Quando finanza fa rima con innovazione. Welfin si presenta

Un’idea, un project work, una startup: la storia di Welfin passa dalle aule del MIP al mercato finanziario grazie alla sua forte impronta innovatrice. Sarà la prima piattaforma di prestiti P2P con credito garantito dall’azienda a essere lanciata sul mercato. I suoi fondatori raccontano il progetto.

«In Italia il mercato del credito al consumo è in continua espansione e i prestiti P2P (peer to peer, ndr) continuano ad avere un grande potenziale». Perché non partire da qui e ripensare il credito tra privati in una nuova ottica intra e inter-aziendale? Questa la riflessione da cui sono partiti Ideo Righi, Francesco Giordani, Alessandra Bellerio e Roberto Bertani, fondatori di Welfin, nonché alumni EMBA Pt 2018.
Welfin è una piattaforma che rivoluziona il credito tra dipendenti, permettendo a una o a più comunità aziendali di ottenere il massimo dalla condivisione delle proprie risorse. In altri termini, per dirla con le parole dei cinque fondatori, «Welfin mette in relazione lender (chi presta), borrower (chi prende in prestito) e azienda (che fa da garante) favorendo la creazione di condizioni vantaggiose per tutti gli attori in gioco». Vediamo di capirne di più.

Un modello di business che mette d’accordo tutte le parti

In un mercato del credito al consumo che presenta tassi di interesse mediamente elevati, le politiche di concessione del credito da parte delle aziende sono spesso caute e il costo del recupero crediti oneroso. «Welfin interviene creando un circolo virtuoso che premia i tre interlocutori in gioco, lender, borrower e azienda, attraverso un sistema win-win-win» spiega Francesco. «Win per chi presta, perché ha un rendimento garantito dall’azienda a tassi superiori di quelli di mercato; win per chi prende in prestito perché ottiene tassi vantaggiosi e win per l’azienda, che facendo da garante fidelizza i dipendenti, ne aumenta il senso di appartenenza e migliora la propria reputation», prosegue Alessandra. «Welfin offre all’azienda un nuovo strumento di welfare con cui ottimizzare la gestione del credito insoluto, creare un beneficio economico condiviso puntando sull’innovazione finanziaria – sottolinea Ideo -. Sono già molti gli imprenditori che, consapevoli dell’efficienza del modello di business di Welfin, desiderano implementare la piattaforma e partire quanto prima».

Genesi e sviluppo di Welfin. Dal project work alla scelta di “fare impresa”

Ma qual è stato il punto di partenza? «L’osservazione di una realtà imprenditoriale che soffriva dell’insolvenza, verso strutture di credito al consumo, dei suoi dipendenti ci ha permesso di riflettere e studiare un sistema che potesse aiutare tutte le parti coinvolte, dall’azienda ai dipendenti. Abbiamo quindi individuato un’esigenza e ideato una soluzione» spiega ancora Ideo. Per Alessandra, «i valori di riferimento che hanno ispirato Welfin sono stati l’etica, la trasparenza e l’utilità per i dipendenti». Un’idea diventata prima project work per l’EMBA Pt 2018 e poi – grazie alla fiducia e al successo ottenuto – una startup. «Quando ci siamo accorti del suo potenziale, abbiamo deciso di “fare impresa”» racconta Francesco. «Ci siamo scelti all’interno dell’aula del Master e abbiamo creato un team affiatato, trasversale, con alle spalle già un’esperienza di business e quindi una chiara percezione dei rischi. Una squadra che viaggia sulla stessa lunghezza d’onda quindi, sia in ottica di crescita personale che professionale», commenta Alessandra.

La finanza premia l’innovazione sostenibile

Welfin ha vinto il Premio “Fintech & Insurtech 2019”, istituito dall’omonimo Osservatorio del Politecnico di Milano, riservato ai progetti più innovativi in ambito finanziario. Quali sono state le sue carte vincenti? «Un modello di business inedito che riesce a innovare il settore finanziario in modo sostenibile e intelligente» raccontano gli ideatori. «Grazie al riconoscimento ottenuto inizieremo un periodo di incubazione attraverso il PoliHub, contestuale allo sviluppo di tutti gli ambiti necessari al go to market, da quello fiscale a quello legale, in modo da arrivare pronti al calcio d’inizio ufficiale».
L’azienda, inoltre, ha anche avviato un dialogo con Banca d’Italia. «Abbiamo effettuato una prima valutazione della compliance normativa del modello di business. Un’esperienza che ci ha offerto conferme e spunti di riflessione per arrivare al go to market ancora più pronti», raccontano i tre, che in conclusione illustrano il ruolo che ha avuto il MIP in questa esperienza e i suoi punti di forza: «Il network, la professionalità dei docenti e il grande supporto in tutte le fasi di sviluppo del progetto. Il Master ci ha garantito un’esperienza orientata all’imprenditorialità, fortemente pragmatica e interattiva ed è stato anche un incubatore di talento e open-mindedness di modelli applicativi di business e sviluppo di leadership. E il modello di business di Welfin, secondo noi, potrebbe essere ancora più efficace nel periodo di ripresa dalla pandemia di Covid-19, quando di fronte all’aumento delle criticità per l’accesso al credito al consumo, fungerà da supporto per i nuclei familiari e i singoli lavoratori in difficoltà».
Non resta che (ri)partire, quindi.

Il Politecnico di Milano si aggiudica la vittoria italiana della CFA Research Challenge 2020

Con l’analisi finanziaria di Ferrari, gli studenti del Politecnico di Milano battono l’Università Cattolica di Milano e l’Università Politecnica delle Marche e si preparano alla regionale EMEA. La finale globale si terrà il prossimo 22 aprile

 

Il Politecnico di Milano vince la finale italiana della CFA Research Challenge 2020, competizione mondiale di finanza targata CFA Institute e promossa nel nostro Paese da FactSet, Fidelity International, Kaplan Schweser e PwC Italia.
L’evento si è svolto in remoto giovedì 5 marzo, a seguito delle disposizioni emanate dal Ministero della Salute d’intesa con il presidente della Regione Lombardia, e ha visto il coinvolgimento di nove atenei, 43 studenti e oltre 30 professionisti. Alla fase italiana, coordinata da CFA Society Italy, hanno partecipato i team rappresentanti le seguenti università: Università Cattolica di Milano, SDA Bocconi, Politecnico di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Università Carlo Cattaneo LIUC, Libera Università di Bolzano, Università di Pavia, Università Politecnica delle Marche e Università di Napoli Federico II.

Gli studenti Marco Aurélio De Oliveira Jesus, Luca Marconi, Matteo Muzio, Giovanni Pintus e Beatrice Sartori, sotto la guida dei docenti Marco Giorgino e Laura Grassi e del mentor CFA Alberto Mari, hanno presentato il loro studio su Ferrari a una giuria di sei esperti del settore finanziario: Christian Alessandrini (PwC Italia), Alberto Chiandetti, CFA (Fidelity International), Gabriele Montalbetti, CFA, CIPM (Consultinvest), Marco Greco (Value Track), Pinuccia Parini (Family Strategy), Carla Scarano (Anima SGR). Il secondo e terzo posto sono stati assegnati rispettivamente all’Università Cattolica di Milano e all’Università Politecnica delle Marche.

Il Politecnico di Milano proseguirà direttamente per la finale regionale EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa), che si terrà il prossimo 1 e 2 aprile 2020. A testimonianza dell’elevata qualità dei nostri studenti e dei professionisti che li seguono, già nel 2016, 2014 e 2011 l’Italia si è aggiudicata la finale regionale EMEA.
La finale mondiale, invece, si disputerà il 22 aprile 2020, mettendo a confronto i vincitori di EMEA, America e Asia Pacifico.

Siamo davvero felici del risultato ottenuto, che ripaga ogni singolo sforzo fatto durante questi 4 mesi. Il lavoro di squadra e l’esperienza acquisita sono, insieme alla vittoria, il premio più grande”. Queste le prime parole espresse dal team vincitore del Politecnico di Milano. “Ci teniamo a ringraziare CFA Society Italy per l’organizzazione della challenge e in particolare il dott. Quarto di Palo, il team di Investor Relations di Ferrari per il supporto e la disponibilità, il nostro stimatissimo mentor CFA, Alberto Mari, che ci ha dedicato tempo, energie e sopratutto non ha mai smesso di credere in noi, il prof. Marco Giorgino e la prof.ssa Laura Grassi del Politecnico di Milano per averci concesso l’opportunità di partecipare a questa fantastica esperienza”.

Quest’anno la società era sicuramente molto sfidante, un simbolo del nostro Paese. Siamo molto felici che il lavoro dei nostri ragazzi sia stato apprezzato dai giudici”. Hanno commentato Marco Giorgino e Laura Grassi, rispettivamente docenti di Financial Markets and Institutions e Investment Banking del Politecnico di Milano. “Essere i campioni in carica e vincere le finali italiane ormai da molti anni genera un po’ di pressione e aspettativa, ma questo induce gli studenti a dare il meglio. Ora però una nuova sfida ci aspetta e l’obiettivo sarà rappresentare con orgoglio la nostra Scuola di Ingegneria Gestionale e il Politecnico di Milano a livello EMEA”.

CFA Society Italy, nella sua attività pluriennale, ha costruito un’intensa relazione con le università italiane per promuovere i principi di integrità ed eccellenza professionale presso le giovani generazioni”. Ha affermato Giuseppe Quarto di Palo, CFA, Direttore CFA Society Italy e coordinatore della CFA Research Challenge in Italia “Siamo felici di poter offrire alle università e ai loro talenti l’opportunità di misurarsi in una competizione realistica, volta a riprodurre l’esperienza di un ufficio di ricerca di società di gestione o di case di investimento. Ai migliori studenti offriamo, inoltre, borse di studio per accedere al Programma CFA, al fine di ottenere una certificazione globalmente riconosciuta nel settore finanziario”.
Questa iniziativa consente di raggiungere alcuni obiettivi importanti nel mondo della formazione e delle accademie. Innanzitutto, avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, combinando le conoscenze accademiche con le tecniche e gli strumenti utilizzati dai professionisti del settore finanziario. Il secondo obiettivo è quello di dare risalto alle nostre eccellenze universitarie italiane a livello europeo e mondiale”. Ha commentato Giancarlo Sandrin, CFA, presidente, CFA Society Italy. “Questo progetto non potrebbe esistere senza il prezioso contributo dei volontari dell’associazione e dei partner che hanno sostenuto l’iniziativa FactSet, Fidelity International, Kaplan Schweser, PwC Italia e Ferrari, la società di Maranello oggetto di ricerca da parte degli studenti”.

FactSet è estremamente lieta di aver supportato per il quinto anno consecutivo la CFA Research
Challenge in Italia offrendo la nostra piattaforma analitica a studenti, professori e mentor”. Ha
dichiarato Dorin Agache, Account Manager & Academic Sales FactSet. “Uno dei nostri principali obiettivi è colmare il gap tra l’università e il mondo del lavoro consentendo a tutti i partecipanti di utilizzare gli strumenti e i dati di mercato necessari per simulare appieno la professione di analista finanziario. I più cari complimenti al Politecnico di Milano che proseguirà la competizione verso la conquista del titolo EMEA e anche a tutti gli altri atenei che investono tempo e risorse per sviluppare la qualità della didattica e credono nel valore di crescita di questa straordinaria iniziativa organizzata da CFA Institute“.

Tiresia Impact Outlook 2019

I capitali per l’impatto sociale in Italia superano gli 8 miliardi di euro, in crescita gli asset gestiti dagli operatori equity.

Presentato il Tiresia Impact Outlook 2019 realizzato dall’omonimo Centro di ricerca di innovazione e finanza per l’impatto sociale della School of Management.

Il 2019 è stato l’anno d’oro per la finanza per l’impatto sociale. I temi legati alla sostenibilità sono diventati centrali nella coscienza collettiva e nel sistema economico e finanziario tradizionale: la famosa lettera di Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, il manifesto della Business Roundtable e la prima pagina del Financial Times su tutti hanno sancito la necessità di ripensare il capitalismo, hanno segnato la definitiva consacrazione dell’imperativo dell’impatto.

La ricerca Tiresia Impact Outlook 2019, realizzata dall’omonimo Centro di ricerca di innovazione e finanza per l’impatto sociale della School of Management e presentato la scorsa settimana, offre una descrizione aggiornata dello stato dell’arte della finanza per l’impatto sociale in Italia e alcune riflessioni sulle sue possibili traiettorie di sviluppo. L’analisi è basata su 58 interviste strutturate a operatori sia dal lato dell’offerta sia della domanda di capitali.

“Lo studio restituisce l’immagine di un settore ancora piccolo, in grande trasformazione – commenta Mario Calderini, docente di Social Innovation e direttore di Tiresia – nel quale gli operatori stanno via via strutturando modelli e strumenti. Una enclave che tuttavia potrà giocare un ruolo prezioso nel contaminare virtuosamente l’industria finanziaria, il suo processo di trasformazione, verso modelli più sostenibili e inclusivi”.

La metodologia poggia su una definizione inclusiva di finanza per l’impatto: un’ampia gamma di investimenti e finanziamenti basati sull’assunto che i capitali privati, talvolta in combinazione con i fondi pubblici, possano intenzionalmente contribuire a creare impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici. Gli operatori così identificati sono stati profilati in base alle loro caratteristiche e all’approccio utilizzato nelle loro attività riconducibili alla finanza per l’impatto, descritto attraverso una triade di elementi qualificanti, la cosiddetta triade dell’impatto: intenzionalità, misurabilità e addizionalità.

Il capitale per l’impatto impiegato dal 2006 in Italia è circa 8 miliardi di euro. Di questi, gli investimenti in equity effettuati dai soggetti intervistati dal momento del loro ingresso nell’industry è di 1.263,4 milioni di euro (15,7% del totale degli impieghi). Il totale dei finanziamenti erogati dagli intervistati, sotto forma di credito alle organizzazioni ad impatto sociale, è di 6.767,8 milioni di euro (84,3% del totale degli impieghi). Nel 2019, il totale degli asset gestiti dagli operatori equity è di 1.824,75 milioni e crescerà del 19% nel prossimo anno.

Rispetto alle aree di impatto sociale, obiettivo degli investimenti e dei finanziamenti, classificate secondo i 17 SDGs delle Nazioni Unite, prevale l’obiettivo “Buona occupazione e crescita economica” (73,7% degli operatori) seguito da “Imprese, innovazione e infrastrutture” (65,8%).

Per quanto riguarda i rendimenti attesi, il 60% degli intervistati dichiara aspettative di rendimento inferiori rispetto ai normali valori di mercato. Per il 73% degli investitori equity i rendimenti attesi si attestano tra il 2% e il 5%. Per chi opera nel mercato del credito, i rendimenti attesi sono prevalentemente in linea con gli ordinari tassi di mercato.

Circa il rischio finanziario associato alle operazioni di finanza per l’impatto, l’insieme di intervistati ha dato risposte eterogenee: il 45,5% dichiara un rischio maggiore delle operazioni ordinarie, mentre il 42,4% in linea ed un 15,2% inferiore. È rilevante osservare che la percezione di maggiore rischiosità è sensibilmente differente tra investitori equity e operatori sul mercato del credito, essendo questi ultimi più orientati ad una percezione di rischio minore.

Tra i criteri di screening adottati dagli operatori per l’impiego del capitale, il più utilizzato è l’analisi del modello di business (83,3%) seguito dal potenziale del progetto imprenditoriale di rispondere a un bisogno sociale (66,7%) e dalle competenze manageriali e tecniche del team (30%). Da ciò si evince che per un terzo degli operatori l’impatto sociale rappresenta una condizione di eleggibilità dell’operazione finanziaria ma non un criterio di screening vero e proprio.

Tra le strategie di exit, riconosciute come un possibile ostacolo agli investimenti, prevalgono l’acquisizione delle quote da parte di altri investitori e il management buyout, mentre ancora irrilevante è l’aspettativa della possibile nascita di mercati organizzati per i titoli a impatto sociale. Dal punto di vista delle barriere che ostacolano lo sviluppo dell’industry, prevalgono la mancanza di competenze finanziarie dei soggetti investiti, debolezza dei social business model e un’assenza di politiche pubbliche.

Specularmente, tra le azioni necessarie a sviluppare l’industry, viene segnalata una necessità di azioni di capacity building tra le imprese che perseguono obiettivi di impatto sociale, lo sviluppo di azioni pubbliche volte alla semplificazione, nuovi schemi di partenariato pubblico-privato, la modellizzazione e l’omologazione dei processi e dei metodi utilizzati nei processi di investimento.

Coerentemente, il 60% degli intervistati considera il settore pubblico l’attore decisivo nell’imprimere un’accelerazione all’industry.

Il presente studio descrive un ecosistema che, seppur ancora di nicchia, contiene caratteristiche antropologiche, valori, modelli e strumenti che potranno giocare un ruolo decisivo nel fecondare una transizione dell’industria finanziaria mainstream verso un modello compatibile con le grandi sfide ambientali e sociali emergenti. Un laboratorio di innovazione e trasformazione che si propone come esempio per il ripensamento dei modelli di gestione di triliardi di asset affinchè possano generare insieme valore economico e sociale ristabilendo un rapporto più positivo con la società, con le comunità, con gli individui.

Il report completo è scaricabile dal sito www.tiresia.polimi.it

 

Banor SIM presenta il nuovo studio in ambito ESG sul mercato obbligazionario

Dopo la ricerca sulla relazione tra le performance azionarie e i criteri ESG presentata lo scorso anno che considerava il mercato azionario europeo, BANOR SIM e la School of Management del Politecnico di Milano hanno esposto oggi a Roma i risultati dello studio che guarda alla relazione tra mercato obbligazionario e rating ESG, sempre in riferimento all’Europa.

Abbiamo adottato lo stesso approccio e la stessa metodologia utilizzata dal Prof. George Serafeim della Harvard Business School, tra i più autorevoli esponenti nell’ambito dell’investimento responsabile, che da anni analizza il fenomeno e la correlazione tra criteri ESG e performance di mercato.” illustra Massimiliano Cagliero, AD e fondatore di Banor SIM, che prosegue “Nel 2018 ci siamo concentrati sull’analisi del mercato azionario, che ha fatto emergere il valore per l’investitore dell’integrazione delle variabili ESG nel processo d’investimento in combinazione al value investing. Quest’anno abbiamo voluto esplorare l’altra faccia del mercato, quello obbligazionario, su cui i nostri clienti sono sempre stati storicamente molto presenti. Era per noi quindi d’obbligo analizzare a fondo la questione.”

Il convegno organizzato da Banor SIM ha portato oggi a Roma il Prof. George Serafeim della Harvard Business School, il Dott. Alessandro Tappi, Chief Investment Officer dell’European Investment Fund, e il Prof. Giancarlo Giudici della School of Management del Politecnico di Milano, coordinatore dello studio, per illustrare e commentare i risultati della ricerca.

Le evidenze mostrano una performance migliore dei titoli associati alle buone pratiche ESG, soprattutto nel periodo più recente, in particolare per i titoli high yield. Inoltre, il parametro che discrimina di più è quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano essere percepiti come meno rilevanti per quegli investitori interessati a ridurre il rischio di insolvenza nel breve periodo piuttosto che la sostenibilità e il vantaggio competitivo di lungo termine.

Le tematiche ESG sono al centro dell’attenzione come non mai; da una parte gli investitori dimostrano sempre di più la volontà di impiegare i risparmi considerando parametri di sostenibilità ambientale, sociale e di buona governance societaria, dall’altra i policymaker europei stanno introducendo una serie di obblighi formativi e informativi – osserva il Prof. Giancarlo Giudici, Politecnico di Milano -. È quindi imprescindibile per gli asset manager studiare il mercato e farsi trovare pronti per questa nuova sfida”.

È stata anche confermata l’ipotesi iniziale secondo cui il mercato, nel corso del tempo, abbia attribuito uno spread negativo alle emittenti con punteggio ESG migliore, reputandole meno rischiose nel breve e medio termine. Questo effetto sembra essere limitato al vantaggio dell’adozione di buone pratiche per il governo societario che per gli investitori può implicare costi di agenzia inferiori, minor rischio di comportamenti opportunistici e miglior monitoraggio.

Approccio

La ricerca portata avanti da Banor SIM e dalla School of Management del Politecnico di Milano ha studiato la relazione tra rating ESG e spread di rendimento dei titoli obbligazionari sui mercati europei seguendo l’approccio di Khan et al. (2016) già utilizzato sul mercato statunitense, per cui il peso attribuito ad ogni indicatore ESG varia da settore a settore per tenere conto delle specificità di ogni area di business. È il principio della materialità, su cui SASB (Sustainability Accounting Standards Board) ha costruito una matrice per l’analisi e l’attribuzione di un peso specifico a ciascuna dimensione ESG in base al settore di attività dell’impresa.

Metodologia

L’analisi ha riguardato 536 obbligazioni quotate sui listini europei ed emesse da 146 imprese di medie e grandi dimensioni tra gennaio 2014 e dicembre 2018 ad esclusione dei titoli convertibili e di quelli collocati da banche e società immobiliari. La selezione si è concentrata sulle obbligazioni incluse in due ETF di Barclays, lo SPDR Bloomberg Barclays EU High Yield Bd UCITS ETF e lo SPDR Bloomberg Barclays Euro Corp Bond UCITS ETF. Per ciascun titolo sono stati raccolti i prezzi di Borsa (fonte: Datastream), i bilanci dell’emittente (fonte: Worldscope) e i parametri rilevanti in ambito ESG (fonte: Thomson Eikon ESG e ricerca manuale sui prospetti informativi e sui bilanci di sostenibilità delle emittenti). Arrivati a 424 indicatori disponibili, ad ognuno si è associata una delle 30 classi di variabili della matrice SASB che mostra l’importanza relativa dei parametri ESG per ogni settore.

I punteggi ottenuti sono poi stati normalizzati e per ogni anno si è calcolato un punteggio ESG finale per singola impresa emittente come media ponderata di E, S e G secondo i pesi raccomandati da SASB. In seguito le emittenti sono state suddivise in due gruppi in funzione del punteggio ESG superiore o inferiore alla mediana. Successivamente si è proceduto al calcolo del Total Return Index mensile dei titoli dei due gruppi, conducendo analisi separate per quelli investment grade e high yield.

Evidenze

Lo studio ha fatto emergere che anche il mercato obbligazionario europeo, specie negli ultimi anni, considera il rating ESG di un’emittente come elemento che influisce sul rendimento atteso. Confrontando un panel di obbligazioni quotate tra le più liquide si è visto che la performance dei titoli associati alle migliori pratiche ESG è stata migliore, soprattutto per i titoli ad alto rendimento. In realtà il parametro determinante è di gran lunga quello legato alla buona governance mentre i fattori environment e social sembrano andare in senso opposto.

L’analisi dello Z-spread lascia supporre che il mercato negli ultimi anni abbia cominciato ad offrire uno “sconto” sul costo del capitale richiesto alle imprese che seguono buone pratiche ESG, determinando un apprezzamento maggiore dei loro titoli.

I risultati della ricerca sono molto interessanti – ha spiegato Angelo Meda, Responsabile della Ricerca Banor SIM, a conclusione della presentazione – Le nostre ipotesi hanno in parte trovato conferma, in parte lo studio ha gettato nuova luce e fatto chiarezza. Ci aspettavamo che l’integrazione di valutazioni ESG nell’asset allocation potesse migliorare la qualità delle analisi dell’approccio value che seguiamo. Il fatto che le tre variabili E, S e G non si muovano di concerto è viceversa un fatto inatteso e di cui terremo conto.”