Banor SIM presenta il nuovo studio in ambito ESG sul mercato obbligazionario

Dopo la ricerca sulla relazione tra le performance azionarie e i criteri ESG presentata lo scorso anno che considerava il mercato azionario europeo, BANOR SIM e la School of Management del Politecnico di Milano hanno esposto oggi a Roma i risultati dello studio che guarda alla relazione tra mercato obbligazionario e rating ESG, sempre in riferimento all’Europa.

Abbiamo adottato lo stesso approccio e la stessa metodologia utilizzata dal Prof. George Serafeim della Harvard Business School, tra i più autorevoli esponenti nell’ambito dell’investimento responsabile, che da anni analizza il fenomeno e la correlazione tra criteri ESG e performance di mercato.” illustra Massimiliano Cagliero, AD e fondatore di Banor SIM, che prosegue “Nel 2018 ci siamo concentrati sull’analisi del mercato azionario, che ha fatto emergere il valore per l’investitore dell’integrazione delle variabili ESG nel processo d’investimento in combinazione al value investing. Quest’anno abbiamo voluto esplorare l’altra faccia del mercato, quello obbligazionario, su cui i nostri clienti sono sempre stati storicamente molto presenti. Era per noi quindi d’obbligo analizzare a fondo la questione.”

Il convegno organizzato da Banor SIM ha portato oggi a Roma il Prof. George Serafeim della Harvard Business School, il Dott. Alessandro Tappi, Chief Investment Officer dell’European Investment Fund, e il Prof. Giancarlo Giudici della School of Management del Politecnico di Milano, coordinatore dello studio, per illustrare e commentare i risultati della ricerca.

Le evidenze mostrano una performance migliore dei titoli associati alle buone pratiche ESG, soprattutto nel periodo più recente, in particolare per i titoli high yield. Inoltre, il parametro che discrimina di più è quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano essere percepiti come meno rilevanti per quegli investitori interessati a ridurre il rischio di insolvenza nel breve periodo piuttosto che la sostenibilità e il vantaggio competitivo di lungo termine.

Le tematiche ESG sono al centro dell’attenzione come non mai; da una parte gli investitori dimostrano sempre di più la volontà di impiegare i risparmi considerando parametri di sostenibilità ambientale, sociale e di buona governance societaria, dall’altra i policymaker europei stanno introducendo una serie di obblighi formativi e informativi – osserva il Prof. Giancarlo Giudici, Politecnico di Milano -. È quindi imprescindibile per gli asset manager studiare il mercato e farsi trovare pronti per questa nuova sfida”.

È stata anche confermata l’ipotesi iniziale secondo cui il mercato, nel corso del tempo, abbia attribuito uno spread negativo alle emittenti con punteggio ESG migliore, reputandole meno rischiose nel breve e medio termine. Questo effetto sembra essere limitato al vantaggio dell’adozione di buone pratiche per il governo societario che per gli investitori può implicare costi di agenzia inferiori, minor rischio di comportamenti opportunistici e miglior monitoraggio.

Approccio

La ricerca portata avanti da Banor SIM e dalla School of Management del Politecnico di Milano ha studiato la relazione tra rating ESG e spread di rendimento dei titoli obbligazionari sui mercati europei seguendo l’approccio di Khan et al. (2016) già utilizzato sul mercato statunitense, per cui il peso attribuito ad ogni indicatore ESG varia da settore a settore per tenere conto delle specificità di ogni area di business. È il principio della materialità, su cui SASB (Sustainability Accounting Standards Board) ha costruito una matrice per l’analisi e l’attribuzione di un peso specifico a ciascuna dimensione ESG in base al settore di attività dell’impresa.

Metodologia

L’analisi ha riguardato 536 obbligazioni quotate sui listini europei ed emesse da 146 imprese di medie e grandi dimensioni tra gennaio 2014 e dicembre 2018 ad esclusione dei titoli convertibili e di quelli collocati da banche e società immobiliari. La selezione si è concentrata sulle obbligazioni incluse in due ETF di Barclays, lo SPDR Bloomberg Barclays EU High Yield Bd UCITS ETF e lo SPDR Bloomberg Barclays Euro Corp Bond UCITS ETF. Per ciascun titolo sono stati raccolti i prezzi di Borsa (fonte: Datastream), i bilanci dell’emittente (fonte: Worldscope) e i parametri rilevanti in ambito ESG (fonte: Thomson Eikon ESG e ricerca manuale sui prospetti informativi e sui bilanci di sostenibilità delle emittenti). Arrivati a 424 indicatori disponibili, ad ognuno si è associata una delle 30 classi di variabili della matrice SASB che mostra l’importanza relativa dei parametri ESG per ogni settore.

I punteggi ottenuti sono poi stati normalizzati e per ogni anno si è calcolato un punteggio ESG finale per singola impresa emittente come media ponderata di E, S e G secondo i pesi raccomandati da SASB. In seguito le emittenti sono state suddivise in due gruppi in funzione del punteggio ESG superiore o inferiore alla mediana. Successivamente si è proceduto al calcolo del Total Return Index mensile dei titoli dei due gruppi, conducendo analisi separate per quelli investment grade e high yield.

Evidenze

Lo studio ha fatto emergere che anche il mercato obbligazionario europeo, specie negli ultimi anni, considera il rating ESG di un’emittente come elemento che influisce sul rendimento atteso. Confrontando un panel di obbligazioni quotate tra le più liquide si è visto che la performance dei titoli associati alle migliori pratiche ESG è stata migliore, soprattutto per i titoli ad alto rendimento. In realtà il parametro determinante è di gran lunga quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano andare in senso opposto.

L’analisi dello Z-spread lascia supporre che il mercato negli ultimi anni abbia cominciato ad offrire uno “sconto” sul costo del capitale richiesto alle imprese che seguono buone pratiche ESG, determinando un apprezzamento maggiore dei loro titoli.

I risultati della ricerca sono molto interessanti – ha spiegato Angelo Meda, Responsabile della Ricerca Banor SIM, a conclusione della presentazione – Le nostre ipotesi hanno in parte trovato conferma, in parte lo studio ha gettato nuova luce e fatto chiarezza. Ci aspettavamo che l’integrazione di valutazioni ESG nell’asset allocation potesse migliorare la qualità delle analisi dell’approccio value che seguiamo. Il fatto che le tre variabili E, S e G non si muovano di concerto è viceversa un fatto inatteso e di cui terremo conto.”

Polisocial Award 2018

Città e Comunità Smart in Africa, questo il tema dei progetti di cooperazione e sviluppo che sono stati premiati all’interno della competizione Polisocial Award 2018, la quinta edizione della competizione che sostiene i progetti di ricerca ad alto contenuto sociale del Politecnico di Milano, finanziati con il contributo del 5 per mille IRPEF destinato all’Ateneo milanese.

Eritrea, Mozambico e Somalia sono in paesi in cui diversi percorsi di ricerca multidisciplinare hanno identificato piani di sviluppo locale e tra i quattro progetti premiati, due vedono la partecipazione del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, parte della School of Management del Politecnico.

In Mozambico, il progetto SAFARI NJEMA | From informal mobility to mobility policies through big data analysis si focalizza sullo sviluppo di sistemi di mobilità.

La mobilità in Africa spesso non viene considerata tra i problemi prioritari; ancor più spesso non è nota la pessima situazione nei grandi centri urbani: i mezzi pubblici sono scarsi o inesistenti, la maggior parte dei privati non possiede un mezzo, il che porta le persone a creare ed appoggiarsi ad un sistema informale di mobilità condivisa. Ma il sistema è poco organizzato, lento, rischioso e rende difficile spostamenti anche brevi e necessari per accedere a scuole e luoghi di lavoro.

L’obiettivo di SAFARI è contribuire al miglioramento della gestione della mobilità nelle grandi città africane. Attraverso l’uso di strumenti di analytics, come le informazioni offerte dall’utilizzo della telefonia mobile, SAFARI studierà lo stato attuale della mobilità, con focus su Maputo, e proporrà un piano di sviluppo place-based e bottom-up della mobilità.

“Il Dipartimento di Ingegneria Gestionale contribuisce a definire un sistema di misura delle performance profilato sulle città africane” – spiega la prof.ssa Michela Arnaboldi, docente di Accounting, Finance and Control e project manager del progetto – “che consente di confrontare soluzioni alternative e definire come le diverse opzioni migliorano i fattori critici, quali il tempo e la sicurezza negli spostamenti”.

Un modello di sviluppo integrato per Mogadiscio in Somalia è invece la finalità del progetto BECOMe | Business ECOsystem design for sustainable settlements in Mogadishu: affordable housing, local entrepreneurship and social facilities.

Tra i principali bisogni della popolazione somala, infatti, c’è la risoluzione dell’emergenza abitativa determinata dall’intensa crescita della popolazione, gli alti livelli di povertà, il danneggiamento di edifici provocato dalla guerra civile e la generale insicurezza nelle aree di conflitto.

Il progetto si pone l’obiettivo di realizzare moduli abitativi di nuova concezione, che affianchino alla accessibilità del costo di realizzazione (e quindi di acquisto per gli abitanti) la qualità della vita, garantendo comfort e sicurezza e la possibilità di costruire una comunità sociale (spazi comuni, piccole attività, servizi di supporto) secondo le caratteristiche proprie della Somalia.

Il ruolo del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, in particolare, è quello di garantire che le diverse scelte progettuali siano coerenti – dal punto di vista economico – con l’obiettivo di costo di acquisto che ci si è dati. Inoltre, l’apporto del Dipartimento sarà fondamentale per disegnare il business ecosystem che deve ruotare attorno alla realizzazione dei moduli abitativi e che è reso ulteriormente complesso dalla nostra volontà di integrare sistemi di produzione di energia distribuita (soprattutto fotovoltaico) e di immaginare la creazione di una filiera locale “circolare” per la realizzazione di parte dei materiali costruttivi (ad esempio sfruttando le macerie di guerra) e dei servizi necessari per la gestione e manutenzione degli edifici.

Collaborare ad un progetto Polisocial significa mettersi al servizio di chi progetta sistemi reali e con ricadute sociali” – racconta il prof. Davide Chiaroni, docente di Strategy & Marketing – “Vivo con molto piacere, ma soprattutto con grande senso di responsabilità, il mettere a servizio di un paese come la Somalia la nostra esperienza nella valutazione di fattibilità economica e nella costruzione di modelli di business coerenti con il paradigma dell’Economia Circolare.”

I progetti finanziati, che saranno avviati a inizio marzo, avranno durata di 15 mesi.

Premio Richard R. Nelson: congratulazioni a Chiara Franzoni

Chiara Franzoni, docente di Economia e Organizzazione aziendale, è stata premiata con il premio Richard R. Nelson 2018 per la sua ricerca sulla “crowd science“.

Che cos’è la crowd science?

Il termine si riferisce a progetti scientifici che consentono a cittadini di qualunque età e grado di istruzione di contribuire attivamente ai progetti di ricerca scientifica condotti dai ricercatori.
La partecipazione su larga scala dei cittadini è in genere organizzata tramite piattaforme online. Le attività possono spaziare dalla visione di immagini di laboratorio per rintracciare nuovi pianeti, ad ‘giochi’ logico-visuali che sfruttano le abilità dei giocatori per comprendere le forme tridimensionali delle molecole, alla risoluzione collettiva di teoremi di matematica.
La crowd science, anche detta “citizen science“, ha prodotto risultati eclatanti, sia dal punto di vista della partecipazione diffusa e del contributo alla popolarizzazione della scienza, sia dal punto di vista scientifico. Ad esempio, alcuni studi hanno portato a scoperte di nuovi corpi celesti mai osservati prima, detto ‘quasar light echos’ e a pubblicazioni su riviste del calibro di Nature Molecular Biology.

 

La ricerca

Lo studio premiato, di cui è co-autore anche Henry Sauermann, Professore Associato di Strategy presso ESMT di Berlino, ha avuto il merito di introdurre questa nuova forma di organizzazione della scienza nelle scienze manageriali.

Il lavoro è stato pubblicato su Research Policy nel 2014, ed ha fornito il quadro concettuale per comprendere e potenziare l’applicazione della crowd science su scala più vasta.
Come lo studio prevedeva, la citizens science si è espansa rapidamente, interessando pressoché ogni disciplina e sperimentando nuove tecniche di coinvolgimento dei cittadini.
Lo studio inoltre suggerisce che la libertà di partecipazione e la condivisione libera (open science) dei risultati intermedi sono le caratteristiche chiave che distinguono la crowd science dalla scienza “tradizionale”.

All’interno del panorama scientifico esiste una vasta gamma di approcci diversi, che lo studio ha classificato in due assi principali: competenze richieste ai volontari che intendono partecipare e complessità/interdipendenza delle attività dei partecipanti.
Mentre alcuni progetti, come “Galaxy Zoo“, hanno reclutato oltre 250.000 volontari che non avevano un background scientifico specifico e che hanno potuto lavorare in autonomia, altri progetti richiedono un livello di competenza ed interazione che limita il numero a pochi esperti. “Polymath“, ad esempio, coinvolge matematici sia professionisti che non, i quali discutono in piccoli gruppi per risolvere quesiti di matematica che ciascuno di loro non sarebbe in grado di risolvere da solo. Come lo studio prevedeva, i progetti del primo tipo rimangono quelli largamente più diffusi.

Poiché i cittadini sono una risorsa preziosa e a basso costo per i gruppi di ricerca, la crowd science è particolarmente interessante perché fornisce importanti contributi ‘in natura’ che complimentano o sostituiscono finanziamenti monetari. Inoltre, questo tipo di progetti fornisce anche maggiori benefici generali per il progresso della scienza attraverso la divulgazione aperta dei risultati intermedi che possono stimolare la successiva innovazione.

Spiega la Prof.ssa Franzoni: “Un ulteriore valore aggiunto della Citizens Science è quello di avvicinare gli studenti, gli appassionati ed i cittadini comuni alla scienza, abbattendo le barriere all’ingresso.
Ad esempio esistono molti progetti interessanti, che spaziano dallo studio delle migrazioni degli uccelli, alla comprensione del linguaggio delle balene, alla ricerca sul cambiamento climatico, che i docenti delle scuole di ogni grado (dalla primaria in poi) possono svolgere con le loro classi di alunni. Un modo intelligente e coinvolgente di far capire anche ai più piccoli il lavoro meticoloso che è alla base del progresso scientifico.”

In una ricerca successiva, Franzoni e Sauermann hanno quantificato alcuni di questi benefici, dimostrando il potenziale della crowd science nell’accelerazione del progresso della scienza.

 

Il premio

Il premio Richard R. Nelson viene assegnato ogni due anni per il miglior articolo selezionato pubblicato o sulla rivista “Reasearch Policy” o sula rivista “Industrial and Corporate Change”, entrambe specializzate in studi sull’innovazione. Il premio 2018 ha preso in considerazione gli articoli della rivista Research Policy nel periodo 2013-2017. La cerimonia di consegna del premio avverrà alla presenza di Richard R. Nelson, lo scienziato al cui merito scientifico è intitolato il premio, nel giugno 2019 presso l’università di Berkeley.

 

Lavoro Agile: presentati i dati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working

A fine ottobre, l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano ha presentato i dati della propria ricerca.
Uno studio che apre una finestra su una realtà che sta diventando sempre più importante nel panorama italiano. Basti pensare che ad oggi, sono circa 480 000 i dipendenti che usufruiscono dello smartworking. Per rendere l’idea, stiamo parlando all’incirca del 12% di chi – per tipologia di lavoro e strumentazione informatica – dispone dei requisiti necessari per lavorare in modo agile.
Un dato in continuo aumento, con una crescita del 20% rispetto all’anno passato. Dopo tutto, sono sempre di più le grandi imprese che vedono il lavoro agile come un requisito essenziale per mantenere la propria competitività.
Ma come mai aziende e dipendenti sono sempre più aperti a questo nuovo modello organizzativo?
La riposta è da ricercare nelle conclusioni tratte dall’Osservatorio, che evidenzia come i benefici siano rilevanti, sia a livello di soddisfazione individuale che di performance dei lavoratori e dell’organizzazione nel suo complesso.

Quando smart fa rima con soddisfazione

Secondo i dati raccolti, infatti gli smartworker sono in media più soddisfatti sia del rapporto con colleghi e responsabili che dell’organizzazione del proprio lavoro.
Le ragioni che li spingono ad aderire al progetto sono sia di carattere personale, come la riduzione dello “stress da pendolare” e la ricerca di un migliore equilibrio tra vita privata e professionale, che lavorativo, come l’aumento della motivazione e della produttività.
A questo si aggiunge anche l’attenzione per l’ambiente, con una riduzione delle emissioni legate agli spostamenti tra casa e ufficio.

In una simile analisi non poteva mancare il punto di vista di chi giornalmente collabora con i lavoratori agili ed è chiamato a valutarne le performance. Tra gli aspetti positivi segnalati più frequentemente dai manager coinvolti dall’Osservatorio troviamo una maggiore responsabilizzazione sul raggiungimento dei risultati, un miglioramento dell’efficacia del lavoro e della gestione autonoma delle urgenze, oltre a un impatto positivo sulla condivisione delle informazioni e sul coordinamento.

Tuttavia, anche se gli aspetti positivi sono numerosi e comprovati, è bene mettere in evidenza anche alcune criticità, alle quali manager e collaboratori devono prestare attenzione.
Una di queste, per esempio, è la mancanza di interazione con i colleghi. Questo, sommato a eventuali problemi legati ai mezzi di comunicazione virtuali messi a disposizione, potrebbe rappresentare per alcuni lavoratori una criticità. Altri, invece, segnalano una minore concentrazione dovuta alla presenza di distrazioni esterne.

È proprio nel superamento di queste difficoltà che diventa importante il ruolo del manager.

Anche la leadership diventa agile

Infatti, una rivoluzione come quella del lavoro agile, necessita anche di un cambiamento del modello di leadership, che dovrebbe diventare altrettanto smart.
Come? Il primo passo è passare da un’organizzazione basata sulle urgenze a una per obiettivi condivisi, facilitando così la programmazione dei compiti. Questo va di pari passo con un rinnovato impegno nel responsabilizzare i propri collaboratori, coinvolgendoli nelle decisioni e promuovendone una partecipazione attiva.
Da non sottovalutare è poi lo spirito di gruppo, da mantenere intatto anche quando una o più risorse lavorano da remoto. In questo modo si preserva il passaggio di informazioni e si riduce il senso di isolamento delle risorse. Ecco che in questi casi, ai manager viene richiesta una nuova capacità, quella di saper scegliere gli strumenti di comunicazione più adeguati in base alla situazione.

La rivoluzione continua

Riprendendo il titolo del convegno di presentazione della ricerca dell’Osservatorio Smart Working – Una rivoluzione da non fermare – anche qui alla School of Management la rivoluzione continua. Il MIP, infatti, già da due mesi ha aperto a tutto lo staff la possibilità di lavorare agilmente una volta alla settimana.
Un progetto che propone una nuova sfida: la sviluppo di una nuova cultura manageriale che favorisca collaborazione, organizzazione autonoma delle attività, responsabilizzazione verso i risultati e fiducia.

HSE e Politecnico di Milano insieme per lo studio delle prestazioni e dell’efficienza dei sistemi universitari

Un accordo di cooperazione è stato recentemente siglato tra la Higher School of Economics (HSE) di Mosca e il Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano per la realizzazione di uno studio congiunto su larga scala dal titolo “Efficiency, Performance and Impact of Higher Education Institutions (EPI)”.

Secondo l’accordo, il Laboratory for University Development-IOE di HSE (Laboratorio per lo sviluppo universitario – Institute of Education) fungerà da principale sede di ricerca e sviluppo per questa iniziativa, con la supervisione del prof. Tommaso Agasisti, professore associato del Politecnico di Milano.

“Il tema dell’efficienza delle istituzioni universitarie è stato messo sempre più in evidenza nelle recenti politiche e nei dibattiti pubblici in tutto il mondo. Ciò comporta aspettative più alte da parte di vari stakeholder sul contributo che i sistemi universitari devono dare in diversi ambiti socio-economici o in singoli settori industriali, all’interno e all’esterno delle loro comunità ospitanti, anche in virtù delle grandi risorse finanziarie investite nell’istruzione universitaria”, spiega Tommaso Agasisti. “Il programma del progetto EPI presenta una vasta gamma di domande da affrontare; si analizzano i fattori e i meccanismi che determinano il modo in cui le università possono dare un contributo efficace a diversi ambiti socio-economici. Lo studio intende esplorare, tra le altre cose, l’efficienza degli investimenti attuali e potenziali nell’istruzione universitaria, il modo in cui fattori interni (come le pratiche manageriali) nonché quelli esterni, influenzano le prestazioni delle Università”

Partendo da una serie di studi congiunti di gruppi di ricerca HSE e Politecnico di Milano, il progetto EPI si è trasformato molto presto in un ambito di ricerca di vasta portata. I partner ritengono che il progetto si trovi ora in un momento di forte slancio, tanto da stimolare una discussione internazionale più significativa sugli argomenti in questione che miri a coinvolgere studiosi di altri paesi.

Le aree principali su cui l’HSE si è finora focalizzato all’interno di questo settore di ricerca sono, tra le altre, la valutazione dell’impatto di iniziative di eccellenza accademica, l’analisi delle implicazioni derivanti da modelli di finanziamento basati sulle prestazioni, la valutazione del contributo delle università allo sviluppo economico delle regioni russe, ecc. Il progetto EPI incoraggia la partecipazione attiva di giovani ricercatori, consentendo loro di instaurare collaborazioni con accademici esperti in questo campo.