Rigenerare i luoghi con il coinvolgimento delle comunità: la terza tappa di Road to Social Change

Il 22 giugno si terrà il terzo incontro nazionale del programma Road to Social Change. L’iniziativa, nata da un’idea di UniCredit nell’ambito della sua Banking Academy, è stata sviluppata in collaborazione con AICCON, Politecnico di Milano – Centro di Ricerca Tiresia, MIP Graduate School of Business, Fondazione Italiana Accenture e TechSoup

Dopo i primi due incontri, dedicati rispettivamente alle filiere culturali, turistiche e agroalimentari (incontro del 20 aprile) e alla generazione di infrastrutture sociali (incontro del 18 maggio), il terzo incontro approfondirà un’altra delle sette sfide al centro del percorso: la rigenerazione dei luoghi tramite il coinvolgimento delle comunità. L’evento approfondirà in particolare il ruolo chiave del Terzo Settore nel coinvolgimento delle comunità volto alla rigenerazione territoriale. La rigenerazione dei territori oltre a rappresentare un importante strumento di partecipazione e inclusione sociale, costituisce un’opportunità di crescita economica e imprenditoriale di cui il Terzo Settore può essere protagonista.

Il percorso di formazione proposto da Road to Social Change mira a formare una figura professionale per il terzo settore, il Social Change Manager. Il Social Change Manager è un professionista in grado di sviluppare una visione trasformativa e, in collaborazione con le comunità locali, di implementare tale visione tramite processi di co-progettazione e co-produzione in partenariato con attori pubblici e privati del territorio, attraverso strumenti di gestione dell’impatto generato e di tecnologie digitali.

Per ottenere l’Open Badge di Social Change Manager (una certificazione digitale di conoscenze e competenze acquisite rilasciato dal MIP – Politecnico di Milano Graduate School of Business) sono richiesti requisiti di partecipazione agli incontri e il superamento di un test. Potranno accedere al test i partecipanti che avranno frequentato almeno 5 incontri nazionali, due territoriali e avranno fruito di tutti i contenuti on demand disponibili sulla piattaforma IdeaTre60 di Fondazione Italiana Accenture.

Parallelamente al percorso di formazione, il progetto prevede anche la “Call Road to Social Change”. Le organizzazioni del Terzo Settore sono invitate a proporre progetti di community building a forte ricaduta sociale sui territori, capaci di fornire soluzioni in grado di rendere più solide e coese le comunità, stimolando innovazione e nuove economie. È possibile presentare candidature alla Call fino al 30 settembre 2021 tramite il portale di Fondazione Italiana Accenture (https://roadtosocialchange.ideatre60.it/apply/call).

Per maggiori informazioni sul progetto e su come partecipare:  https://www.unicredit.it/it/chi-siamo/educazionefinanziaria/unicredit-talk/road-to-social-change.html

Road to Social Change: un percorso per formare i Social Change Manager del Terzo Settore

La School of Management è uno dei partner promotori di “Road to Social Change”, un progetto dedicato al Terzo Settore che può oggi giocare un ruolo da protagonista nel processo di ripartenza del Paese.

L’iniziativa “Road to Social Change”, nata da un’idea di UniCredit nell’ambito della sua Banking Academy, è stata sviluppata in collaborazione con AICCON, Politecnico di Milano – Centro di Ricerca Tiresia, MIP Graduate School of Business, Fondazione Italiana Accenture e TechSoup.

Si tratta di un percorso di formazione orientato a formare i Social Change Manager, nuove figure professionali che potranno contribuire alla trasformazione e alla crescita del terzo settore. Il Social Change Manager è un professionista in grado di sviluppare una visione trasformativa e, in collaborazione con le comunità locali, di implementare tale visione tramite processi di co-progettazione e co-produzione in partenariato con attori pubblici e privati del territorio, attraverso strumenti di gestione dell’impatto generato e di tecnologie digitali.

Il percorso si articola in 7 Digital Talk nazionali, 14 incontri territoriali, due per ciascuna area territoriale (Sicilia, Sud, Centro, Centro Nord, Nord Est, Nord Ovest, Lombardia), e contenuti video on demand disponibili sulla piattaforma IdeaTre60 di Fondazione Italiana Accenture. Il percorso, partendo dalla formazione e grazie all’attivazione di una rete virtuosa con stakeholder di rilievo nazionale e locale, mira a innescare, valorizzare e accompagnare processi di cambiamento e innovazione ad alto impatto sui territori e sulle comunità che lo abitano.

Al termine del percorso, i partecipanti che avranno frequentato almeno 5 incontri nazionali, due territoriali e avranno fruito di tutti i contenuti on demand potranno ottenere l’Open Badge di Social Change Manager (una certificazione digitale di conoscenze e competenze acquisite) rilasciato dal MIP – Politecnico di Milano Graduate School of Business.

Parallelamente al percorso di formazione, il progetto prevede anche la “Call Road to Social Change”. Le organizzazioni del Terzo Settore sono invitate a proporre progetti di community building a forte ricaduta sociale sui territori, capaci di fornire soluzioni in grado di rendere più solide e coese le comunità, stimolando innovazione e nuove economie.
I 7 vincitori, uno per ciascuna area territoriale, potranno ricevere contributi economici e accompagnamento allo sviluppo delle idee progettuali da parte di Fondazione Italiana Accenture, Politecnico di Milano e TechSoup.

Per maggiori informazioni sul progetto e su come iscriversi:  https://www.unicredit.it/it/chi-siamo/educazionefinanziaria/unicredit-talk/road-to-social-change.html

SOM per i SDGs: il premio per le tesi con impatti sui Sustainable Development Goals

 

Claudia Cuttini, Celine De Vincenzi, Giulia Montuori, Anabel Velazque, Rocco Abbattista, Giulia Madoglio, Sonia Saibene: sono i vincitori dell’edizione 2019 del premioSOM per i SDGs”, premiati ieri in occasione dell’evento “School of Management per il Non Profit” che si è tenuto presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

Il premio è destinato a Tesi e Project Work finali di Alumni della School of Management con impatto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che rappresentano un contributo per risolvere le sfide sociali del nostro tempo e propongono modelli di sviluppo sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale.

Sono state 27 le candidature ricevute (18 Laureati Magistrali in Ingegneria gestionale e 9 Alumni MBA e altri Master MIP), valutate in base a quattro criteri: impatto sui SDGs, contenuto innovativo, metodologia utilizzata, trasferibilità e replicabilità dei risultati.

Nelle loro tesi di Laurea Magistrale, Claudia Cuttini e Celine De Vincenzi hanno lavorato sul tema della riduzione degli sprechi alimentari lungo la supply chain agri-food, mentre Giulia Montuori sul ruolo dell’esperienza del paziente nelle terapie contro il cancro.

I project work vincitori trattano invece temi come Data Science, di Anabel Velazque (Master in Business Analytics and Big Data) e ambiente, di Rocco Abbattista, Giulia Madoglio, Sonia Saibene (International Part Time MBA).

L’evento aveva anche lo scopo di incontrare le organizzazioni del terzo settore per condividere le esperienze sviluppate e i risultati raggiunti all’interno del programma “School of Management per il Non Profit”, nonché dare avvio a un nuovo ciclo di collaborazione.

Lo sviluppo delle relazioni con le organizzazioni non profit e le imprese sociali occupa un posto centrale nel programma, che è stato lanciato nel 2017 con l’obiettivo di valorizzare e inserire in una strategia coerente le iniziative della Scuola legate alla sostenibilità sociale ed ambientale e all’etica del business.

Il programma rappresenta uno spazio di collaborazione e confronto reciproco con il mondo non profit, facilita il contatto di tali organizzazioni con gli studenti, i docenti e lo staff della Scuola per mettere a disposizione competenze e sviluppare progetti comuni.

In tre anni più di 400 studenti si sono messi alla prova affrontando le sfide di conoscenza e di gestione che sono state poste da organizzazioni non profit ed imprese sociali, conducendo più di 100 progetti tra tesi di Laurea Magistrale e project work, con la guida di 20 professori e ricercatori.

Le organizzazioni sociali sono viste da un numero sempre maggiore di studenti e docenti della Scuola come attori centrali dell’economia e della società, e il terzo settore diventa sempre più spesso ambito applicativo dell’Ingegneria Gestionale, con una crescita anche dell’interesse scientifico.

Le internship per gli studenti e laureati della Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale e del MIP Graduate School of Business sono un altro modo di scambiare conoscenza.

Oltre alla didattica, progetti di ricerca sono stati condotti con diverse organizzazioni, ma si mira a rafforzare le opportunità per attività congiunte di dimostrazione, capacity building e ricerca. Infine, la Scuola assiste le organizzazioni non profit e le imprese sociali nell’affrontare le loro necessità di formazione.

 

Una nuova stagione di politiche dell’innovazione più inclusive e basate sulle imprese sociali per combattere le disuguaglianze

Incoraggianti i dati 2018 del Centro di ricerca Tiresia della School of Management  del Politecnico di Milano. Di un’imprenditoria attenta ai bisogni del territorio si è discusso a un convegno con Joan Rosés della London School of Economics, docenti, amministratori locali ed esponenti del Terzo Settore

Imprese sociali attente ai bisogni del territorio e alla necessità di impattare positivamente sul benessere delle comunità di riferimento, ma anche economicamente sostenibili, strutturate managerialmente e capaci di usare le migliori tecnologie. È questa, secondo il Centro di ricerca sull’innovazione e l’impatto sociale Tiresia della School of Management del Politecnico di Milano, una delle risposte possibili alle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza che stanno affliggendo anche il nostro Paese, portando alla povertà e allo spopolamento vaste aree marginali persino del Nord, zone interne che pagano la loro lontananza, o i difficili collegamenti, con i centri maggiori dove invece si concentrano ricchezza, benessere e competenze.

Oasi urbane di prosperità in una provincia sempre più povera, create dalla nuova economia della conoscenza. Un fenomeno diffuso in Europa, negli Stati Uniti, in Sud America che purtroppo non ha risparmiato l’Italia, dove invece il boom economico aveva visto il fiorire dei distretti industriali. “Ma invertire la rotta si può – commenta Mario Calderini, docente di Social Innovation e direttore di Tiresia – e i dati che abbiamo raccolto nel 2018 (nei prossimi mesi uscirà il nuovo report) lo dimostrano. La disponibilità di capitali per lo sviluppo di imprese a impatto sociale è in costante aumento: parliamo di capitali pronti a essere investiti per oltre 210 milioni di euro, ma se si guarda a tutti i finanziamenti riconducibili in qualche modo a un modello di finanza sostenibile raggiungiamo i 6,5 miliardi”.

E ancora: nonostante le imprese a impatto sociale mostrino in genere un’intensità tecnologica bassa (76%), quasi il 10% di esse può vantarne una medio-alta, cioè utilizza tecnologie innovative per risolvere sfide e problemi sociali in un settore tradizionalmente ‘labour intensive’. “In Italia – spiega Calderini – le start-up innovative a vocazione sociale, le cosiddette Siav, e le società benefit fanno un uso maggiore delle nuove tecnologie rispetto al resto d’Europa: circa due quinti delle Siav intervistate e quasi un terzo delle benefit rientrano infatti nelle organizzazioni a intensità tecnologica alta o media”.

Delle origini delle disuguaglianze e del ruolo di una nuova generazione di imprese sociali si è parlato il 1 aprile alla School of Management del Politecnico di Milano durante un incontro con il professor Joan. R. Rosés, docente alla London School of Economics and Political Science e autore con  Nikolaus Wolf del volume “The economic development of Europe’s regions. A quantitative history since 1900”. Un’occasione per economisti, docenti, amministratori locali ed esponenti del Terzo Settore di discutere con Rosés non solo delle tesi contenute nel libro, ma anche dei nuovi dati che illustrerà, frutto dell’algoritmo messo a punto con Wolf per definire dove si sta accumulando la ricchezza.

L’introduzione è affidata ad Alessandro Perego, Direttore Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano. Segue una tavola rotonda moderata da Francesco Antonioli, Contributor de la Repubblica, a cui partecipano: Raffaella Cagliano, Politecnico di Milano, School of Management; Claudia Fiaschi, Portavoce del Forum del Terzo Settore; Stefano Granata, Presidente Gruppo cooperativo CGM; Lorenzo Sacconi, Forum Disuguaglianze Diversità e Università degli Studi di Milano; Cristina Tajani, Assessore a Politiche del lavoro, Attività produttive, Commercio e Risorse umane, Comune di Milano.

Mappando la popolazione delle imprese sociali italiane, la loro densità non si differenzia molto tra grandi centri (1,55 ogni 100.000 abitanti) e aree interne (1,36 ogni 100.000 abitanti), così come non varia il livello di istruzione degli imprenditori, che nel 55% dei casi (appena un punto in più nelle città)  è in possesso di una laurea di primo o di secondo livello. Un dato che insieme a quelli dello sviluppo tecnologico e della disponibilità di capitali restituisce un quadro incoraggiante di strumenti e competenze diffuse in grado di fare la differenza. “Sono organizzazioni che possono intervenire sul territorio in maniera capillare – conclude Mario Calderini – e farsi promotrici di un nuovo sviluppo industriale maggiormente inclusivo, non dimentico dei bisogni sociali e territoriali e capace di arginare le conseguenze delle disuguaglianze”.

“Non solo le imprese sociali possono avere un ruolo importante in questa direzione – aggiunge Raffaella Cagliano,  professore di People management & organization alla School of Management del Politecnico di Milano -. Infatti un numero crescente di imprese for profit sta abbracciando un approccio strategico alla responsabilità sociale di impresa, integrando l’impatto sociale tra le dimensioni chiave della gestione del core business. E questo avviene molto spesso attraverso partnership con imprese sociali o organizzazioni no profit, instaurando circoli virtuosi di crescita e sostenibilità”.