«Con l’MBA la crescita è personale, non solo professionale»

Achille Balestrini, nuovo Ceo e Global brand manager di Nava Design Milano e MH Way, racconta il suo percorso professionale e formativo, segnato dal Politecnico. E spiega quanto è importante, anche per chi ha già un’esperienza sul campo, strutturare maggiormente con un master le nozioni apprese.

Dall’architettura al management, passando attraverso l’iniziativa imprenditoriale. È la traiettoria professionale di Achille Balestrini, alumnus MBA Pt It 6 presso il MIP Politecnico di Milano e recentemente nominato nuovo Ceo di Nava Design Milano e MH Way, due realtà parte di Smemoranda Group. Un cammino, il suo, segnato da tre elementi importantissimi per chi ha deciso di farsi strada nel mondo del business: passione, competenza e intraprendenza. Ma anche dalle esperienze vissute nell’ateneo milanese: «Se ho scelto l’MBA del MIP, è anche perché proprio al Politecnico avevo conseguito la laurea in architettura», racconta Balestrini. Ma tra la laurea e il master c’è stato un percorso fatto di intuizioni e scommesse personali.

Architetto, imprenditore, manager

Dopo la laurea e l’inizio della propria carriera nel mondo dell’architettura, Balestrini decide infatti di assecondare la propria passione per l’abbigliamento sportivo casual. «Non riuscivo a smettere di pensare a un’idea che all’epoca sembrava decisamente innovativa, quella di un brand che fosse personalizzabile». È un’intuizione vincente, perché a quel progetto Balestrini dedica le sue energie per sette anni circa. «Un periodo di tempo durante il quale aprimmo un negozio monomarca a Milano, diversi temporary store e uno shop online. Tutto grazie all’entusiasmo e allo spirito di sacrificio». Eppure, questi traguardi non sono quelli a cui Balestrini aspira, non sono abbastanza. «Decisi di interrompere quell’esperienza da imprenditore. Nel frattempo, ricevetti un’offerta da Marco Boglione, fondatore e presidente di BasicNet, gruppo proprietario di diversi marchi come Kappa, Superga, K-Way». È quello il momento in cui Balestrini abbandona la strada imprenditoriale per trasformarsi in un vero e proprio manager. «Mi innamorai profondamente del progetto che dovevo seguire. Questa fase è durata dal 2011 al 2019. Poi, nel 2020, sono stato nominato Ceo e Global brand manager di Nava Design Milano e MH Way».

Un MBA per rafforzare le competenze

Nel mezzo, però, c’è un altro passaggio importante, quella dell’MBA. «A iscrivermi mi spinse il bisogno, personale prima ancora che professionale, di imparare. Dalla mia avevo un bagaglio di conoscenze empiriche, sperimentate e apprese sul campo, ma nessuno studio alle spalle», spiega Balestrini. «Il master mi ha aiutato, innanzitutto, a mettere ordine tra le mie competenze, strutturandole in maniera più coerente, organica e strategica. Da un certo punto di vista, era rincuorante e motivante vedere che molte idee nate durante la mia esperienza venivano confermate a lezione». A proposito di lezioni, l’MBA ha permesso a Balestrini di mettere alla prova le nozioni apprese sui banchi tramite project work e lavori di gruppo. «Si tratta di una modalità che ho trovato molto efficace. Sotto un certo aspetto, è perfetta per chi già si trova a suo agio a lavorare in gruppo, come nel mio caso. D’altro canto, spinge alla discussione anche chi ha un’attitudine meno spiccata a confrontarsi con gli altri. Sono momenti davvero formativi e stimolanti».

Nava Design e MH Way: obiettivo rilancio

Forte di questa esperienza, e con delle competenze rafforzate e strutturate dal master, Balestrini è ora alle prese con il rilancio di Nava Design Milano e MH Way, in veste di Ceo e Global brand manager. «La cosa curiosa è che sono entrambi due brand legati al mondo del design e dell’architettura, da cui tutto per me è cominciato. Per Nava hanno lavorato dei designer importanti come Max Huber e Bob Noorda, mentre MH Way è nato dal designer giapponese Makio Hasuike. Entrambe queste realtà, acquisite dal gruppo Smemoranda, sono ora in cerca di rilancio e di riposizionamento», spiega Balestrini. «Per dare nuova linfa a entrambi i brand, dovrò mettere in pratica quanto ho imparato finora. Le sfide più importanti e stimolanti riguarderanno la gestione aziendale e l’espansione commerciale dei marchi sul territorio nazionale e, soprattutto, sui mercati internazionali».

Dal pescatore al cliente, passando per il Mip: il caso Orapesce

Lo studio del settore food. L’idea nata sulle spiagge di Rimini. E poi il sostegno del Mip, seguito dalla scelta dell’equity crowdfunding: Giacomo Bedetti, alumnus Emba Pt 2016, ci racconta le origini di Orapesce, servizio di mercato ittico digitale.

L’innovazione nasce tra i banchi del Mip. Lo dimostra Orapesce, startup che opera nel mercato dell’ittico offrendo ai clienti la possibilità di acquistare online pesce fresco recapitato direttamente a casa. «Analizzando le performance del settore grocery, era evidente che la crescita dei consumatori digitali nel food fosse un fenomeno rilevante», ci spiega il fondatore Giacomo Bedetti, alumnus Emba Pt 2016, raccontandoci la genesi del progetto. «Poi, parlando con un amico pescatore di Rimini, si è accesa la scintilla da cui è scaturita l’idea».

Il valore aggiunto del Mip

Fino alla nascita di Orapesce, infatti, «non esisteva un servizio di mercato ittico digitale», racconta Bedetti. «Era un’opportunità da cogliere immediatamente, dando vita a una realtà business oriented». Nella fase di ideazione, il Mip ha avuto un ruolo importantissimo. «Poter approfondire il potenziale di questa idea durante l’Executive Mba che stavo frequentando è stato cruciale. Al fortissimo elemento motivazionale si è aggiunto il contributo del professor Antonio Ghezzi, che ci ha fornito le chiavi per leggere il business e le relative metriche. E poi abbiamo potuto contare sul sostegno e sull’esperienza di professionisti di valore». Una serie di elementi che si sono concretizzati in un’ottima partenza sul mercato: «La fase di project work di Orapesce si è conclusa nel luglio 2018, e abbiamo chiuso il 2019 con un fatturato di 100mila euro. Un risultato straordinario, che non sarebbe stato possibile senza il sostegno del Mip».

L’equity crowdfunding come volano comunicativo

In questo momento, Orapesce, dopo 14 mesi di attività, si trova in una fase delicatissima della propria vita. «È la dura realtà delle startup. O cresci, o muori», spiega Bedetti senza mezzi termini. Crescere significa ottenere numeri importanti, e spesso questi sono legati alla visibilità. «È uno dei motivi per cui abbiamo scelto di finanziare questo business sfruttando il modello di equity crowdfunding, che permette agli iscritti di investire in progetti innovativi. Siamo riusciti a portare Orapesce su Mamacrowd, che in Italia è la miglior piattaforma possibile per questo modello». A fine febbraio, Orapesce ha raccolto sulla piattaforma il 381% del goal minimo prefissato, per un totale di oltre 300mila euro. «Ma il fattore economico non è tutto», rivela Bedetti. «Mamacrowd per Orapesce è stata prima di tutto una vetrina commerciale. Non è facile ottenere l’attenzione di 100mila contatti, invece in questo modo abbiamo potuto sfruttare un vero e proprio effetto volano».

Obiettivo: diventare un marketplace

Chi ha visitato il sito di Orapesce si sarà poi accorto che non si limita a essere uno shop, ma propone anche una serie di contenuti rivolti agli utenti. «Il nostro obiettivo in questa fase è affermare un brand che vende pesce. Ma questo è solo il primo passo», spiega Bedetti. «Ciò a cui davvero puntiamo è il rafforzamento di un marketplace che metta in contatto consumatori e produttori. Nel nostro sviluppo futuro c’è un modello i cui guadagni si baseranno soprattutto sulle commissioni sugli scambi all’interno di questa rete». Per questo motivo il sito è ricco di ricette e di interviste a chef e pescatori: «Vogliamo usare le possibilità dei nuovi device per proporre un percorso al consumatore, e stabilire una forte identità digitale».

L’importanza delle competenze soft

E se nella struttura di Orapesce l’importanza del digitale va di pari passo con quella della logistica, non bisogna trascurare le competenze di general management che hanno permesso a Bedetti di dare vita a questa startup. «Attenzione, però. Non parlo tanto delle competenze hard, ma di quelle soft. Ho frequentato l’Executive Mba da over 40, avevo già una grande esperienza alle spalle. Non mi serviva un titolo in più da spendere, ma sentivo il bisogno di migliorare me stesso. Per questo ho scelto questo master. Non c’è nulla di più prezioso delle soft skill: saper negoziare, saper creare relazioni, essere un buon leader, oggi, sono competenze imprescindibili per chi aspira a diventare un manager o un imprenditore».

Global Business Services: al MIP arriva il GBS Certification Program

Filippo Passerini, considerato uno dei maggiori esperti al mondo in Global Business Services, illustra i vantaggi di una strategia GBS.

Una strategia rivolta alle grandi aziende, grazie alla quale è possibile ridurre i costi sfruttando le economie di scala, liberare risorse dalle mansioni più ripetitive e trasformare il modello del proprio business: «Si tratta fondamentalmente di aggregare servizi interni all’azienda, quando questi sono dispersi o duplicati in diverse organizzazioni. È questa l’essenza della GBS (Global business services, ndr)», spiega Filippo Passerini, direttore del GBS Certification Program per il MIP Politecnico di Milano.

La Gbs spiegata dai professionisti del settore

«Ho avuto la fortuna di costruire e gestire GBS in Procter & Gamble (P&G) per oltre 12 anni. Il nostro business ne ha tratto vantaggi enormi, sia in termini di riduzione dei costi che di innovazione. Vorrei ora creare valore per gli altri, aziende ed individui, diffondendo conoscenza e competenze», spiega Passerini. «Sono molto soddisfatto di poter lavorare con il MIP per questo programma: offre un’infrastruttura che permette di andare sul mercato in maniera efficace e certifica il rigore didattico dei contenuti. Questi ultimi saranno sviluppati da Inixia».
Inixia è un servizio di consulenza i cui advisor hanno tutti un’esperienza concreta di GBS e shared services: «Sono persone che, come me, hanno lavorato per P&G, il cui modello di GBS è riconosciuto come un vero e proprio benchmark. Inixia nasce con l’intento di creare un programma di certificazione che permetta alle persone di ottenere una qualifica in questo ambito».
La GBS, infatti, non si improvvisa, avverte Passerini: «Esiste una sequenza specifica di passi da seguire, che conduce a risultati migliori in maniera più rapida. C’è una strategia da seguire e anche per questo è importante acquisire competenze specifiche».
I numeri, d’altra parte, parlano chiaro: nel 2018 il valore di mercato dei global shared services ammontava a 56 miliardi di dollari, cifra che si prevede raddoppierà entro il 2025. Altrettanto tangibili i vantaggi per le aziende: fino al 50% della riduzione dei costi, insieme a una triplicazione nella creazione del valore. Gli ambiti di applicazione riguardano quasi tutti i servizi operativi e i processi di un’azienda, in qualsiasi settore: finanza, risorse umane, supply chain, acquisti, IT, processi di marketing e di vendita, centri di servizio per clienti e consumatori.

La Gbs e la digital transformation

Sarebbe sbagliato, però, pensare che la GBS, con ormai una storia ventennale alle spalle, sia una strategia statica. Basti pensare all’impatto che ha avuto la digital transformation sulla struttura organizzativa delle aziende. «Il digitale è una grande risorsa», illustra Passerini. «L’organizzazione attuale delle aziende costringe a utilizzare risorse, umane e materiali, in processi operativi a basso valore aggiunto, ma necessari. Ad esempio il ciclo di fatturazione, o dei pagamenti ai fornitori, oppure gli stipendi per i dipendenti, il processo degli ordini e numerosissimi altri processi interni: si tratta di attività essenziali, ma costituite da passaggi ripetitivi che non aggiungono valore al core business. GBS è un’ottima piattaforma per la trasformazione digitale: questi processi possono essere automatizzati e ottimizzati ulteriormente applicando nuove tecnologie. In questo modo si accrescono efficienza ed efficacia, le risorse vengono liberate per dedicarsi a compiti più strategici. I benefici possono variare molto, dalla “semplice” riduzione di costi a un motore per l’innovazione del modello operativo. Ed è qui che entra in gioco la competenza».

Come è strutturato il GBS Certification Program

Per questo, dunque, nasce il programma di GBS Certification per il MIP. «Si tratta di corsi brevi online, la cui durata va dalle sei alle 12 ore», spiega Passerini. «Il corso è strutturato in cinque livelli. Si comincia con il livello Foundation, che affronta i principii fondamentali della GBS. A questo seguono quelli che abbiamo definito pillars: Service Management, Operations Management, Transformation. Infine, il livello Leadership, conseguito il quale si ottiene la certificazione. L’abbiamo pensato un po’ come un percorso che segua una sorta di seniority manageriale, rivolto sia a chi è all’inizio dell’esperienza o in ruoli più operativi, sia a manager senior o leader di GBS. È un processo di vera e propria professionalization, per usare un termine inglese che trovo molto calzante in questo caso. L’obiettivo è formare persone altamente competenti».

Quando finanza fa rima con innovazione. Welfin si presenta

Un’idea, un project work, una startup: la storia di Welfin passa dalle aule del MIP al mercato finanziario grazie alla sua forte impronta innovatrice. Sarà la prima piattaforma di prestiti P2P con credito garantito dall’azienda a essere lanciata sul mercato. I suoi fondatori raccontano il progetto.

«In Italia il mercato del credito al consumo è in continua espansione e i prestiti P2P (peer to peer, ndr) continuano ad avere un grande potenziale». Perché non partire da qui e ripensare il credito tra privati in una nuova ottica intra e inter-aziendale? Questa la riflessione da cui sono partiti Ideo Righi, Francesco Giordani, Alessandra Bellerio e Roberto Bertani, fondatori di Welfin, nonché alumni EMBA Pt 2018.
Welfin è una piattaforma che rivoluziona il credito tra dipendenti, permettendo a una o a più comunità aziendali di ottenere il massimo dalla condivisione delle proprie risorse. In altri termini, per dirla con le parole dei cinque fondatori, «Welfin mette in relazione lender (chi presta), borrower (chi prende in prestito) e azienda (che fa da garante) favorendo la creazione di condizioni vantaggiose per tutti gli attori in gioco». Vediamo di capirne di più.

Un modello di business che mette d’accordo tutte le parti

In un mercato del credito al consumo che presenta tassi di interesse mediamente elevati, le politiche di concessione del credito da parte delle aziende sono spesso caute e il costo del recupero crediti oneroso. «Welfin interviene creando un circolo virtuoso che premia i tre interlocutori in gioco, lender, borrower e azienda, attraverso un sistema win-win-win» spiega Francesco. «Win per chi presta, perché ha un rendimento garantito dall’azienda a tassi superiori di quelli di mercato; win per chi prende in prestito perché ottiene tassi vantaggiosi e win per l’azienda, che facendo da garante fidelizza i dipendenti, ne aumenta il senso di appartenenza e migliora la propria reputation», prosegue Alessandra. «Welfin offre all’azienda un nuovo strumento di welfare con cui ottimizzare la gestione del credito insoluto, creare un beneficio economico condiviso puntando sull’innovazione finanziaria – sottolinea Ideo -. Sono già molti gli imprenditori che, consapevoli dell’efficienza del modello di business di Welfin, desiderano implementare la piattaforma e partire quanto prima».

Genesi e sviluppo di Welfin. Dal project work alla scelta di “fare impresa”

Ma qual è stato il punto di partenza? «L’osservazione di una realtà imprenditoriale che soffriva dell’insolvenza, verso strutture di credito al consumo, dei suoi dipendenti ci ha permesso di riflettere e studiare un sistema che potesse aiutare tutte le parti coinvolte, dall’azienda ai dipendenti. Abbiamo quindi individuato un’esigenza e ideato una soluzione» spiega ancora Ideo. Per Alessandra, «i valori di riferimento che hanno ispirato Welfin sono stati l’etica, la trasparenza e l’utilità per i dipendenti». Un’idea diventata prima project work per l’EMBA Pt 2018 e poi – grazie alla fiducia e al successo ottenuto – una startup. «Quando ci siamo accorti del suo potenziale, abbiamo deciso di “fare impresa”» racconta Francesco. «Ci siamo scelti all’interno dell’aula del Master e abbiamo creato un team affiatato, trasversale, con alle spalle già un’esperienza di business e quindi una chiara percezione dei rischi. Una squadra che viaggia sulla stessa lunghezza d’onda quindi, sia in ottica di crescita personale che professionale», commenta Alessandra.

La finanza premia l’innovazione sostenibile

Welfin ha vinto il Premio “Fintech & Insurtech 2019”, istituito dall’omonimo Osservatorio del Politecnico di Milano, riservato ai progetti più innovativi in ambito finanziario. Quali sono state le sue carte vincenti? «Un modello di business inedito che riesce a innovare il settore finanziario in modo sostenibile e intelligente» raccontano gli ideatori. «Grazie al riconoscimento ottenuto inizieremo un periodo di incubazione attraverso il PoliHub, contestuale allo sviluppo di tutti gli ambiti necessari al go to market, da quello fiscale a quello legale, in modo da arrivare pronti al calcio d’inizio ufficiale».
L’azienda, inoltre, ha anche avviato un dialogo con Banca d’Italia. «Abbiamo effettuato una prima valutazione della compliance normativa del modello di business. Un’esperienza che ci ha offerto conferme e spunti di riflessione per arrivare al go to market ancora più pronti», raccontano i tre, che in conclusione illustrano il ruolo che ha avuto il MIP in questa esperienza e i suoi punti di forza: «Il network, la professionalità dei docenti e il grande supporto in tutte le fasi di sviluppo del progetto. Il Master ci ha garantito un’esperienza orientata all’imprenditorialità, fortemente pragmatica e interattiva ed è stato anche un incubatore di talento e open-mindedness di modelli applicativi di business e sviluppo di leadership. E il modello di business di Welfin, secondo noi, potrebbe essere ancora più efficace nel periodo di ripresa dalla pandemia di Covid-19, quando di fronte all’aumento delle criticità per l’accesso al credito al consumo, fungerà da supporto per i nuclei familiari e i singoli lavoratori in difficoltà».
Non resta che (ri)partire, quindi.

Dall’energia all’arte: il successo di Itisartime

L’esperienza di due alumni del Master in Energy Management che gestiscono insieme Itisartime, pagina Instagram da mezzo milione di follower. Dall’incontro tra i banchi del MIP allo sviluppo di una mentalità imprenditoriale, seguendo i concetti di progresso, innovazione e mutamento.

Che relazione c’è tra il Master in Energy Management del MIP Politecnico di Milano e una pagina Instagram da oltre 450mila follower che parla di arte? Apparentemente nessuna, ma in realtà il legame c’è, e va oltre il fatto che gli animatori di Itisartime, Alessandro Brunelli e Andrea Del Moro, siano entrambi degli alumni del MEM. «Arte ed energia condividono il concetto di progresso. L’arte è creatività per definizione, e a sua volta la creatività è innovazione e mutamento. E quali sono le parole oggi più diffuse nei congressi sull’energia? Progresso e rivoluzione», spiega Brunelli.

Un progetto in divenire

L’esperienza di Itisartime parte da lontano. «In parte coincide con la mia storia personale», racconta Brunelli. «A 19 anni cominciai a collezionare piccoli pezzi d’arte che sembravano parlare di me; mostrarli a tutti attraverso i social mi sembrava un modo innovativo di raccontare me stesso». Una visione che pian piano si è espansa: «Quando mi sono reso conto che il mondo dell’arte era sconfinato, ho deciso di andare oltre quella limitazione e ripostare invece tutte quelle opere che si distinguevano rispetto alle altre. Quello è stato il vero atto di nascita di Itisartime, un progetto che ha visto la luce nel 2015».
Il successo della pagina, che ha portato i due anche all’Affordable Art Fair di Milano, inizialmente ha colto Brunelli di sorpresa. «Non avrei mai pensato di sfiorare il mezzo milione di persone». Grandi numeri che impongono qualche riflessione sul futuro del progetto. E anche da questo punto di vista il Master in Energy Management un ruolo importante l’ha giocato: «Lì ho conosciuto Andrea, che si è quindi unito al progetto in una fase successiva. Ha ottime doti comunicative, un’ampia visione commerciale e di progetto. Per tutti questi motivi è salito a bordo, per trasformare Itisartime in una realtà più solida. Aspiriamo a diventare un riferimento per il settore», rivela Brunelli.

Cinque idee per l’arte in Italia

Sullo stato dell’arte in Italia, e su ciò che riguarda la sua comunicazione e diffusione al grande pubblico, Brunelli ha le idee chiare: «Il potenziale del nostro Paese è enorme, lo sappiamo. Ci sono iniziative che secondo me hanno costituito degli importanti passi avanti. Penso a Domenicalmuseo, ad esempio, che avvicina molte persone ai luoghi dell’arte. Ma anche il connubio tra arte e cinema può destare interesse in chi magari è stanco delle solite mostre». Non mancano, ovviamente gli ambiti in cui sarebbe possibile fare qualcosa in più: «Bisognerebbe mantenere e incrementare le sovvenzioni ai fondi come il Fai o agli spazi espositivi privati, come l’Hangar Bicocca o la Fondazione Prada, per fare degli esempi. L’appeal tra i giovani crescerebbe. In secondo luogo, qualsiasi iniziativa dovrebbe essere veicolata attraverso un canale informativo e divulgativo. Infine, provare a trasformare i problemi in soluzioni. Penso alla street art e all’urban art: investire su progetti a tema potrebbe trasformare gli atti di vandalismo in opere d’arte, grazie alle quali magari riqualificare zone periferiche».

Il valore aggiunto del Master in Energy Management

Tra queste e altre suggestioni, Itisartime guarda al futuro. E lo fa grazie anche ad alcuni insegnamenti che Brunelli e Dal Moro hanno appreso durante il Master in Energy Management: «Io ho una formazione di tipo ingegneristico, Andrea di tipo economico. La prima cosa che fa il master è mettere in relazione persone con percorsi diversi: è dal confronto tra punti di vista ed esperienze differenti che nascono le buone idee. È stato un incontro davvero fortunato, se pensiamo che adesso collaboriamo in un settore così avulso dalle nostre esperienze formative. Il master ci ha poi fornito spunti di miglioramento professionale e più in generale di personal development. Se oggi valutiamo le occasioni lavorative legate a Itisartime con una mentalità imprenditoriale, il merito è del MEM», conclude Brunelli.

MBA Full Time 2020: la specializzazione in Luxury and Design Management

La Concentration dell’MBA del MIP si propone di far toccare con mano agli studenti il lusso made in Italy, con uno study tour organizzato in importanti distretti produttivi. L’obiettivo è formare professionalità in grado di confrontarsi con i maggiori trend in atto.

Capire le peculiarità del mercato del lusso made in Italy, per potervi lavorare innovando e conservando la tradizione di brand storici: è l’obiettivo della specializzazione in Luxury and design management, una delle quattro Concentrations che dal 2020 permetteranno agli iscritti dell’Mba full time del MIP Politecnico di Milano di approfondire un ambito a loro scelta. «Chi sceglierà il percorso Luxury potrà scoprire i segreti di aziende italiane, magari ancora in mano alla famiglia fondatrice, che però sono state capaci di diventare leader mondiali del settore», spiega il professor Alessandro Brun, professore al Politecnico di Milano, Direttore del master in Global Luxury Management (MGLuxM)

Il lusso tra strategia e operatività

Le specializzazioni sono dei percorsi che vanno a rispondere a esigenze specifiche delle aziende, che cercano sì figure formate nell’ambito del management, ma che richiedono anche competenze più approfondite. Il lusso è uno di questi ambiti. «Ma attenzione, non è solo fashion», precisa Brun. «Intendiamo, invece, tutto ciò che è definibile di alta gamma, in qualsiasi settore. Auto sportive, nautica, gioielli, design e arredo. E spesso sono soprattutto gli studenti stranieri a essere particolarmente interessati a comprendere i motivi profondi del successo globale del made in Italy». Le modalità didattiche della specializzazione in Luxury and design management conservano la stessa caratteristica chiave delle altre Concentrations: un’impostazione eminentemente pratica. «Le prime due settimane avranno un avvio più tradizionale, anche se già in questo momento verrà attivata la modalità bootcamp, con dei progetti assegnati agli iscritti da svolgere a stretto contatto con i manager delle aziende. Nella prima settimana toccheremo elementi strategici: cos’è il lusso, chi sono i principali player e come si compete in questo settore, come si svolge un’analisi di mercato, come si definisce il posizionamento, fino ad arrivare al go to market. Nella seconda settimana si affrontano temi molto più operativi: sostenibilità della supply chain, i diversi modelli di retail, la gestione delle scorte, l’ottimizzazione dei flussi a livelli di filiera».

In viaggio alla scoperta delle eccellenze made in Italy

Ma è soprattutto nella terza settimana che tutti questi elementi vengono visti davvero in azione. «Abbiamo approntato quello che è un vero e proprio Study tour», racconta Brun, «un’ultima settimana di bootcamp pensata e organizzata come un viaggio attraverso il tessuto produttivo italiano. Partiremo da Milano in pullman. La prima tappa sarà nel modenese, territorio con una grande tradizione nella produzione di auto di lusso; ma ci sarà modo di visitare anche un’acetaia, poiché anche l’aceto balsamico è un prodotto con caratteristiche luxury nel mondo del food. Ci sposteremo poi in Toscana, dove si trovano distretti altrettanto interessanti: penso alla pelletteria, alle scarpe. In questi anni, a proposito, stiamo lavorando a stretto contatto con Prada, Gucci, Ferragamo. Inoltre non potranno mancare un paio di experience esclusive legate al vino, tutte accompagnate da manager che ci parleranno di idee e modelli di business innovativi».

I trend delle professioni legate al lusso

L’obiettivo di questa specializzazione è concorrere alla creazione di professionalità che possano ricoprire non solo i ruoli più tradizionali del settore, ma anche quelli legati a trend in rapido sviluppo. «Pensiamo alla centralità del canale di vendita online in Cina. Ormai l’uso della Rete per l’acquisto di prodotti di lusso è sdoganato, ma bisogna essere in grado di gestire gli elementi tecnologici e di customer journey per garantire al cliente l’esperienza che sta cercando», spiega Brun. «Non meno rilevante è il tema della visibilità e della tracciabilità: include aspetti di comunicazione, sicurezza, lotta alla contraffazione e sostenibilità. Le aziende del lusso devono progettare catene distributive globali che siano una garanzia per gli acquisti. Un terzo tema riguarda poi la sfida dell’innovazione, da portare avanti mantenendo il legame con la tradizione: un bene di lusso deve essere al contempo perfettamente moderno e ricco di storia. Qui si vede la capacità di chi sa gestire innovazione e design. E una sola competenza non basta. Ce ne vogliono diverse, e bisogna saperle integrare», conclude Brun.

Gestione dei dati e delle risorse umane: le nuove frontiere del project management

Mauro Mancini, direttore del Percorso executive in Project Management FLEX, ci illustra i motivi per cui la gestione di progetto abbia assunto un ruolo sempre più rilevante nelle nostre aziende e quali siano le competenze richieste dal contesto in cui viviamo.

Saper analizzare moli crescenti di dati, valorizzare le risorse umane, familiarizzare con l’utilizzo di intelligenza artificiale. Sono solo alcune delle qualità che devono contraddistinguere un project manager, figura sempre più centrale per aziende e organizzazioni. «È un’evoluzione causata principalmente dalla digital transformation e da uno scenario globale il cui sviluppo è sempre più rapido e imprevedibile», spiega il professor Mauro Mancini, direttore del Percorso executive in Project Management FLEX presso il MIP Politecnico di Milano. «A livello internazionale è in atto un fenomeno che la comunità scientifica chiama projectification. In altri termini, anche le attività ordinarie e di processo devono essere sempre più gestite con gli strumenti tipici della gestione di progetto».

Competenze hard, soft, di contesto

Ad accomunare gli approcci del project management è l’idea di unicità: «Unicità del prodotto finale, del capitale umano disponibile, del contesto sociale, della contingenza temporale e del partenariato coinvolto nel progetto stesso», chiarisce Mancini. Ma per valorizzare questi elementi, il project manager deve disporre di un ampio ventaglio di competenze: «Innanzitutto di ordine tecnico, le cosiddette hard skill: mi riferisco alla conoscenza di metodi, tecniche ed approcci studiati per contesti a rapida evoluzione come Evms, Scrum, Real Option, Data visualization. Per quanto riguarda le soft skill, fondamentali la leadership e le capacità di delega, mentoring, training, team building e di team working». Ma c’è un terzo ordine di competenze da non sottovalutare, che Mancini definisce “di contesto”: «Un bravo project manager deve comprendere in tempo reale gli elementi principali di un contesto organizzativo, sociale e culturale, perché non solo gli elementi strutturali ma soprattutto quelli contingenti risultano determinanti per il successo di un’iniziativa. Su questi, se necessario, bisogna essere in grado di rimodulare la natura stessa del progetto, adattandolo con tempestività e lungimiranza secondo approcci che molti chiamano di agile business. L’equilibrio di questi tre set di competenze rendono un project manager pronto ad affrontare le sfide del futuro».

Dati e persone: elementi chiave

Se andiamo a esaminare l’evoluzione del project management negli ultimi anni, i fattori che ridefiniscono i confini della disciplina sono essenzialmente due: da una parte l’importanza della gestione delle informazioni, dall’altra delle risorse umane. «Viviamo in un’era in cui abbiamo a disposizione una mole crescente di dati. Il project manager deve essere in grado di assumere decisioni non solo sulla base delle informazioni disponibili, ma anche sulla chiara coscienza di quelle mancanti. Ad aiutarlo in questo processo di scrematura e schematizzazione dei dati oggi ha a disposizioni molti strumenti sviluppatisi grazie all’evoluzione dell’intelligenza artificiale, che permette la rapida implementazione di regole di autoapprendimento. Ma in un contesto dove intervengono normalmente piccoli o grandi imprevisti, il project manager dovrà sempre più far valere le proprie capacità personali e la propria esperienza», illustra Mancini. «La decisione finale sia difronte alla propria struttura che difronte al cliente (che a volte coincidono) spetta al project manager, e questo vale anche nella gestione del team. Tra i suoi obiettivi primari deve esserci la la valorizzazione dei collaboratori ed il loro pieno coinvolgimento, in grado di moltiplicare le capacità di azione del gruppo di lavoro. Suo rimane il compito di guidare questa partecipazione e orientarla proteggendola dalle pressioni degli stakeholder coinvolti nel progetto».

La didattica digitale espande il networking

Il Percorso executive in Project Management FLEX del MIP affronta questi e altri temi, puntando a formare una figura professionale completa e, soprattutto, aggiornata: «Il percorso ha un formato completamente digitale, che favorisce la partecipazione di manager e professionisti provenienti da un contesto geografico molto allargato. Questo fattore espande le possibilità di networking tra i partecipanti. La didattica», spiega Mancini, «seguirà due binari: sincrono e asincrono. La formazione asincrona permette di acquisire le competenze in autonomia, per poi affinarle e metterle a punto in modalità sincrona, vale a dire interagendo direttamente con i docenti. Il nostro obiettivo non è solo fornire strumenti utili fin da subito, ma anche condividere con i i partecipanti quelle skill necessarie per l’autoapprendimento e la formazione continua, cruciali per affrontare i cambiamenti che caratterizzeranno i decenni a venire».

Financial Times Executive Education Ranking 2020

La School of Management del Politecnico di Milano migliora ulteriormente rispetto al 2019. In Europa è 2° e 3° tra le Scuole legate a Università tecniche nell’offerta di corsi Open e Custom. 

 

 

Dopo il nono posto al mondo per offerta di master online, MIP Politecnico di Milano migliora ulteriormente il proprio posizionamento anche nell’offerta di corsi executive.

 

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business si conferma con la sua offerta di corsi Open e Custom tra le migliori scuole del mondo nel Financial Times Executive Education Rankings 2020, la graduatoria dedicata ai programmi Executive. Nello specifico, la School of Management ottiene l’81° posto nella classifica sui corsi “Custom” e il 74° nella “Open”.

La School of Management ottiene inoltre il secondo e il terzo posto in Europa, rispettivamente nelle classifiche “Open” e “Custom”, tra le Scuole legate a Università europee cosiddette “tecniche”, laddove con tale aggettivo si definiscono gli atenei con programmi focalizzati su ingegneria e tecnologia, naturalmente propensi a unire l’innovazione alle competenze di management.

A marzo il Financial Times Online MBA 2020 Ranking ha premiato con il nono posto nella classifica internazionale l’offerta MIP nei Master in Business Administration fruibili a distanza.

Per quanto riguarda il Financial Times Executive Education Ranking Open 2020, MIP Politecnico di Milano sale dal 79° al 74° posto, migliorando il proprio punteggio in quasi tutti i parametri. In particolare, le valutazioni più alte si registrano nel Follow-up, Facilities e Female Participants.
Considerando solamente il contesto europeo, School of Management si classifica seconda nell’insieme delle Università Tecniche che hanno una Business School o un Dipartimento di Management, e settima nell’insieme delle Università Generaliste che hanno competenza tecnica e hanno una Business School oppure un Dipartimento di Management.

Nel Financial Times Executive Education Ranking Custom 2020, rispetto allo scorso anno MIP passa dall’80° all’81° posto, a fronte però di un aumento del numero complessivo scuole considerate. La crescita tocca moltissimi criteri, soprattutto Follow-up, New Skills&Learning, Future Use, International Clients, Overseas Programs, Faculty Diversity.
La classifica stilata dal Financial Times è strutturata pertanto in due parti differenti. La prima è relativa ai programmi “open”, i cui target sono i singoli professionisti che scelgono autonomamente il proprio percorso di formazione. La seconda fa invece riferimento ai programmi “custom”, ossia ai corsi rivolti in maniera specifica alle aziende ed erogato ai rispettivi manager, e dipendenti ad alto potenziale. I parametri presi in considerazione per il giudizio finale sono valutati direttamente dai partecipanti, CEO e Direttori HR delle aziende che hanno avuto esperienza diretta del programma.

Vittorio Chiesa e Federico Frattini, Presidente e Dean di MIP Politecnico di Milano: “Abbiamo fatto un grandissimo lavoro per migliorare ulteriormente la nostra offerta anche nei corsi executive. Nelle prossime settimane presenteremo la piattaforma D-HUB Management Skills e la raccolta Management Toolbox, dedicata ai professionisti che desiderano contribuire alla crescita della propria impresa utilizzando la nostra offerta digitale. I risultati premiano i nostri sforzi in uno scenario sempre più competitivo che richiede un costante investimento nella qualità dell’offerta didattica”.

Convegno Osservatorio Multicanalità 2020

L’Osservatorio Multicanalità, nato nel 2007, è il punto di riferimento della Business Community italiana sul tema della multicanalità.

La ricerca 2020 – promossa dalla School of Management e Nielsen – coniugando dati, analisi e insight sullo scenario italiano di consumatori e imprese, offre un quadro esaustivo del processo di acquisto del consumatore multicanale, introducendo anche gli aspetti connessi alla fruizione mediale.

In particolare, tra i trend evolutivi già evidenziati nelle edizioni precedenti, la Ricerca 2020 si concentrerà su:

  • l’analisi dell’evoluzione degli scenari di consumo multicanale;
  • l’analisi del ruolo dei touchpoint all’interno del customer journey nell’ottica dell’Everywhere Commerce;
  • l’analisi della fruizione mediale dei consumatori italiani;
  • identificazione di trend predittivi dell’evoluzione del comportamento dei consumatori italiani.

I risultati della ricerca saranno presentati nel corso dei seguenti eventi:

13 maggio 2020 – Multicanalità anteprima 2020: il nuovo umanesimo digitale

L’emergenza che stiamo attraversando rappresenta un game changer che ridefinirà logiche, regole e confini di tutte le industries. Quali le prime tendenze che emergono tra consumatori e aziende? Cosa è contingente e cosa diventerà strutturale nei nostri comportamenti? Quali prospettive e linee guida per il marketing nel mondo post covid-19?

Il Webinar si concentrerà sulle seguenti tematiche:

  • Impatto dell’emergenza Covid sulle tendenze del largo consumo
  • eCommerce e servizi digitali: se non ora quando?
  • Scenario media, advertising, servizi digitali. Segnali dal futuro
  • Ibridazione digitale e fisico come necessità
  • Il nuovo umanesimo digitale: opportunità e sfide

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27 ottobre – Convegno di presentazione della ricerca 2020

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Informazioni utili

La partecipazione al Convegno è gratuita. Per maggiori informazioni contattare valentina.palummeri@polimi.it

 

Al MIP la Corporate Education è digitale

L’offerta formativa rivolta alle aziende si trasferisce completamente online per far fronte alle restrizioni causate dal Covid-19. Un passaggio agevolato da una didattica concepita per essere versatile, flessibile e al servizio delle imprese, come spiega Davide Chiaroni.

La formazione non si ferma. Prosegue, invece, online. Vale anche per l’offerta Corporate Education del MIP Politecnico di Milano che, già in larga parte fondata sull’esperienza digitale, ha accentuato questa sua caratteristica per rispondere alle necessità delle aziende. «L’esperienza accumulata negli ultimi anni con D Hub, la nostra piattaforma di e-learning, non solo ci ha permesso di proseguire nell’erogazione della nostra offerta formativa», spiega Davide Chiaroni, Associate Dean for Corporate Relations del MIP, «ma anche di rimodularla sulle improvvise esigenze emerse dal diffondersi del Covid-19».

Sfruttare il tempo per formarsi

Sono tre, in particolare, le linee che il MIP ha deciso di seguire in questa periodo così delicato. «In primo luogo, abbiamo voluto manifestare vicinanza alle nostre imprese. L’abbiamo fatto diffondendo tramite i nostri canali digital un webinar gratuito incentrato sull’impatto che il coronavirus sta avendo sull’economia, affrontando temi urgenti, come la gestione dello smart working o della supply chain in un momento segnato da una disruption così importante», spiega Chiaroni. «Il secondo fronte verrà aperto a breve: si tratta della piattaforma D-Hub Management Skills, fruibile fino alla fine del 2020, che ospiterà le oltre 950 clip prodotte dalla nostra business school. È un’iniziativa rivolta a dipendenti, collaboratori di impresa, associazioni e fondazioni. Una vera e propria library ad hoc al servizio delle imprese, uno strumento con cui trasformare questo periodo di eccezionale difficoltà in un’opportunità di rilancio attraverso la formazione delle proprie risorse». Infine, un terzo punto: «Se da una parte alcune imprese hanno ridotto la propria attività, dall’altra molte aziende legate ad ambiti specifici come quello farmaceutico o finanziario si sono ritrovate nell’esigenza di gestire dati e progetti a ritmi molto più elevati. Significa che le persone vanno formate per agire in maniera più veloce ed efficace. Per loro stiamo facendo lo sforzo di riprogettare ulteriormente la nostra offerta formativa in digitale, perché ciò che era previsto nell’aula fisica ovviamente in questo momento non è praticabile».

Capire e fare: l’offerta Corporate

Gli indirizzi dell’attività formativa, comunque, non cambiano. L’ultimo biennio, in particolare, è stato caratterizzato dalla forte richiesta di corsi legati alla digital transformation, ai big data, agli analytics, ma anche al mondo del marketing e dell’e-commerce: «Ci sono due assi che orientano la nostra offerta, l’Understanding e l’Acting. La parte legata all’Understanding ha l’obiettivo di aiutare le imprese a comprendere i cambiamenti in atto, le sfide che devono affrontare e le necessità di formazione». L’Acting invece, racconta Chiaroni, ha un taglio più operativo: «Si tratta di programmi più profondi, anche più lunghi, la cui finalità è trasferire competenze, conoscenze, modi di agire concretamente». Queste due direttrici si incrociano con un asse trasversale, che è quello del target: «In entrambi i casi, i nostri corsi coprono sia le esigenze delle figure manageriali professionalmente più giovani, sia di quelle senior».

Una piattaforma pensata per il mondo Corporate

Flessibilità e versatilità della didattica sono possibili soprattutto grazie alla forte impronta digital. Un percorso intrapreso già nel 2014 e che nel 2019 si è concretizzato proprio nell’inaugurazione della piattaforma D Hub: «È nata pensando all’universo corporate. Volevamo una piattaforma pienamente fruibile in mobilità, a cui fosse possibile accedere utilizzando il login aziendale, e che integrasse tutti gli strumenti formativi necessari. Proponiamo centinaia di pillole digitali, ultimamente arricchitesi e realizzate anche grazie alla partecipazione delle imprese. Si tratta di video che includono dei test di valutazione, oltre a delle metriche che ci permettono di valutare l’efficacia formativa delle pillole stesse, e quindi di affinarle e migliorarle. Il nostro obiettivo è erogare una formazione che sia davvero digitale, e non semplicemente semplicemente informatizzata», conclude Chiaroni.