi di quartiere che hanno iniziato a lavorare con strumenti digitali meno evoluti dell’eCommerce, ma ugualmente interessanti, come ad esempio i tanti punti vendita di vicinato (negozi di alimentari, farmacie, …) che hanno attivato la presa dell’ordine via whatsapp o per telefono.
Gli attori già presenti online, dall’inizio dell’epidemia, hanno riscontrato un incremento degli ordini riconducibili ai nuovi consumatori, che per la prima volta hanno deciso di utilizzare i loro servizi. In questa emergenza è venuto però alla luce un fatto tanto semplice quanto importante. Nelle iniziative online, soprattutto di prodotti alimentari, le operations hanno dettato con violenza i ritmi e soprattutto hanno imposto i limiti. Fare eCommerce richiede impegno e una macchina operativa perfettamente funzionante ed efficiente: processi ottimizzati di picking e di trasporto, soprattutto quando parliamo di spesa da “supermercato” (che per onor di cronaca è costituita mediamente da 50 pezzi, di basso valore unitario e che richiedono trattamenti speciali come il trasporto a temperatura controllata). Le dipendenze tra mondo fisico e digitale sono emerse anche con altre sfumature: tutti quei retailer multicanale di abbigliamento, beauty, informatica ed elettronica, costretti alla chiusura dei propri negozi, hanno trovato nell’online una preziosa possibilità per mantenere la relazione, in alcuni casi intensificandola, e per creare valore (e non vendite) con i propri consumatori. A questo proposito si citano l’invio di questionari agli utenti per raccogliere opinioni e spunti di miglioramento e l’erogazione di corsi online (di fitness, di cucina,…) correlati ai prodotti commercializzati.
Durante la crisi abbiamo visto, quindi, cadere una dopo l’altra le barriere all’integrazione omnicanale che avevano bloccato per anni lo sviluppo della strategia digitale dei retailer italiani. La gestione dell’emergenza ha convinto anche i più restii al cambiamento, a superare gli scontri interni tra funzioni, a definire chiare responsabilità e a dedicare il giusto commitment per realizzare una nuova idea di commercio, integrato e indipendente dai canali. Via libera dunque agli investimenti per potenziare il canale eCommerce o per favorire modalità di vendita fondate sull’integrazione tra esperienze online e offline, come il click&collect, il drive&collect o l’allestimento degli ordini online in store.

Dopo la crisi… l’eCommerce, elemento imprescindibile per la ripresa del commercio
In questi giorni di emergenza sono tante le domande che ci poniamo sugli effetti e sulle mutazioni che ci attendono nel mondo del commercio. Tra le poche certezze, ci sono a nostro avviso la vicinanza che i canali online e fisico stanno dimostrando con forza in questo momento difficile e il ruolo indispensabile che l’eCommerce svolgerà per la ripresa del commercio e dei consumi.
Mai come durante l’emergenza sanitaria i consumatori italiani hanno compreso il valore di questo canale: l’eCommerce ha consentito a una larga fetta della popolazione di fruire di servizi a valore aggiunto, importanti ed essenziali come la consegna di cibo. Crescita dei web shopper (che a fine 2019 erano pari a poco più di un terzo della popolazione italiana), maggior dimestichezza e fiducia nell’online e nei pagamenti digitali (anche da parte di chi online acquistava già) potranno generare un effetto positivo nello sviluppo dell’eCommerce.
Dall’altra parte, lo sforzo encomiabile messo in campo da diversi attori non verrà vanificato: a crisi finita rimarranno gli investimenti in tecnologia (per gestire picchi di traffico), la presenza di nuovo personale formato e l’ottimizzazione di processi di prelievo e di trasporto per gestire al meglio non solo questa domanda “straordinaria”, ma anche un futuro in cui il digitale sarà sempre più fondamentale.
L’eCommerce sarà sempre più motore di crescita e di innovazione del Retail: quando avremo lasciato alle spalle questa crisi, cercheremo come consumatori una nuova normalità, sicuramente più digitale. Una sfida importante per il nostro Retail!

 

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[1] Fonte: Osservatorio eCommerce B2c – School of Management Politecnico di Milano.
[2] Per i risultati completi della Ricerca, “eCommerce: motore di crescita e innovazione del Retail” disponibile su www.osservatori.net

Dall’e-commerce all’omnicanalità

 

Le esigenze del cliente e le opportunità per le aziende

Manuela Balli, Adjunct Professor presso il MIP, e Giulio Lampugnani, Head of seller services FBA di Amazon, spiegano perché l’integrazione dei canali online e fisici è una strategia vincente.

Non è più tempo di contrasti tra gli store digitali e i negozi fisici. Il futuro dell’e-commerce è omnichannel: un modello virtuoso, se sviluppato nel modo giusto, ma anche di notevole complessità, che nasce come risposta alle abitudini d’acquisto multicanale recentemente mostrate dai clienti. Il dato parla da sé: secondo una ricerca dell’Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano, il 67% della popolazione italiana sopra i 14 anni ha adottato un processo d’acquisto multicanale.

Digital e retail: un’alleanza necessaria

«Oggi, ad esempio, i clienti hanno imparato a ricercare informazioni sui prodotti nei negozi fisici, per poi concludere l’acquisto online, o viceversa: più in generale, i due canali vengono utilizzati in maniera fluida, a seconda delle diverse esigenze» spiega Manuela Balli, Adjunct Professor presso il MIP. «In un simile scenario, la sinergia e la coerenza aziendale diventano fondamentali. L’approccio omnicanale esige un modello cooperativo e collaborativo. All’inizio possono sorgere dei conflitti tra digital e retail, causati magari da dinamiche di prezzo, di comunicazione, di risposta ai diversi stimoli esterni. Ma bisogna trovare una soluzione coerente alla strategia aziendale complessiva. Il vantaggio competitivo delle aziende nasce dalla risposta a questa sfida».
L’obiettivo è costruire un’esperienza d’acquisto impeccabile in ogni suo snodo. Le aziende del lusso forniscono un ottimo esempio: «In questo settore la logica della customer experience viene amplificata. Il consumatore ha delle forti aspettative lungo tutto il processo. Per soddisfarle, è necessario mettere in atto un’analisi del comportamento del consumatore, identificando le logiche dei nuovi percorsi d’acquisto e puntando sul customer relationship management» spiega Balli.

Il modello Amazon

Strategie nuove che si basano su strumenti nuovi, come appunto i canali digitali, ma che in realtà poggiano su un assunto già rodato: la centralità del cliente e la sua soddisfazione. Un esempio di successo è senza dubbio Amazon. Secondo Balli, infatti, «Amazon è un esempio di business capovolto. Parte dal mondo digitale e decide di sviluppare dei punti di vendita fisici, orientandosi verso una presenza omnicanale». Un approccio confermato anche da Giulio Lampugnani, che per Amazon è Head of seller services FBA. «Per capire come mai la nostra azienda ha intrapreso la strada dei negozi fisici, è importante capire quali sono i tre criteri che hanno guidato la nostra azienda fin dalla nascita: il primo prevede di offrire al cliente la maggiore selezione di prodotti possibile. Il secondo, di proporre il prezzo più basso possibile. Il terzo, infine, di garantire il servizio più comodo possibile».
È da quest’ultimo punto che è nata la decisione di Amazon di tentare la strada dei negozi fisici. «Ci siamo accorti che per i clienti era meglio avere anche la possibilità di acquistare alcuni prodotti dal vivo» racconta Lampugnani. «Siamo partiti da Amazon Books e Amazon Go, due catene in cui abbiamo cercato di replicare alcuni dei nostri meccanismi online più distintivi. Nei bookstore, ad esempio, abbiamo affiancato a ogni libro un display con le recensioni degli utenti, uno degli elementi di maggior disruption introdotti da Amazon. Nei punti vendita di Amazon Go, invece, abbiamo voluto replicare la semplicità dell’acquisto online: niente casse, niente code. Si conclude l’acquisto come con un click».

Più digitale, più Made in Italy

Ma, secondo Lampugnani, Amazon fa anche da volano per le aziende che vorrebbero inaugurare una strategia omnicanale all’estero. «Amazon è una vetrina internazionale che può essere sfruttata come canale di sviluppo per far conoscere il brand e condurre così verso una seconda fase in cui si può pensare all’apertura di un canale fisico». Una grande opportunità per le aziende italiane, nonché uno dei motivi che hanno spinto Lampugnani a partecipare in veste di speaker guest al corso Sviluppare fatturato e-commerce attraverso l’omnichannel marketing, che si terrà presso il MIP il 29 ottobre 2019, con la docenza di Manuela Balli. «Teniamo alla crescita delle aziende italiane. Il livello di penetrazione dell’e-commerce nel settore retail italiano è ancora intorno al 7%, mentre nel Regno Unito arriva già al 19%. Una volta colmato questo gap, l’Italia potrà valorizzare un prodotto molto più forte, ovvero il Made in Italy», conclude Lampugnani.