Essere imprenditori in un mondo interconnesso

Ne parliamo con Andrea Sianesi, Professore di gestione dei sistemi logistici e produttivi della School of Management
Presidente Esecutivo PoliHub, Innovation District e Startup Accelerator del Politecnico di Milano

 

Andrea, sei a capo di un incubatore, e quindi abbracci nuove idee imprenditoriali quando sono ancora nella culla. Che caratteristiche ha un buon imprenditore in questo momento storico?

Prima di tutto coraggio. E questa è la stessa risposta che avrei dato anche prima della crisi provocata da Covid-19. L’iniziativa imprenditoriale è un salto nel vuoto, e impegnare risorse e tempo per sviluppare idee richiede sangue freddo.
Oltre al coraggio, credo sia fondamentale la capacità di correggere i propri errori e far tesoro degli “inciampi” che capitano durante il percorso.

Do per scontato ovviamente la necessità di possedere conoscenze tecniche e tecnologiche che riguardano la propria impresa. L’imprenditore che passa per PoliHub, in genere, ha una solida competenza tecnologica, mentre si trova ad essere un po’ più debole sulle conoscenze legate al mondo del business. Per questo, l’imprenditore deve essere aperto a fare partnership con altre persone che possano portare all’impresa competenze complementari, come ad esempio la capacità di sviluppo del mercato, o la conoscenza del framework normativo di riferimento.
Bisogna sempre essere disponibili a farsi aiutare.

PoliHub è un incubatore universitario: perché serve l’università, e a cosa esattamente?

L’ecosistema universitario è un asset fondamentale per chi vuol fare impresa. In particolare, al Politecnico di Milano, garantiamo contemporaneamente accesso alla business school, agli hub di innovazione POLI.design e Cefriel, a migliaia di docenti e ricercatori, a laboratori che coprono tutte le discipline ingegneristiche e che sono fondamentali, ad esempio, nel processo di trasformazione di un’idea a prodotto.

E noi per questo motivo non siamo soltanto un luogo che ospita le start up: offriamo un contesto unico rispetto ad altri incubatori. Spesso, nelle start up deep tech, è necessario svolgere attività sperimentale in laboratori che di fatto si trovano solo in università, e ci sono imprese che, seguendo sviluppi tecnologici in diversi settori, hanno distaccato alcuni loro dipartimenti per venire a localizzarsi da noi. Questo consente loro di collaborare e interagire con le start up e allo stesso modo avere la stessa facilità di accesso all’hub nella sua interezza.

Questo fa la differenza e i numeri ce lo confermano. Faccio un esempio: PoliHub, assieme al TTO (Techology transfer office) del Politecnico di Milano, gestisce ogni anno Switch To Product, il programma che valorizza sul mercato soluzioni innovative, nuove tecnologie e idee di impresa proposte da studenti e laureati da un massimo di tre anni, ricercatori, alumni e docenti del Politecnico di Milano, offrendo risorse economiche e servizi consulenziali per supportare lo sviluppo dei progetti d’innovazione attraverso percorsi di validazione tecnologica e accelerazione imprenditoriale. Quest’anno la call ha avuto un incremento delle domande del 20%. Si tratta di una crescita molto significativa, che ci fa anche ben sperare nell’aumento di nuove imprese di successo.

Covid-19 ha ribaltato il tavolo, modificando i confini e gli ecosistemi di business; gli effetti potrebbero essere di breve o di lungo periodo, che cosa hai osservato in particolare a riguardo?

Negli ultimi mesi si è temuto che la pandemia potesse spazzare via il mondo delle start up, che sono impossibilitate ad accedere a forme di sussidio messe in campo per altre categorie imprenditoriali e professionali. Il problema è reale e contingente: le start up oggi si trovano in maggiore difficoltà rispetto a imprese già navigate, ma per il momento il sistema sta reggendo e sta dando anche segnali incoraggianti.

L’effetto inatteso è stato infatti un aumento della domanda di accesso ai servizi di incubazione. C’è una forte richiesta di entrare nel mondo imprenditoriale, forse dovuto anche alla presa di coscienza che ora più che mai è necessario sapersi rimettere in gioco, anche per coloro che hanno una carriera consolidata, creando nuove opportunità di reddito laddove venisse meno una stabilità lavorativa.

E l’incremento della domanda di servizi avviene non solo da parte di potenziali start up, ma anche di aziende già formate, che decidono di delocalizzarsi in uffici più piccoli e snelli situati accanto a centri di eccellenza. Una nuova tendenza forse facilitata anche dal diffondersi dello smart working, che rende di più facile gestione uffici piccoli rispetto a sedi più grandi.

Dipingi un quadro con diverse opportunità all’orizzonte. Quali sono quindi i programmi futuri di Polihub?

La sfida per noi rimane quella di trovare le risorse che possano accompagnare le start up dall’idea, e quindi dall’università, con il suo fermento e la disponibilità di risorse legate a progetti europei e grant, a fondi e investitori disponibili a sostenerle in tutta la fase della loro crescita.

Mi piace visualizzare il processo come l’attraversamento di una valle: le start up hanno bisogno di un “ponte” tra le due fasi, di un accompagnamento che permetta loro di avere le risorse necessarie per rendere la loro idea interessante per gli investitori.
E affinchè l’idea sia interessante necessita di due elementi: dimostrarsi solida e verificata dal punto di vista tecnico, e avere un mercato target a cui rivolgersi.

Spesso le prove tecniche richiedono già investimenti considerevoli e tempi lunghi: noi ci impegniamo per far sì che questo “ponte” sia efficace, e possibilmente breve, rispetto agli obiettivi.

Il nostro progetto per il futuro è quindi quello di lavorare certamente per reperire investitori istituzionali e venture capital, ma con un approccio di ampio respiro che contempli il contesto internazionale e non solo una esposizione domestica delle nostre start up.

Abbiamo intenzione di pensare in logica internazionale, non solo per quanto concerne la parte finanziaria, ma anche per quanto riguarda l’uso di tutti i possibili asset messi a disposizione dal network degli incubatori di eccellenza su scala mondiale.

Siamo certi che mettere a fattor comune queste capacità ci permetterà di fare davvero la differenza.

Reagire alla pandemia: serve una (nuova) politica industriale

La pandemia in corso mette in ginocchio l’economia globale, ma la storia insegna che superare lo shock è possibile: attenzione a nuove opportunità di business, flessibilità e innovazione, sostenute da una politica industriale attiva, sono le azioni indispensabili per reagire

 

Massimo G. Colombo, professore di Entrepreneurship and Entrepreneurial Finance
School of Management Politecnico di Milano

 

La pandemia generata dal coronavirus promette di mettere in ginocchio l’economia mondiale con conseguenze nefaste sul PIL di tutti i paesi, avanzati o meno.
Tuttavia la letteratura scientifica che ha analizzato l’impatto economico delle “tempeste perfette” precedenti all’attuale ci da motivi di speranza. Il sistema capitalista è resiliente e a rapidi crolli della domanda e della produzione segue, in tempi più o meno rapidi, la ripresa, che può essere più o meno vigorosa (si veda The Economist, 21-27 marzo, “Free exchange: from v to victory”).

Che cosa deve fare il governo italiano per rendere la ripresa post-pandemia la più rapida e vigorosa possibile?

Innanzitutto, aldilà delle misure eventualmente messe in campo dalla Commissione Europea, occorre non ripetere gli errori del passato e fare “tutto quello che serve”. Un primo imperativo, sul quale tutti concordano, è di dare sostegno a chi soffre un decremento significativo di reddito, in modo da sostenere la domanda aggregata ed evitare la disgregazione sociale del Paese. Va anche assicurata al sistema produttivo tutta la liquidità necessaria ad evitare la chiusura di imprese sane, temporaneamente in difficoltà, e la conseguente riduzione di lungo termine della capacità produttiva. Il fondo per il finanziamento delle garanzie sui prestiti concessi alle imprese è una misura che va nella giusta direzione. L’importante è di riaprire i rubinetti se la capienza del fondo si rivelasse insufficiente.

Tuttavia, bisogna andare oltre e disegnare una politica industriale attiva per la ripresa. La pandemia, oltre a uno shock negativo sulla domanda e sull’offerta, genera anche nuove interessanti opportunità di business, legate alla trasformazione dei modelli di consumo e del modo di fare impresa. La scoperta che il telelavoro può avere vantaggi unici e l’interesse, anche se forzato, dei consumatori per la spesa e i servizi di intrattenimento a domicilio, ne sono ovvi esempi.

In questa situazione, le piccole imprese, soprattutto le più giovani, sono posizionate in modo ideale per catturare tali nuove opportunità di business, grazie alla loro flessibilità e allo spirito di iniziativa degli imprenditori che le gestiscono, e possono rivelarsi un fondamentale elemento di forza e di dinamismo del sistema produttivo nazionale. Tuttavia, per esprimere il proprio potenziale di crescita, devono essere in grado di ristrutturare e modificare il proprio portafoglio di risorse, investendo in un’ottica di lungo periodo in prodotti e servizi innovativi e nella capacità di commercializzarli su scala globale. Uno studio sulle strategie di un campione di 340 start-up italiane ad alta tecnologia durante la crisi globale del 2008, realizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano e coordinato dal sottoscritto, conferma questa visione. Nonostante il calo di domanda che in media tali imprese hanno vissuto tra il 2008 il 2010, le start-up che hanno investito massicciamente nell’innovazione dei prodotti e dei servizi e nell’internazionalizzazione dei mercati hanno avuto una crescita del fatturato in tale periodo superiore di 20 punti percentuali alla media.

È compito del governo italiano assecondare e facilitare i processi di trasformazione di tali imprese. Da un lato il governo deve assicurare che tali imprese abbiamo accesso, a condizioni competitive, alle risorse finanziarie, in particolare nella forma del capitale di rischio, necessarie a sopportare tali processi e a scalare il proprio business. Il fondo per l’innovazione della CDP è uno strumento ideale per questo scopo.

Dall’altro lato, è prevedibile che risorse umane ad alta competenza (manager, tecnici) verranno espulse da imprese grandi e piccole con modelli di business resi obsoleti dalla pandemia, e saranno disponibili nel mercato del lavoro. Tali risorse umane sono preziosissime per la crescita delle piccole imprese innovative. Il governo può facilitare il loro assorbimento da parte di tali imprese, ad esempio tramite il temporaneo azzeramento degli oneri sociali sulle nuove assunzioni di personale qualificato.

 

L’imprenditore nato sui banchi del MIP: la storia di TMI e di Stefano Urbani

Per molti dei nostri studenti, la cerimonia di consegna dei diplomi non è che il trampolino di lancio per una nuova avventura. Così è stato per Stefano Urbani, che proprio con l’Executive MBA del MIP ha gettato la basi per Turismo Medico Italia. Un progetto ora diventato concreto.

Come appare evidente dal nome della tua azienda, oggi ti occupi di turismo medico. Come è nato l’interesse per questo settore?

Tutto è iniziato nel 2012: allora ero impiegato nel settore automotive e mi trovavo in Turchia per lavoro. Per caso, durante quel viaggio, entrai in contatto con un noto oftalmologo azero, che mi fece conoscere la Turchia sotto un nuovo punto di vista, quello del turismo medico.
Diversi pazienti provenienti da Germania, Svizzera, Regno Unito, dai paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo e dell’area della Comunità degli Stati Indipendenti, sceglievano la Turchia per curare malattie e intraprendere trattamenti sanitari o cosmetici di vario tipo.
Infatti, quando si parla di turismo medico, si fa riferimento a quelle persone che si recano in Paesi stranieri con la finalità di migliorare lo stato di salute o fisico, attraverso, per esempio, procedure di chirurgia estetica, odontoiatria, cardiochirurgia, oncologia, trapianti…

In Italia, questo tipo di mercato non era ancora sviluppato – se non in maniera destrutturata. Così, interessato soprattutto al valore sociale che sta alla base del turismo medico, ovvero offrire a un paziente la possibilità di trovare una soluzione al proprio problema non solo nel Paese di origine ma anche all’estero, ho iniziato a chiedermi se anche l’Italia potesse essere competitiva da questo punto di vista.

TMI è un progetto che è diventato realtà anche grazie all’Executive MBA. Come?

Sono un Alumnus di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano e ho scelto l’Executive MBA del MIP, la Business School dell’Ateneo, come strumento per approfondire la mia idea.

Infatti, già dal 2013, ho iniziato a partecipare a eventi B2B e fiere di settore, in Europa, Paesi Arabi, Asia e Stati Uniti.
In questo modo ho potuto accrescere il mio network e sondare il terreno sia con facilitatori stranieri – che mi chiedevano informazioni sull’Italia come possibile destinazione – che con gli ospedali italiani – interessati a capire cosa fosse il turismo medico.

È stato proprio durante l’EMBA che ho gettato le basi di questo mio progetto – TMI Incoming – che è anche stato premiato come migliore project work del mio corso al momento della consegna dei diplomi.
Inoltre, questo mi ha permesso di incontrare alcune delle persone che ora sono parte attiva del progetto, allargando poi in maniera considerevole il network fino ad entrare in contatto con il Dott. Cristian Ferraris di Assolombarda. Proprio grazie a questo contatto, oggi TMI ha prodotto il sito web “healthlombardy.eu”, con l’obiettivo di presentare in maniera istituzionale le eccellenze sanitarie lombarde nel mercato globale del turismo sanitario. Questo lavoro, è stato per TMI l’opportunità di sviluppare un Minimum Viable Product – proprio come mi hanno insegnato in aula! – per il nostro attuale progetto di ospedale virtuale italiano sul quale stiamo lavorando grazie alla neo-costituita società di capitali Turismo Medico Italia Srl.

La ricerca di un investitore è stato un passo fondamentale per TMI. Quali sono state le sfide che hai dovuto affrontare e come il coinvolgimento del Cav. Lav. Nardo Filippetti sta influenzando lo sviluppo del progetto?

Devo essere sincero, la ricerca non è stata lunga. Infatti, siamo entrati in contatto con il Cav. Filippetti poco dopo la fine del percorso con Innovits, laboratorio di innovazione nel quale siamo stati accelerati alla conclusione dell’EMBA e che ci ha permesso di rendere il progetto nato sui banchi del MIP spendibile sul mercato.
Questo breve tempo di ricerca, tuttavia, ci ha permesso di confrontarci con alcune sfide interessanti, pima tra tutti il paradosso che deve affrontare ogni startupper: i numeri!
Spesso, infatti, gli investitori supportano un’idea solo quando il business è considerato “ragionevole”, senza considerare però che un investimento è necessario perché la startup raggiunga quel livello, soprattutto in settori dove le attività di Compliance & Legal, Cyber Security, Marketing e Comunicazione hanno costi elevati.

Inoltre, è stata l’occasione anche per capire chi fosse l’investitore giusto per TMI. E così, quando siamo entrati in contatto nel 2017 con il Cav. Filippetti, imprenditore visionario e di successo nel settore dell’accoglienza che coltivava da anni l’idea di inserirsi in questo mercato, eravamo pronti per comunicare con sicurezza la visione, la strategia e il servizio di TMI.
Infatti, il rispetto per il lavoro e per le persone, la creatività e l’intuizione sono i valori che hanno contraddistinto il Cav. Filippetti durante la sua carriera imprenditoriale e che fanno parte del progetto TMI.

Il nostro investitore, oltre che Presidente Lindbergh Hotels Srl, è anche Presidente ASTOI Confindustria Viaggi e Vice Presidente Federturismo Confindustria. Cariche istituzionali di prestigio che ci danno l’autorevolezza di cui avevamo bisogno, oltre al quotidiano confronto che ci permette di utilizzare le sue competenze acquisite negli anni a vantaggio del progetto. Infine, ci tengo a sottolineare che il suo approccio è stato da investitore industriale e non finanziario, un elemento estremamente importante che ci permette di ragionare sul lungo termine.

Come ti senti nelle vesti di imprenditore? Quali sono gli insegnamenti dell’EMBA che ti guidano ancora oggi?

Il mio stato d’animo è cambiato in seguito alla costituzione con il Cav. Filippetti di Turismo Medico Italia Srl a fine 2018.
Se all’inizio ero mosso dall’entusiasmo e dalla voglia di comunicare al mondo il mio progetto, oggi sono confortato dalla fiducia che mi ha accordato l’investitore, diventato un compagno di viaggio nel duro lavoro quotidiano.
Tuttavia a volte e come credo sia naturale, le giuste aspettative dell’investitore possono generare paura di non farcela, ma bisogna trovare un giusto equilibrio senza creare stress organizzativo.

Per questo ho elaborato il fattore AI-KI-DO: grazie al giusto equilibrio tra (Ai), Armonia, (Ki) Congiungimento e (Do) Unione cerco ogni giorno di guidare TMI verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati, annullando la paura di fallire, che credo sia umana, con la gratitudine di avere avuto un’opportunità!

La consapevolezza del momento presente e la responsabilità delle mie azioni verso il progetto, e le persone coinvolte – me compreso, mi permette di gestire l’attività economica assumendomi con la giusta serenità il cosiddetto rischio d’impresa.
Tutto questo è – evidentemente – costruito sugli insegnamenti dell’EMBA, primi tra tutti quelli sul comportamento organizzativo, strategia, project management, decision making, marketing, comunicazione e finanza. Questi mi hanno permesso rispettivamente di dare struttura alla consapevolezza, fare scelte a lungo termine, gestire singoli progetti di sviluppo, compiere le scelte quotidiane, vendere, sviluppare la brand awareness, ed infine curare l’ordinaria amministrazione.
Senza dimenticare poi le persone che hanno caratterizzato il mio percorso, i docenti incontrati e i colleghi conosciuti.
Ora la nostra sfida sarà quella di riuscire a industrializzare il prodotto, creando efficienza ma tenendo estremamente alti i livelli di qualità e servizio, con un approccio taylor-made per ogni singola richiesta. Per farlo, stiamo adottando a metodologia lean startup con l’obiettivo di evitare sprechi di risorse, costruire un business sostenibile e sperimentare le idee con il processo creativo “Creazione – Misurazione – Apprendimento”. Anche questa, metodologia appresa lungo il master.

Quali consigli daresti a chi oggi vuole lanciare una startup?

Tanto per cominciare consiglierei di essere onesti con sé stessi, ponendosi delle domande per non farsi male dopo. Come ad esempio quanto si è innovativi, se è il momento giusto per lanciarla e se si ha un buon team. Ma anche come finanziarsi e dove fondarla.

Un altro consiglio è quello di parlare della propria idea a più persone possibili: è un buon modo di testare l’interesse. Spesso, quando parlo del turismo medico, ricevo diverse domande al riguardo. Questa curiosità è un buon segno.
Una volta ricevuto un riscontro positivo, è bene poi prendere la margherita che si ha in mano e concentrarsi solo su pochi petali, focalizzando tempo ed energie.

Lanciare una startup è un atto di grande responsabilità verso il prossimo, verso chi crede nel progetto, quindi non posso che incoraggiare le persone a fare quello che amano. Oltre ad essere poi un grande sacrificio, che solo con la passione e la dedizione può portare al successo.

Infine consiglio di legarsi alla visione, non al prodotto o al servizio.

I fattori che influenzano il percorso di crescita di una startup sono innumerevoli e talvolta non controllabili; solo lasciando da parte l’ego della proprietà della propria idea e mettendo la “propria creatura” nelle condizioni di camminare da sola si può davvero manifestare quella visione che è la fiamma che brucia dentro!