City School Milano: il percorso di alta formazione promosso da Fondazione Gianfranco Dioguardi e MIP, con il Comune di Milano e Città Metropolitana di Milano

Il percorso di alta formazione City School Milano per la governance e il management della Pubblica Amministrazione di Milano e della Città Metropolitana, dopo l’inaugurazione avvenuta Sabato 6 novembre 2021 presso la prestigiosa sede di Palazzo Reale Comune di Milano, prosegue presso il MIP Politecnico di Milano con le lezioni laboratorio rivolte a venti fra direttori, dirigenti manager e assessori.

Il percorso si colloca nell’ambito della SUM City School Nazionale, School of Urban Management e Governance ideato e presieduto da Gianfranco Dioguardi e istituita d’intesa con ANCI Nazionale e consorzio di Università tra cui Università di Bari, MIP Politecnico di Milano e Ca’ Foscari, per fornire e potenziare professionalità di governo e gestione delle città, alla luce delle nuove sfide da partire dalla gestione ottimale del PNRR.

Il percorso di Alta Formazione City School Milano è stato promosso da Fondazione Gianfranco Dioguardi e MIP Business School Politecnico di Milano, d’intesa con il Comune di Milano e Città Metropolitana di Milano.

La Presidente del Consiglio del Comune di Milano, Elena Buscemi sottolinea: “è strategica la formazione manageriale per figure di vertice per la nostra struttura che guideranno politiche di sostenibilità, temi che per loro natura vanno oltre i confini amministrativi dei singoli Enti”.

Alessia Cappello Assessora allo Sviluppo Economico e Politiche del Lavoro sottolinea: “è un’occasione importante di formazione manageriale. È nostra intenzione continuare ad investire nella formazione delle persone, per mantenere elevati standard di professionalità che ogni giorno ci consentono di realizzare servizi efficaci per i cittadini e sviluppare progettualità coerenti con una visione di città sostenibile, inclusiva e partecipata”.

“City School Milano – ha affermato Gianfranco Dioguardi ideatore del modello City School – rappresenta una tappa significativa nel percorso già avviato con le esperienze di Bari, Brindisi e Venezia. Un approccio da business school, con programmi universitari di eccellenza, per prepare figure di governo e gestione capaci di affrontare le nuove strategie di governo urbano e affrontare al meglio le complessità emergenti, dovute anche alla crisi post pandemia”.

Per il MIP Politecnico di Milano, Deborah Agostino sottolinea: “Gran parte delle missioni del PNRR si basano sulla capacità di proposta e attuazione delle città; tuttavia, il settore pubblico e in particolare quello locale hanno subito in questo ultimo decennio gli effetti della crisi economica, con una riduzione del personale e la rarefazione degli interventi di aggiornamento.

Cristina Melchiorri, di Fondazione Dioguardi Lombardia

“La Governance politico istituzionale delle città deve esprimere lucidità di analisi dei cambiamenti sociali economici culturali e ambientali in atto. Avere una visione strategica. Saper ideare soluzioni complesse, attuabili rapidamente. Avere un metodo per realizzarle. E necessita quindi di una formazione specifica a svolgere pienamente tale ruolo”.

Francesco Maggiore, Presidente Fondazione Dioguardi

”Il modello City School promosso dalla Fondazione Dioguardi si sta diffondendo in Italia: a Bari il master è alla terza edizione e a Venezia e Brindisi sono in fase di lancio due nuovi percorsi formativi, dedicati alla governance delle città portuali. Con ANCI abbiamo formalizzato e dato vita nel luglio scorso a una City School nazionale. A Milano, il corso di Alta Formazione progettato con il MIP e rivolto ai vertici di Comune di Milano e Città Metropolitana rappresenta un programma di eccellenza, che dà prestigio internazionale al nostro Paese”.

“Questo percorso – aggiungono i co-coordinatori del MIP Politecnico di Milano Simonetta Armondi e Giancarlo Vecchi – vuole avviare un’inversione di tendenza e porre il tema delle trasformazioni urbane al centro della riflessione. In particolare, per sottolineare la rilevanza delle capacità tecniche e amministrative come supporto ai necessari processi di innovazione richiamati da tematiche quali la transizione ecologica, la transizione digitale, le problematiche sanitarie e sociali”.

Resilienza digitale del Paese: il ruolo chiave della PA

La digitalizzazione è considerata uno dei pilastri su cui basare la ripresa post Covid-19, tanto per il settore privato che per quello pubblico. Alla PA spetta ora più che mai un ruolo chiave, complementare alle imprese, nell’adottare e guidare processi di digitalizzazione che possano generare benefici per cittadini e imprese, influenzando la capacità di innovazione di entrambi.

 

Luca Gastaldi, professore di Impresa e decisioni strategiche, e Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale
School of Management Politecnico di Milano

 

Nella Strategia 2025 presentata dal Ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione lo scorso dicembre, le parole “salute”, “sanità”, “crisi” ed “emergenza” non appaiono mai. È una mancanza che salta agli occhi oggi, in tempi di #iorestoacasa, ma che è perfettamente comprensibile in un’ottica – quella di ieri – in cui il digitale è prima di tutto un motore per l’economia e la competitività. Anzi, da questo punto di vista il documento ha rappresentato un passo in avanti, ponendo un forte accento sulla sostenibilità sociale dell’innovazione tecnologica.

La crisi del Nuovo Coronavirus sta però rendendo ancor più evidente quanto a molti già chiaro: il digitale può rendere una società più resiliente, non solo più competitiva ed efficiente. Un Paese resiliente, meno fragile, è capace di reagire di fronte ai traumi e alle difficoltà, di resistere agli urti e di tornare il più velocemente possibile a uno stato di (relativo) equilibrio.
L’urto del COVID-19 è arrivato forte, e solo con la ricerca di soluzioni concrete ed efficaci – certamente nel breve, ma anche nel medio e nel lungo periodo – l’Italia potrà acquisire resilienza rispetto alla crisi presente e a quelle future.

Su quali direttrici agire per abilitare questo processo? Ognuno offre la propria ricetta e non ho certo la velleità di dare la mia. C’è tuttavia un ingrediente che mi sento di consigliare da aggiungere a tutte le ricette in circolazione: accelerare la trasformazione digitale della nostra Pubblica Amministrazione (PA).

 

La centralità della PA nella trasformazione digitale del Paese

L’Italia sembra aver finalmente capito che le tecnologie digitali rappresentano le nuove infrastrutture portanti del paese. Come nel dopoguerra lo Stato ha capito la centralità delle infrastrutture stradali per la crescita economica, progettandole e realizzandole in modo integrato, oggi — anche grazie al Coronavirus — si sta finalmente affermando la medesima visione di lungo periodo e si inquadra la trasformazione digitale come un’imperdibile occasione per realizzare il nuovo sistema nervoso su cui basare la crescita economica dell’Italia, non solo nella cosiddetta “fase 2” della gestione del Covid19, ma per tutti i prossimi anni.

La PA può e deve guidare questo processo, innescando percorsi di digitalizzazione pervasivi. Una PA più semplice e digitale potrebbe infatti:

  • incentivare la richiesta e l’utilizzo di servizi online da parte dei cittadini;
  • aumentare l’uso di internet;
  • incidere sulla progressiva diffusione di competenze digitali;
  • accelerare la digitalizzazione delle imprese.

In un’economia sempre più basata sui dati, se il patrimonio informativo pubblico fosse completamente digitale e interoperabile si aprirebbero opportunità immense per il paese. Se non adeguatamente presidiate, tali opportunità potrebbero essere velocemente colte da soggetti privati che, già oggi, sono capaci di esercitare un efficace ruolo di info-mediazione – in molti casi a discapito della collettività.

La PA deve prendere consapevolezza dell’enorme mole di informazioni e dati in suo possesso e della propria capacità di innescare processi di migrazione al digitale che non solo generino benefici per cittadini e imprese ma che possano influenzare lo spazio per innovare di entrambi. Quando riesce a fare squadra, la PA, grazie alla propria massa critica e alla sostanziale assenza di competitor, è in grado di scatenare processi di cambiamento che – se ben progettati e realizzati – hanno impatti dirompenti.

Mai come oggi è necessario rimettere in discussione il ruolo della PA nella creazione di valore tramite le tecnologie digitali. L’impresa privata è considerata da tutti come una forza innovativa e coraggiosa, mentre la PA è spesso bollata come un essere inerziale, indispensabile per aspetti “basilari”, ma troppo pesante o destrutturata per imprimere accelerazioni all’economia di un paese e concretizzarne la capacità di innovare. Diversi esempi dimostrano quanto tale dicotomia non sia sempre vera. È sufficiente pensare a internet, al protocollo HTTP, alla comunicazione cellulare e al GPS. Tutte queste fondamentali innovazioni tecnologiche sono state prodotte da PA coraggiose che, con un forte spirito imprenditoriale, hanno lavorato efficacemente con le imprese private, guidandole e sapendo gestire i relativi rischi. Così facendo, hanno avviato percorsi di trasformazione digitale che hanno creato incredibili opportunità di business.

La PA non è semplicemente una versione “sociale” e inefficiente del settore privato, ma è un attore chiave da concepire come complementare alle imprese nei processi di digitalizzazione. Se le imprese sono il “motore” dell’economia, la PA deve prendere consapevolezza di essere la “macchina” in cui tale motore funziona, viene indirizzato e valorizzato. Per rendere più digitale e resiliente l’Italia è necessario interpretare la sua PA come una delle più importanti piattaforme di innovazione su cui agire con decisione. Pensare alla PA solo come a un “corpaccione” improduttivo e burocratico, incapace di guidare la trasformazione digitale del resto del Paese, rischia di essere una profezia che si auto-avvera.

 

Come far correre la “macchina” pubblica? 4 elementi necessari

Oggi la PA italiana è ancora inefficiente, poco trasparente e attempata. Le tecnologie digitali rappresentano la leva più importante (se non l’unica) su cui agire per rendere le nostre amministrazioni capaci di bilanciare efficacia e sostenibilità, trasparenti nel loro agire e in grado di attrarre personale qualificato. Per poter correre, la “macchina” pubblica deve prima di tutto digitalizzare se stessa, accelerando le tante iniziative di switch-off in atto e ridisegnando interamente i processi mediante i quali i servizi pubblici sono gestiti ed erogati, in modo da sfruttare a pieno le potenzialità delle tecnologie digitali. È particolarmente importante digitalizzare, integrare e re-ingegnerizzare sia i processi di front-office che quelli di back-office, cambiando il modo di interagire tra l’amministrazione nel suo complesso e cittadini e imprese.

La digitalizzazione, l’integrazione e lo switch-off sono certamente fondamentali per consentire alla PA di guidare la trasformazione digitale del paese ma non bastano e, soprattutto, richiedono tempi molto lunghi per potere essere realizzati. Sono necessari almeno altri tre elementi complementari.

Per prima cosa la PA deve imparare a collaborare maggiormente con le imprese – da quelle più grandi fino alle startup o le PMI ad alto tasso innovativo. Senza una solida cinghia di trasmissione con il “motore dell’economia”, la macchina pubblica farà fatica a digitalizzarsi e non andrà molto lontano. Pertanto, è di vitale importanza ripensare il procurement pubblico, che sembra ancora vittima di un pregiudizio che lo vede come fonte di inefficienza (quando non di corruzione) piuttosto che di innovazione.

Le gare pubbliche sono ancora strutturate e gestite con la principale preoccupazione di prevenire ricorsi e contenziosi, mentre sono ancora troppo poche le PA che cercano di acquisire nel minor tempo possibile la migliore soluzione disponibile. Le imprese, dal canto loro, si concentrano non tanto sul proporre soluzioni efficienti e innovative, che diano reale valore al cliente pubblico, quanto nell’adempiere a ogni formalismo richiesto in fase di gara e prevenire ricorsi pretestuosi dei concorrenti. Così facendo sprecano le migliori energie a recitare liturgie che tutti sanno inutili. Il risultato di questa duplice spinta, alimentato dall’incertezza normativa, è che si finisce per allontanare dal settore pubblico quella parte di mercato sana e dinamica che potrebbe apportare competenze ed energie essenziali alla trasformazione della PA e dell’intero paese.

È urgente un impegno da parte di tutti per trasformare il procurement da ostacolo all’innovazione, quale è ancora in molti casi oggi, a potente leva che consenta a PA e imprese di collaborare maggiormente e meglio nel realizzare la trasformazione digitale dell’Italia. Il vero ostacolo non è la carenza di risorse, ma la povertà di competenze, progettualità e managerialità, che sono spesso risultato di un controllo politico eccessivo e non orientato ai risultati, bensì alla gestione del potere e a una ricerca miope e populista del consenso.

Ancora una volta, tuttavia, non è sufficiente saper collaborare con le imprese private e portare avanti efficaci iniziative di switch-off per rendere la PA capace di giocare un ruolo di primo piano nella digitalizzazione del paese. Switch-off e collaborazione con i privati devono essere indirizzati con in testa una chiara idea del futuro, in particolare delle opportunità offerte dalle tecnologie più dirompenti che, progressivamente, si affacciano sul mercato e dei vincoli legati a una loro efficace implementazione.

In questo momento storico pensiamo all’intelligenza artificiale, alla blockchain, ai big data analytics, all’Internet of Things, ecc. I vantaggi associati a un’efficace applicazione di tali soluzioni in ambito pubblico sono potenzialmente enormi e devono essere colti quanto prima. La PA non può permettersi di sprecare energie preziose nel perseguire iniziative di digitalizzazione obsolete e non può rimanere in balia dei fornitori semplicemente perché non conosce e sfrutta a pieno l’ecosistema di innovazione a cui potrebbe attingere.

È necessario pertanto che le PA avviino iniziative di open innovation, lavorando per essere maggiormente esposte a stimoli con cui mettere in discussione e cercare di migliorare la loro operatività. D’altro canto, non bisogna considerare le tecnologie emergenti come la panacea di tutti i mali. Sono necessarie risorse, competenze e consapevolezza di dove possano essere applicate con successo, per produrre risultati concreti e non infruttuosi “esercizi di stile”.

La PA deve insomma prendere consapevolezza che, invece che rincorrere con affanno il resto del mercato nell’applicazione dei nuovi trend tecnologici, può giocare un ruolo da protagonista a patto che esplori nuovi modi di creare valore con massicce dosi di pragmatismo e buon senso. L’equilibrio da mantenere tra la sperimentazione di nuove modalità di creazione di valore e il non perdersi dietro a ogni trend tecnologico è difficilissimo da mantenere e, pertanto, di vitale importanza.

C’è un ultimo elemento su cui è necessario lavorare per far correre pienamente la macchina pubblica: roadmap condivise di progressiva attuazione dell’Agenda Digitale – sia a livello nazionale che locale. Tali roadmap devono essere basate su solide evidenze empiriche, superare l’attuale parcellizzazione territoriale e tematica dei sistemi di monitoraggio e aprirsi a iniziative di benchmarking a livello territoriale e internazionale. Il Piano triennale e i cruscotti di monitoraggio di AgID e Team digitale hanno rappresentato dei grandi passi in avanti da questo punto di vista, ma molto può essere ancora fatto.

Più in generale, molte iniziative di digitalizzazione sono condotte senza veri e propri studi di fattibilità che ne valutino impatti e sostenibilità, evidenziando potenziali benefici da una parte e attività, tempi e costi del cambiamento dall’altra. È necessario monitorare con regolarità e in modo trasparente lo stato di attuazione dei progetti di innovazione digitale in ambito pubblico, evidenziando gli scostamenti rispetto agli obiettivi intrapresi, le eventuali criticità riscontrate nell’attuazione e le dinamiche di cambiamento dei bisogni dei territori. Altrimenti la macchina pubblica rischia di muoversi senza mappe precise e senza un cruscotto che le indichi a che velocità sta andando.

In sintesi, sembrano essere quattro gli elementi necessari a far sì che la PA giochi il ruolo chiave che può e deve giocare nella trasformazione digitale del paese:

  • accelerazione dello switch-off al digitale e del ridisegno dei processi di gestione ed erogazione dei servizi pubblici;
  • capacità di collaborare con le imprese – da quelle grandi alle PMI e/o startup innovative – mediante un ripensamento del procurement pubblico;
  • mantenimento di un delicato equilibrio nella sperimentazione pragmatica di tecnologie emergenti, evitando di disperdere energia in direzioni di digitalizzazione obsolete o troppo di frontiera;
  • sviluppo di un sistema di monitoraggio teso a fissare chiare roadmap di digitalizzazione sulla base di solide evidenze empiriche e in un confronto continuo con l’estero e tra i vari territori italiani.

Solo con questi quattro interventi si darà un senso ai tanti sforzi fatti finora, rendendo la macchina pubblica veramente pronta a correre e capace di fornire — grazie al digitale — resilienza al nostro Paese.

GIOCOnDa, un progetto per la gestione degli Open Data

 

Un progetto internazionale per la gestione condivisa degli open data di una vasta area di confine Italia/Svizzera: è in sintesi il progetto GIOCOnDa, acronimo di “Gestione integrata e olistica del ciclo di vita degli open data”, che è stato presentato lo scorso 21 giugno nella sede di Regione Lombardia, finanziato nell’ambito del Programma di Cooperazione Interreg V-A Italia-Svizzera.
Il progetto GIOCOnDa ha come capofila per l’Italia il Politecnico di Milano, con il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, e l’Università Supsi per la Svizzera, ed è coordinato dall’Autorità di Gestione Regione Lombardia con un partenariato che comprende Provincia di Brescia, Provincia di Lecco, EasyGov, Varese Web e la Fondazione Bruno Kessler.

I dati delle PA condivisibili in formato open possono essere messi al servizio del territorio e accelerare lo sviluppo del tessuto imprenditoriale. Ma attualmente la pubblicazione da parte dei Comuni denota una grande varietà di tipologie di dati pubblicati, il che rende difficile sia compararli che utilizzarli a livello nazionale. Per non parlare del livello europeo, per il quale gli open data sono un elemento strategico di governance.

In questo contesto lo scopo di GIOCOnDa è rafforzare la governance transfrontaliera e le capacità di coordinamento e collaborazione delle pubbliche amministrazioni italiane e svizzere della Regio Insubrica. “Solo il 7 per cento dei Comuni ha una gestione virtuosa dei dati. La ricerca che abbiamo condotto nel 2018 dimostra che si è in crescita da questo punto di vista, ma si può fare meglio” commenta Michele Benedetti, Direttore degli Osservatori eGovernment e Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

E accanto all’utilizzazione sistematica e condivisa dei dati, il progetto ha come obiettivo anche il miglioramento dei processi di partecipazione degli stakeholder – imprese e società civile dei territori coinvolti – insistendo su diverse criticità dell’area: la mancanza, il disallineamento e il sottoutilizzo di informazioni comuni e l’onerosità della condivisione dati. “Individuati i fabbisogni informativi del sistema degli utenti PA e stakeholder, il progetto si occuperà di selezionare e analizzare i relativi dati disponibili, rendendone omogenee le strutture per favorire l’integrazione, l’interoperabilità e l’esposizione tramite un portale dedicato alla Regio Insubrica” spiegano Luca Tangi e Irene Vanini, ricercatori del Politecnico di Milano.

Per Daniele Crespi, responsabile Innovazione Digitale Direzione Strategie e innovazione dell’offerta Lombardia Informatica «Il ruolo di Regione Lombardia con gli Enti del territorio è fondamentale. Nel 2012 siamo partiti con il portale dedicato agli open data e abbiamo detto a tutti gli Enti del territorio che potevano usarlo gratuitamente. Oggi abbiamo lanciato una iniziativa nuova: indicare quali sono i dati utili e gli standard per avere dati omogenei. Il risultato sono 100 Comuni che hanno aderito e messo in comunicazione dati in forma automatica e standard comparabile».

E per la fruizione finale dei dati? “Abbiamo uno spettro di osservazione più ampio grazie al festival di giornalismo Glocal, dove si organizzano costantemente dei percorsi che riguardano gli open data e il data journalism” afferma Tomaso Bassani di Varese Web “in tutte le redazioni si stanno formando persone per la gestione anche giornalistica dei dati. L’evoluzione tecnologica insieme alla crescita di sensibilità ha permesso una prima diffusione, anche nelle redazioni più piccole, di cultura di attenzione al dato, come base del lavoro giornalistico. L’opinione pubblica ha un ruolo importante nel contesto della messa a disposizione del dato”.

Nei prossimi mesi il progetto GIOCOnDa prenderà ulteriormente forma coinvolgendo pubbliche amministrazioni e imprese del territorio insubrico, per arrivare a creare la piattaforma online.

Operazione co-finanziata dall’Unione europea, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, dallo Stato Italiano, dalla Confederazione elvetica e dai Cantoni nell’ambito del Programma di Cooperazione Interreg V-A Italia-Svizzera.