Food Policy. Oltre 150mila pasti recuperati con 77 tonnellate di cibo: il successo dell’Hub di via Borsieri

Pronto a partire un nuovo centro contro lo spreco alimentare nel Municipio 3

L’Hub di quartiere di via Borsieri contro lo spreco alimentare compie un anno e festeggia con un grande successo: 77 tonnellate di cibo per 154.000 pasti equivalenti recuperati e 21 organizzazioni non profit coinvolte, 11 supermercati e 5 mense aziendali. Pronto a decollare un nuovo Hub in Municipio 3.

Possiamo decisamente parlare di un grande successo per l’Hub di via Borsieri – commenta la Vicesindaco con delega alla Food Policy Anna Scavuzzo –, che ha così posto le basi per poter essere replicato anche in altri Municipi. I numeri raggiunti dimostrano ancora una volta che se tutti gli attori collaborano per un obiettivo comune è possibile creare una rete efficace e solidale capace di rispondere ai bisogni anche di una grande città come Milano. Grazie alla partecipazione di due nuovi importanti attori come AVIS Comunale di Milano e Banca di Credito Cooperativo di Milano siamo dunque pronti ora a partire anche nel Municipio 3”.

Il progetto dell’Hub di quartiere è nato all’interno delle azioni definite nel protocollo “Zero Sprechi” promosso da Comune di Milano, Assolombarda, Politecnico di Milano, realizzato in collaborazione con Banco Alimentare della Lombardia e sostenuto dal Programma QuBì – La ricetta contro la povertà infantile promosso da Fondazione Cariplo con il sostegno di Fondazione Vismara, Intesa Sanpaolo, Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi, Fondazione Fiera Milano e Fondazione Snam.
Programma QuBì – afferma Monica Villa Vicedirettrice dell’area servizi alla persona della Fondazione Cariplo – ha scelto fin da subito di sostenere gli Hub in quanto permettono di recuperare il fresco, in particolare frutta e verdura e quindi migliorare l’alimentazione delle persone in povertà.
Programma QuBì continuerà a sostenere anche per il 2020 l’Hub di via Borsieri e quello del Municipio 4, che lavoreranno in connessione con il nuovo Hub di Lambrate.

Obiettivo dell’Hub di quartiere è quello di fornire risposte concrete alla domanda di riduzione degli sprechi alimentari in città e di accesso al cibo da parte delle persone bisognose, garantendo un servizio di raccolta alimentare e redistribuzione su piccola scala.
Le tonnellate di cibo donato nell’Hub di via Borsieri sono state 77, per un totale di circa 154.000 pasti equivalenti, con un valore economico di 308.000 euro, raggiungendo i livelli previsti dal modello studiato dal Politecnico di Milano tra i partner del progetto. Sono inoltre aumentati nel corso dell’anno gli attori sociali che usufruiscono del servizio: le organizzazioni non profit sono infatti passate da 14 a 21.

Esprimo una enorme soddisfazione nell’aver contribuito a realizzare una soluzione di sistema per affrontare il recupero delle eccedenze piccole e diffuse, le più difficili da gestire. Questi progetti hanno un valore di educazione alla solidarietà – sia per i singoli sia per la collettività – di cui abbiamo profondo bisogno in questa epoca in cui sono alti i rischi di aumento della disuguaglianza sociale e della emarginazione” afferma Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.

A distanza di un anno i risultati del progetto, stimolato e coordinato da Banco Alimentare della Lombardia nella logistica e nel rispetto degli aspetti igienico sanitari, confermano che è una risposta vincente al bisogno alimentare sul territorio grazie alla rete di collaborazione tra Istituzioni Pubbliche, profit, non profit e Università.” dichiara Marco Magnelli, Direttore di Banco Alimentare della Lombardia.

Anche molte aziende associate ad Assolombarda, attraverso le mense hanno partecipato alla donazione del cibo in avanzo favorendo la diminuzione degli sprechi. A queste si aggiungono anche quelle della grande distribuzione organizzata che recupera ogni giorno diverse tipologie di alimenti che transitano dall’Hub e vengono redistribuiti ai diversi soggetti – in totale 11 supermercati e 5 mense aziendali.

Il successo dell’Hub di Quartiere di via Borsieri e l’ apertura del nuovo Hub nel Municipio 3 sono la dimostrazione della forza del fare sistema – ha dichiarato Alessandro Scarabelli, Direttore Generale di Assolombarda -. Un traguardo che ci rende orgogliosi, reso possibile grazie anche al determinante contributo delle nostre imprese, che hanno deciso di giocare un ruolo attivo per ridurre lo spreco alimentare promuovendo un modello replicabile ed efficace. I risultati dell’iniziativa ci spingono a rafforzare il nostro impegno sul tema, con l’obiettivo di diffondere sempre di più le buone pratiche e la cultura della riduzione dello spreco in una logica di maggiore sostenibilità e responsabilità verso il nostro territorio

La novità più importante per il 2020 è il nuovo progetto per l’apertura di un ulteriore Hub di quartiere nel Municipio 3, in zona Lambrate, grazie alla partecipazione di AVIS Comunale di Milano e Banca di Credito Cooperativo di Milano, che hanno partecipato all’avviso pubblicato dal Comune di Milano nei mesi scorsi.

Siamo consapevoli dell’urgenza di rafforzare su tutta Milano questa rete capace di combattere la povertà alimentare e al tempo stesso lo spreco di cibo – dichiara Giuseppe Maino, Presidente di BCC Milano – perciò abbiamo deciso di sostenere il progetto, di cui condividiamo obiettivi e valori. In particolare, siamo orgogliosi dei nostri Soci che, rinunciando al consueto dono natalizio della Banca, hanno scelto di devolvere la cifra corrispondente alla realizzazione dell’Hub di quartiere. Da tempo siamo impegnati a sviluppare un network virtuoso con le più importanti realtà associative e istituzionali della Città Metropolitana per sostenere e potenziare le migliori energie del territorio”.

Anche Avis Milano ha partecipato all’Avviso Pubblico dedicato agli Hub di quartiere poiché in linea con i nostri obiettivi – afferma Sergio Casartelli Direttore Generale di Avis Milano ” e attraverso la messa a disposizione dei nostri spazi nel Municipio 3, daremo il nostro contributo a questo importante progetto in città entrando a far parte della rete degli attori coinvolti nella lotta allo spreco alimentare a Milano“.

 

Con le digital platform il manager si fa designer dell’innovazione

In un contesto sempre più digitale, la funzione del dirigente assomiglierà a quella di un architetto: una figura più carismatica e meno operativa in grado di sviluppare visioni e costruire relazioni

 

Trasformazione digitale e management dell’innovazione: cosa sta succedendo in questi due ambiti, così importanti per il futuro delle imprese? È il tema del workshop Digital trasformation and Innovation Management: Opening up the Black Box, che si è tenuto il 19 e il 20 dicembre presso il Politecnico di Milano. Tra gli accademici che vi hanno preso parte, c’è anche il professor Carmelo Cennamo, della Copenhagen Business School. «In un contesto sempre più digitale, la funzione del manager assomiglierà sempre più a quella di architetto» sostiene Cennamo. «In un’economia basata sulle digital platform, avrà il compito di disegnare nuove architetture relazionali con le altre aziende. Dovrà valutare se all’azienda conviene utilizzare una propria piattaforma o se affidarsi a terzi, e capire quale ruolo e quale posizione strategica dovrà assumere la sua compagnia in questa struttura. È un’evoluzione che avvicina la figura del manager a quella del designer, rendendola meno operativa. Ma dovrà sempre trattarsi di una figura carismatica, in grado di sviluppare visioni e immaginare nuove configurazioni nel sistema di valore».

Modularità, complementarietà, flessibilità

La chiave di questo cambiamento è la digital platform. «Sono ecosistemi basati su piattaforme che funzionano per mezzo di strutture relazionali, dove le aziende sono interdipendenti tra loro e condividono un insieme di attività correlate», spiega Cennamo. Sono due, principalmente, le caratteristiche delle digital platform: «La prima è la modularità. Significa che le varie attività all’interno di una piattaforma possono sì essere complementari, ma rimangono comunque indipendenti. Il secondo elemento è proprio la complementarietà. Viene così incentivato il coordinamento, che avviene proprio grazie alle peculiarità di questo sistema. È un mondo dove vengono meno i classici rapporti contrattuali, in nome di una maggiore flessibilità».

Grandi e piccole alla prova della disruption

Un cambiamento simile ha delle ricadute non da poco su tutte le imprese, grandi e piccole. «Le potenzialità sono assolutamente disruptive» racconta Cennamo. «Assistiamo a una progressiva disintermediazione, che mette in contatto attori precedentemente disconnessi. Le piattaforme aiutano a mettere direttamente sul mercato un’offerta, così nasce un mercato liquido che supera di gran lunga i limiti di quello tradizionale». Per le piccole imprese il vantaggio è notevole: «Si riesce ad arrivare al di là dei mercati locali, raggiungendo un giro di potenziali clienti immensamente più ampio». Per le grandi imprese, soprattutto le incumbent che hanno sempre offerto servizi di tipo premium, le cose sono un po’ diverse. «Prendiamo l’esempio degli hotel di alto livello, che avevano relazioni privilegiate con la clientela. Per loro, un mercato più liquido ha significato anche un mercato più trasparente e competitivo. E questo ha comportato una certa difficoltà. Ma lo stesso vale per le banche, che guardano con timore all’avvento delle fintech. Con le digital platform, chi non aveva degli asset è riuscito a trovare un valore».

L’importanza della “visione” per il manager

Dalla digital platform alle cognitive enterprises, il passo è breve. «L’azienda è sempre stata una struttura che riceveva input e mandava all’esterno degli output, spesso materiali. Oggi la materia prima da processare sono i dati, fondamentali per chi vuole sfruttare tecnologie come i big data, il machine learning, l’intelligenza artificiale… L’evoluzione è questa. I rischi, però, sono due: da una parte le piccole aziende potrebbero ritrovarsi ad avere una mole di dati troppo piccola, insufficiente per le tecnologie che abbiamo citato. Potrebbero essere così costrette ad affidarsi a qualcun altro, a un player più grande. Dall’altra parte, bisogna evitare che i manager si affidino ciecamente ai dati processati dalle intelligenze artificiali. Perché anche quei dati vanno saputi interpretare, e vanno letti in modo critico. Un vero manager non potrà mai fare a meno delle sue capacità di visione strategica», conclude Cennamo.

Le nuove competenze per la carriera: le digital skills ricercate dalle aziende

 

Con l’obiettivo di aiutare gli allievi a sviluppare tutte le competenze necessarie a gestire in modo efficace il proprio percorso di carriera, la Scuola programma regolarmente attività, eventi, seminari e workshop di approfondimento su varie tematiche.

Il mese scorso, per esempio, le aule MBA ed Executive MBA hanno avuto occasione di approfondire il tema delle Digital Skill durante una tavola rotonda che ha visto coinvolti Giuseppe Busacca, Group Director of Customer Operations di TeamSystem, Matteo Sola, People and Culture Manager, Digital HR a Talent Garden, Maurizio Marchini, Chief Operating Officer di Alpenite e Giorgio Crainz, Senior Manager, Ernst & Young.

In questa occasione i partecipanti hanno potuto scoprire di più su quali sono le Digital Hard Skills & Digital Soft Skills più ricercate dalle aziende e riflettere sull’impatto della trasformazione digitale sul mondo delle Risorse Umane. La conoscenza delle nuove tecnologie, infatti, è una di quelle competenze che le aziende ritengono ormai fondamentale ed è importante trasferire agli allievi informazioni aggiornate sui trend di mercato e sulle aspettative dei potenziali employer.

La conoscenza delle nuove tecnologie, infatti, è una di quelle competenze che le aziende ritengono ormai fondamentale ed è importante trasferire agli allievi informazioni aggiornate sui trend di mercato e sulle aspettative dei potenziali employer.

Questo è evidente anche in FLEXA, la nuova piattaforma di continuous learning che sfrutta l’intelligenza artificiale, che aiutata gli allievi del MIP a valutare non solo le proprie hard e soft skill, ma anche quelle digitali.

Siete pronti per la FLEXA experience?

 

La Digital Innovation è uno dei temi centrali della nostra Scuola. Tutto è iniziato nel 2014 con il lancio del Flex EMBA, il primo Executive MBA in distance learning. Da allora il nostro impegno nell’innovazione nel campo della formazione è cresciuto in modo esponenziale. Infatti, abbiamo appena lanciato FLEXA, la nuova piattaforma di Intelligenza Artificiale sviluppata in partnership con Microsoft, volta ad assicurare un apprendimento continuo a studenti, Alumni e – presto – professionisti.

Come funziona?

FLEXA valuta le hard, soft e digital skill dell’utente, con l’obiettivo di individuare le lacune da colmare e disegnare il percorso verso i propri obiettivi professionali.

Una volta identificati i gap da riempire, il tempo a disposizione e gli interessi, FLEXA segnala all’utente proprio quei contenuti utili per migliorare la propria conoscenza, selezionando da fonti certificate materiali di alto livello, come webinar, eventi ed articoli.

“La grande varietà di articoli e di fonti fornite da FLEXA mi sta aiutando a rafforzare le mie competenze di management; leggere articoli interessanti e ragionare sugli spunti forniti dai leader di tutto il mondo è un’esperienza che mi arricchisce e che mi aiuta a migliorare la mia conoscenza del management”, spiega Alessandro Fadda, Alumnus MIP e utente FLEXA.

Tuttavia, FLEXA offre molto di più.

Gli studenti, per esempio, possono arricchire il proprio percorso di sviluppo di carriera sfruttando le potenzialità di FLEXA. Avranno infatti la possibilità di mostrare – del tutto o in parte – il proprio profilo alle aziende – che entreranno presto su FLEXA, di vedere le offerte di lavoro e di ricevere indicazioni su quali temi approfondire per rendere il proprio profilo più interessante per una specifica azienda.

Questo è reso ancora più efficace dal coinvolgimento delle aziende, che possono registrarsi su FLEXA per pubblicizzare le proprie posizioni aperte, per le quali la piattaforma restituisce una lista di candidati in linea, basandosi su una serie di filtri che l’azienda può impostare.

Inizia subito la tua esperienza su FLEXA, accedi alla piattaforma!

 

 

Tecnologia e gestione del business: la School of Management del Politecnico di Milano tra le 3 migliori scuole di Università “tecniche” in Europa secondo il Financial Times

I ranking 2019 editi dal Financial Times e dedicati al mondo delle business school europee posizionano la Scuola milanese tra le prime 50 in assoluto (45) su un totale delle top 95, e sul podio se la si confronta con le altre appartenenti ad Atenei focalizzati su innovazione e ingegneria. Meglio solo Imperial College (UK) e Aalto University (Finlandia). I prodotti in classifica vanno dall’MBA all’EMBA, al Master of Science in Ingegneria Gestionale, ai programmi per le imprese e i professionisti

 

 

Affiancare ai corsi di management, economia e finanza l’apprendimento di competenze ingegneristiche e tecniche, indispensabili per comprendere e gestire con successo la trasformazione digitale nelle imprese. È questo “orientamento” a contraddistinguere le business school legate a Università con un focus tecnologico come la School of Management del Politecnico di Milano, posizionato tra le prime 3 in Europa con le stesse caratteristiche secondo il Financial Times, che ha pubblicato i consueti ranking annuali sulle 95 migliori scuole di business europee.

Per l’undicesimo anno in classifica, la School of Management del Politecnico di Milano regge bene il confronto con il resto d’Europa anche nella classifica generale, dove compare al 45esimo posto con cinque linee di prodotto. Si va dai “classici” MBA full time ed Executive EMBA al Master of Science in Ingegneria gestionale, a un’ampia e innovativa offerta di programmi ad hoc per le imprese e per il mercato Open di manager e professionisti, con una marcata impronta tecnologica sia nei contenuti, sia nella forma: sempre più corsi infatti sono fruibili in distance learning grazie allo sviluppo di specifiche piattaforme informatiche che permettono di gestire la formazione in maniera flessibile e attenta alle esigenze dell’utente.

L’FT European Ranking 2019 valuta i migliori programmi di MBA, Executive MBA, master of science, corsi a catalogo e su commessa. I parametri che determinano il posizionamento in classifica sono numerosi, tra cui l’opinione che gli stessi diplomati hanno dei docenti e del prodotto formativo, la retribuzione o l’avanzamento di carriera che si raggiungono dopo avere frequentato il master e l’esposizione internazionale della Scuola.

La School of Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e dal MIP, la business school dell’Ateneo milanese. “Da anni abbiamo puntato sull’internazionalizzazione dei corsi e sulle competenze legate alla trasformazione digitale, che sarà la principale sfida per le nostre aziende, perché un buon manager dovrà essere un esperto nella gestione dell’innovazione”, commentano Alessandro Perego e Andrea Sianesi, rispettivamente Direttore del Dipartimento e Dean di MIP.

Il giudizio del Financial Times, che nuovamente ci inserisce tra le migliori scuole di management con una forte impronta tecnica e ingegneristica – proseguono -, è premiante non solo per noi, ma per gli studenti e per le imprese nostre clienti, che continuano ad apprezzare l’ampiezza e la qualità della nostra attività formativa. Tra i criteri di valutazione, infatti, rientrano le possibilità di carriera di chi esce dai nostri corsi, la buona opinione dei diplomati sui docenti e i prodotti e l’internazionalizzazione della Scuola, tutti aspetti che ci stanno particolarmente a cuore e su cui abbiamo costruito la nostra proposta”.

Meglio un master specialistico o un MBA?

Non c’è una risposta valida per tutti. Perché prima di compiere una scelta, è sempre bene tenere in considerazione due fattori: la propria esperienza professionale e l’obiettivo da conseguire

Orientarsi in un’offerta formativa ampia come quella dei master può essere tutt’altro che semplice. Soprattutto se non si hanno ben chiare le premesse su cui i master stessi si basano, e se non si ha un’idea chiara dell’obiettivo che si vuole conseguire. A volte capita che il dubbio oscilli tra due percorsi, entrambi validi ma molto diversi tra loro: i master specialistici e gli MBA. Come scegliere fra l’uno e l’altro?

Il curriculum fa la differenza

Una domanda a cui risponde Greta Maiocchi, Head of Marketing & Recruitment del MiP Politecnico di Milano: «La prima grande differenza è data dall’esperienza professionale. Il master specialistico si avvicina al Master of Science, cioè alla laurea specialistica, e quindi si rivolge principalmente a chi ha appena finito un percorso triennale o a chi ha cominciato a lavorare da poco. Per accedere all’MBA è necessario, invece, avere almeno tre anni di esperienza lavorativa».

E proprio chi ha l’esperienza maggiore, a volte, commette un errore di valutazione: «Sempre più persone che magari hanno già quattro o cinque anni di seniority ci chiedono di iscriversi a un master specialistico. Il problema è che vanno in aula con un bagaglio culturale troppo elevato rispetto agli altri partecipanti. Sono situazioni che cerchiamo di evitare», spiega Maiocchi.

Un master verticale e un master orizzontale

La seconda grande differenza, invece, riguarda i temi affrontati. Il master specialistico ha un’impostazione di tipo verticale, spiega Maiocchi: «Può essere sul lusso, sulla supply chain, sull’energy management, sui big data. Sviluppa insomma delle competenze grazie a cui si può diventare molto validi in un ambito o in una funzione specifici. Solitamente, è scelto dai giovani che vogliono specializzarsi».

Tutt’altro discorso per i master MBA, che hanno un taglio generalista e affrontano tutte le discipline utili a poter apprendere quelle skill che sono poi applicate in un contesto strategico. «L’obiettivo in questo caso – spiega Maiocchi – è fornire una panoramica di come funziona un’organizzazione, per poter così puntare a un ruolo manageriale di alto livello. Un partecipante di un nostro MBA nel 2009 oggi è vicepresidente di una grandissima azienda di credito. Aveva appena quattro anni di esperienza lavorativa».

Le soft skill prima di tutto

Poiché tra gli obiettivi dell’MBA spicca la capacità di gestire il cambiamento e le persone, le soft skill acquisiscono un peso predominante, già in fase di selezione. «Oltre a quattro test scritti, in cui verifichiamo le capacità analitiche, svolgiamo anche dei lunghi colloqui in cui valutiamo l’attitudine del candidato a risolvere problemi, essere propositivo, gestire lo stress. Anche le capacità empatiche e comunicative sono importanti: negli MBA si impara tantissimo dagli altri. Una persona che non ha nulla da offrire ai suoi compagni di classe non è il nostro candidato ideale. Ma non è il candidato ideale di nessuna azienda, se il suo obiettivo è essere un leader».

Può essere un candidato ideale, invece, chi ha nel suo bagaglio anche delle qualità creative: «Ultimamente abbiamo avuto dei partecipanti più bravi dal punto di vista artistico, persone con una laurea in economia che poi, ad esempio, sono andate a fare i videomaker. Vantavano un’incredibile capacità di visualizzare risultati e obiettivi. Per questo guardiamo con grande interesse anche alla parte più creativa e innovativa».

Come ribadisce Maiocchi, poi, diventa importantissimo sviluppare quelle competenze che per le aziende fanno la differenza: «Bisogna sapersi adattare al cambiamento e stimolarlo. Il mondo va di fretta, e offre opportunità e sfide che evolvono continuamente. Il compito di un buon leader sta anche nel trascinare il suo team in questi processi. Infine, è fondamentale saper lavorare per progetti. Tutto l’MBA è strutturato per progetti: più che una disciplina, è una vera e propria metodologia che può essere applicata a una pluralità di settori».

D HUB

 

È nata D HUB, la nuova piattaforma di digital learning del MIP! Questo nuovo strumento, pensato per offrire agli studenti un’esperienza formativa ancora più coinvolgente, rappresenta un nuovo traguardo nel percorso di innovazione digitale intrapreso dalla Scuola ormai da diversi anni.

“Quello che abbiamo notato – spiega il Prof. Federico Frattini, Associate Dean of Digital Transformation al MIP – è una maggiore richiesta di flessibilità. Le persone oggi cercano programmi post-laurea altamente personalizzati e con un forte legame con il mondo reale. Il tutto in un formato compatibile con gli impegni lavorativi e familiari. Come conseguenza di questo grande cambiamento, abbiamo sempre più studenti interessati a programmi che includono componenti digitali o persino erogati totalmente in digital learning.”

Un cambiamento che non ha colto la Scuola impreparata. Risale infatti al 2014 il lancio del Flex EMBA, il primo Executive MBA del MIP fruibile a distanza. Offrire agli studenti la possibilità di partecipare alle lezioni ovunque si trovino e in qualsiasi momento tramite un’innovativa piattaforma di digital learning non è stato che il primo passo verso un’esperienza formativa sempre più digitale e senza limiti.

Da allora, la componente digitale è diventata una parte sempre più integrante nei corsi del MIP, andando a toccare anche prodotti come i Master specialistici o l’MBA Full Time, tradizionalmente in presenza, offrendo così agli allievi una Digital Experience completa.
Questa evoluzione ha fatto nascere la necessità di dare vita a una nuova piattaforma, D HUB, ancora più innovativa e al passo con i tempi.

La nuova interfaccia grafica guida gli studenti nello studio, registrando automaticamente i progressi dell’utente, mentre la libreria di clip asincrone è stata aggiornata con nuovi video, che offrono agli allievi la possibilità di scegliere tra l’audio in inglese e quello in italiano e di attivare i sottotitoli.

A queste novità si aggiungono anche altre funzionalità utili, come un sistema di notifiche personalizzabile, la segnalazione delle clip propedeutiche alla prossima sessione live e una chat chiusa per ogni aula.
Per offrire un’esperienza ancora più completa ai nostri studenti, sarà disponibile da inizio 2020 anche la nuova versione della app dedicata.

Tiresia Impact Outlook 2019

I capitali per l’impatto sociale in Italia superano gli 8 miliardi di euro, in crescita gli asset gestiti dagli operatori equity.

Presentato il Tiresia Impact Outlook 2019 realizzato dall’omonimo Centro di ricerca di innovazione e finanza per l’impatto sociale della School of Management.

Il 2019 è stato l’anno d’oro per la finanza per l’impatto sociale. I temi legati alla sostenibilità sono diventati centrali nella coscienza collettiva e nel sistema economico e finanziario tradizionale: la famosa lettera di Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, il manifesto della Business Roundtable e la prima pagina del Financial Times su tutti hanno sancito la necessità di ripensare il capitalismo, hanno segnato la definitiva consacrazione dell’imperativo dell’impatto.

La ricerca Tiresia Impact Outlook 2019, realizzata dall’omonimo Centro di ricerca di innovazione e finanza per l’impatto sociale della School of Management e presentato la scorsa settimana, offre una descrizione aggiornata dello stato dell’arte della finanza per l’impatto sociale in Italia e alcune riflessioni sulle sue possibili traiettorie di sviluppo. L’analisi è basata su 58 interviste strutturate a operatori sia dal lato dell’offerta sia della domanda di capitali.

“Lo studio restituisce l’immagine di un settore ancora piccolo, in grande trasformazione – commenta Mario Calderini, docente di Social Innovation e direttore di Tiresia – nel quale gli operatori stanno via via strutturando modelli e strumenti. Una enclave che tuttavia potrà giocare un ruolo prezioso nel contaminare virtuosamente l’industria finanziaria, il suo processo di trasformazione, verso modelli più sostenibili e inclusivi”.

La metodologia poggia su una definizione inclusiva di finanza per l’impatto: un’ampia gamma di investimenti e finanziamenti basati sull’assunto che i capitali privati, talvolta in combinazione con i fondi pubblici, possano intenzionalmente contribuire a creare impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici. Gli operatori così identificati sono stati profilati in base alle loro caratteristiche e all’approccio utilizzato nelle loro attività riconducibili alla finanza per l’impatto, descritto attraverso una triade di elementi qualificanti, la cosiddetta triade dell’impatto: intenzionalità, misurabilità e addizionalità.

Il capitale per l’impatto impiegato dal 2006 in Italia è circa 8 miliardi di euro. Di questi, gli investimenti in equity effettuati dai soggetti intervistati dal momento del loro ingresso nell’industry è di 1.263,4 milioni di euro (15,7% del totale degli impieghi). Il totale dei finanziamenti erogati dagli intervistati, sotto forma di credito alle organizzazioni ad impatto sociale, è di 6.767,8 milioni di euro (84,3% del totale degli impieghi). Nel 2019, il totale degli asset gestiti dagli operatori equity è di 1.824,75 milioni e crescerà del 19% nel prossimo anno.

Rispetto alle aree di impatto sociale, obiettivo degli investimenti e dei finanziamenti, classificate secondo i 17 SDGs delle Nazioni Unite, prevale l’obiettivo “Buona occupazione e crescita economica” (73,7% degli operatori) seguito da “Imprese, innovazione e infrastrutture” (65,8%).

Per quanto riguarda i rendimenti attesi, il 60% degli intervistati dichiara aspettative di rendimento inferiori rispetto ai normali valori di mercato. Per il 73% degli investitori equity i rendimenti attesi si attestano tra il 2% e il 5%. Per chi opera nel mercato del credito, i rendimenti attesi sono prevalentemente in linea con gli ordinari tassi di mercato.

Circa il rischio finanziario associato alle operazioni di finanza per l’impatto, l’insieme di intervistati ha dato risposte eterogenee: il 45,5% dichiara un rischio maggiore delle operazioni ordinarie, mentre il 42,4% in linea ed un 15,2% inferiore. È rilevante osservare che la percezione di maggiore rischiosità è sensibilmente differente tra investitori equity e operatori sul mercato del credito, essendo questi ultimi più orientati ad una percezione di rischio minore.

Tra i criteri di screening adottati dagli operatori per l’impiego del capitale, il più utilizzato è l’analisi del modello di business (83,3%) seguito dal potenziale del progetto imprenditoriale di rispondere a un bisogno sociale (66,7%) e dalle competenze manageriali e tecniche del team (30%). Da ciò si evince che per un terzo degli operatori l’impatto sociale rappresenta una condizione di eleggibilità dell’operazione finanziaria ma non un criterio di screening vero e proprio.

Tra le strategie di exit, riconosciute come un possibile ostacolo agli investimenti, prevalgono l’acquisizione delle quote da parte di altri investitori e il management buyout, mentre ancora irrilevante è l’aspettativa della possibile nascita di mercati organizzati per i titoli a impatto sociale. Dal punto di vista delle barriere che ostacolano lo sviluppo dell’industry, prevalgono la mancanza di competenze finanziarie dei soggetti investiti, debolezza dei social business model e un’assenza di politiche pubbliche.

Specularmente, tra le azioni necessarie a sviluppare l’industry, viene segnalata una necessità di azioni di capacity building tra le imprese che perseguono obiettivi di impatto sociale, lo sviluppo di azioni pubbliche volte alla semplificazione, nuovi schemi di partenariato pubblico-privato, la modellizzazione e l’omologazione dei processi e dei metodi utilizzati nei processi di investimento.

Coerentemente, il 60% degli intervistati considera il settore pubblico l’attore decisivo nell’imprimere un’accelerazione all’industry.

Il presente studio descrive un ecosistema che, seppur ancora di nicchia, contiene caratteristiche antropologiche, valori, modelli e strumenti che potranno giocare un ruolo decisivo nel fecondare una transizione dell’industria finanziaria mainstream verso un modello compatibile con le grandi sfide ambientali e sociali emergenti. Un laboratorio di innovazione e trasformazione che si propone come esempio per il ripensamento dei modelli di gestione di triliardi di asset affinchè possano generare insieme valore economico e sociale ristabilendo un rapporto più positivo con la società, con le comunità, con gli individui.

Il report completo è scaricabile dal sito www.tiresia.polimi.it

 

MBA Recruiting Day

Il prossimo 24 gennaio aziende e candidati MIP si incontreranno in occasione del prossimo MBA Recruiting Day  presso il MIP Politecnico di Milano, nel Campus Bovisa.
A partire dalle ore 10.00 le aziende potranno accogliere i candidati ai propri desk, allestiti in un’area dedicata in in base al settore aziendale: Technology & Digital | Industrial & Energy| Retail & Consumer Goods| Luxury, Fashion & Lifestyle| Consulting & Finance.
La mattinata terminerà con il networking lunch, riservato ai recruiter coinvolti la mattina e ai responsabili del Talent Acquisition delle aziende partecipanti.

L’MBA Recruting Day è dedicato agli studenti del nostro Master MBA Internazionale, disponibili da Maggio 2020 per opportunità di project work in azienda.

I candidati MBA hanno un background internazionale ed una esperienza lavorativa di 3-7 anni in settori eterogenei e aree funzionali quali: Sales & Business Development, Strategy, Operations, Marketing&Communication, Analytics and Big Data, PM, Legal, Digital Transformation.

L’MBA Recruting Day è riservato agli employer che avranno opportunità di:

  • selezionare candidati MBA internazionali ad alto potenziale per stage o posizioni aperte in diverse aree e funzioni aziendali
  • testare il talento di uno o più candidati offrendo un progetto strategico ad alto impatto sul business
  • confrontarsi con altri employer del network MIP durante i momenti di networking

Inoltre, le aziende avranno l’opportunità, una volta confermata la loro partecipazione, di pubblicare project work, annunci di stage o posizioni aperte prima dell’evento e ricevere direttamente le application dei candidati che incontreranno on campus. Ulteriori dettagli in merito alla pubblicazione degli annunci verranno condivisi a valle della registrazione.

Agenda
  • 9.00 – 9.30 Company Registration
  • 9.30-10.00 Welcome Coffee for Recruiters
  • 10.00- 13.00 Stand Opening and One to One Interviews
  • 13.00- 14.00 Networking Lunch for Recruiters
Modalità di partecipazione

La partecipazione all’evento – da confermare entro il 27 novembre 2019 –  è riservata ad un numero limitato di aziende del network MIP. Le adesioni verranno confermate fino ad esaurimento dei posti disponibili.
Per maggiori informazioni si prega di contattare la Unit Company Engagement& Partner Care (Company&PartnerCare@mip.polimi.it)
T. 02 2399 2832 – 2847 – 4898

Informazioni utili

24 Gennaio 20120| h 9.00 – 13.30
Politecnico di Milano – Campus Bovisa| Edificio BL 28 Glass Room 1 Piano
Via Raffaele Lambruschini 4B, Milano 20156

 

Fashion: premiata la laurea più sostenibile

Save The Duck, il primo marchio di piumini 100% animal free, ha consegnato ieri il premio di laurea alla migliore tesi sul tema della sostenibilità nel settore fashion. Dedicato agli studenti del Politecnico di Milano, il riconoscimento è stato istituito in collaborazione con la Sustainable Luxury Academy della School of Management dell’Ateneo, un Osservatorio permanente sul lusso responsabile. In palio: 5 mila euro.

 

Save The Duck, il primo marchio di piumini 100% animal free, ha consegnato ieri il premio di laurea dall’importo di 5.000 euro, istituito in collaborazione con la Sustainable Luxury Academy della School of Management del Politecnico di Milano e volto a valorizzare la migliore tesi sul tema della sostenibilità nel settore fashion. Ad aggiudicarsi il riconoscimento con un punteggio complessivo di 23.3 su 25 sono state Tiziana Modica e Maria Giulia Zanotti con la tesi «Introducing Postponement in Global Distribution Network Design: a Sustainability Perspective». Motivazione: «Ottimo lavoro, che prende in considerazione una tematica “calda” come la riduzione di emissioni di Co2 e l’ottimizzazione dei trasporti e della distribuzione delle merci. Si tratta inoltre di un progetto di respiro internazionale e, caratteristica fondamentale, modulabile secondo le esigenze di ogni azienda». Al premio hanno potuto candidarsi tutti gli studenti che hanno conseguito il titolo di laurea magistrale nel periodo tra ottobre 2018 e luglio 2019 con votazione non inferiore a 100/110 presso il Politecnico di Milano. Le vincitrici si sono focalizzate sulla sostenibilità della supply chain nel mondo fashion, con un focus sulla riduzione delle inefficienze nel sistema dei trasporti su scala internazionale. Obiettivo: garantire alle aziende benefici tangibili sul piano sia ambientale, sia economico.

Il riconoscimento è stato consegnato nel corso del Responsible Luxury Summit, l’annuale momento di confronto della Sustainable Luxury Academy, Osservatorio permanente sul lusso sostenibile finanziato dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Mazars per riunire le voci più influenti dell’industria dell’alto di gamma e incidere positivamente sul mercato. L’Osservatorio monitora quanto, con che politiche e risultati, le aziende italiane del lusso siano effettivamente sostenibili e propone una roadmap di azioni da intraprendere, anche grazie al dibattito tra imprese, docenti ed esperti come Carbonsink, società di consulenza specializzata in strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici che ha portato spunti di riflessione.

IDENTIKIT DEL PREMIO — L’obiettivo del progetto promosso da Save The Duck e fortemente voluto dal founder e ceo Nicolas Bargi è investire sul futuro delle giovani generazioni e sensibilizzarle ulteriormente su un tema cruciale per la vita di tutti noi. Lanciata nel 2011, l’azienda realizza capi privi di piume, pellami, pellicce e in generale materiali/tessuti di derivazione animale. L’ultimo traguardo raggiunto è stata la certificazione B-Corp, che distingue le aziende che volontariamente rispettano i più alti standard di responsabilità e trasparenza in ambito sociale e ambientale, dando lo stesso peso agli obiettivi economico-finanziari e agli obiettivi di impatto sociale e ambientale. Tra le partnership messe a segno da Save The Duck quelle con WWF, LAV, PETA e Sea Shepherd. «Sono molto orgoglioso della collaborazione con il Politecnico di Milano, eccellenza universitaria italiana, perché ci permette di sostenere giovani che ogni giorno si impegnano per poter contribuire a trovare soluzioni più sostenibili e rendere il mondo un luogo migliore» ha commentato Nicolas Bargi di Save The Duck. «Colgo l’occasione per complimentarmi con le due giovani vincitrici perché hanno saputo affrontare in modo efficace un tema estremamente complesso e di grande impatto sul mercato fashion (e non solo)». «Questo premio va esattamente nella direzione che ci siamo prefissi – ha aggiunto Alessandro Brun, a capo della Sustainable Luxury Academy della School of Management del Politecnico di Milano e direttore del Master in Global Luxury Management –: sensibilizzare maggiormente il settore del lusso sui temi della sostenibilità e della responsabilità sociale a partire dagli studenti, dalle nuove generazioni, che avranno il compito di trasformare le strategie e le analisi in realtà quotidiana».