Purpose Talks – Gli effetti del purposeful management: l’esperienza di Fabio Moioli

Cosa significa concretamente sposare un modello di leadership guidato da un higher purpose e capace di mettere le persone al centro?

Scoprilo durante il prossimo Purpose Talk, la seconda tavolta rotonda a tema purpose organizzata dalla nostra Business School. Potrai assistere alla testimonianza di Fabio Moioli, Head Consulting & Services di Microsoft, che condividerà la sua esperienza come manager e il percorso che l’azienda sta compiendo verso un management guidato dal purpose!

 

RELATORI

Mario Calderini, Full Professor of Management for Sustainability and Impact al Politecnico di Milano

Fabio Moioli, Head Consulting & Services di Microsoft

 

L’evento si tiene in lingua inglese.

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Il Politecnico di Milano vince la fase italiana della CFA Research Challenge 2022

Cinque ingegneri della School of Management battono Federico II di Napoli e l’Università degli Studi di Pavia con l’analisi finanziaria di Reply e si preparano alla regionale EMEA. La finale globale si terrà il prossimo 16 maggio.

 

Il team della School of Management del Politecnico di Milano vince la finale italiana della CFA Research Challenge 2022, competizione mondiale di finanza targata CFA Institute e promossa nel nostro Paese da CFA Society Italy con il prezioso supporto di FactSet Italia e Kaplan Schweser.

La finale si è svolta in presenza nell’headquarter milanese di Reply martedì 1° marzo e ha visto il coinvolgimento di dieci atenei, 50 studenti e oltre 30 professionisti. Alla fase italiana, coordinata da CFA Society Italy, hanno partecipato i team rappresentanti le seguenti università: Università Cattolica, Politecnico di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Università di Roma Tor Vergata, Università di Firenze, Università di Bologna, Libera Università di Bolzano, Università di Pavia, Università Politecnica delle Marche e Università di Napoli Federico II.

Gli studenti Gianluca Dente, Alberto Gegra, Andrea Rampoldi, Alessandro Criniti e Francesco Saverio Pirolo, sotto la guida dei docenti Laura Grassi e Marco Giorgino e del mentor CFA Alberto Mari, hanno presentato la loro analisi finanziaria sul titolo di Reply a una giuria di sei esperti del settore finanziario: Mauro Baragiola, Luca Forlani, CFA, Marco Greco, Paolo Perrella, CFA, Patrizia Saviolo, CFA, e Carla Scarano. Il secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente l’Università di Napoli Federico II e l’Università degli Studi di Pavia.

Il Politecnico di Milano proseguirà direttamente per la finale regionale EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), che si terrà il prossimo 28 aprile. A testimonianza dell’elevata qualità dei nostri studenti e dei professionisti che li seguono, già nel 2011, 2014 e 2016 l’Italia si è aggiudicata la finale regionale EMEA.
La finale mondiale, invece, si disputerà il 16 maggio 2022, mettendo a confronto i vincitori di EMEA, America e Asia Pacifico, e i vincitori verranno ufficialmente proclamati il 17 maggio 2022.

“CFA Society Italy, nella sua attività pluriennale, ha costruito un’intensa relazione con le università italiane per promuovere i principi di integrità ed eccellenza professionale presso le giovani generazioni”. Ha affermato il coordinatore del progetto, Giuseppe Quarto di Palo, CFA. “Siamo felici di poter offrire alle università e ai loro talenti l’opportunità di misurarsi in una competizione realistica, volta a riprodurre l’esperienza di un ufficio in ricerca di società di gestione o di case di investimento. Ai migliori studenti offriamo, inoltre, borse di studio per accedere al Programma CFA, al fine di ottenere una certificazione globalmente riconosciuta nel settore finanziario”.

La Research Challenge è una iniziativa che incanala verso obiettivi importanti nel mondo della formazione e delle accademie. Diventa sempre più rilevante avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, combinando le conoscenze accademiche con le tecniche e gli strumenti utilizzati dai professionisti del settore finanziario. Inoltre, vogliamo dare risalto alle nostre eccellenze universitarie italiane a livello europeo e mondiale”. Ha commentato Giuliano Palumbo, presidente CFA Society Italy. “Questo progetto non potrebbe esistere senza il prezioso contributo dei volontari dell’associazione e dei partner che hanno sostenuto l’iniziativa FactSet, Kaplan Schweser e Reply, società oggetto di ricerca da parte degli studenti”.

Michael Jordan sosteneva che il talento fa vincere le partite, ma l’intelligenza e il lavoro di squadra fanno vincere i campionati. Mi congratulo con gli studenti del Politecnico di Milano che hanno dimostrato non solo competenze tecniche sopra la media, ma anche e soprattutto affiatamento e spirito di cooperazione mirati a raggiungere la vittoria finale” ha sottolineato Stefano Di Rosa, CIIA, Senior Sales Rapresentative di FactSet Italia, sponsor dell’edizione italiana della CFA Research Challenge dal 2016.

Anno dopo anno la competizione permette ai migliori talenti delle università italiane di mettersi alla prova con professionisti di altissima caratura, di approfondire i fondamentali dell’equity research, di sviluppare soft skill e di confrontarsi tra di loro”. Hanno commentato i docenti del Politecnico di Milano, Laura Grassi, Assistant Professor of Investment Banking, e Marco Giorgino, Full Professor of Financial Market and Institutions. “Siamo molto orgogliosi della vittoria della nostra squadra, che ripaga dei grandi sacrifici i nostri cinque membri, e che a loro volta li rende un riferimento per i futuri colleghi/e del prossimo anno. Questo è per loro il miglior ingresso nel mondo professionale e per il nostro ateneo un ulteriore riconoscimento della nostra qualità. Ora guardiamo all’EMEA, con voglia, impegno e desiderio di replicare il medesimo risultato”.

La CFA Research Challenge è stata sicuramente la sfida più dura della nostra vita, e allo stesso tempo l’esperienza più stimolante sia a livello professionale che a livello personale. È stata un’opportunità incredibile che ci ha permesso di lavorare a stretto contatto con il nostro mentor CFA Alberto Mari, e con i nostri docenti Laura Grassi e Marco Giorgino, che ringraziamo di cuore. Ringraziamo anche la CFA Society Italy per aver reso possibile tutto questo e non vediamo l’ora di portare alto il nome del nostro paese in EMEA” queste sono le prime parole espresse dopo la vittoria dal team del Politecnico di Milano.

 

Che posto occupa la responsabilità sociale nel percorso di un career leader?

“Responsible Career Leader”, ci insegna questa rubrica, è chi riesce ad anticipare, progettare e gestire lo sviluppo della propria carriera. È dunque Responsible in quanto chiamato a governare in prima persona la trasformazione delle occasioni di cambiamento in opportunità per il proprio percorso di crescita professionale.

Ma cos’altro cela il termine Responsible? A chi e di cosa risponde un Career Leader responsabile?

Spesso siamo portati a pensare che agire responsabilmente sia andare oltre i “confini del proprio orto”, quindi fare del volontariato nel tempo libero, andare al lavoro in bicicletta, evitare le bottiglie di plastica e compensare le emissioni di CO2 piantando alberi. Oppure, cambiare carriera dopo anni di profit e andare a lavorare nel Terzo Settore. Tutte scelte assolutamente encomiabili ma, muovendosi in questi termini, il rischio è di considerare incompatibili efficacia, efficienza e produttività con la possibilità di abbracciare i valori etico-sociali.

Ma esiste una accezione di responsabilità, per la quale il successo del proprio percorso professionale – e i legittimi vantaggi che da quest’ultimo ci si può aspettare – possano dialogare produttivamente con ciò che sta “fuori dall’orto”? Sì, se iniziamo ad allargare i confini. A partire dall’intendere il nostro successo non come sostantivo (“ho raggiunto un buon esito / un buon livello”), ma come verbo (“ho fatto accadere qualcosa di valore nel contesto in cui ho lavorato”).

In questi termini possiamo dire che una “vera” carriera di successo è quella che offre un contributo alla propria comunità: ogni ruolo professionale infatti – che sia entrepreneur, executive, manager, expert –attraverso le proprie scelte di carriera, può contribuire a sviluppare le risorse e le competenze della comunità in cui opera, a partire dall’evidenza che saranno queste stesse risorse e competenze che renderanno l’orto di cui sopra ancora più rigoglioso, ampio, produttivo e legittimato.

Come ci insegna l’ormai planetario movimento delle B-Corp, “Fare Impresa” in questi termini vuol dire superare l’antitesi tra vantaggio personale – o aziendale – e interesse generale. O tra “obiettivi di business” e senso civico. Le ore passate in ufficio (o connessi in smart working) possono essere un’occasione per contribuire alla comunità tanto quanto l’adoperarsi nel volontariato nel weekend.

Infatti, esercitare il ruolo che si ricopre in azienda tenendo conto delle implicazioni delle proprie azioni sugli altri e sulla collettività, è già un’operazione di responsabilità sociale. Citando Edward Schultz, ex CEO di Starbucks: “L’impresa è responsabilità sociale e la responsabilità sociale è l’impresa”.

Quindi come operazionalizzare questo salto culturale e di metodo, passando da una mentalità da stakeholder – portatore di interessi particolari e specifici, talvolta in competizione con quelli di altri – a una da communityholder (Turchi, Gherardini 2014) – ovvero risorse che possono far crescere la propria comunità?

Si può riassumere in 3 step:

DEFINIRE IL PURPOSE CHE DIREZIONA LA CARRIERA

Il primo passo consiste nello scegliere le domande che poniamo a fondamento del nostro percorso di carriera. Si tratta di chiedersi ‘a quale cambiamento un lavoratore della mia epoca può contribuire?’. Se gli esiti da “stakeholder” – raggiungere un certo livello di carriera, incrementare il proprio stipendio ecc – sono vantaggi che si raccolgono lavorando nel proprio orto, il Career Leader che si muove da Communityholder va oltre il suo recinto e si chiede: “cosa posso offrire alla comunità attraverso le mie competenze? Quali competenze posso sviluppare per incrementare ulteriormente il contributo che offro?”. Domande che consentono di intrecciare il proprio percorso professionale con le esigenze che la comunità esprime e a cui come cittadino, attraverso la propria “carriera”, può contribuire a rispondere. E, come detto sopra, questo non significa contrapporsi all’interesse personale. Per fare un esempio, si pensi a Salvatore Aranzulla, un imprenditore digitale che attraverso la sua idea di business ha “istruito” milioni di italiani ad interagire con la tecnologia. Aranzulla ha offerto il proprio contributo per la digital transformation della comunità ben prima che questa fosse “mainstream”, rendendo accessibili informazioni preziose per una comunità che si stava rapidamente digitalizzando, in un momento storico in cui le competenze informatiche erano appannaggio di pochi. E ha scelto di farlo ben prima di definire quali vantaggi personali poteva trarne: ha iniziato all’età di 12 anni la sua attività e forse non immaginava il fatturato milionario che avrebbe raggiunto

COSTRUIRE E CURARE UNA SQUADRA

Come descritto in un precedente articolo, “anche il più solitario dei viaggi è il prodotto di una catena di interazioni e collaborazioni di una moltitudine di persone che hanno investito in quel viaggio risorse, strumenti, competenze”. Nel momento in cui si progetta o modifica la propria carriera in un’ottica Career Leader Communityholder, non si è mai soli: ci sono attori della comunità che hanno il mandato di contribuire a tale processo e che, corresponsabilmente, si è chiamati a sollecitare. In questo senso, un docente può essere consultato come esperto di settore per ragionare insieme su un tema o un trend emergente, su cui ha maggiore visibilità grazie al suo ruolo, e su cui si avrebbe una visione e una conoscenza parziale se si guardasse solo nel proprio orto. Contemporaneamente un consulente di carriera può essere coinvolto per condividere, grazie alle sue competenze e ad un “punto d’osservazione” differente, una rilettura del proprio percorso professionale e delle proprie competenze, volta a costruire un cambiamento o uno sviluppo lavorativo. Allo stesso modo il professionista che si è interfacciato con docente e consulente, non posizionandosi da mero fruitore stakeholder, mette a disposizione dati ed elementi del suo percorso (di cui rimane massimo esperto) che diventeranno la base di un ragionamento comune. In questo senso le interazioni non sono gestite nella logica del solo proprio interesse: in ogni interazione si è anche, sempre, contributori. Un Career leader stakeholder chiede, aspetta, definisce che solo l’altro è portatore di un contributo. Un Career leader communityholder è giocatore di una squadra, responsabile nel contribuire insieme agli altri al buon esito della partita

SAPER VALUTARE IL CONTRIBUTO

Quanto le scelte di carriera stanno portando contributo alla comunità? Ancora una volta serve prendere le distanze dai luoghi comuni che potrebbero intendere come “Responsible” una carriera orientata dalla domanda ‘quel ruolo o quell’azienda, mi consente di fare del bene?’, dando per assodato che una certa struttura organizzativa o mission aziendale diano garanzia di generare un impatto positivo per la comunità.

Una carriera Responsible, che vada oltre, si orienta con la domanda ‘al di là della tipologia di organizzazione per cui lavoro o potrei lavorare, quanto nel farlo contribuisco a rispondere alle esigenze comunitarie?’.

Per costruire una risposta serve dotarsi di indicatori che offrano dati su quanto si sta contribuendo alla comunità attraverso la propria carriera. Ad esempio, i dati messi a disposizione a chi redige il Bilancio sociale e di sostenibilità di un’organizzazione e che ci dicono se e in che modo si sta generando valore per la comunità, a partire dall’engagement della comunità stessa (geografica ma anche virtuale) nel leggere risorse ed esigenze. Ma anche le verifiche periodiche dei singoli reparti o ruoli, ci informano se oltre ai traguardi economici raggiunti si siano raccolti dei dati anche sulle implicazioni di questi al di fuori delle proprie mura. Le ulteriori connessioni che si generano tra l’essere responsible e il contribuire alla comunità le leggeremo nell’articolo che uscirà ad aprile, in cui si affronterà lo sviluppo di carriera in chiave di sostenibilità.

Concludendo, il successo di una carriera sta nel ‘far succedere’, quotidianamente e in qualsiasi assetto lavorativo, cambiamenti che contribuiscono a rispondere ad esigenze trasversali della comunità in cui il Career Leader Communityholder vive ed opera. Ponendosi quelle domande, da soli e in squadra, che consentano di andare oltre il proprio sguardo, e ben sapendo che se oggi “coltivo” valore per la comunità, domani potrò raccoglierne i frutti anche nel mio orto.

I cittadini la sanno più lunga?

Un team di scienziati hanno chiesto ai cittadini di valutare l’impatto sociale e scegliere quale ricerca sostenere. Ecco cos’hanno scoperto.

 

Diletta Di Marco, PhD Student in Management Engineering – Innovation and Public Policy 

La scienza si adopera per migliorare le condizioni dell’Umanità e della natura. Tuttavia, non è sempre facile capire come individuare la ricerca capace di soddisfare le esigenze più impellenti. Per tanto tempo la direzione della scienza è stata decisa unicamente da scienziati professionisti mediante peer review. Esistono però nuove iniziative di democrazia partecipata che stanno tentando di assecondare il desiderio dei cittadini di assumere un ruolo attivo nelle decisioni importanti in ambito scientifico. Ad esempio, un’amministrazione locale danese ha chiesto ai cittadini di scegliere tramite votazione online i progetti di ricerca medica da finanziare.[1] Anche il Canadian Fathom Fund ha scelto di finanziare gli scienziati che presentano i propri progetti su piattaforme di crowdfunding e che raccolgono online almeno il 25% del budget prefissato.[2] 

In un mondo che affronta sfide sociali, ambientali ed economiche senza precedenti, l’idea alla base di queste iniziative è quella di coinvolgere i destinatari principali dei problemi e delle loro conseguenze – ossia i cittadini.

Mentre gli scienziati, gli istituti di ricerca e i finanziatori stanno sperimentando nuove modalità per collaborare attivamente con i cittadini, una delle perplessità è il fatto che la definizione di questione ad alto impatto sociale è problematica e soggettiva. Inoltre, il meccanismo utilizzato per coinvolgere attivamente i cittadini nel processo di definizione dell’agenda può generare preconcetti oppure conferire un’influenza sproporzionata ai gruppi più ricchi e potenti.

Per queste ragioni, la valutazione dell’impatto della ricerca è fonte di emozione per scienziati professionisti, agenzie finanziatrici e politici: ognuno di essi desidera individuare nuovi criteri per giudicare la sostenibilità e il valore della ricerca. Questi integrano quelli tradizionali, più incentrati su prerequisiti quali età, genere, esperienze pregresse nella ricerca e nei progetti nello stesso campo di ricerca.

Nel tentativo di esaminare quest’area tanto importante quanto inesplorata, un team di ricerca della nostra School of Management ha studiato le modalità con cui l’opinione pubblica valuta l’impatto sociale e sceglie di concedere o rifiutare il sostegno alla ricerca scientifica. Il team è composto da Chiara Franzoni e Diletta Di Marco del Politecnico di Milano, in collaborazione con Henry Sauermann di ESMT Berlin.

Il team ha selezionato quattro autentiche proposte di ricerca che hanno raccolto attivamente dei fondi sulla piattaforma Experiment.com. I progetti riguardavano settori molto diversi, e spaziavano dagli studi ambientali sulla diffusione delle lontre in Florida, passando per studi sociali sull’orientamento sessuale e i divari di retribuzione, fino a studi per la ricerca di una cura per la malattia di Alzheimer e il Covid-19. Hanno reclutato oltre 2300 cittadini su Amazon Mechanical Turk e chiesto loro di valutare uno dei quattro progetti in base ai tre criteri normalmente utilizzati nella valutazione delle ricerche: i) impatto sociale, ii) merito scientifico e iii) qualifiche del team.
Successivamente, hanno chiesto ai cittadini se avevano un interesse o un’esperienza diretti del problema che la ricerca stava tentando di risolvere (es. un familiare affetto dalla malattia di Alzheimer in fase di valutazione di un progetto che studiava una cura per l’Alzheimer), e infine hanno chiesto ai cittadini se il progetto in questione andasse finanziato o meno. A tale scopo, hanno utilizzato due meccanismi di voto differenti: i) una raccomandazione semplice e gratuita a finanziare o meno il progetto (voto senza costi) e ii) una piccola donazione destinata al progetto (voto con costi), che i valutatori potevano effettuare scegliendo di non incassare un bonus da 1 USD fornito dal team. Alla fine della giornata, il team ha quindi devoluto i bonus donati a progetti di ricerca autentici.
Il team ha poi analizzato le risposte con modelli statistici ed econometrici, come pure con una codifica qualitativa delle risposte testuali.

Le analisi hanno rivelato tre risultati fondamentali:

  1. In primo luogo, i cittadini hanno posto una forte enfasi sull’impatto sociale. Erano più propensi a sostenere un progetto se gli attribuivano un impatto sociale elevato, anche se a loro avviso il merito scientifico o le qualifiche del team erano ridotti. Un’analisi complementare delle opinioni fornite sotto forma di risposte aperte ha corroborato la suddetta prospettiva. I cittadini tendevano a concentrarsi sull’importanza percepita del problema (es. dimensione della popolazione interessata, gravità del problema), prestando meno attenzione alla capacità del progetto di risolvere il problema.
  2. In secondo luogo, il sistema di voto adottato ha influenzato notevolmente la composizione dei votanti. Il voto con costi ha fatto sì che a votare fossero persone con un livello d’istruzione e di reddito superiori. Se ne deduce che i meccanismi che impongono anche solo un piccolo costo personale spingeranno i cittadini coinvolti a rinunciare ai vantaggi dell’inclusione e della rappresentatività.
  3. In terzo luogo, i cittadini che avevano un interesse personale nel problema affrontato dal progetto erano più propensi a votare a favore del progetto, indipendentemente dal meccanismo di voto utilizzato (con o senza costi). Tuttavia, non sembravano sopravvalutare le aspettative in termini di impatto sociale del progetto. Di conseguenza, il crowdsourcing può conferire un potere maggiore a gruppi di interesse e membri dell’opinione pubblica con interessi personali nella ricerca. Al tempo stesso, persino i cittadini con un interesse personale nel progetto sembravano essere in grado di valutare l’impatto sociale in modo oggettivo, se veniva loro richiesto di farlo indipendentemente dall’espressione del proprio sostegno al progetto stesso.

Le scoperte di questo ampio progetto di ricerca contribuiscono al progresso del dibattito accademico in varie aree, tra cui la gestione delle comunità online (facendo luce sulla correlazione tra i meccanismi di voto, l’auto-selezione e la letteratura che confronta il pubblico e i contributi degli esperti con il finanziamento scientifico).
Soprattutto, tali scoperte hanno un’utilità pratica e immediata per politici, agenzie finanziatrici e gruppi d’interesse che lavorano per promuovere la democrazia partecipata.

Considerando che i tradizionali meccanismi di finanziamento della ricerca così come quelli di revisione si concentrano su ciò che potrebbe andare storto e non dedicano la giusta attenzione ai potenziali vantaggi, questi risultati indicano che le valutazioni dell’impatto sociale da parte dei cittadini non sono necessariamente “migliori”, tuttavia potrebbero fornire una prospettiva diversa e potenzialmente complementare.

 

[1] https://www.sdu.dk/da/forskning/forskningsformidling/citizenscience/afviklede+cs-projekter/et+sundere+syddanmark Accesso effettuato il 15 novembre 2021.

[2] https://fathom.fund/ Accesso effettuato il 15 novembre 2021.

Symplatform 3: la conferenza sulle piattaforme digitali

Nei giornali, nelle nostre riunioni e nei feed di LinkedIn c’è una parola che ricorre sempre più spesso: piattaforma.

Che sia un nuovo scandalo a carico di una delle grandi big tech, la nuova strategia di innovazione di un grande gruppo industriale…o semplicemente un nuovo servizio digitale, la parola piattaforma appare in qualunque settore.

Ma cosa vuol dire veramente piattaforma? Cosa hanno in comune Uber, Amazon, Apple…e un qualunque quotidiano? O ancora, perchè è corretto considerare un’app come Strava, il famoso servizio per fare tracking delle proprie performance sportive, una piattaforma? Questi e tanti altri temi sono al centro di Symplatform: l’evento in cui la conoscenza accademica incontra il mondo dei professionisti per costruire una discussione critica su cosa sono le piattaforme, come funzionano e cosa possono diventare per le persone, le organizzazioni e la nostra società.

Siamo felici di lanciare la terza edizione di Symplatform, un simposio sulle piattaforme digitali che si pone l’obiettivo di unire accademici e practitioners.
Symplatform è un progetto sviluppato da Trinity College Dublin, Politecnico di Milano School of Management e Audencia Business School.

Qui potete trovare un breve video che introduce la conferenza.

Il programma e la registrazione dell’evento sono disponibili a questo link: https://symplatform.com

Per maggiori informazioni potete scrivere a: daniel.trabucchi@polimi.it e tommaso.buganza@polimi.it.

Purpose Talks: al via un nuovo ciclo di eventi su Leadership e Purpose

Sostenibilità, profitto e impatto sociale possono convivere? Qual è il valore del purpose nelle scelte che un’organizzazione compie?
Ecco alcuni dei temi che tratteremo nei nostri Purpose Talks, un nuovo ciclo di eventi che, grazie agli interventi di docenti e manager, metterà al centro della discussione la necessità di aziende e organizzazioni di andare verso un nuovo modello di leadership, guidato da un higher purpose e capace di mettere le persone al centro.

Un cambiamento di cui, come Business School, vogliamo essere promotori ispirando e guidando i leader di domani.

Di seguito i dettagli del primo appuntamento

 

Giovedì 17 febbraio | H 18.00

Purpose Talks: lo “scopo” come driver di business

Cosa vuol dire essere un’azienda purpose-driven? Quali sono i vantaggi e come tali società saranno in grado di ridefinire il modo di fare business? Per rispondere a queste domande, non perdere la tavola rotonda organizzata dalla business school Politecnico di Milano.

Relatori Antonella Moretto, Associate Dean for Open Programs al MIP Politecnico di Milano

Alex Edmans, Professore ordinario di Finance alla London Business School e Direttore Accademico del Centre for Corporate Governance.

Darren Rudkin, Founder The Mind at Work

 

L’evento si tiene in lingua inglese:

https://www.som.polimi.it/event/perche-le-aziende-purpose-driven-performano-meglio-delle-altre-17022022/ 

 

P.E.A.S: la app per conoscere l’impatto ambientale della moda

Un sistema intelligente che integra tracciabilità sociale e ambientale dei capi d’abbigliamento con la gamification: P.E.A.S – Product Environmental Accountability System è un innovativo progetto realizzato grazie al supporto di Regione Lombardia dalla School of Management del Politecnico di Milano, dalle aziende MOOD, 1TrueID e WWG, in collaborazione con WRÅD

 

Nuova frontiera nel campo della comunicazione per la sostenibilità del settore moda e abbigliamento, la tecnologia P.E.A.S. non solo rende facilmente visibili per tutti informazioni sull’origine e impatto dei nostri vestiti ma, grazie ad un algoritmo, è anche in grado di comunicarci di quanto l’iniziale costo ambientale di quello che indossiamo viene ammortizzato nel tempo grazie al nostro amore ed utilizzo – incentivandone quindi, con un gioco, un uso duraturo nel tempo.

Ogni secondo l’equivalente di un camion carico di vestiti viene bruciato o gettato in discarica. I problemi sociali ed ambientali causati dall’industria della moda derivano dal fatto che noi tutti siamo stati indotti a disconnetterci emotivamente dai capi che compriamo” afferma Matteo Ward, CEO di WRÅD ed ideatore iniziale di P.E.A.S. “Tutti da anni ci ricordiamo dell’importanza di amare i nostri vestiti e di viverli a lungo per avere un impatto positivo sull’ambiente ma poco, o nulla, è cambiato – anzi! Da questa necessità l’idea di creare P.E.A.S., un gioco intelligente per contrastare in modo innovativo la sovrapproduzione e il sovraconsumo di vestiti”.

La tecnologia P.E.A.S offre ai clienti la possibilità di connettersi con i propri vestiti attraverso lo smartphone, di interagire con loro e di monitorare in tempo reale quanto il nostro modo di viverli può avere un concreto impatto positivo sul loro costo ambientale. Per far questo P.E.A.S. lavora ed elabora dati scientifici ottenuti, per questo primo progetto pilota, grazie ad un Life Cycle Assessment, seguito dalla società Process Factory, che ha calcolato l’impatto ambientale di tutti i passaggi produttivi necessari a trasformare un fiocco di cotone in una felpa. Un’analisi della catena produttiva, tracciata in una blockchain a ridotto consumo energetico, che ha restituito quindi una fotografia del costo ambientale del prodotto rispetto a 13 aree d’impatto diverse, dal cambiamento climatico al consumo idrico, che P.E.A.S. usa ed elabora per aiutarci a comprendere il reale valore della felpa e per ispirarci a viverla a lungo.

Ad ogni interazione con i propri utenti P.E.A.S. riconosce infatti da quanto tempo la felpa è stata utilizzata, restituisce aggiornamenti rispetto alla relativa diluizione del suo costo ambientale, premia comportamenti virtuosi legati al suo utilizzo e ricompensa, in primis, la scelta radicalmente rivoluzionaria di non averla abbandonata. In media, nel mondo, un capo di abbigliamento viene gettato dopo solo 7 utilizzi. Un consumo eccessivo, incompatibile con qualunque strategia di sviluppo sostenibile contemporanea, che deve essere contrastato.

E’ questo l’obiettivo comune che ha motivato questa partnership unica tra la School of Management del Politecnico di Milano, le aziende Mood, 1TrueID e WWG e WRÅD, uniti nella loro diversità di competenze e funzioni dalla volontà di portare la relazione tra persone e vestiti ad un nuovo livello di connessione, per il bene della società e del pianeta.

Dai risultati della nostra ricerca scientifica sulle cause della non sostenibilità del sistema moda e lusso emerge come sia impossibile raggiungere gli obiettivi di sostenibilità di lungo termine senza il contributo attivo di tutti gli attori coinvolti. Pensare che la responsabilità del cambiamento sia in capo ad un determinato soggetto della filiera moda è sbagliato e potenzialmente anche controproducente. Con P.E.A.S. per la prima volta abbiamo fatto il tentativo di mettere assieme tutti gli attori, dai brand di moda ai fornitori a monte lungo la filiera, fino al cliente finale. Solo con un atteggiamento responsabile e collaborativo sarà possibile un cambio di passo per ottenere risultati ambiziosi in tempi brevi” (Alessandro Brun, Professore Ordinario di Quality Management e Supply Management, School of Management del Politecnico di Milano).

P.E.A.S. è una tecnologia che si rivolge sia alle aziende, con design e applicazioni personalizzabili, che, in futuro, al pubblico finale. “La si può definire innovazione solo quando è sostenibile e impatta positivamente sulle persone, sulla comunità e sul nostro ambiente” (Mohamed Deramchi, CEO e founder di WWG).

Il progetto è stato supportato da Regione Lombardia con il bando Fashiontech, misura che sostiene i progetti di ricerca e sviluppo finalizzati all’innovazione del settore “Tessile, moda e accessorio”, secondo il principio della sostenibilità, dal punto di vista ambientale, economico e sociale.

 

L’MBA del MIP Politecnico di Milano tra i primi 100 al mondo

Lo certifica l’ultimo Global MBA ranking del Financial Times, il Master in Business Administration della School of Management dell’ateneo milanese è 91esimo al mondo, secondo in Europa se si considerano le scuole legate a un’Università tecnica

MIP Politecnico di Milano, la Graduate School of Business che fa parte della School of Management dell’ateneo milanese, conferma la sua competitività a livello internazionale e ottiene un altro importante riconoscimento. L’international Full Time MBA, tra i programmi flagship della proposta formativa del MIP e tappa strategica per perfezionare la carriera di manager e top manager, è tra i migliori 100 Master in Business Administration nel mondo. Secondo il Financial Times Global MBA Ranking, reso pubblico oggi, l’MBA del MIP è al 91esimo posto a livello globale. Se si circoscrive il ranking alle sole business school legate a un’università tecnica, il MIP è seconda a livello europeo, dietro solamente all’Imperial College Business School (UK).

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano hanno dichiarato: “Per un numero sempre maggiore di studenti in tutto il mondo, il nostro Master Full Time in Business Administration rappresenta il trampolino di lancio verso una carriera di valore. La qualità del nostro percorso formativo per eccellenza ci viene riconosciuta dall’autorevole ranking del Financial Times, a dimostrazione di quello in cui da sempre crediamo: la scelta di un MBA oggi si rivela decisiva per la crescita professionale di un leader in azienda”.

Tra i punti di forza che hanno favorito l’ingresso del MIP in classifica spicca una rilevante crescita dello stipendio. Nelle categorie relative ai progressi di carriera, infatti, l’incremento percentuale della retribuzione media a tre anni dal conseguimento del Master è passato dal 76% al 94%, se comparato con i dati dell’anno scorso. Relativamente al cosiddetto value for money, vale a dire il rapporto “qualità – prezzo”, la business school del POLIMI è sesta al mondo.

Relativamente agli altri criteri, ottimo il riconoscimento per l’international mobility, calcolato considerando la cittadinanza degli studenti e la location in cui hanno lavorato pre-MBA, a master completato e tre anni successivi: il 28 posto del MIP conferma l’eccellente qualità dei propri Alumni riconosciuta a livello italiano ed internazionale.

Significativo anche il posizionamento nella metà alta della classifica per un criterio che oggi assume una notevole importanza, soprattutto per una scuola che, unica in Europa, può vantare l’accreditamento B Corp. Il MIP è infatti 30esimo al mondo per la proporzione delle ore di formazione su temi di CSR (etica, green, responsabilità sociale) sul totale delle ore di insegnamento (criterio environmental, social and governance).

“In un mercato dinamico che offre ogni giorno nuove sfide”- concludono i due docenti al vertice del MIP – “le aziende devono essere guidate da manager dotati delle migliori capacità per garantire competività al proprio businessmotivazione e crescita ai propri dipendenti. Poter contare su un diploma rilasciato da una business school d’eccellenza, tra le poche a poter vantare i principali tre accreditamenti internazionali, è sicuramente uno stimolo per investire sul proprio futuro”.

L’offerta formativa d’eccellenza del MIP comprende annualmente circa 40 Master, tra cui anche 7 MBA ed Executive MBA, 200 programmi executive open e diversi corsi di formazione progettati su misura per aziende. L’International Full Time MBA si svolge su 12 mesi, di cui gli ultimi tre dedicati al project work finale. I corsi sono organizzati in Pillars, che toccano i temi centrali, e in corsi di specializzazione più verticali.

La MIP Management Academy lancia un catalogo di oltre 250 corsi pensati per le aziende

Oltre 250 titoli a copertura di 16 differenti aree tematiche: grazie al ventaglio di corsi 2022 della MIP Management Academy, sia i privati che le aziende potranno accedere a contenuti di riconosciuta eccellenza in maniera flessibile, per puntare a miglioramento delle performance, crescita del capitale umano, retention e motivazione.

La Prof.ssa Angela Tumino, Associate Dean for Corporate Education al MIP e Federico Giacomini, Director of Corporate Education al MIP, ci hanno spiegato nel dettaglio le caratteristiche di questa nuova offerta formativa.

Specificità e flessibilità: come la nuova offerta 2022 della MIP Management Academy dedicata ad imprenditori, manager ed imprese incarna questi due concetti?  

Flessibilità è la parola chiave per descrivere la MIP Management Academy – spiega la Prof.ssa Angela Tumino. Grazie alla sua ampia offerta è possibile costruire percorsi formativi su misura in termini di contenuti (il catalogo copre infatti ben 16 aree tematiche), durata (si spazia da corsi brevi di un paio di giorni fino ad Executive Master che richiedono un impegno di due anni) e modalità di fruizione: alcuni corsi sono erogati  on campus, per i quali comunque è sempre prevista la possibilità di seguire da remoto in caso di necessità, altri corsi sono FlexBlended e prevedono una parte di formazione asincrona tramite clip video, che si abbina a lezioni in diretta online (nel caso dei corsi Flex) oppure on campus (nel caso di corsi Blended) e vi sono infine i corsi online, che prevedono unicamente lezioni da remoto da fruire in modalità sincrona.  Altro elemento distintivo della MIP Management Academy è poi sicuramente la specificità: si basa su contenuti avanzati e di riconosciuta eccellenza, erogati da professori universitari e illustri professionisti.

La formazione continua è oggi fondamentale per la crescita di un professionista e – di conseguenza – per la crescita di un’azienda. Per far fronte a questa necessità, in che direzione sta andando la Corporate Education?

E’ proprio così – continua Angela Tumino – la Corporate Education sta evolvendo rapidamente per far fronte alle necessità dei professionisti e delle aziende. Le esigenze formative spaziano in un vasto range di tematiche e le competenze tecniche e specialistiche devono essere aggiornate costantemente per riuscire a cogliere e gestire i trend emergenti (si pensi ad esempio a quello dell’Intelligenza Artificiale, alla Blockchain, o alla crescente rilevanza di temi quali Sostenibilità, Transizione energetica o Industria 4.0). Al loro fianco poi diventano sempre più importanti le cosiddette soft skills, con una crescente contaminazione tra humanities e business. Cresce anche l’esigenza di andare oltre la formazione tradizionale con formati innovativi e caratterizzati da una elevata interazione con i partecipanti (come ad esempio gli Inspiring Workshop o i Corporate Lab). Alla luce di tutto questo, a partire dalle aree di competenza su cui si struttura la nostra MIP Management Academy, c’è anche la possibilità di costruire soluzioni custom, che rispondono al meglio agli obiettivi formativi e specifici di ciascuna azienda.

Tutti i corsi vengono erogati in classi interaziendali, ma possono quindi essere pianificati anche in house per una Academy destinata solo ad una specifica realtà aziendale. Come funziona nel dettaglio e quali sono i vantaggi di questa flessibilità?

Il passaggio da una modalità interaziendale, che favorisce il networking e la contaminazione tra saperi e business differenti, ad una modalità in house è assolutamente una delle possibilità previste dall’offerta della MIP Management Academy – specifica Federico Giacomini, Director of Corporate Education al MIP. Questo naturalmente può valere sia per un singolo corso che per un numero consistente di corsi, andando così a costituire una vera e propria Academy aziendaleNel secondo caso, garantiamo un supporto a 360° nella progettazione, insieme ad un team di esperti, partendo da un’analisi approfondita dei bisogni formativi dell’azienda e customizzando i vari corsi sulla base delle necessità più profonde che emergono dal confronto diretto col committente. Molto spesso questo tipo di confronto parte dalla comprensione del sistema di valori aziendali e dal modello di competenze che l’azienda ha deciso di adottare, indagando i gap attraverso assessment consolidati, che vanno a misurare in modo puntuale e strutturato la differenza tra l’expertise attuale e quella attesa dall’azienda.

 

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Parte Green SUIte: la sfida per la sostenibilità che impegna 60 squadre aziendali

Agos, Gruppo Enercom, Sparkasse, Gruppo Tea, la School of Management del Politecnico di Milano, animati dall’Osservatorio Startup Intelligence, promuovono e premiano i comportamenti virtuosi fuori e dentro l’azienda in collaborazione con la startup Up2You.  

 

Parte Green SUIte, la sfida per l’ambiente che coinvolge i dipendenti di Agos, Gruppo Enercom, Sparkasse, Gruppo Tea e la School of Management del Politecnico di Milano, in un percorso volto a sensibilizzare, educare e attivare comportamenti virtuosi sulla sostenibilità, con il coinvolgimento di Up2You, start up innovativa e azienda certificata B Corp, che promuove lo sviluppo sostenibile.

Il progetto è nato da un’idea di Agos e Up2You in uno dei tavoli di lavoro della settima edizione dell’Osservatorio Startup Intelligence, uno dei 46 Osservatori della School of Management del Politecnico di Milano, rivolto allo sviluppo dell’open innovation e alla contaminazione con le startup. Green SUIte ha l’obiettivo di valorizzare le tematiche legate alla sostenibilità, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli ESG, coinvolgendo attivamente e in modo divertente i dipendenti delle società partecipanti. La reazione è stata molto positiva e circa 600 dei 5.000 dipendenti totali hanno risposto organizzandosi in 60 agguerriti team.

Con Green SUite le squadre saranno impegnate per 12 settimane in quiz e missioni da superare, volte a sviluppare cultura e consapevolezza sulla sostenibilità, fuori dal paradigma per cui essere sostenibili possa essere faticoso o noioso. Ingaggiando i partecipanti in piccole azioni quotidiane, come la cucina creativa per ridurre lo spreco alimentare, la ricerca e l’acquisto di prodotti sfusi, a km zero, di stagione, o la mobilità condivisa, oppure un utilizzo più virtuoso delle tecnologie, si sviluppa in tutti i partecipanti una maggiore consapevolezza circa l’impatto ambientale di ogni singola azione, per essere più eco-sostenibili dentro e fuori dall’azienda, e si rilegge la quotidianità in un’ottica nuova. E’ un esempio la missione “Passa al lato oscuro!”, in cui i partecipanti saranno esortati a usare la modalità scura su pc e telefono. “Il nero si sa, è chic! Ma oltre a essere cool (e farti sentire più cool), la dark mode riduce il consumo di energia e quindi, le emissioni di CO2”. Difficile a questo punto non seguire il suggerimento ricevuto su Green SUite!

Green SUIte si configura come una piattaforma digitale innovativa multi azienda basata sullo spirito di squadra e il coinvolgimento di team aziendali in azioni sostenibili, alla cui base c’è il prodotto Play di Up2You, unica azienda in Europa che, oltre a essere autorizzata a gestire Crediti di Carbonio certificati VERRA e Gold Standard, lo fa utilizzando la Blockchain.

Questo progetto è diventato ben presto un virtuoso caso di Open Innovation, approccio che, complice anche la situazione pandemica, sta dimostrando alle imprese sempre più l’importanza dell’ecosistema esterno per l’innovazione e dando prova che spesso la collaborazione è lo strumento chiave per dare alla luce soluzioni in grado di portare effettivo cambiamento e impatto in azienda e nella società.

I dati delle Ricerca 2021 dell’Osservatorio Startup Intelligence parlano chiaro: più di un terzo delle grandi imprese italiane già collabora con le startup, registrando trend positivi rispetto agli anni passati. Un dato veramente confortante per l’intero ecosistema innovativo italiano che rivela un cambio di paradigma in atto e la crescita in dimensione e in casi di successo – afferma Alessandra Luksch, Direttore dell’Osservatorio Startup Intelligence. Il progetto Green SUIte, è stato reso possibile dalle attività sviluppate dall’Osservatorio Startup Intelligence per favorire l’open innovation nelle imprese e grazie alla vivace community di aziende partner che lo caratterizza. L’iniziativa è davvero la dimostrazione che nessuno innova da solo e che la collaborazione porta velocemente risultati concreti e benefici diffusi.”