Come si propagano gli spillover tra le materie prime energetiche durante periodi di maggiore stabilità ed episodi di crisi, distinguendo tra effetti a breve e a lungo termine

I combustibili fossili dominano la trasmissione degli shock lungo la catena di approvvigionamento energetico, con effetti amplificati durante gli episodi di crisi. Uno studio esplora come questi spillover influenzano i mercati delle materie prime, rivelando l’importanza di strategie di mitigazione per contenere l’instabilità.

 

I combustibili fossili spesso agiscono come principali trasmettitori di spillover – inteso come “propagazione dello shock” in un contesto economico e finanziario – verso i derivati energetici, con un’intensificazione dell’interconnessione tra le materie prime durante le crisi energetiche.

Un recente studio pubblicato sull’International Review of Financial Analysis da Mattia Chiappari, Francesco Scotti e Andrea Flori della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano analizza le dinamiche della trasmissione degli shock tra le materie prime energetiche, descrivendo come gli spillover influenzino le materie prime lungo la catena di approvvigionamento.

Lo studio ha due obiettivi principali: primo, determinare se i combustibili fossili a monte della catena di approvvigionamento, come petrolio, gas naturale e carbone, o i derivati a valle, come benzina, gasolio da riscaldamento ed etanolo, siano dominanti nella trasmissione degli shock; secondo, valutare se questi effetti varino in base alle condizioni di mercato, soprattutto durante crisi come la crisi globale delle materie prime del 2014-2015, la pandemia di COVID-19, il conflitto tra Russia e Ucraina e il conflitto israelo-palestinese.

I risultati rivelano che i combustibili fossili sono tipicamente i principali trasmettitori di shock, mentre i derivati agiscono solitamente come ricevitori, assorbendo le fluttuazioni. Tuttavia, in periodi di grave crisi, anche i derivati possono cambiare ruolo e diventare trasmettitori, amplificando l’impatto sui mercati delle materie prime. All’interno delle materie prime, la catena di approvvigionamento del petrolio guida la trasmissione degli spillover. In particolare, l’analisi delle frequenze degli shock a breve termine mostra che i mercati delle materie prime energetiche possono assorbire gli shock nel giro di pochi giorni, evidenziando l’efficienza con cui questi mercati incorporano nuove informazioni.

Principali approfondimenti:

  • I combustibili fossili svolgono un ruolo fondamentale nella trasmissione degli shock di mercato, in particolare durante i periodi di crisi.
  • I derivati energetici, al contrario, assorbono principalmente gli shock ma possono amplificarli durante periodi di instabilità estrema del mercato.
  • L’efficienza dei mercati energetici nella gestione degli shock apre a potenziali strategie per mitigare gli impatti delle crisi di mercato.

 

Per ulteriori approfondimenti, l’articolo completo è disponibile qui: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1057521924005970?via%3Dihub

Come le crisi finanziarie rimodellano le reti globali di produzione: lezioni dalla grande crisi del 2007

Le crisi finanziarie non solo danneggiano le economie direttamente coinvolte, ma si propagano modificando le reti multinazionali di produzione, con effetti duraturi a livello globale.

 

Le crisi finanziarie hanno un impatto significativamente negativo e duraturo sull’attività economica, causando forti cali nella produzione, nel credito e nell’occupazione. Questi effetti si estendono oltre i paesi direttamente colpiti dalla crisi, diffondendosi attraverso le attività delle imprese multinazionali nell’ambito delle reti globali di produzione. Queste reti possono agire come canali di trasmissione, poiché lo shock si propaga tra le affiliate situate in paesi con diversi livelli di esposizione alla crisi finanziaria.
Inoltre, la riorganizzazione della rete di una multinazionale a seguito di uno shock finanziario può ulteriormente propagare la crisi.

Uno studio di Giulia Felice, Professoressa di Economia Internazionale presso la School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Sergi Basco, Bruno Merlevede e Marti Mestieri, esamina come le imprese multinazionali possano facilitare la diffusione delle crisi finanziarie tra paesi.

Pubblicata sul Journal of International Economics, la ricerca si concentra sulle reti multinazionali europee durante la crisi finanziaria della fine degli anni 2000 ed esamina come lo shock finanziario abbia alterato la struttura delle reti di produzione multinazionali, influenzando la performance delle società madre e le loro decisioni riguardanti le affiliate negli anni a venire.

Gli autori, utilizzando un nuovo dataset che traccia l’evoluzione delle imprese multinazionali europee (MNE) e delle loro reti dal 2003 al 2015, per un totale di circa 18.000 reti multinazionali, hanno mostrato che a seguito di una crisi finanziaria, le affiliate possono essere escluse dalle reti di produzione anche se il paese in cui si trovano non è direttamente colpito. Allo stesso modo le società madre possono subire perdite di ricavi e occupazionali se le loro affiliate sono situate in aree colpite dalla crisi. Nel periodo 2006-2015, le reti di produzione che hanno subito uno shock maggiore sono cresciute meno e sono diventate più “locali” (con distanze ridotte tra società madri e affiliate, e tra affiliate). Inoltre, la complessità delle attività produttive di queste reti si è ridotta.

Lo studio evidenzia anche il ruolo cruciale dei vincoli di credito, e quindi dell’efficienza del sistema finanziario di un paese, nel determinare questi effetti. L’impatto negativo è stato più pronunciato per le società madre più indebitate prima della crisi, le cui reti di produzione operavano in settori finanziariamente più dipendenti, e per le affiliate più indebitate.

Considerata la natura ricorrente delle crisi finanziarie, è fondamentale comprendere come esse modifichino le catene di approvvigionamento globali e le relative implicazioni economiche. La riorganizzazione delle reti di produzione multinazionali a causa di shock finanziari può infatti avere conseguenze a lungo termine sull’efficienza produttiva, sulla diffusione dell’innovazione e sull’occupazione sia nei paesi direttamente colpiti che in altri paesi.

 

Per leggere l’articolo completo:
Financial crises and the global supply network: Evidence from multinational enterprises o la sintesi su VOX-EU.

Il nuovo ruolo delle DAO nella ricerca sanitaria

Uno studio sui vantaggi delle organizzazioni autonome decentrate rispetto ai sistemi tradizionali di finanziamento

 

Una nuova modalità di finanziamento della ricerca in ambito farmacologico/sanitario, con l’obiettivo di superare alcuni vincoli e rendere disponibili migliori cure per tutti.

È il focus di uno studio pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology da Laura Grassi, docente di Investment banking e del Finance Lab della School of Management del Politecnico di Milano.

Nel campo farmaceutico, i lunghi cicli di sviluppo, i costi elevati, i tassi di fallimento significativi e l’incertezza sui prezzi rappresentano ostacoli sostanziali allo sviluppo di nuovi farmaci. I sistemi di finanziamento tradizionali, basati sull’utilizzo di equity o grant, si rivelano spesso lenti e inadeguati per rispondere alle esigenze della ricerca innovativa.

In questo contesto, le Organizzazioni Autonome Decentralizzate (DAO) emergono come una possibile promettente alternativa. Le DAO utilizzano la tecnologia blockchain per facilitare una governance trasparente e decentralizzata, permettendo decisioni rapide e dirette senza la necessità di intermediari. Attraverso gli smart contract, le DAO possono rapidamente eseguire azioni complesse, migliorando l’efficienza e riducendo le barriere burocratiche e amministrative.

Lo studio si è concentrato, in particolare, su VitaDAO, un esempio di come una DAO possa essere impiegata nel settore delle scienze della vita.

Focalizzata sul finanziamento della ricerca sulla longevità, VitaDAO consente agli stakeholder di partecipare attivamente alla governance e al processo decisionale attraverso l’emissione di token, che conferiscono diritti di voto e una quota di proprietà dell’organizzazione. Questo modello non solo democratizza il processo di finanziamento, ma allinea anche gli interessi dei partecipanti verso l’obiettivo comune dell’avanzamento della ricerca.

Tuttavia, pur offrendo numerosi vantaggi come la trasparenza e l’efficacia decisionale, diversi sono i punti di attenzione. La regolamentazione delle DAO e dei token utilizzati può essere complessa e variare significativamente tra diversi contesti legali, creando incertezze. Inoltre, la gestione delle decisioni in modo completamente decentralizzato e pubblico può richiedere tempo e compromettere l’efficienza in situazioni di crisi.

Nonostante questi ostacoli, il caso di VitaDAO illustra il potenziale rivoluzionario delle DAO nel superare le limitazioni del sistema attuale di finanziamento della ricerca. Attraverso collaborazioni strategiche, come quella realizzata con Pfizer, VitaDAO non solo ha validato il suo modello operativo ma ha anche dimostrato la sua capacità di attrarre investimenti significativi, favorendo un ambiente di R&D più aperto e produttivo nel settore delle scienze della vita.

 

Per saperne di più
The potential of DAOs for funding and collaborative development in the life sciences.

Cresce in Italia la finanza a impatto: salute, educazione, tecnologia, agricoltura e ambiente i settori di maggior interesse

Tiresia-School of Management Politecnico di Milano e SIA-Social Impact Agenda per l’Italia presentano il rapporto “Finance for Impact: 2023 Italian Outlook – The Journey to Radicality”, la fotografia più aggiornata dello stato dell’impact finance in Italia. 

Lo studio coinvolge 39 operatori del mercato finanziario, il 72% di quanti dichiarano di adottare queste strategie di investimento. Due miliardi e 400 milioni di euro vengono gestiti da soggetti che hanno un approccio di impatto radicale, ovvero di totale aderenza ai principi di intenzionalità, misurabilità e addizionalità. Mario Calderini: «Ho fortemente voluto che l’Outlook avesse fin dal titolo un forte richiamo alla radicalità perché è la lente con la quale abbiamo analizzato il mercato italiano. Questi criteri stringenti consentono di delineare una nicchia di mercato che rappresenta il DNA più puro degli sforzi prodotti dall’industria finanziaria per contribuire alla soluzione di importanti problemi sociali e ambientali”. I principali settori di interesse risultano essere quelli della salute (68%) e, a parimerito, dell’educazione, della tecnologia, dell’agricoltura e dell’ambiente (61%).

 

Milano, 1 febbraio 2024 – Cresce in Italia la finanza a impatto, ovvero un’ampia gamma di investimenti e finanziamenti basati sull’assunto che i capitali privati, talvolta in combinazione con i fondi pubblici, possano intenzionalmente contribuire a creare impatti sociali positivi e misurabili e, al tempo stesso, rendimenti economici: 9,3 miliardi di euro a fine 2022, un terzo in più (+33%) dell’anno precedente, quando i miliardi erano circa 7 e rappresentavano l’8,5% del dato europeo. Gli Asset Under Management (AUM), infatti, a fine 2021 risultavano pari a 1.063 miliardi di euro a livello internazionale (fonte: GIIN) e a 80 miliardi a livello europeo (fonte: Impact Europe). Il 75% degli AUM italiani è gestito da organizzazioni bancarie (19% del campione di operatori oggetto di indagine), il 21% da gestori di fondi a impatto (71% del campione) e il 4% da investitori istituzionali (10%).

Sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto Finance for Impact: 2023 Italian Outlook – The Journey to Radicality presentato da Tiresia, il Centro di Ricerca per l’innovazione e la finanza per l’impatto sociale della School of Management del Politecnico di Milano, a oggi lo studio più aggiornato e completo in Italia che indaga con un approccio critico l’ecosistema della finanza a impatto sociale nel nostro Paese. Realizzato in collaborazione con SIA – Social Impact Agenda per l’Italia, il network italiano per gli investimenti e la finanza a impatto, e con il sostegno di Impact Europe e GSG on Impact Investing, l’Outlook consolida e arricchisce il percorso di analisi dell’evoluzione del mercato italiano della finanza per l’impatto, che Tiresia ha intrapreso nel 2016 e che oggi arriva restituire i dati del nostro Paese a tutto il 2022.

Lo studio coinvolge 39 operatori del mercato finanziario, che rappresentano il 72% di quanti dichiarano di adottare strategie di investimento riconducibili alla finanza per l’impatto in Italia. Nello specifico, 31 operatori sono asset manager che investono direttamente in organizzazioni imprenditoriali con finalità sociali o in organizzazioni del terzo settore.  Secondo i principi della finanza ad impatto – intenzionalità, misurabilità e addizionalità – il 45% degli operatori risulta avere un approccio di impatto radicale, ovvero di totale aderenza a questi principi; mentre il 55% ha un approccio generale. In Italia, quindi, 2,4 miliardi di euro vengono gestiti da operatori che hanno un approccio radicale alla strategia di investimento ad impatto e 6,9 miliardi di euro da operatori che scelgono un approccio generalista.

«Ho fortemente voluto che l’Outlook avesse fin dal titolo – The Journey to Radicality – un forte richiamo alla radicalità, perché la radicalità è la lente con la quale abbiamo analizzato il mercato italiano della finanza a impatto» dichiara Mario Calderini, professore ordinario del Politecnico di Milano e direttore di Tiresia. «Essere radicali significa aderire rigorosamente alla triade intenzionalità-misurabilità-addizionalità. Questi criteri stringenti consentono di delineare una nicchia di mercato che rappresenta il DNA più puro degli sforzi prodotti dall’industria finanziaria per contribuire alla soluzione di importanti problemi sociali e ambientali. E perché la finanza a impatto raggiunga volumi significativi e possa così migliorare, in modo consistente, la vita di quante più persone possibili, deve essere pienamente integrata in un nuovo ecosistema di economia sociale, plasmato da politiche pubbliche e animato da attori privati. Dopo dieci anni, è il momento di dirlo chiaramente: l’impatto o è politico o non è».

Tra i 31 gestori patrimoniali ci sono organizzazioni che gestiscono veicoli d’investimento a cui si applica la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR). Guardando alla classificazione Articolo 8 e Articolo 9 dei loro veicoli, risulta che alcuni operatori (il 29%) gestiscono veicoli di investimento che sono stati classificati come Articolo 8. Tuttavia il 50% ha una strategia di investimento che si allinea ai principi della finanza per l’impatto così come definita nel rapporto. Per il restante 71% di organizzazioni che gestiscono veicoli di investimento classificati come Articolo 9, si evidenzia al contrario un 40% che ha invece un approccio generalista e che non aderisce ai tre principi della triade dell’impatto. Questi risultati sollevano preoccupazioni sulla normativa UE, che manca ancora di una classificazione precisa degli approcci orientati all’impatto.

«Il mercato della finanza a impatto è cresciuto significativamente in appena 10 anni» osserva Filippo Montesi Altamirano, segretario generale di SIA. «Il nuovo report evidenzia il crescente interesse degli operatori finanziari e dei risparmiatori a investire in asset generativi di impatto ambientale e sociale positivo. Non possiamo sentirci ancora soddisfatti da questi risultati, sentiamo l’urgenza di mobilitare almeno il 10% degli Asset under management verso modelli di business a impatto e di preservare il carattere trasformativo della finanza a impatto, al fine di contribuire al raggiungimento dei Sustainable Development Goals a livello nazionale e globale».

 

I principali settori di interesse per gli operatori della finanza a impatto

I principali settori di interesse per gli operatori della finanza per l’impatto risultano essere quelli della salute (68%), quindi dell’educazione (61%) a parimerito con la tecnologia (61%), l’agricoltura (61%) e l’ambiente (61%). I Sustainable Development Goals a cui gli investimenti e il finanziamento contribuiscono maggiormente sono: lavoro dignitoso e crescita economica (80%); salute e benessere (77%); riduzione delle disuguaglianze (77%); città e comunità sostenibili (77%); consumo responsabile (77%). Per il 62% degli asset manager gli aspetti finanziari e sociali hanno lo stesso peso nelle scelte di investimento. Mentre per il 21% gli aspetti sociali rappresentano la logica decisionale prioritaria.

Tra i principali criteri di valutazione nella scelta di investimento e di finanziamento viene considerata la presenza di una missione d’impatto come criterio più ricorrente (88%), seguito dal potenziale di redditività e dalla scalabilità (52%) e composizione del team dell’organizzazione (48%). Altri criteri considerati sono, ad esempio, l’infrastruttura per la misurazione dell’impatto (24%) e la configurazione della governance in grado di salvaguardare il raggiungimento dei risultati sociali (8%). Le organizzazioni maggiormente supportate dagli operatori finanziari intervistati sono business tradizionali con una mission di impatto (come dichiarato dal 57% delle organizzazioni finanziarie) e organizzazioni not for profit che svolgono delle attività commerciali marginali (come dichiarato dal 54% delle organizzazioni finanziarie).

«Accogliamo con entusiasmo lo sforzo italiano di Tiresia e Social Impact Agenda per l’Italia di dare un quadro accurato del mercato della finanza a impatto» dichiara Alessia Gianoncelli, Director of Knowledge and Programs di Impact Europe. «È fondamentale avere la possibilità di conoscere a fondo il flusso di capitali all’interno del settore, capire quali siano gli investitori che adottano i tre principi dell’impatto – intenzionalità, misurabilità e addizionalità – analizzare le strategie di investimento per quanto riguarda i diversi settori e SGDs, avere un’idea chiara di quanto sia stringente (o meno) la classificazione Articolo 9, capire che peso hanno le varie tipologie di investitori. Questa ricerca accresce la conoscenza della finanza a impatto in Italia, rafforzando l’idea che sia necessario un aumento di risorse dedicate a questo settore, che purtroppo rappresenta ancora una nicchia, in Italia e in Europa».

Tra le principali barriere e driver di crescita del mercato emerse dallo studio, sicuramente si segnala la mancanza di opportunità di investimento interessanti a causa della carenza di competenze manageriali (40%), la mancanza di metodologie di misurazione di impatto standardizzate, trasparenti e comparabili (23%) e l’assenza di istituzioni pubbliche in grado di sostenere questo mercato attraverso specifiche facilitazioni e quadri normativi (30%). È fortemente emersa la necessità di una maggiore presenza della pubblica amministrazione (42%) e di investitori istituzionali (65%), oltre che la necessità di rafforzare ulteriormente la collaborazione multi-stakeholder (54%).

 

Per scaricare il report completo: https://www.tiresia.polimi.it/finance-for-impact-2023-italian-outlook/

 

I Venture Capitalist in Italia? Sono molto prudenti, 8 volte su 10 puntano sull’imprenditore invece che su tecnologia e prodotto


I risvolti italiani di una survey sulle pratiche dei VC di diversi Paesi europei condotta da 8 prestigiose Business School

 

I Venture Capitalist italiani sono molto più prudenti di quelli statunitensi e anche di quelli europei, almeno se si considerano Paesi come Francia, Germania, Belgio, Spagna, Portogallo e Svezia. Concedono finanziamenti valutando quasi esclusivamente la storia – di successo – dell’imprenditore e poco o nulla il prodotto, la tecnologia e il mercato che vengono loro proposti, quando operano in sindacato lo fanno in prima battuta per condividere i rischi (46,4% dei casi), nelle decisioni sugli investimenti cercano l’unanimità una volta su due e preferiscono venire remunerati con bonus finanziari annuali, meno rischiosi, piuttosto che con percentuali (in genere il 20%) sul capital gain. Sono i principali risultati relativi all’Italia di una survey condotta sulle prassi del Venture Capital europeo da un consorzio di prestigiose Business School del Vecchio Continente, tra cui la School of Management del Politecnico di Milano: Audencia Business School, Vlerick Business School/Ghent University, London Business School, Stockholm School of Economics, Universidad Complutense de Madrid e Univiersité du Luxembourg.

Nel 2020 è stata pubblicata una ricerca autorevole che fotografava le pratiche dei Venture Capitalist statunitensi. – spiega Massimo Colombo, docente di Finanza imprenditoriale alla School of Management del Politecnico di MilanoCi siamo chiesti se gli investitori europei si comportassero allo stesso modo o se – viste le differenze storico-istituzionali, la dimensioni inferiore del mercato, ad esempio in Italia, o la diversa governance – ci fossero differenze significative. Abbiamo quindi proposto un questionario simile a tutti i Venture Capitalist noti in Italia, Francia, Germania, Belgio, Spagna, Portogallo e Svezia e abbiamo raccolto 885 risposte (corrispondenti al 44% dell’ammontare degli investimenti di VC nel 2022) di cui 44 italiane, pari a una simile percentuale sul totale”.

Stando all’indagine, in Italia si ricevono molte meno proposte che in Europa: all’investitore italiano “tipico” ne sono state sottoposte circa 400 negli ultimi 12 mesi, contro le 500 dell’Europa. Tuttavia, gli investitori italiani ne accettano una su 43 invece che una su 51, finendo per essere meno selettivi. E il fattore chiave per decidere se concedere o meno il capitale è sostanzialmente il team imprenditoriale: infatti, 8 volte su 10 investono su chi ha già dimostrato di avere una storia – imprenditoriale o manageriale – di successo. “Anche in Europa si considera l’imprenditore, il joker, più dell’horse, il cavallo, rappresentato da tecnologia, prodotto e mercato – commenta il Prof. Colombo -, ma se in quel caso le percentuali sono 53,1% contro 27,6%, in Italia si sale addirittura a 81,6% contro 7,9%. Anche il fit fra investitore e startup e il valore aggiunto che il VC può apportare hanno scarsa importanza (5,3%) mentre in Europa valgono fino al 12%”.

Ancora, nel team imprenditoriale gli investitori italiani valutano soprattutto la passione e il commitment (28,9%) e l’esperienza settoriale (23,7%), cui attribuiscono un peso decisamente superiore rispetto ai colleghi europei, che apprezzano di più la competenza (28,2%) e non tralasciano l’esperienza imprenditoriale (19,3%).

Quanto al valore aggiunto del VC, anche gli italiani, come gli europei, forniscono il maggior supporto alle startup nella creazione di legami con fornitori, clienti e partner, nelle acquisizioni e nel monitoraggio come membri del CdA. Il supporto strategico e operativo, invece, è meno frequente.

Raramente un Venture Capitalist investe da solo, in genere preferisce investire attraverso un sindacato, ma se in Europa lo fa per trovare competenze complementari (38,5%) e in misura minore per condividere il rischio (28,8%), in Italia quest’ultimo aspetto diventa nettamente preponderante (46,4%), mentre le competenze complementari pesano solo per un terzo. La necessità di superare vincoli di capitale scende poi dal 22,4% europeo al 14,3% (in Italia di solito i round sono di entità inferiore).

Nello scegliere i partner del sindacato, la reputazione e i passati successi sono il fattore determinante, sia in Italia (45,1%) che, in egual misura, in Europa (44,9%), mentre l’esperienza settoriale conta decisamente di più in Italia (35,5% contro 22,5%). Al contrario, le precedenti collaborazioni hanno minor peso (3,2% contro 11,5%). Quando poi si tratta di scegliere su quali startup puntare, gli investitori italiani perseguono nella metà dei casi l’unanimità (contro il 32,8% europeo), mentre in Europa si vota a maggioranza (37,6% contro 35%) e la ricerca del consenso pesa addirittura il doppio (25,9% contro 12,5%).

CFA Research Challenge 2023: il Politecnico di Milano vince l’edizione italiana

Cinque studenti del Politecnico di Milano battono l’Università di Napoli Federico II e l’Università di Venezia Ca’ Foscari con l’analisi finanziaria di Technogym e si preparano alla regionale EMEA. La finale globale si terrà il prossimo 3 maggio 2023.

 

Il team della School of Management del Politecnico di Milano vince la finale italiana della CFA Research Challenge 2023, competizione mondiale di finanza targata CFA Institute e promossa nel nostro Paese da CFA Society Italy con il supporto di PwC Italia  e Kaplan Schweser.

La finale che ha visto il coinvolgimento di dieci atenei, 48 studenti e oltre 30 professionisti, si è svolta presso l’headquarter milanese di PwC Italia martedì 28 febbraio. Alla fase italiana, coordinata da CFA Society Italy, hanno partecipato i team delle seguenti università: Università Cattolica, Politecnico di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Università di Roma Tor Vergata, Università di Firenze, Università di Bologna, Sapienza Università di Roma , Università di Pavia, Università Politecnica delle Marche e Università di Napoli Federico II.

Gli studenti di Ingegneria Gestionale Alberto Giannetto, Gabriel Mazzante, Andrea Marconi, Giulio Galloni e Alberto Peccol, sotto la guida dei docenti Laura Grassi e Marco Giorgino e del mentor Giacomo Saibene, hanno presentato la loro analisi finanziaria sul titolo di Technogym a una giuria di sei esperti del settore finanziario: Roberto Sollevanti, Andrea Bonfà, Mauro Baragiola, Alberto Mari, CFA, Angelo Meda, CFA, CIPM, Pinuccia Parini.

Il Politecnico di Milano proseguirà direttamente per le semifinali regionali EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), che si terranno il prossimo 6-7 aprile. A testimonianza dell’elevata qualità dei nostri studenti e dei professionisti che li seguono, già nel 2011, 2014, 2016 e 2022 l’Italia si è aggiudicata la finale regionale EMEA.

La finale mondiale si disputerà il 3 maggio 2023, mettendo a confronto i vincitori di EMEA, America e Asia Pacifico.

“Questa vittoria rappresenta un traguardo importante nel nostro percorso professionale e siamo fieri del duro lavoro che abbiamo svolto per raggiungerlo. La CFA Research Challenge ci ha dato l’opportunità di misurarci con altri ragazzi di altre università e di mettere in pratica gli argomenti studiati durante il percorso accademico.” Queste le prime parole espresse da Alberto Giannetto, Gabriel Mazzante, Andrea Marconi, Giulio Galloni e Alberto Peccol, membri del team vincitore italiano. “Ringraziamo di cuore i nostri docenti Laura Grassi e Marco Giorgino e il nostro mentor Giacomo Saibene. Senza di loro non avremmo mai tagliato questo traguardo. Non vediamo l’ora di affrontare la prossima fase della competizione e siamo fiduciosi di andare avanti”.

“In questi ultimi 10 anni la squadra del Politecnico ha sempre saputo mostrare la sua preparazione sia a livello italiano che internazionale”. Hanno affermato i docenti del Politecnico di Milano Laura Grassi, Assistant Professor of Investment Banking, e Marco Giorgino, Full Professor of Financial markets and Institutions. “Come loro professori, siamo molto fieri delle competenze che la nostra Scuola trasmette loro permettendo di raggiungere questi eccellenti risultati che si confermano di anno in anno”.

“Dopo aver vissuto l’esperienza di studente partecipante alla CFA Research Challenge nel 2011, è stata una grande soddisfazione, oltre che un’emozione incredibile, fare il mentore in questa edizione, aiutando questo fantastico team a sfidare i propri limiti e a costruire una solida analisi critica e un’attenta valutazione finanziaria”. Ha dichiarato Giacomo Saibene, mentor della squadra vincitrice e membro del team italiano che nel 2011 ha vinto il titolo mondiale della competizione.

“La Research Challenge è una iniziativa che incanala verso obiettivi importanti nel mondo della formazione e delle accademie. Diventa sempre più rilevante avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, combinando le conoscenze accademiche con le tecniche e gli strumenti utilizzati dai professionisti del settore finanziario. Inoltre, vogliamo dare risalto alle nostre eccellenze universitarie italiane a livello europeo e mondiale”. Ha commentato Giuliano Palumbo, CFA, presidente, CFA Society Italy.

“CFA Society Italy, nella sua attività pluriennale, ha costruito un’intensa relazione con le università italiane per promuovere i principi di integrità ed eccellenza professionale presso le giovani generazioni”. Ha affermato il coordinatore del progetto, Giuseppe Quarto di Palo, CFA. “Siamo felici di poter offrire alle università e ai loro talenti l’opportunità di misurarsi in una competizione realistica, volta a riprodurre l’esperienza di un ufficio di ricerca di società di gestione o di case di investimento. Ai migliori studenti offriamo, inoltre, borse di studio per accedere al Programma CFA, al fine di ottenere una certificazione globalmente riconosciuta nel settore finanziario”.

Il Politecnico di Milano vince la fase italiana della CFA Research Challenge 2022

Cinque ingegneri della School of Management battono Federico II di Napoli e l’Università degli Studi di Pavia con l’analisi finanziaria di Reply e si preparano alla regionale EMEA. La finale globale si terrà il prossimo 16 maggio.

 

Il team della School of Management del Politecnico di Milano vince la finale italiana della CFA Research Challenge 2022, competizione mondiale di finanza targata CFA Institute e promossa nel nostro Paese da CFA Society Italy con il prezioso supporto di FactSet Italia e Kaplan Schweser.

La finale si è svolta in presenza nell’headquarter milanese di Reply martedì 1° marzo e ha visto il coinvolgimento di dieci atenei, 50 studenti e oltre 30 professionisti. Alla fase italiana, coordinata da CFA Society Italy, hanno partecipato i team rappresentanti le seguenti università: Università Cattolica, Politecnico di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Università di Roma Tor Vergata, Università di Firenze, Università di Bologna, Libera Università di Bolzano, Università di Pavia, Università Politecnica delle Marche e Università di Napoli Federico II.

Gli studenti Gianluca Dente, Alberto Gegra, Andrea Rampoldi, Alessandro Criniti e Francesco Saverio Pirolo, sotto la guida dei docenti Laura Grassi e Marco Giorgino e del mentor CFA Alberto Mari, hanno presentato la loro analisi finanziaria sul titolo di Reply a una giuria di sei esperti del settore finanziario: Mauro Baragiola, Luca Forlani, CFA, Marco Greco, Paolo Perrella, CFA, Patrizia Saviolo, CFA, e Carla Scarano. Il secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente l’Università di Napoli Federico II e l’Università degli Studi di Pavia.

Il Politecnico di Milano proseguirà direttamente per la finale regionale EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), che si terrà il prossimo 28 aprile. A testimonianza dell’elevata qualità dei nostri studenti e dei professionisti che li seguono, già nel 2011, 2014 e 2016 l’Italia si è aggiudicata la finale regionale EMEA.
La finale mondiale, invece, si disputerà il 16 maggio 2022, mettendo a confronto i vincitori di EMEA, America e Asia Pacifico, e i vincitori verranno ufficialmente proclamati il 17 maggio 2022.

“CFA Society Italy, nella sua attività pluriennale, ha costruito un’intensa relazione con le università italiane per promuovere i principi di integrità ed eccellenza professionale presso le giovani generazioni”. Ha affermato il coordinatore del progetto, Giuseppe Quarto di Palo, CFA. “Siamo felici di poter offrire alle università e ai loro talenti l’opportunità di misurarsi in una competizione realistica, volta a riprodurre l’esperienza di un ufficio in ricerca di società di gestione o di case di investimento. Ai migliori studenti offriamo, inoltre, borse di studio per accedere al Programma CFA, al fine di ottenere una certificazione globalmente riconosciuta nel settore finanziario”.

La Research Challenge è una iniziativa che incanala verso obiettivi importanti nel mondo della formazione e delle accademie. Diventa sempre più rilevante avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, combinando le conoscenze accademiche con le tecniche e gli strumenti utilizzati dai professionisti del settore finanziario. Inoltre, vogliamo dare risalto alle nostre eccellenze universitarie italiane a livello europeo e mondiale”. Ha commentato Giuliano Palumbo, presidente CFA Society Italy. “Questo progetto non potrebbe esistere senza il prezioso contributo dei volontari dell’associazione e dei partner che hanno sostenuto l’iniziativa FactSet, Kaplan Schweser e Reply, società oggetto di ricerca da parte degli studenti”.

Michael Jordan sosteneva che il talento fa vincere le partite, ma l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere i campionati. Mi congratulo con gli studenti del Politecnico di Milano che hanno dimostrato non solo competenze tecniche sopra la media, ma anche e soprattutto affiatamento e spirito di cooperazione mirati a raggiungere la vittoria finale” ha sottolineato Stefano Di Rosa, CIIA, Senior Sales Rapresentative di FactSet Italia, sponsor dell’edizione italiana della CFA Research Challenge dal 2016.

Anno dopo anno la competizione permette ai migliori talenti delle università italiane di mettersi alla prova con professionisti di altissima caratura, di approfondire i fondamentali dell’equity research, di sviluppare soft skill e di confrontarsi tra di loro”. Hanno commentato i docenti del Politecnico di Milano, Laura Grassi, Assistant Professor of Investment Banking, e Marco Giorgino, Full Professor of Financial Market and Institutions. “Siamo molto orgogliosi della vittoria della nostra squadra, che ripaga dei grandi sacrifici i nostri cinque membri, e che a loro volta li rende un riferimento per i futuri colleghi/e del prossimo anno. Questo è per loro il miglior ingresso nel mondo professionale e per il nostro ateneo un ulteriore riconoscimento della nostra qualità. Ora guardiamo all’EMEA, con voglia, impegno e desiderio di replicare il medesimo risultato”.

La CFA Research Challenge è stata sicuramente la sfida più dura della nostra vita, e allo stesso tempo l’esperienza più stimolante sia a livello professionale che a livello personale. È stata un’opportunità incredibile che ci ha permesso di lavorare a stretto contatto con il nostro mentor CFA Alberto Mari, e con i nostri docenti Laura Grassi e Marco Giorgino, che ringraziamo di cuore. Ringraziamo anche la CFA Society Italy per aver reso possibile tutto questo e non vediamo l’ora di portare alto il nome del nostro paese in EMEA” queste sono le prime parole espresse dopo la vittoria dal team del Politecnico di Milano.

 

CFA Research Challenge 2021: il team del Politecnico di Milano vince la fase italiana

I cinque ingegneri gestionali della School of Management battono l’Università di Napoli Federico II e l’Università Luiss Guido Carli con l’analisi finanziaria di ERG e si preparano alla regionale EMEA. La finale globale si terrà il prossimo 22 aprile.

 

Milano, 3 marzo 2021 – Il team del Politecnico di Milano vince la finale italiana della CFA Research Challenge 2021, competizione mondiale di finanza targata CFA Institute e promossa nel nostro Paese da FactSet e Kaplan Schweser.

La finale si è svolta online lunedì 1 marzo, e ha visto il coinvolgimento di dieci atenei, 47 studenti e oltre 30 professionisti. Alla fase italiana, coordinata da CFA Society Italy, hanno partecipato i team rappresentanti le seguenti università: Università Cattolica, Politecnico di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Università di Roma Tor Vergata, Università di Firenze, Università di Bologna, Libera Università di Bolzano, Università Luiss Guido Carli, Università Politecnica delle Marche e Università di Napoli Federico II.

Gli studenti Riccardo Mellara, Davide Muffolini, Lorenzo Chiesa, Nicola Guidi, e Andrea Baronchelli sotto la guida dei docenti Laura Grassi e Marco Giorgino e del mentor CFA Alberto Mari, hanno presentato la loro analisi finanziaria sul titolo di ERG a una giuria di sei esperti del settore finanziario: Emanuele Oggioni (Banca Akros), Dennis Montagna, CFA (Credit Suisse), Alberto Chiandetti, CFA (Fidelity International), Carla Scarano (Anima SGR), Luca Forlani, CFA (Eurizon Capital), Pinuccia Parini (Fondi e Sicav). Il secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente all’Università di Napoli Federico II e all’Università Luiss Guido Carli.

Il Politecnico di Milano proseguirà direttamente per la finale regionale EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), che si terrà il prossimo 20 aprile. A testimonianza dell’elevata qualità dei nostri studenti e dei professionisti che li seguono, già nel 2016, 2014 e 2011 l’Italia si è aggiudicata la finale regionale EMEA.

La finale mondiale, invece, si disputerà il 22 aprile 2021, mettendo a confronto i vincitori di EMEA, America e Asia Pacifico. 

“CFA Society Italy, nella sua attività pluriennale, ha costruito un’intensa relazione con le università italiane per promuovere i principi di integrità ed eccellenza professionale presso le giovani generazioni”. Ha affermato il coordinatore del progetto, Giuseppe Quarto di Palo, CFA. “Siamo felici di poter offrire alle università e ai loro talenti l’opportunità di misurarsi in una competizione realistica, volta a riprodurre l’esperienza di un ufficio di ricerca di società di gestione o di case di investimento. Ai migliori studenti offriamo, inoltre, borse di studio per accedere al Programma CFA, al fine di ottenere una certificazione globalmente riconosciuta nel settore finanziario”.

“Questa iniziativa consente di raggiungere alcuni obiettivi importanti nel mondo della formazione e delle accademie. Innanzitutto, avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, combinando le conoscenze accademiche con le tecniche e gli strumenti utilizzati dai professionisti del settore finanziario. Il secondo obiettivo è quello di dare risalto alle nostre eccellenze universitarie italiane a livello europeo e mondiale”. Ha commentato il presidente di CFA Society Italy, Giancarlo Sandrin. “Questo progetto non potrebbe esistere senza il prezioso contributo dei volontari dell’associazione e dei partner che hanno sostenuto l’iniziativa FactSet, Kaplan Schweser e ERG, società oggetto di ricerca da parte degli studenti”.

“Anche in questa quarta edizione, FactSet ha avuto il piacere di supportare la CFA Research Challenge offrendo la sua piattaforma analitica a tutti gli studenti, professori e mentor”. Ha sottolineato Dorin Agache, Account Manager FactSet. “Quest’anno abbiamo visto un maggior coinvolgimento da parte delle Università partecipanti che hanno colto il valore della competizione utilizzando appieno anche la versione FactSet Web per effettuare l’analisi finanziaria di ERG. Un in bocca al lupo al team del Politecnico di Milano per la fase EMEA!”.

 Con la vittoria italiana della CFA Research Challenge, siamo davvero orgogliosi del livello che ogni anno i nostri ragazzi mostrano sui temi finanziari e che rappresenta la qualità degli studi che questo Ateneo offre”. Sono le parole espresso dai docenti del Politecnico di Milano Marco Giorgino e Laura Grassi.

 La CFA Research Challenge è stata sotto ogni aspetto una delle sfide più grandi della nostra vita. Nonostante questo, i risultati ottenuti e la crescita personale e professionale, ripagano tutti gli sforzi di questi mesi. Abbiamo avuto l’onore di collaborare con un grande esperto del settore, il nostro mentore, Alberto Mari CFA e con i nostri docent Marco Giorgino e Laura Grassi: a loro dedichiamo questo traguardo. Non vediamo l’ora di rappresentare l’Italia alla fase regionale EMEA e cercare di strappare il titolo di vincitori!”. Il primo commento espresso dal team vincitore del Politecnico di Milano.

Stimoli dagli approcci evolutivi: algoritmi e sfide in finanza

Avanzate tecniche analitiche prese in prestito da una letteratura eterogenea per estrarre dai dati informazioni preziose, stanno guadagnando slancio all’interno della comunità finanziaria. Questo articolo introduce brevemente come gli ecosistemi finanziari siano sempre più sensibili all’applicazione di algoritmi biologici ed evolutivi volti ad analizzare il comportamento e le dinamiche dei loro partecipanti.

Andrea Flori, Ricercatore in Management and Finance, School of Management, Politecnico di Milano

 

In un popolare lavoro del 1973, Burton Malkiel mostrò come una scimmia bendata che lancia freccette alle pagine finanziarie di un giornale potrebbe selezionare un portafoglio in grado di performare bene come uno accuratamente costruito da esperti (“A Random Walk Down Wall Street”, 1973), contribuendo ad alimentare il dibattito sulla possibilità di estrarre segnali informativi da dati finanziari e dai comportamenti degli operatori di mercato.

I mercati finanziari costituiscono quindi una arena in cui tecniche ed algoritmi di predizione tentano di sfidare l’efficienza dei mercati attraverso l’identificazione di patterns.

È in tale contesto che numerose metodologie, mutuate da vari ambiti scientifici, si sono diffuse e reciprocamente contaminate per fornire una prospettiva nuova per lo studio della dinamica di sistemi finanziari complessi e delle interdipendenze che governano le relazioni tra i loro partecipanti.

L’infrastruttura di mercato, il ruolo dell’informazione ed il comportamento degli operatori rappresentano pertanto alcuni dei pillars ricorrenti nella definizione di questi approcci di analisi in contesti finanziari.

In particolare, il ricorso ad approcci ispirati da contesti biologici ha catturato l’attenzione di molti operatori finanziari interessati ad una nuova generazione di tecniche intelligenti di analisi e calcolo che imitino l’esecuzione di azioni umane.

Algoritmi genetici e reti neurali hanno pertanto pervaso la letteratura in finanza e contribuito alla diffusione di innovazioni metodologiche ispirate all’evoluzione biologica e al funzionamento umano, ottenendo, attraverso l’utilizzo di una prospettiva di analisi multidisciplinare e computazionalmente evoluta, risultati spesso promettenti rispetto ai tradizionali metodi di analisi statistica.

Nello specifico, gli algoritmi genetici utilizzano strumenti e prospettive proprie della selezione naturale e della genetica per identificare la migliore soluzione al problema. Mimando l’evoluzione biologica, una popolazione iniziale viene iterativamente mutata e ricombinata per determinare generazioni successive, in modo tale che le modifiche che hanno un impatto desiderabile vengono mantenute nel bagaglio genetico delle future generazioni nel tentativo di convergere verso soluzioni ottimali. Ad ogni individuo, cioè soluzione candidata, viene quindi assegnato un valore di fitness rispetto ad una funzione obiettivo e agli individui con caratteristiche più promettenti viene assegnata una maggiore probabilità di accoppiarsi per generare nuovi individui, quindi soluzioni al problema, potenzialmente ancora più performanti, in linea con la teoria darwiniana della “sopravvivenza del più adatto”. Le reti neurali, invece, sono costruite per imparare dalla struttura dei dati e processare un segnale attraverso neuroni artificiali tra loro interconnessi per creare una configurazione simile al funzionamento del sistema nervoso umano. Ad ogni connessione è associato un peso che contiene informazioni sul segnale di ingresso, inibendo oppure stimolando il segnale che viene comunicato ai neuroni per risolvere uno specifico problema. L’informazione rinveniente dall’esterno come input viene quindi elaborata internamente in uno o più layers di analisi che attivano determinati neuroni e trasmettono il segnale ad altri, prima di determinare un output la cui accuratezza previsionale può essere incrementata da un processo di apprendimento delle azioni svolte in precedenza. Le reti neurali sono quindi un sistema adattivo complesso in grado di mutare ed adattare la propria struttura interna in base al contesto e alle informazioni che lo attraversano.

Questi approcci risultano essere pertanto flessibili ed in grado di adattarsi a nuove circostanze, eventualmente imparando dall’esperienza passata e reagendo agli stimoli provenienti da nuovi segnali nel sistema.

Non stupisce, quindi, che tali tecniche, separatamente oppure tra loro combinate, siano sempre più spesso applicate in molteplici ambiti in finanza, quali ad esempio in analisi predittive dei mercati e nella selezione di regole di allocazione di portafoglio, hedging di strumenti finanziari, applicazioni di robo-advisoring.

Negli ultimi anni, con l’aumento della potenza e delle risorse di calcolo e la loro ampia disponibilità, tecniche avanzate per analisi massive di dati stanno infatti guadagnando slancio all’interno della comunità finanziaria, contribuendo ad una letteratura in forte crescita che, oltre alle tecniche sopracitate, sfrutta, più in generale, un uso su larga scala di concetti di statistical learning e di deep learning per identificare patterns nei mercati finanziari, studiare le complesse relazioni non lineari tra e all’interno le serie temporali finanziarie, individuare anomalie di mercato.

In aggiunta, ripetuti episodi di crisi finanziaria con le loro esternalità di vasta portata e gli effetti a cascata sui mercati finanziari e sull’economia reale hanno motivato lo studio e predisposizione di nuovi strumenti per monitorare e prevedere la diffusione di instabilità nei sistemi finanziari e per gestire le criticità che possono emergere.

L’adozione di approcci di statistical learning e di tecniche di deep learning nello studio dei sistemi finanziari richiedono tuttavia nuovi paradigmi, conoscenze ed abilità pratiche necessarie per sviluppare una solida base di modelli ed algoritmi che siano opportunamente applicati nei domini di riferimento e capaci, al contempo, di sfruttare le potenzialità che scaturiscono da un approccio transdisciplinare all’investigazione scientifica.

Nel mondo della finanza, tali strumenti di analisi sono della massima importanza per il futuro sviluppo tecnologico, svolgendo un ruolo fondamentale in molti aspetti dell’ecosistema finanziario. L’analisi massiva dei dati con tecniche avanzate di statistical learning e deep learning è infatti molto richiesta in numerosi ambiti ed in una ampia gamma di applicazioni che comprende, oltre la previsione di andamenti di mercato, anche ad esempio lo studio delle dipendenze tra sistemi finanziari, l’approvazione di linee di credito, la gestione efficiente delle risorse finanziarie, l’individuazione di anomalie e frodi, la valutazione di rischi.

Queste sfide sembrano indicarci quindi una nuova prospettiva di ricerca, al crocevia tra data mining, analisi predittiva e modellazione causale, che permetta di sfruttare la forza di questi algoritmi di analisi e calcolo per investigare problemi economico-sociali di contesti reali e mutevoli.

Quando finanza fa rima con innovazione. Welfin si presenta

Un’idea, un project work, una startup: la storia di Welfin passa dalle aule del MIP al mercato finanziario grazie alla sua forte impronta innovatrice. Sarà la prima piattaforma di prestiti P2P con credito garantito dall’azienda a essere lanciata sul mercato. I suoi fondatori raccontano il progetto.

«In Italia il mercato del credito al consumo è in continua espansione e i prestiti P2P (peer to peer, ndr) continuano ad avere un grande potenziale». Perché non partire da qui e ripensare il credito tra privati in una nuova ottica intra e inter-aziendale? Questa la riflessione da cui sono partiti Ideo Righi, Francesco Giordani, Alessandra Bellerio e Roberto Bertani, fondatori di Welfin, nonché alumni EMBA Pt 2018.
Welfin è una piattaforma che rivoluziona il credito tra dipendenti, permettendo a una o a più comunità aziendali di ottenere il massimo dalla condivisione delle proprie risorse. In altri termini, per dirla con le parole dei cinque fondatori, «Welfin mette in relazione lender (chi presta), borrower (chi prende in prestito) e azienda (che fa da garante) favorendo la creazione di condizioni vantaggiose per tutti gli attori in gioco». Vediamo di capirne di più.

Un modello di business che mette d’accordo tutte le parti

In un mercato del credito al consumo che presenta tassi di interesse mediamente elevati, le politiche di concessione del credito da parte delle aziende sono spesso caute e il costo del recupero crediti oneroso. «Welfin interviene creando un circolo virtuoso che premia i tre interlocutori in gioco, lender, borrower e azienda, attraverso un sistema win-win-win» spiega Francesco. «Win per chi presta, perché ha un rendimento garantito dall’azienda a tassi superiori di quelli di mercato; win per chi prende in prestito perché ottiene tassi vantaggiosi e win per l’azienda, che facendo da garante fidelizza i dipendenti, ne aumenta il senso di appartenenza e migliora la propria reputation», prosegue Alessandra. «Welfin offre all’azienda un nuovo strumento di welfare con cui ottimizzare la gestione del credito insoluto, creare un beneficio economico condiviso puntando sull’innovazione finanziaria – sottolinea Ideo -. Sono già molti gli imprenditori che, consapevoli dell’efficienza del modello di business di Welfin, desiderano implementare la piattaforma e partire quanto prima».

Genesi e sviluppo di Welfin. Dal project work alla scelta di “fare impresa”

Ma qual è stato il punto di partenza? «L’osservazione di una realtà imprenditoriale che soffriva dell’insolvenza, verso strutture di credito al consumo, dei suoi dipendenti ci ha permesso di riflettere e studiare un sistema che potesse aiutare tutte le parti coinvolte, dall’azienda ai dipendenti. Abbiamo quindi individuato un’esigenza e ideato una soluzione» spiega ancora Ideo. Per Alessandra, «i valori di riferimento che hanno ispirato Welfin sono stati l’etica, la trasparenza e l’utilità per i dipendenti». Un’idea diventata prima project work per l’EMBA Pt 2018 e poi – grazie alla fiducia e al successo ottenuto – una startup. «Quando ci siamo accorti del suo potenziale, abbiamo deciso di “fare impresa”» racconta Francesco. «Ci siamo scelti all’interno dell’aula del Master e abbiamo creato un team affiatato, trasversale, con alle spalle già un’esperienza di business e quindi una chiara percezione dei rischi. Una squadra che viaggia sulla stessa lunghezza d’onda quindi, sia in ottica di crescita personale che professionale», commenta Alessandra.

La finanza premia l’innovazione sostenibile

Welfin ha vinto il Premio “Fintech & Insurtech 2019”, istituito dall’omonimo Osservatorio del Politecnico di Milano, riservato ai progetti più innovativi in ambito finanziario. Quali sono state le sue carte vincenti? «Un modello di business inedito che riesce a innovare il settore finanziario in modo sostenibile e intelligente» raccontano gli ideatori. «Grazie al riconoscimento ottenuto inizieremo un periodo di incubazione attraverso il PoliHub, contestuale allo sviluppo di tutti gli ambiti necessari al go to market, da quello fiscale a quello legale, in modo da arrivare pronti al calcio d’inizio ufficiale».
L’azienda, inoltre, ha anche avviato un dialogo con Banca d’Italia. «Abbiamo effettuato una prima valutazione della compliance normativa del modello di business. Un’esperienza che ci ha offerto conferme e spunti di riflessione per arrivare al go to market ancora più pronti», raccontano i tre, che in conclusione illustrano il ruolo che ha avuto il MIP in questa esperienza e i suoi punti di forza: «Il network, la professionalità dei docenti e il grande supporto in tutte le fasi di sviluppo del progetto. Il Master ci ha garantito un’esperienza orientata all’imprenditorialità, fortemente pragmatica e interattiva ed è stato anche un incubatore di talento e open-mindedness di modelli applicativi di business e sviluppo di leadership. E il modello di business di Welfin, secondo noi, potrebbe essere ancora più efficace nel periodo di ripresa dalla pandemia di Covid-19, quando di fronte all’aumento delle criticità per l’accesso al credito al consumo, fungerà da supporto per i nuclei familiari e i singoli lavoratori in difficoltà».
Non resta che (ri)partire, quindi.