Marketing sul metaverso: turbolenze, sperimentazioni e potenzialità di crescita

Il Metaverse Marketing Lab della School of Management del Politecnico di Milano analizza oltre 330 casi di utilizzo con finalità di marketing di metaverso e web 3D e li presenta in un workshop con oltre 100 imprese insieme ai risultati di esperimenti di neuroscienze applicate: i visori di realtà virtuale aumentano l’immersività, e in queste prime fasi la curiosità verso la tecnologia aggiunge ingaggio alle iniziative di marketing.

 

Il 23 novembre si è tenuto al Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano il secondo workshop del Metaverse Marketing Lab, l’iniziativa che la School of Management del Politecnico di Milano ha lanciato a giugno per creare un forum di discussione tra imprese, filiera della comunicazione e abilitatori tecnologici in merito alle opportunità e le sfide delle tecnologie connesse al metaverso nelle attività di marketing, con un occhio di riguardo allo studio dell’esperienza dell’utente e delle sue emozioni.

In questo secondo workshop si sono condivisi dati di scenario circa la penetrazione del cosiddetto metaverso: nel corso del 2022 si sono registrate operazioni di investimento da parte di venture capitalist, fondi di private equity ed M&A a livello globale su attività legate al metaverso per oltre 120 miliardi di dollari, sostanzialmente il doppio di quanto si fosse verificato nel 2021, che si aggiungono agli investimenti delle big tech, come ad esempio i 10 miliardi di dollari annui investiti da Meta nella sua divisione Reality Labs, e agli investimenti dei governi nazionali in queste tecnologie. A livello di utilizzo, le tecnologie di realtà aumentata già oggi raggiungono oltre 800 milioni di utenti attivi a livello mondiale, mentre si stimano in circa 500 milioni gli utenti attivi nelle piattaforme immersive di gaming (es. Roblox o Fortnite) o di vita virtuale (es. The Sandbox, Decentraland, Horizon, Zepeto, ecc.). Le turbolenze di mercato, legate in parte alla speculazione finanziaria su criptovalute ed NFT e in parte ad altalene emotive tra gli investitori in merito al futuro del metaverso, hanno portato a un calo di oltre l’80% della capitalizzazione delle principali criptovalute connesse a piattaforme del metaverso (MANA e SAND in primis), ma resta la rilevanza di business attuale e prospettica del fenomeno delle piattaforme immersive: le piattaforme di social gaming hanno più del 50% degli utenti sotto i 25 anni, un combinato di GenZ e Generazione Alpha che è sempre più difficile intercettare nei canali web 2D e nei mass media.

A livello di utilizzo per finalità di marketing, sono stati mappati oltre 330 casi nazionali e internazionali, analizzandone prerogative, finalità e contenuti. Nonostante siano stati identificati oltre 40 mondi virtuali attualmente funzionanti, l’85% dei casi si rifà alle due principali piattaforme di social gaming (Roblox e Fortnite) e alle due principali piattaforme attualmente attive (TheSandbox e Decentraland), in attesa del dispiegamento completo delle piattaforme Horizon di Meta. La principale attività tracciata è quella dell’offerta di prodotti virtuali, skin ed NFT, comune a circa il 75% dei casi; non a caso, il mercato di questo tipo di prodotti nel corso del 2021 faceva registrare un fatturato globale di circa 54 miliardi di dollari. A testimonianza della centralità dei contenuti nella proposizione delle esperienze sul metaverso, il 49% dei casi mappati si rifà al mondo dell’entertainment e dei media, con la moda e il lusso a inseguire con il 22% dei casi e l’arte e i musei con il 6%. Ma sono presenti casi anche in ambito automotive, banking, food & beverage, retail, cosmesi, turismo e sport, tra gli altri.

Oltre alle iniziative incentrate sulla proposizione di skin e prodotti virtuali, oltre il 22% dei casi si è incentrata sull’offerta di giochi aventi per protagonista la marca, come nel caso di Lavazza Arena, un gioco volto a sensibilizzare sul tema della sostenibilità della filiera del caffè. Al momento, le iniziative sviluppate hanno un connotato fortemente specifico sul canale del metaverso, mentre sono in fase più embrionale le ibridazioni tra mondo fisico e virtuale, con alcuni esempi interessanti di riproposizione sul metaverso di copie virtuali dei propri flagship store (come nel caso di Samsung), di estensione di eventi fisici con contenuti aggiuntivi sul metaverso (come nel caso dell’Australian Open di tennis) o di lancio di negozi virtuali per acquistare prodotti fisici, o per prenotare visite in negozi reali.
I risultati presentati in questo workshop evidenziano come l’esplorazione delle potenzialità del metaverso sia ormai ampiamente avviata in vari settori, e con modalità e logiche diversificate. Come spesso accade a fronte di queste discontinuità tecnologiche, le iniziative tendono a nascere canale-su-canale, ma si iniziano a intravvedere delle soluzioni che mirano a integrare la presenza sul metaverso con la strategia omnicanale dell’impresa” spiega Lucio Lamberti, Ordinario di Marketing Omnicanale alla School of Management del Politecnico di Milano e Responsabile Scientifico del Metaverse Marketing Lab.

Il workshop ha quindi ospitato una tavola rotonda moderata da Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico, tra i rappresentanti di UPA, UNA, Plenitude, Banca Mediolanum e PWC TLS in merito agli sviluppi e agli impatti dell’utilizzo del metaverso nelle attività di marketing per le imprese di marca e per la filiera della comunicazione. “L’innovazione è nel DNA di Plenitude, Società Benefit di Eni, e ciò si esprime anche nello sperimentare continuamente nuove modalità per dare valore alla relazione con i clienti. Il Metaverso è un’opportunità da esplorare ed è importante farlo con un partner solido, affidabile e d’eccellenza come il Politecnico di Milano”, ha dichiarato Mauro Stella, Responsabile Customer Base Lifetime Value di Plenitude.
Proseguono Claudio Valz e Andrea Lensi, Partner PwC TLS Avvocati e Commercialisti: “Lo spazio competitivo chiamato ‘Metaverso’ richiede alle nostre imprese la definizione di nuove modalità operative e di competizione al fine di indirizzare le opportunità e le possibili minacce in un contesto ancora fluido da un punto di vista normativo e regolamentare, e non solo. In tali contesti ‘liquidi’ e ad alto potenziale, la capacità di interpretare e gestire in modo tempestivo e concreto i rischi legali e fiscali rappresenta un acceleratore per lo sviluppo delle imprese che operano in questo ambiente, e che hanno bisogno di una collaborazione tra competenze legali, fiscali, tecnologiche e di business“.

Il workshop ha infine analizzato alcune evidenze sviluppate dal laboratorio PhEEL del Politecnico di Milano in merito alle emozioni provate dagli utenti durante le esperienze immersive. In particolare, i risultati hanno evidenziato come l’immersività sia un elemento in grado di massimizzare l’attenzione e l’apprendimento dell’utente, generando un ingaggio elevatissimo e una forte ritenzione dei messaggi, se l’esperienza è opportunamente progettata. I dispositivi di accesso alla realtà virtuale, come i visori, mostrano una capacità di potenziare l’effetto immersivo rispetto all’accesso da desktop, e gli sperimentatori tendono in questo momento ad essere colpiti dall’innovatività delle soluzioni anche a prescindere dalla valutazione di merito sulle esperienze vissute. Un comportamento tipico dell’adozione di nuove tecnologie, che promette, non appena si proporranno contenuti ed esperienze ingaggianti su base continuativa e pervasiva, di tramutarsi in un forte incentivo alla prova da parte dei consumatori.
Le neuroscienze applicate allo studio del comportamento del consumatore offrono chiavi interpretative nuove e originali nella lettura dei fenomeni connessi al metaverso. Il possibile maggior ingaggio di chi sperimenta queste esperienze dimostra un enorme potenziale nelle iniziative di branding, così come l’immersività genera condizioni di forte propensione all’acquisto, anche d’impulso. Queste caratteristiche, oltre che per finalità di comunicazione e marketing, potranno diventare, a tendere, importanti alleate per imprese e istituzioni nei processi di formazione e nel favorire la creatività e la collaborazione tra i partecipanti” conclude Lucio Lamberti.

Il Metaverse Marketing Lab è un progetto di ricerca sviluppato dalla School of Management del Politecnico di Milano e vede la partecipazione come partner di UPA, UNA, PWC TLS, Banca Mediolanum, ENI e Il Salotto di Milano, e come sponsor di Covisian.

 

 

Nasce il Metaverse Marketing Lab

Il laboratorio promosso dalla School of Management per far provare alle aziende le mille opportunità dei mondi virtuali.

 

Al Politecnico di Milano nasce il Metaverse Marketing Lab, un’iniziativa della School of Management, in collaborazione con UPA e UNA (le associazioni che rappresentano inserzionisti e agenzie pubblicitarie), che intende far conoscere il mondo del Metaverso: un sistema di tecnologie che abilita esperienze di realtà virtuale, aumentata e mista consentendo una sorta di estensione del mondo fisico in universi virtuali e semi-virtuali, con proprie logiche di funzionamento e comunicazione.

L’obiettivo è non solo far conoscere lo stato dell’arte, ma anche tracciare le evoluzioni di un mercato tanto dinamico quanto fluido, diffondere le buone pratiche e analizzare il comportamento del consumatore nella relazione con le esperienze di realtà immersiva, virtuale e aumentata.

Un mercato che secondo gli analisti raggiungerà tra due anni gli 800 miliardi di dollari, con un potenziale di crescita da capogiro: alcune stime parlano di 13 trilioni di dollari entro il 2030, con 5 miliardi di utenti. Al momento si stima siano 350 milioni, +900% nell’ultimo anno, con un’età media di 27 anni, suddivisi su 43 piattaforme.

Sono già molti i brand importanti che hanno deciso di sbarcare nel Metaverso e costruirvi una presenza attrattiva per i consumatori, che grazie a tecnologie sempre più sofisticate vivono esperienze al limite del reale provando e acquistando i prodotti attraverso i loro avatar.

L’obiettivo è comprendere se e in che modo questa ‘ebbrezza da Metaverso’ rappresenti un trend o un’onda. Per questo, oltre a studiare le iniziative dei brand a livello nazionale e confrontarle con le esperienze globali, il Lab si concentrerà sulla prospettiva dell’utente, analizzandone il comportamento e misurandone in maniera oggettiva il coinvolgimento emotivo, commenta Lucio Lamberti, Ordinario di Omnichannel Marketing Management e Responsabile scientifico del Metaverse Marketing Lab.

Durante l’evento di presentazione, una demo realizzata con la collaborazione de Il Salotto di Milano e la tecnologia di SimCoVR ha permesso ai presenti, grazie a un casco per la realtà virtuale, di vivere l’esperienza estremamente realistica di trovarsi sul ponte di una nave da crociera in navigazione, riproducendo esperienze d’acquisito.

Il web 3.0 introduce molte nuove possibilità: dal product placement negli ambienti virtuali alla gestione diretta di spazi da parte della marca, dalla proposta di esperienze immersive all’acquisto in realtà aumentata, fino a una totale rivoluzione dei modelli di offerta (arte digitale dinamica, arredamento e decorazioni digitali, turismo virtuale).

La sfida è duplice: da un lato, mantenere alto il livello di ingaggio con iniziative avvolgenti e coinvolgenti; dall’altro, integrare nelle strategie omnicanale la presenza sul Metaverso, fino a farlo diventare un vero e proprio canale di marketing e vendita, innovando l’esperienza di acquisto, spiega Manuela Balli, Direttrice del Metaverse Marketing Lab.

 

Festival dell’Ingegneria

Dal 10 al 12 settembre 2021 il Politecnico di Milano presenta la Prima Edizione del Festival dell’Ingegneria.

 

Tre giorni di incontri, lezioni, laboratori aperti e spettacoli in cui i visitatori potranno vivere un’esperienza immersiva nel mondo dell’Ingegneria, guidati da docenti, dottorandi e ricercatori che condivideranno con grandi e piccoli la loro vita nei laboratori del Politecnico di Milano, i traguardi già raggiunti nel campo della ricerca e le sfide ancora da vincere, con uno sguardo puntato sempre verso il futuro delle tecnologie.

Gli eventi si svolgeranno presso i campus di Milano Bovisa: La Masa, Lambruschini e Durando.
Tutti gli eventi sono ad ingresso libero, su prenotazione e a posti limitati nel rispetto delle norme COVID.

Anche il Dipartimento di Ingegneria Gestionale della School of Management parteciperà a “POLIMIopenLABS“, con l’apertura dei propri laboratori:

Industry 4.0 Lab
https://www.eventi.polimi.it/events/polimiopenlabs-industry-4-0-lab-11-09/

Pheel – Physiology. Emotion. Experience.
https://www.eventi.polimi.it/events/polimiopenlabs-pheel-physiology-emotion-experience-lab-11-09/

Nella categoria “VISIONI POLITECNICHEsabato 11 settembre alle ore 11.30 il prof. Giuliano Noci, terrà una lezione dal titolo “Cina-USA: perché la paura non innescherà la trappola di Tucidide“.
Per informazioni e iscrizioni alla lezione:
https://www.eventi.polimi.it/events/visioni-politecniche-cina-usa-perche-la-paura-non-inneschera-la-trappola-di-tucidide/

 

Per maggiori informazioni sulla manifestazione:
https://www.eventi.polimi.it/rassegna-evento/festival-dellingegneria-prima-edizione/

L’industria a supporto dell’insegnamento: la collaborazione tra Chateau d’Ax e la School of Management del Politecnico di Milano

Chateau d’Ax e la School of Management del Politecnico di Milano hanno realizzato un project work nel quale gli studenti hanno risposto con progetti e strategie ad una challenge reale proposta dalla storica azienda nel settore dell’arredamento. L’azienda ha selezionato i tre migliori progetti tra i 258 realizzati.

 

La collaborazione tra università e aziende è di importanza strategica sia per l’occupabilità dei futuri laureati, sia per le aziende che sempre più si rivolgono agli atenei per ottenere analisi e proposte di tipo strategico e innovativo. La challenge organizzata ogni anno all’interno del corso di Laurea Magistrale di Strategy & Marketing di Ingegneria Gestionale è un esempio concreto che permette ai laureandi di confrontare le competenze maturate durante il percorso di studi con le attività delle imprese: una sfida lanciata dall’azienda a cui gli studenti devono rispondere progettando soluzioni innovative  utilizzando a supporto gli elementi teorici appresi durante il corso.

Per quest’anno accademico, la School of Management ha scelto di collaborare con Chateau DAx. “Abbiamo deciso di coinvolgere Chateau dAx e il settore dellarredamento – spiega Francesca Capella, project manager del progetto e research fellow del Politecnicoperché si tratta di uno dei settori ai quali la pandemia ha richiesto maggiormente di reinventarsi, di definire nuove strategie di posizionamento e un nuovo approccio al mercato per rimanere competitivi nonostante il momento di difficoltà.”

Sono più di 250 i project work sviluppati dagli studenti per Chateau D’Ax che hanno preso in considerazione gli ambiti di maggior interesse per lo sviluppo dell’azienda all’interno di un mercato complesso e in rapido mutamento: materie prime e sostenibilità, economia circolare, innovazione di prodotto, esposizione del prodotto e, infine, comunicazione.

Abbiamo aderito volentieri alla proposta del Politecnico di Milano perché crediamo molto nella collaborazione tra industria e università e che il suo sviluppo possa contribuire concretamente a formare una classe dirigente migliore e più preparata. – racconta Alessandro Colombo, direttore generale di Chateau d’Ax – Abbiamo condiviso con gli studenti gli ambiti nei quali si sviluppa la nostra strategia e abbiamo lasciato liberi i ragazzi di sviluppare le loro visioni”.

“Abbiamo selezionato 10 progetti su un totale di 258 – prosegue Capella – in base all’innovatività dell’idea, alla struttura della proposta sviluppata e alla capacità di utilizzare tool e costrutti teorici applicati ad una challenge di business reale. I progetti sono stati presentati dagli studenti stessi al management di Chateau d’Ax che li ha commentati ad uno ad uno dando agli studenti preziosi consigli di esperienza di vita aziendale”.

Continua Alessandro Colombo: “Da questi 10 progetti abbiamo selezionato i 3 migliori per l’articolazione della struttura, la comprensione delle opportunità derivanti dall’attuale scenario economico, ad esempio il Recovery Fund, e gli economics analizzati. Infine, la nostra valutazione si è basata anche sulla presentazione dei progetti in video call e sull’approccio più o meno spigliato che hanno manifestato gli studenti.”

Questo incontro ravvicinato tra Chateau d’Ax e la School of Management  è importante sia per l’azienda, perché permette di incontrare i futuri manager con uno strumento di employer branding efficace, sia per gli studenti, perché hanno l’opportunità di confrontarsi con una realtà aziendale in continua evoluzione.

Per i futuri laureati che hanno presentato i 10 progetti più in linea con la strategia aziendale, Chateau d’Ax offrirà dei percorsi di “training&job” per accompagnare gli studenti verso l’acquisizione di conoscenze e lo sviluppo di capacità personali funzionali per l’avvio di una carriera professionale in diversi ambiti aziendali.

 

Dall’e-commerce all’omnicanalità

 

Le esigenze del cliente e le opportunità per le aziende

Manuela Balli, Adjunct Professor presso il MIP, e Giulio Lampugnani, Head of seller services FBA di Amazon, spiegano perché l’integrazione dei canali online e fisici è una strategia vincente.

Non è più tempo di contrasti tra gli store digitali e i negozi fisici. Il futuro dell’e-commerce è omnichannel: un modello virtuoso, se sviluppato nel modo giusto, ma anche di notevole complessità, che nasce come risposta alle abitudini d’acquisto multicanale recentemente mostrate dai clienti. Il dato parla da sé: secondo una ricerca dell’Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano, il 67% della popolazione italiana sopra i 14 anni ha adottato un processo d’acquisto multicanale.

Digital e retail: un’alleanza necessaria

«Oggi, ad esempio, i clienti hanno imparato a ricercare informazioni sui prodotti nei negozi fisici, per poi concludere l’acquisto online, o viceversa: più in generale, i due canali vengono utilizzati in maniera fluida, a seconda delle diverse esigenze» spiega Manuela Balli, Adjunct Professor presso il MIP. «In un simile scenario, la sinergia e la coerenza aziendale diventano fondamentali. L’approccio omnicanale esige un modello cooperativo e collaborativo. All’inizio possono sorgere dei conflitti tra digital e retail, causati magari da dinamiche di prezzo, di comunicazione, di risposta ai diversi stimoli esterni. Ma bisogna trovare una soluzione coerente alla strategia aziendale complessiva. Il vantaggio competitivo delle aziende nasce dalla risposta a questa sfida».
L’obiettivo è costruire un’esperienza d’acquisto impeccabile in ogni suo snodo. Le aziende del lusso forniscono un ottimo esempio: «In questo settore la logica della customer experience viene amplificata. Il consumatore ha delle forti aspettative lungo tutto il processo. Per soddisfarle, è necessario mettere in atto un’analisi del comportamento del consumatore, identificando le logiche dei nuovi percorsi d’acquisto e puntando sul customer relationship management» spiega Balli.

Il modello Amazon

Strategie nuove che si basano su strumenti nuovi, come appunto i canali digitali, ma che in realtà poggiano su un assunto già rodato: la centralità del cliente e la sua soddisfazione. Un esempio di successo è senza dubbio Amazon. Secondo Balli, infatti, «Amazon è un esempio di business capovolto. Parte dal mondo digitale e decide di sviluppare dei punti di vendita fisici, orientandosi verso una presenza omnicanale». Un approccio confermato anche da Giulio Lampugnani, che per Amazon è Head of seller services FBA. «Per capire come mai la nostra azienda ha intrapreso la strada dei negozi fisici, è importante capire quali sono i tre criteri che hanno guidato la nostra azienda fin dalla nascita: il primo prevede di offrire al cliente la maggiore selezione di prodotti possibile. Il secondo, di proporre il prezzo più basso possibile. Il terzo, infine, di garantire il servizio più comodo possibile».
È da quest’ultimo punto che è nata la decisione di Amazon di tentare la strada dei negozi fisici. «Ci siamo accorti che per i clienti era meglio avere anche la possibilità di acquistare alcuni prodotti dal vivo» racconta Lampugnani. «Siamo partiti da Amazon Books e Amazon Go, due catene in cui abbiamo cercato di replicare alcuni dei nostri meccanismi online più distintivi. Nei bookstore, ad esempio, abbiamo affiancato a ogni libro un display con le recensioni degli utenti, uno degli elementi di maggior disruption introdotti da Amazon. Nei punti vendita di Amazon Go, invece, abbiamo voluto replicare la semplicità dell’acquisto online: niente casse, niente code. Si conclude l’acquisto come con un click».

Più digitale, più Made in Italy

Ma, secondo Lampugnani, Amazon fa anche da volano per le aziende che vorrebbero inaugurare una strategia omnicanale all’estero. «Amazon è una vetrina internazionale che può essere sfruttata come canale di sviluppo per far conoscere il brand e condurre così verso una seconda fase in cui si può pensare all’apertura di un canale fisico». Una grande opportunità per le aziende italiane, nonché uno dei motivi che hanno spinto Lampugnani a partecipare in veste di speaker guest al corso Sviluppare fatturato e-commerce attraverso l’omnichannel marketing, che si terrà presso il MIP il 29 ottobre 2019, con la docenza di Manuela Balli. «Teniamo alla crescita delle aziende italiane. Il livello di penetrazione dell’e-commerce nel settore retail italiano è ancora intorno al 7%, mentre nel Regno Unito arriva già al 19%. Una volta colmato questo gap, l’Italia potrà valorizzare un prodotto molto più forte, ovvero il Made in Italy», conclude Lampugnani.

Le tre “i” dell’eccellenza: identità, idee, innovazione

La capacità di innovare senza perdere di vista la tradizione, unita alle migliori espressioni del design e dell’industria. Sono gli elementi cruciali che caratterizzano l’eccellenza del business italiano nel mondo, come è emerso dal modulo Italian Way, che si è svolto a maggio e fa parte dell’International Master in Marketing Management, Omnichannel and Consumer Analytics della School of Management del Politecnico di Milano. Tante le aziende che sono intervenute, portando agli iscritti la propria esperienza, declinata in ambiti diversi, ma che in realtà presentano sfide globali sorprendentemente simili.

 
Crescere senza smarrire l’identità

Una delle sfide comuni a tutte le esperienze illustrate durante il modulo Italian way è la necessità di crescere, senza però snaturarsi.

«In Alessi (nota azienda piemontese produttrice di oggetti di design, ndr) abbiamo intrapreso un percorso di internazionalizzazione che mira all’espansione nel mercato statunitense e in quello asiatico», spiega l’amministratore delegato Marco Pozzo. «Vogliamo crescere, ma anche in questo processo la nostra priorità è conservare il DNA italiano. L’adattamento alle necessità espresse dalle diverse aree geografiche non significa dover snaturare la marca, anzi. Vogliamo che Alessi conservi la propria identità, abbracciando approcci alla tavola diversi come quelli orientali, ma anche democratizzando l’approccio ai prodotti di design. Negli Stati Uniti, ad esempio, ci sono diversi nostri oggetti che fanno parte della collezione permanente del MoMA di New York. Ma vogliamo che gli oggetti di design diventino parte integrante della vita quotidiana di tutti».

 

Il coraggio di rischiare

Dalla tavola alla strada, il passaggio è più breve di quanto si pensi. Nelle sale del MoMA di New York, infatti, troviamo anche la Vespa.

«La nostra filosofia è chiara: mantenere una forte coerenza con il passato, ma puntando sempre all’innovazione sia tecnologica sia di design», racconta Davide Zanolini, Executive vice president marketing and communication di Piaggio. «Quello che ci caratterizza nel mondo è il coraggio di rischiare qualcosa in più rispetto a tutti gli altri. Siamo stati i primi a presentare uno scooter a tre ruote, i primi a sperimentare sull’ibrido. In questo riconosciamo la nostra italianità, oltre che in una fortissima vocazione ingegneristico-tecnologica che si presenta al pubblico con elementi di design iconici».

 

Lo spirito di squadra

Innovazione, tecnologia e design sono anche tre delle caratteristiche su cui punta Ferrari per consolidare la propria brand identity nel mondo.

«Siamo orgogliosi di rappresentare un’eccellenza italiana», ha spiegato Dennis de Munck, head of employer branding. «Soprattutto, vogliamo puntare sullo spirito di squadra. Così come Ferrari è la scuderia per cui tifano tutti gli italiani e milioni di persone in tutto il mondo, allo stesso modo vogliamo che chiunque lavori con noi si senta parte di un grande team, il cui obiettivo è rispondere alle sfide con la forza delle idee e dell’innovazione. L’eccellenza è quello che ci distingue, in pista e fuori, e continuerà a farlo. Per questo siamo sempre alla ricerca dei migliori talenti».

 

Accogliere la diversità

L’apertura al mondo e alla diversità è dunque un’altra caratteristica su cui le aziende italiane puntano molto. «Per essere internazionali cerchiamo di aprirci a diverse culture», sottolinea Laura Salviati, training and communication manager di Artemide, azienda leader nel settore dell’illuminazione.

«Nel mondo, l’approccio alla luce varia molto da un Paese all’altro. Nella produzione industriale, però, non possiamo che riconoscere l’eccellenza italiana. All’estero è molto più difficile trovare industrie capaci di seguirci nei processi produttivi. In Italia abbiamo a disposizione un saper fare che riesce a mettere insieme artigianalità e industria. Non siamo interessati a produrre al minor costo possibile, ma alla qualità».

 

Gusto locale, eccellenza globale

Se Artemide valorizza il know how territoriale, c’è chi invece punta su altre risorse e su tutt’altro tipo di materie prime, stavolta nell’ambito del food. È quello che fa Tancredi Alemagna, fondatore e amministratore delegato di T’a Milano:

«Prendiamo il miglior cioccolato sul mercato e lo abbiniamo alla mandorla d’Avola, al limone di Sorrento, al pistacchio di Sicilia. Puntiamo, quando è possibile, sulle eccellenze alimentari del nostro Paese, proponendo un vero e proprio italian journey del gusto. Dalla tavoletta di cioccolato al packaging, tutto deve ricondurre ai nostri valori: italianità, qualità e design».

 

Fluida, integrata e mista: ecco l’editoria del futuro

Il New York Times ha recentemente annunciato di aver totalizzato nel 2018 ricavi per 700 milioni di euro solo dal digitale. Per contro, a livello globale il fatturato dell’industria dell’informazione è in calo e in molti Paesi, Italia compresa, le testate giornalistiche faticano a interpretare il contesto comunicativo attuale in modo economicamente sostenibile. Come si sta trasformando il mercato dell’informazione?

«Questa situazione non mi sorprende e ha radici molto profonde – afferma Giuliano Noci, docente di Strategia & Marketing presso la School of Management del Politecnico di Milano e Prorettore del Polo territoriale cinese del medesimo ateneo –. In passato qualcuno si aspettava che l’advertising da solo potesse sostenere un’attività di business online, previsione che si è rivelata una chimera. Inoltre, vent’anni fa molti editori hanno reagito all’arrivo del digitale tagliando i costi e abbassando di conseguenza la qualità. Si è rivelato un errore, perché le news oggi sono diventate delle commodity: la notizia non ha più un valore in sé, la può dare chiunque. Bisognava e bisogna saper offrire profondità di analisi, capacità di leggere i fenomeni nel medio e lungo periodo. Gli americani hanno lavorato proprio in questa direzione, rafforzando sempre più la componente di interpretazione rispetto alla pura e semplice notizia di attualità, e facendo leva sulla reputazione derivante dal prestigio dei loro marchi».

Il web non ha portato a un abbassamento della qualità, piuttosto a una polarizzazione fra chi bada solo al prezzo e quindi cerca contenuti gratuiti e chi invece cerca la qualità ed è disposto a pagarla. «C’è poi anche una questione organizzativa, su cui l’Italia è particolarmente in ritardo – prosegue Noci –. Fare informazione oggi non significa solo produrre dei testi ma lavorare in una prospettiva multimediale, il che implica newsroom centralizzate in luogo delle redazioni giornalistiche separate dalle aree web».

Alla base del successo di alcuni modelli editoriali c’è quindi anche un ripensamento del rapporto fra il mezzo digitale e il giornalismo “tradizionale” in un’ottica di maggiore integrazione delle due componenti.
Inoltre si assiste al rovesciamento di alcuni flussi di lavoro, con le notizie che vengono costruite direttamente per i canali digitali e le versioni cartacee dei giornali che fungono da raccolta o “best of” di contenuti apparsi in digitale anche diversi giorni prima.

Non stupisce, dunque, che alcune testate iconiche del giornalismo mondiale vengano rilevate e rilanciate da grandi imprenditori del web. Recentemente Marc Benioff, fondatore e Ceo di Salesforce, e sua moglie hanno annunciato l’acquisto del celebre settimanale Time. E dietro la rinascita del Washington Post c’è Jeff Bezos, che nel 2013 lo raccolse, pieno di debiti, dalle mani della famiglia Graham. A chi gli ha chiesto il perché di quell’acquisto, Bezos ha risposto che Internet ha distrutto la maggior parte dei vantaggi che i quotidiani avevano costruito nel tempo, ma ha offerto loro un regalo: la distribuzione globale gratuita. Per trarre beneficio da quel regalo, Bezos ha implementato un nuovo modello di business basato non più su un alto ricavo per lettore ma sull’acquisizione di un maggior numero di lettori.

Ma l’informazione in lingua inglese oggi trae vantaggio anche dalla numerosità dell’audience e da una sua diversa predisposizione culturale? «No – risponde Giuliano Noci –. Se i media italiani tenevano vent’anni fa, non c’è motivo per cui non possano farlo anche nel contesto attuale, in cui anzi, a saperle cogliere, ci sono prospettive di maggiore crescita. La mia esperienza nell’omnicanalità mi fa dire che la presunta immaturità dei consumatori è in realtà un’inadeguatezza dell’offerta, che poi alla lunga finisce per influenzare negativamente anche la domanda. Se in Italia e in Europa molti editori sono in difficoltà è perché non si sono adeguati ai cambiamenti della società e non offrono qualcosa che viene percepito come valore».

Il digitale è in crescita ma, secondo dati R&S Mediobanca, il 91,6% del giro d’affari mondiale proviene ancora dalla carta stampata. Inoltre, editori interamente digitali come Buzzfeed annunciano tagli, mentre molti nuovi progetti editoriali nascono in forma mista carta-digitale.
L’editoria cartacea è allora destinata a sparire progressivamente o conserverà un suo ruolo? Risponde ancora il Professor Giuliano Noci: «Oggi prevale il modello misto, perché le persone prediligono una fruizione mista. Sbagliano sia gli integralisti del digitale sia quelli della carta. Tutti i più recenti studi ci dicono che i comportamenti di consumo vanno segmentati non sulla base degli individui ma del contesto di vita in cui gli individui sono calati. Così, non c’è chi preferisce in assoluto essere informato via radio, via tv, via web o leggendo un giornale, ma chiunque, in base al momento della giornata e della situazione in cui si trova, fruisce dell’uno o dell’altro mezzo. Si tratta di comportamenti molto fluidi che possono essere intercettati solo da un’offerta altrettanto fluida».