Viaggio nel mondo del lavoro

Che cos’è un Master se non un viaggio? Chi si iscrive ad un corso di formazione intraprende un percorso che parte dall’esplorazione del sé e prosegue con la scoperta del mondo del lavoro, mentre si naviga verso la meta: il raggiungimento del proprio obiettivo professionale.

La prima fase di analisi del proprio profilo professionale è fondamentale: quali sono i punti di forza e quali le aree di miglioramento? Quali sono le competenze distintive? Come colmare le lacune? Grazie alla piattaforma di Artificial Intelligence del MIP, FLEXA, i candidati possono sottoporsi ad un assessment delle proprie competenze hard, soft e digital.

Da un lato, essere consapevoli dei propri punti di forza è fondamentale per strutturare la propria “value proposition” ed essere in grado di presentarsi in modo efficace.

Dall’altro lato, è importante individuare le proprie aree di miglioramento ed essere guidati nello sviluppo delle competenze necessarie per colmare i propri gap.

Completata la fase di self-assessment e identificazione delle proprie core competencies, si apre uno dei momenti più delicati nel percorso di un Career Leader, ovvero analizzare e comprendere le dinamiche tipiche del mercato del lavoro.

Questa fase è fondamentale per costruire e governare il proprio action plan perché consente di trovare le giuste coordinate per orientarsi all’interno di un contesto in continua evoluzione e valorizzare il proprio bagaglio di competenze in virtù dell’obiettivo di carriera che ci si è posti.

È necessario partire dall’identificazione dei fattori che possono influire sul mercato del lavoro, come ad esempio l’analisi delle competenze maggiormente ricercate.

In un recente report pubblicato dal World Economic Forum, “The Future Jobs 2020”, si afferma che entro il 2025 l’accelerazione del progresso tecnologico determinerà una sostanziale trasformazione dei ruoli già esistenti e che il 40% delle competenze tradizionali richieste cambierà. La concomitanza di fattori come la digitalizzazione e la pandemia hanno accelerato un processo noto da anni.

Tra le skills più richieste ci saranno certamente competenze trasversali come la capacità di sviluppare un pensiero critico positivo e strategico, così come l’abilità di gestire problemi complessi perché è quello di cui le aziende hanno bisogno per navigare nella complessità e gestire potenziali cambiamenti di rotta non prevedibili, come la pandemia ci ha dimostrato. Altrettanto richieste saranno competenze di ruolo specifiche legate ad esempio alla Digital Transformation o ai Big Data.

Orientarsi in un contesto in rapida evoluzione e tanto competitivo può rappresentare un’ardua impresa anche per il candidato più assennato perché dopo aver completato l’assessment delle proprie competenze e identificato i propri punti di forza e aree di miglioramento, dovrà confrontarli con quello che il mercato del lavoro sta ricercando.

Le piattaforme digitali possono offrire ai candidati delle coordinate di base per interpretare l’attuale mercato del lavoro, come ad esempio:

  1. Identificare le competenze attraverso keywords ed impostarle come criteri di ricerca
  2. Utilizzare modificatori booleani per perfezionare ulteriormente la ricerca e trovare rapidamente ed efficacemente le posizioni che si adattano alle proprie competenze
  3. Analizzare quali sono le competenze più richieste per ruolo, area di business e settore con particolare attenzione per le competenze trasversali
  4. Se la ricerca è aperta a più aree geografiche, verificare se ci siano competenze o requisiti specifici richiesti (es. competenze linguistiche, visa, etc.)
  5. Tenersi costantemente informati sui trend di business del proprio settore o aziende di riferimento

Come Career Consultant MIP poniamo da sempre una forte attenzione all’analisi del mercato del lavoro ritenendolo un elemento chiave per i nostri Career Leader.

Infatti, oltre ad offrire all’interno del nostro programma momenti di approfondimento con coach ed head hunters, e aver stretto nel corso degli anni collaborazioni con piattaforme di carriera digitali a livello internazionale, ci siamo dotati di uno strumento di analisi come LinkedIn Talent Insights per accedere ad informazioni sui trend del mercato del lavoro attendibili e costantemente aggiornati.

LinkedIn è conosciuta per essere la piattaforma di carriera più usata al mondo, milioni di professionisti e aziende la utilizzano quotidianamente per aggiornare i propri profili, pubblicare offerte di lavoro, condividere aggiornamenti (anche noi stiamo utilizzando LinkedIn per condividere questo post!), mantenere vivo il proprio network professionale.

Centinaia di milioni di dati che Talent Insights permette di analizzare ed interpretare per costruire una strategia efficace di talent intelligence, individuando ad esempio uno specifico target di talenti, quali sono le competenze ricercate nei professionisti, in quali settori, come vengono selezionati, quali aziende li stanno assumendo e come variano le tendenze in base alle aree geografiche di interesse.

I dati, in forma aggregata, restituiscono una fotografia del mercato del lavoro accurata e in tempo reale.

In un mondo sempre più governato dai dati, il rischio di sentirsi smarriti e di non avere gli strumenti per orientarsi è molto alto, ma al MIP il CareerLeader non è lasciato solo: nel suo viaggio può fare affidamento non solo sugli strumenti digitali, ma anche sulla guida dei Consulenti di Carriera, che incontra sia in aula durante workshop e laboratori in gruppo, sia individualmente durante colloqui di orientamento. Confrontandosi con un professionista, il candidato può definire meglio la rotta verso la meta e governare in modo più consapevole e strategico il viaggio verso il proprio obiettivo di carriera.

Lo sport come modello ispiratore e sede di valori

“Sono il padrone del mio destino. Il capitano della mia anima”, così recitava Nelson Mandela citando “Invictus”, meravigliosa poesia composta dall’inglese William Ernest Henley. Quasi un mantra, durante i 27 anni di reclusione di Madiba, che hanno permesso all’attivista sudafricano di resistere ai soprusi, rappresentando quell’animo indomito capace di ispirare milioni di persone in tutto il mondo. Una frase ripresa anche da Clint Eastwood nell’omonimo lungometraggio, Invictus – L’invincibile (2009), in cui la storia di Mandela si intreccia con quella di François Pienaar, capitano della nazionale di rugby che vinse il Campionato Mondiale nel 1995.

Perché lo sport, ad ogni livello, è da sempre motivo di unione in grado di appianare contrasti, superare odio e bandiere e unire 43 milioni di persone per sospingere la propria squadra a battere gli “invincibili” All Blacks. Uno schema che si è ripetuto anche in occasione di EURO 2020, per noi italiani motivo di grande orgoglio grazie alla vittoria della nazionale allenata da Roberto Mancini che rappresenta l’ennesima conferma del potere dello sport, capace di unire Paesi diversi attraverso la prima competizione europea itinerante.

I 51 incontri previsti sono stati infatti organizzati in 11 città, promuovendo così uno spirito di condivisione che, quasi magicamente, hanno collegato Roma con Baku, Londra con Bucarest, San Pietroburgo con Amsterdam. Una opportunità, anche particolarmente critica data la situazione sanitaria, che però ha costituito un valore aggiunto sotto l’aspetto comunicativo, esportando (anche) esperienze architettoniche, ingegneristiche e gestionali grazie alla riconosciuta visibilità di un evento così seguito.

In tal senso, infrastrutture sportive iconiche come Hampden Park (Glasgow, 1903) hanno condiviso il palcoscenico con stadi di ultima generazione, sancendo un sodalizio tra memoria e innovazione, quest’ultima evidenziata da EURO 2020 per via di impianti di assoluto livello. Temi ormai fondamentali come la sostenibilità, considerata in senso tout court, hanno per esempio costituito la base del rinnovamento della Johan Cruijff Arena (Amsterdam, 1996), attualmente un autentico hub energetico per la propria città, oppure il leitmotiv dell’intera area in cui è localizzata l’Allianz Arena (Monaco di Baviera, 2005).

Per tale ragione, viene quasi spontaneo considerare vincitori di EURO 2020, al pari dell’Italia, anche i 60.000 spettatori che hanno colmato la Puskás Aréna (Budapest, 2019), le migliaia di persone che hanno percorso l’Olympic Way dirette al Wembley Stadium (Londra, 2007), oppure la spettacolare vitalità che ha illuminato fin dalla partita inaugurale il Foro Italico, in cui sventolavano infiniti tricolori poi identificati, in un’indimenticabile serata europea, nell’arco di Wembley, capace di irrompere nella notte londinese come un luminoso manifesto simbolico della tenacia dimostrata dal nostro Paese per uscire dalla crisi pandemica.

Perché in fondo, rammentando alcune frasi di Nelson Mandela, sono i valori, identificati nello spirito di squadra, nella volontà di rialzarsi dalle difficoltà, nell’ambizione di conquistare qualcosa e persino nell’adattarsi, a conferire allo sport il difficile ruolo di ispiratore. E questo indipendentemente dal talento dell’atleta, che dev’essere sempre spinto da “un desiderio, un sogno, una visione” come sosteneva il grande Muhammad Ali. Un uomo, al pari di Madiba, in grado di impersonificare l’essenza più profonda dell’essere sportivo, non soltanto per quegli indimenticabili incontri, ma anche – e direi soprattutto – per la forza dimostrata ad Atlanta ’96, quando ormai indebolito nel fisico, scovò la volontà per emozionare milioni di persone, come a ricordare una sua frase: “Impossibile non è una regola, è una sfida”.

Considerando ciò, il Master in Progettazione Costruzione Gestione delle Infrastrutture Sportive da me frequentato e organizzato da Politecnico di Milano e MIP, pone infatti lo sport al centro del proprio programma, reputando la pratica sportiva in qualità di espressione di questo valore aggiunto: la trasversalità della passione e dei valori sportivi uniti ad un alto livello di formazione scientifica e multidisciplinare che offre uno spettro formativo di elevato prestigio e, allo stesso tempo, di soddisfazione professionale e umana.

 

L’autore
Luca Filidei

Architetto, laureato al Politecnico di Milano, ho conseguito presso lo stesso Ateneo il Master Universitario di II livello in Progettazione Costruzione Gestione delle Infrastrutture Sportive. Ho svolto attività di ricerca e collaborato con il Comune di Milano in occasione del bilancio partecipativo. Da febbraio scrivo articoli riguardanti le infrastrutture sportive sul web magazine Calcio e Finanza.

 

 

Cybersecurity: in azienda arriva l’esperto!

Dall’home banking, agli acquisti online, fino alla gestione di interi processi industriali: oggi l’accesso alla rete è fondamentale, sia in ambito personale che professionale. Tuttavia, questo strumento così potente, oltre ad avere grandissime potenzialità, nasconde anche dei rischi. Quali? Ne abbiamo parlato con il Prof. Paolo Maccarrone, direttore dell’International Master in Cybersecurity Management.

Volendo riassumere i tipi di rischi che corrono oggi le aziende, possiamo dire che sono tipicamente tre: confidenzialità, integrità e disponibilità del dato.

Gli “attacker”, infatti possono avere interesse a impossessarsi dei dati non solo per comunicarli a soggetti terzi (confidenzialità), ma anche a comprometterli o distruggerli (integrità), o a renderli irraggiungibili (disponibilità), tipicamente chiedendo un riscatto in cambio.

Tutti questi rischi sono enormemente cresciuti negli ultimi anni a causa della digitalizzazione, che ha fatto crescere in modo esponenziale il quantitativo di dati scambiati nonché,  della crescente interconnessione, dovuta principalmente a Internet. Basti pensare a un ambito, come quello dei processi operativi di un’azienda, dove l’automazione era gestita da server stand alone. Nessuna connessione, praticamente nessun rischio. Oggi, invece macchinari e impianti di varia natura scambiano continuamente informazioni.  Dati preziosi, che permettono, per esempio, di fare manutenzione predittiva o di riorganizzare i flussi produttivi in tempo reale, ma il cui scambio apre la porta a nuove vulnerabilità che prima non esistevano.

C’è poi un altro aspetto da segnalare. La situazione che stiamo vivendo ha aumentato in modo esponenziale il numero di lavoratori che si connettono ai server aziendali da remoto.
In passato, chi lo faceva non accedeva a dati sensibili, o, se lo faceva, riceveva un minimo di formazione su questi aspetti e spesso utilizzava device aziendali opportunamente configurati.

Nell’ultimo anno e mezzo, tuttavia, a causa della pandemia sempre più lavoratori si trovano a lavorare in remoto, magari spesso su pc personali, non di rado condivisi anche da familiari. L’uso promiscuo dei device personali e una scarsa sensibilizzazione sul tema ha esposto, ed espone tuttora, lavoratori e organizzazioni a notevoli rischi.

Rischi di cui però le aziende sembrano essere ora consapevoli. Questa percezione quali effetti sta avendo sul mercato del lavoro?

Per molti anni abbiamo assistito a una situazione a doppio binario, dove a organizzazioni molto attente al tema, come le grandi imprese – in particolare quelle operanti in alcuni settori, quali quello delle telecomunicazioni e quello dell’energia, le banche e le assicurazioni, se ne contrapponevano altre meno consapevoli dei rischi o comunque meno attive su questo fronte.
Nel corso degli ultimi 2-3 anni la situazione è però cambiata: tutti si sono resi conto della rilevanza della cybersecurity, tanto che il tema è nella top agenda della maggioranza degli amministratori delegati e dei loro stretti collaboratori.
Questo è legato sia all’aumento della frequenza di attacchi di varia natura – dal social engineering alla criptazione dei dati con richiesta di riscatto, al furto di proprietà intellettuale – che al fatto che tali attacchi , come già accennato in precedenza, colpiscono anche i processi operativi “core”, comportando spesso interruzioni delle attività produttive o dell’erogazione dei servizi.
Questa nuova attenzione si riflette, da un lato, in un aumento degli investimenti su questo fronte, dall’altro in alcuni cambiamenti organizzativi, che hanno portato per esempio a far sì che in diverse grandi realtà l’Head of Cybersecurity adesso risponderà direttamente al vertice aziendale, e non più al Chief Information Officer.

Questa crescente importanza e “pervasività” della cybersecurity porta con sé inevitabilmente una ricerca di profili professionali con specifiche competenze sia da parte delle imprese, per potenziare le unità organizzative interne, sia da parte delle società di consulenza, che rivestono spesso un ruolo chiave sia nell’impostazione del sistema di governance della sicurezza, sia nell’implementazione delle contromisure tecnologiche e organizzative. Una crescente domanda che non trova riscontro nell’offerta di mercato, come sottolineato da diversi responsabili delle risorse umane e da diverse società specializzate nel recruiting.

In che modo il MIP sta cercando di colmare questo gap?

L’impegno della nostra Business School su questo fronte non è una novità. Abbiamo infatti già lanciato l’anno scorso un Percorso Executive dedicato a chi ha già maturato dell’esperienza nel settore della cybersecurity e vuole aggiornare e ampliare le proprie competenze per dare un’accelerazione alla propria carriera.

Quest’anno abbiamo però voluto ampliare la nostra offerta formativa con un Master – l’International Master in Cybersecurity Management – pensato per un pubblico junior, appena uscito dall’università.
Il nostro Master nasce ascoltando i bisogni delle aziende, primi tra tutti i nostri educational partner – BIP e SETA – e le società che hanno collaborato in modo stretto alla progettazione come membri dell’advisory board, come Accenture, PwC e Intesa-IBM.
Abbiamo quindi deciso di creare un programma in grado di dare ai partecipanti gli strumenti per poter avere una visione olistica della cybersecurity.
Quello che è infatti emerso dal continuo confronto con le aziende è che una conoscenza tecnica delle vulnerabilità e di come risolverle non è sufficiente. È importante essere consapevoli dell’impatto che queste possono avere sull’intera organizzazione. Ci rivolgiamo quindi a giovani che desiderano una carriera non puramente tecnica, ma che aspirano a ricoprire presto ruoli di responsabilità. Ecco perché nel Master si affrontano anche temi di natura organizzativa e gestionale, e si dedica attenzione anche allo sviluppo delle soft skill.
Alla luce di questo, non dovrebbe quindi stupire che il Master sia aperto anche a profili meno “convenzionali”, come per esempio gli ingegneri gestionali, i laureati in economia aziendale o in discipline scientifiche. O ancora avvocati che si sono specializzati nelle normative relative alla sicurezza informatica e che desiderano approfondire il tema per inserirsi in importanti studi professionali o negli staff legali delle grandi organizzazioni.

Come in molti dei programmi del MIP, la componente esperienziale è fondamentale. Questo si riflette nella composizione della Faculty, caratterizzata dalla presenza di numerosi professionisti che affiancano i docenti di estrazione accademica, nonché nelle metodologie didattiche impiegate. Inoltre, il master prevede un project work finale che sarà svolto in una delle tante imprese che hanno dato la loro disponibilità, durante il quale gli allievi potranno mettere in pratica quanto appreso in aula.

Per concludere, quale consiglio vorrebbe dare ai giovani interessati al mondo della cybersecurity?

Uno molto semplice – almeno in apparenza. Di avere le idee chiare su cosa vogliono fare “da grandi”. Dipingere nella loro mente il percorso che si immaginano per i prossimi 5 o 10 anni. Se il tema li appassiona e hanno aspirazioni manageriali, questo è il percorso giusto per loro.

Career Leader: Strategia e atteggiamento imprenditoriale

“Un buon giocatore di hockey gioca là dove sta il disco. Il miglior giocatore di hockey gioca là dove il disco sta per andare” Wayne Gretzky

Nello scorso editoriale Chiara Girola ha approfondito l’importanza di saper costruire un “buon” obiettivo di carriera. Per il Career Leader l’obiettivo è il faro che guida costantemente la nave della nostra carriera. È il miglioramento continuo a cui aspirare e non, ci ricorda Chiara, il vantaggio concreto che da questo miglioramento otteniamo (stipendio, riconoscimento, cambi di ruolo..).

Ma, una volta fatto il settaggio della nostra nave e definito l’obiettivo di miglioramento, qual è l’atteggiamento giusto con cui affrontare il mare, ovvero, fuor di metafora, le strategie attraverso cui perseguire il nostro obiettivo?

Vediamo le principali secche in cui la nostra nave potrebbe arenarsi e le strategie da mettere in campo per governare l’incertezza che ogni processo di cambiamento comporta.

Affrontare il mare senza conoscere il mare

Tra gli errori più ingenui, ma anche più impattanti rispetto allo sviluppo di carriera, annoveriamo la mancanza di approfondimento circa i segmenti di mercato o i ruoli a cui aspiriamo. L’interesse o la passione personale talvolta rappresentano, in modo del tutto autoreferenziale, i riferimenti che vengono utilizzati dai Career Leader per gestire e orientare la navigazione. Questo atteggiamento comporta l’aumento della dose di incertezza in quanto al navigante sfuggono esigenze, criticità, regole, riferimenti culturali ed organizzativi dell’assetto in cui aspirerebbe ad inserirsi. Inoltre, non secondario, rischia di minare la credibilità del Career Leader agli occhi di potenziali interlocutori esperti che già conoscono il mare.

Cosa serve dunque? Fare ricerca. Ovvero incrementare una conoscenza prospettica e multidimensionale dell’ambito o del ruolo di interesse, facendosi guidare dalle domande: cosa può servire a questo contesto lavorativo? Quale contributo potrei dare io, ora e in prospettiva futura, per migliorarne competitività e capacità di innovazione?

Affrontare il mare ritenendo di conoscere il mare

Può sembrare una contraddizione rispetto al punto precedente ma, da un punto di vista metodologico si tratta del medesimo errore, ovvero basarsi su criteri autoreferenziali per costruire delle valutazioni e delle scelte d’azione conseguenti. Infatti l’esperienza, anche pluriennale in un certo settore, rischia di esporci a fare delle previsioni invece che delle anticipazioni. Qual è la differenza? Nel primo caso la forma mentis è quella del “so già tutto di come funziona quel settore, quindi andrà sicuramente così anche nella prossima azienda in cui mi candiderò”. Paradossalmente il massimo della certezza rappresenta il più grosso punto debole per un Career Leader. La logica del “già visto” e del “prevedibile” fa perdere di vista il processo, ovvero la necessità di contestualizzare e valutare ogni specifico assetto a cui ci si approccia, decentrandosi dalla propria personale esperienza e mettendola alla prova attraverso la strategia del “fare ricerca” illustrata al punto 1. Questo consente di allenare l’anticipazione, ovvero la competenza di prefigurarsi scenari possibili (e non un unico film) a partire dai dati raccolti. Anticipare ci mette in condizione di prepararci piani diversi, riducendo lo spiazzamento e la delusione se quello che pensavamo maggiormente probabile non si realizzasse e potendo effettivamente mettere a frutto il considerevole bagaglio della propria pluriennale esperienza.

Pensare che il mare si divida in due per farci passare, forti dell’innovativa idea che portiamo

Immaginiamo un Career Leader che si mette in gioco in un percorso di crescita animato dall’intenzione di contribuire all’innovazione dell’azienda in cui già lavora. Spesso si è posto le domande che abbiamo visto al punto 1 e ritiene anche di aver fatto le anticipazioni di scenari a partire dagli elementi raccolti, come suggerito nel punto 2. Compiute queste due tappe si può vedere chiaramente cosa può essere utile ad un certo contesto e, in alcuni casi, anche a costruire delle idee progettuali ad alto tasso di innovazione. Ma arrivati a questo punto spesso accade si scontrino con le resistenze al cambiamento dei vertici aziendali.

Qual è in questo caso la specifica criticità in cui un Career Leader può cadere?

Si tratta della confusione tra hard e soft skills. La competenza tecnica, per quanto implementata, raffinata e orientata all’innovazione non è sufficiente a sostenere il perseguimento di obiettivi di sviluppo. In questo caso sono due le indicazioni strategiche:

  • imparare sia ad osservare gli aspetti hard del lavoro, che (e soprattutto) gli aspetti soft, legati alle interazioni tra i diversi ruoli, alle modalità con cui si usano, in un certo contesto lavorativo, i contributi dei collaboratori per perseguire lo sviluppo d’impresa.
  • curare lo sviluppo di competenze di comunicazione efficace e di promozione di una visione comune, consapevoli che il valore attribuito alla propria idea sarà direttamente proporzionale alle soft skills che si saprà mettere in campo per renderla comprensibile, condivisibile e sostenibile…

Andar per mare da soli

È facile pensare che la navigazione di un Career Leader sia un viaggio in solitaria. Un “imprenditore di sé stesso”, si dice, introducendo implicitamente l’idea che si tratti di un self made man (o woman) che conta solo e pervicacemente sulle proprie risorse e che deve “rubare” con destrezza il lavoro e le occasioni. Ma anche il più solitario dei viaggi è il prodotto di una catena di interazioni e collaborazioni di una moltitudine di persone che hanno investito in quel viaggio risorse, strumenti, competenze. Trascurare questa evidenza, collocandosi da consumatori di risorse che provano a trarne il maggior vantaggio personale, rappresenta a tutti gli effetti, un potenziale perso. Cosa serve dunque?

Adottare una logica da Responsible Career Leader comporta considerare il lavoro di squadra con tutte le risorse (docenti, consulenti, servizi di supporto, colleghi di corso, aziende partner..) come un’opportunità per allenarsi a moltiplicare il valore del processo di sviluppo in cui si è inseriti e quindi, in ultima istanza, il valore del proprio contributo come manager di domani.

Riprendendo l’immagine iniziale del miglior giocatore di hockey che va dove il disco sta per arrivare, lo sguardo d’insieme di questi aspetti critici e strategie di gestione mostra come queste siano le 4 tappe che il Career Leader può percorrere per farsi trovare preparato ad affrontare l’incertezza del mercato del lavoro con competenza, esperienza e lavoro di squadra.

Il MIP Politecnico di Milano arriva sui Navigli

Perfezionato l’acquisto di una nuova sede di circa 2.000 metri quadrati per la Graduate School of Business dell’ateneo milanese per accogliere nuovi studenti da tutto il mondo

Inaugurazione prevista entro i primi mesi del 2022

L’operazione da circa 10 milioni euro ha coinvolto MPS Leasing & Factoring (finanziamento), Carnelutti Law Firm (aspetti legali e fiscali), GVA Redilco (individuazione spazi) e Il Prisma (progettazione e realizzazione)

Il MIP Politecnico di Milano, la Graduate School of Business dell’ateneo milanese, cresce e sbarca sui Navigli, con una nuova sede di circa 2.000 metri quadrati nel cuore della città. Il nuovo campus, che sarà inaugurato entro i primi mesi del 2022, sorgerà su un’area tra Ripa di Porta Ticinese e il Naviglio Grande.

L’investimento nella nuova sede nasce dall’esigenza di accogliere il crescente numero di studenti, manager e professionisti che vedono nel MIP un punto di riferimento per l’alta formazione manageriale, garantita da un’offerta di eccellenza che comprende oltre 40 Master, tra cui 7 MBA ed Executive MBA, 200 programmi executive open e numerosi corsi di formazione progettati su misura per le aziende. Ad oggi sono più di 2.000 gli studenti di oltre 70 nazionalità che ogni anno frequentano il Campus principale della scuola nel quartiere Bovisa, sede che si inserisce in un contesto urbanistico in profonda trasformazione.

Il campus sui Navigli garantirà nuovi spazi di studio, lavoro e interazione per oltre 300 studenti e per i docenti e lo staff della scuola. Il nuovo campus si svilupperà su tre piani secondo una concezione architettonica innovativa e versatile: gli spazi interni sono stati studiati per favorire incontri e scambio di idee, per trasmettere un senso di collettività e per offrire ogni volta soluzioni differenti in base alle necessità.

“Questa operazione si inserisce in un progetto più ampio di campus distribuito sul territorio nazionale che ha già dato vita ad hub locali grazie alle partnership con il Consorzio Universus del Politecnico di Bari, con gli Istituti Filippin La Salle a Pieve del Grappa (TV) e con la John Cabot University a Roma” – ha dichiarato Vittorio Chiesa, Presidente del MIP Politecnico di Milano. “Il MIP continua a impegnarsi ogni giorno per formare studenti, manager e professionisti, contribuendo a generare un impatto positivo sulla società grazie all’innovazione, ed alle partnership con aziende, istituzioni e con il mondo delle università e delle business school”.

La vita nel nuovo campus si inserirà in una zona, quella di Ripa di Porta Ticinese, caratterizzata da un’atmosfera unica, che combina lo spirito della vecchia Milano a una vivace offerta culturale e spazi di verde urbano. Si tratta di aspetti distintivi perfettamente integrati nell’architettura della nuova struttura, che infatti evoca le atmosfere informali – dagli accenti industrial e underground – dei Navigli. Il campus avrà una componente digitale preponderante, in linea con la forte attenzione della business school per l’innovazione tecnologica. Infatti, anche grazie ad aule ideate nell’ottica di flessibilità spaziale, tecnologica e funzionale, gli studenti avranno accesso ad un’esperienza di apprendimento distintiva, capace di annullare le distanze e favorire le “connessioni” tra tutti i partecipanti.

“Si tratta di un passo storico e molto importante per il MIP. Con l’ampliamento sui Navigli i nostri studenti potranno presto vivere un’esperienza formativa d’eccellenza e allo stesso tempo immersa nel cuore della città, a pochi passi dal design district e da altri luoghi simbolo di Milano” – ha dichiarato Federico Frattini, Dean del MIP Politecnico di Milano. “Il centro nevralgico dell’attività continuerà a essere la storica sede della Bovisa: l’hub in Porta Ticinese sarà un elemento in più che potenzierà la nostra offerta per rispondere alle esigenze di un pubblico internazionale e multiculturale”.

L’acquisto dell’immobile da parte del MIP – grazie a un investimento di circa 10 milioni euro – è frutto di un’operazione che ha coinvolto MPS Leasing & Factoring per il finanziamento, Carnelutti Law Firm per gli aspetti legali e fiscali e GVA Redilco, in qualità di advisor per l’individuazione degli spazi e l’accompagnamento nelle diverse fasi. La due diligence tecnica, la progettazione e la realizzazione degli interventi per la riqualificazione dell’edificio, i cui lavori partiranno a settembre 2021, sono affidate a Il Prisma.

Poter sostenere la Business School del Politecnico di Milano, istituto accademico italiano d’eccellenza riconosciuto e accreditato al livello internazionale, rappresenta per Mps Leasing & Factoring una grande opportunità di contribuire alla crescita formativa di studenti e manager su temi di innovazione, imprenditorialità, gestione della tecnologia” – ha concluso Giovanni Maione, responsabile Direzione Leasing di MPS L&F. “Attraverso questo finanziamento, la Banca, da sempre attenta ai temi dell’innovazione tecnologica e del progresso, supporta la realizzazione di un polo di prestigio altamente digitalizzato, da offrire alle future generazioni, creando così valore per l’intera collettività”.

“Da anni collaboriamo con il MIP – Politecnico di Milano su svariati progetti e siamo molto orgogliosi di averli assistiti anche in questa importante operazione che consentirà di ampliare le prospettive della Business School formando sempre più talenti provenienti da ogni parte del mondo”- ha dichiarato Leonardo Spina, partner di Carnelutti Law Firm che ha coordinato il team dedicato all’operazione”.

Giuseppe Carone, Partner de Il Prisma, ha aggiunto: “Progettare la nuova sede del MIP ha significato per noi cercare di tradurre il Dna della Scuola in un luogo di commistione e di Community. Siamo partiti ponendoci la domanda <<In che modo una business school può supportare la crescita non solo professionale, ma anche personale e relazionale di un individuo?>>. La risposta è un hub, un laboratorio pensante e pulsante, ricco di stimoli e idee, di progetti concreti e relazioni autentiche. Un luogo dove ci si mette in gioco per reinventare il futuro – un futuro migliore per tutti”.

Oltre l’evento sportivo: come ripensare stadi e palazzetti

Le infrastrutture non possono essere più concepite esclusivamente come teatri di gesta sportive, ma come elementi attivi all’interno di un tessuto sociale, economico e culturale.

Lo spiega Emilio Faroldi, direttore del Master in progettazione e gestione dello sport

Non solo palcoscenici di memorabili imprese atletiche, ma anche luoghi in grado di valorizzare il contesto in cui sorgono, con ricadute positive a livello sociale, economico e culturale. È il futuro, e in certi casi il presente, delle infrastrutture sportive. «Ma lo sport oggi non è soltanto la grande infrastruttura o il monumento dell’evento agonistico d’eccellenza: è tutto ciò che forma caratterialmente e fisicamente i ragazzi. Per questo la cultura dello sport è fondamentale. E gestire lo sport è un lavoro molto complesso», spiega il professor Emilio Faroldi, direttore del Master in progettazione e gestione dello sport e prorettore del Politecnico di Milano.

Ma che cosa significa, in concreto, gestire lo sport?

Prima la gestione, poi la progettazione

«Significa affrontare la gestione degli impianti non solo dal punto di vista tecnico, che comunque è fondamentale, ma anche da quello di processo», spiega Faroldi. «In altre parole, un manager oggi dovrebbe essere in grado di incorporare fin da subito nei temi progettuali gli aspetti di natura gestionale, cercando di anticipare e prevenire i problemi».

Pensiamo ai grandi eventi, come i Giochi olimpici o le competizioni calcistiche maggiori, come Mondiali e Europei. «Nella maggior parte dei casi, la realizzazione di infrastrutture sportive si traduce, subito dopo la manifestazione, in un abbandono della stessa. A volte già poche settimane dopo l’ultima gara. Per ovviare a questo problema bisogna cominciare a concepire lo sport non come evento, ma come elemento ordinario. Bisogna guardare oltre, al futuro», spiega ancora il professor Faroldi.

Tra emozione, esperienza e condivisione

Chi oggi si confronta con la gestione dello sport, poi, non può prescindere nemmeno dalle sue modalità di fruizione, anche e soprattutto digitali. «Il primo aspetto è legato alla crescita degli eSport. In Asia già esistono palazzetti che ospitano competizioni di gaming, e molte società calcistiche hanno squadre di videogiocatori. Il secondo aspetto riguarda invece il modo in cui viviamo gli eventi. La condivisione dell’esperienza sui social è uno degli aspetti che spinge le persone a vivere quello stesso momento dal vivo. Vale per le nuove generazioni in particolare, ma non solo». L’infrastruttura sportiva diventa così spazio di condivisione di un vissuto a cui sono inevitabilmente legate le emozioni. «Non ci affezioniamo all’aspetto di una struttura, ma alle emozioni che abbiamo provato al suo interno. Di uno stadio abbiamo a cuore il ricordo di una vittoria sofferta, o di una serata legata a un concerto. È un parametro che non va affatto messo in secondo piano, quando parliamo di gestione delle infrastrutture sportive».

La competitività esige competenza

Questi sono solo alcuni degli aspetti che mostrano la complessità e la rilevanza strategica dello sport e delle sue strutture, e che quindi richiedono la formazione di figure professionali consapevoli delle numerose implicazioni legate a quest’ambito. Il Master in progettazione e gestione dello sport, erogato dal Politecnico di Milano in collaborazione con MIP, ha proprio questo obiettivo: «Lo sport italiano non può più permettersi un approccio empirico. È un errore lasciare che solo gli sportivi entrino nel management dello sport. Noi ci rivolgiamo invece sia a figure con una formazione tecnica sia a chi proviene da altri settori come l’economia, la giurisprudenza o il design», chiarisce Faroldi. «Gli sbocchi lavorativi sono molteplici. Pensiamo allo Stadium operations manager o ai Project manager di infrastrutture per lo sport e ai Facility project manager che si dedicano allo sport inteso come veicolo di inclusione sociale. Figure che diventano fondamentali in un contesto globale sempre più competitivo, e a cui i club devono guardare, se vogliono creare strutture in grado di apportare benefici economici non limitati ai singoli eventi sportivi».

 

Digital DBI: un viaggio nelle eccellenze italiane (a distanza)

Dal luxury all’industria 4.0: le imprese italiane si raccontano agli studenti stranieri attraverso gli strumenti digitali. «Ma non si tratta di semplici lezioni», come spiega il professor Tommaso Agasisti, che ha curato l’iniziativa

Replicare in digitale un’esperienza concepita per essere fruita in prima persona. È la sfida delle Digital DBI, esperienze rivolte agli studenti delle università partner del MIP Politecnico di Milano, che portano gli alunni stranieri a confrontarsi con la realtà del business italiano. «Le DBI, ossia Doing Business in Italy, sono delle visite di studio di tre, cinque, dieci giorni presso aziende e organizzazioni. La pandemia ci ha costretto a ripensare il modello di queste iniziative per continuare a garantire agli iscritti la possibilità di adottare uno sguardo internazionale nel proprio percorso formativo, portandoli a contatto con la realtà economico-sociale del nostro Paese», racconta il professor Tommaso Agasisti, Associate Dean for Internationalization & Quality.

Molto più di un corso online

L’impegno del MIP nello sviluppo di modelli di formazione a distanza è di gran lunga precedente all’emergenza Covid, ma in questo caso la sfida ha richiesto un approccio diverso. «Un conto è un corso online», precisa Agasisti, «un altro è replicare un’esperienza che include eventi virtuali, interviste con uomini d’azienda, lavori di gruppo e business game. È la prima volta che uniamo questi elementi in un formato diverso dal tradizionale corso online».

Le DBI, infatti, si contraddistinguono per un carattere di “immersione” profonda nel contesto locale. «Questa è stata la sfida più grande: replicare a distanza questa sensazione. Lavorando con i nostri partner siamo riusciti a sviluppare formati digitali di qualità in grado di raccontare a fondo le realtà delle imprese coinvolte, salvaguardando la forma dell’incontro e scongiurando così il rischio di una fruizione passiva dei contenuti».

In questo modo la Digital DBI crea una nuova opportunità: le company visit, infatti, finora erano possibili solo in presenza, ma l’impiego del digitale, e l’utilizzo di contenuti sviluppati appositamente per sfruttarne a pieno le possibilità, consente anche a chi non può partecipare dal vivo di “immergersi” completamente nella realtà aziendale, replicando l’esperienza live.

Un formato che guarda al futuro

Il nuovo formato apre a nuovi sviluppi per il prossimo futuro. «Posso immaginare un’evoluzione naturale che ci porterà a combinare esperienze digitali più brevi rivolte a un numero di studenti più ampio, che magari non ha la possibilità di effettuare una visita “on campus”. E penso che, al contempo, questi appuntamenti potrebbero costituire anche degli incontri preliminari per chi è intenzionato a venire in Italia in un periodo successivo – spiega Agasisti -. L’idea è che le study visit siano progettate per vedere come si traducono, nel concreto, i contenuti studiati nel corso delle lezioni. Costruiamo i programmi sulla base di un fitto dialogo con le università partner, così siamo in grado di comprendere le esigenze formative e possiamo disegnare iniziative non standardizzate, ma legate a specifiche richieste. L’Italia, con le sue eccellenze, è vista come un’ottima opzione e poterla “visitare” anche senza spostarsi fisicamente è un’opportunità in più».

Le eccellenze italiane per gli studenti internazionali

Tra le prime Digital DBI troviamo “The secrets of luxury brand management” e “The new frontiers of industry 4.0”, due ambiti in cui l’Italia rappresenta l’eccellenza. «L’expertise del made in Italy rappresenta un elemento di grande attrattività anche nei confronti delle business school e per questo abbiamo intenzione di concentrare la nostra attenzione verso tutto quello che coinvolge tech, innovazione e design. Ad esempio, abbiamo in programma Digital DBI sul fintech, sulla gestione dell’innovazione e sulla transizione digitale».

In conclusione, che cosa porteranno con sé gli studenti, in termini formativi, dopo questo percorso? «Innanzitutto un modo diverso di studiare, perché si entra in contatto con un mondo differente da quello frequentato fino a quel momento. Secondo, la possibilità di ampliare le proprie conoscenze grazie all’incontro con persone, storie e imprese: è l’occasione per capire come mettere in pratica i concetti appresi durante lo studio. Terzo, si può sviluppare una nuova modalità di acquisizione dei contenuti attraverso un utilizzo intelligente del digitale».

Pietro Fiorentini e MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business insieme per costruire il futuro dell’energia

Nasce la C-Lean Academy, un progetto nato dalla collaborazione tra Pietro Fiorentini e il MIP Politecnico di Milano per sviluppare le competenze necessarie al processo di transizione energetica verso le fonti rinnovabili. 

Pietro Fiorentini e il MIP Politecnico di Milano sono orgogliosi di annunciare la nascita della C-Lean Energy Academy, un programma formativo in ottica di Corporate Social Responsibility rivolto agli studenti del terzo anno universitario o in possesso di una laurea triennale in economia o ingegneria, destinato ad approfondire i temi della transizione energetica, dell’innovazione sostenibile e dell’applicazione del Lean & Agile management nei contesti organizzativi duali.

Il programma prevede tre settimane di lezioni, oltre a un project work finale, erogate tra settembre 2021 e dicembre 2022. Gli incontri comprenderanno momenti di formazione professionale, attività di laboratorio e di networking insieme agli esperti aziendali di Pietro Fiorentini e ai docenti del MIP Politecnico di Milano, con la partecipazione di alcuni top manager provenienti da importanti aziende internazionali.

Oltre alle lezioni in presenza, per tutta la durata del corso sarà creata una virtual community sempre attiva per permettere la condivisione di idee e riflessioni sul futuro dell’energia. Inoltre, una volta concluso il programma gli studenti riceveranno un diploma di partecipazione che permetterà loro di promuovere competenze che saranno fondamentali in un mondo che sta investendo sempre di più nel processo di transizione verso fonti energetiche pulite e nella creazione di modelli organizzativi più sostenibili.

Per tutti coloro che sono interessati a iscriversi, il primo passo è partecipare a uno dei due eventi di presentazione organizzati per illustrare i dettagli del programma:

Durante entrambi gli appuntamenti verranno resi noti i criteri e la procedura di selezione per potersi candidare a essere uno/a dei 25 studenti selezionati che potranno prendere parte al programma.

“Abbiamo creato questo progetto per i giovani, perché saranno loro i principali attori chiamati a costruire il futuro dell’energia in chiave di sostenibilità – dichiara Mario Nardi, Amministratore Delegato del Gruppo Pietro Fiorentini – Per farlo però servono competenze che non sono facilmente disponibili nelle offerte formative tradizionali. Crediamo che questo programma, pensato per condividere la nostra esperienza ventennale nell’applicazione del Lean & Agile Management e gli oltre ottant’anni di storia nel settore dell’energia, potrà rappresentare un punto di riferimento per lo sviluppo di professionalità che saranno fondamentali per il nostro settore negli anni a venire.”

“Siamo felici di essere al fianco di Pietro Fiorentini in questo progetto” – aggiunge Federico Frattini, Dean del MIP Politecnico di Milano. “La C-Lean Energy Academy è un programma formativo che si concentra su una tematica come quella della sostenibilità, considerata prioritaria dalla nostra Business School. Inoltre, in linea con il nostro compito di formare i manager di domani, siamo sempre orgogliosi di poter offrire a giovani talenti gli strumenti necessari per affrontare le sfide del mondo del lavoro.”

Ulteriori informazioni sono reperibili nella pagina dedicata al programma sul sito del Career Service del Politecnico.

https://cm.careerservice.polimi.it/career-program/c-lean/

QS EXECUTIVE MBA RANKING 2021: IL MIP POLITECNICO DI MILANO TRA I MIGLIORI AL MONDO CON L’ EXECUTIVE MBA

La School of Management del Politecnico di Milano si posiziona 73esima a livello mondiale e 31esima in Europa secondo la graduatoria Quacquarelli Symonds diffusa oggi

MIP Politecnico di Milano, la Graduate School of Business che fa parte della School of Management dell’ateneo milanese, si conferma tra le migliori al mondo. Secondo l’edizione 2021 del QS Executive MBA Rankings, pubblicata oggi dalla società di consulenza globale di formazione superiore Quacquarelli Symonds (QS), il MIP è al 73esimo posto a livello mondiale per la qualità del suo Executive MBA su un totale di 176 business school, prima tra le italiane. A livello europeo il MIP si classifica 31simo su 60 scuole. Se si considera che quest’anno il QS ranking vanta il numero più alto di scuole presenti in classifica – 35 scuole in più rispetto al precedente – il risultato è ancora più significativo, alla luce anche del fatto che la scuola è stabilmente in graduatoria dal 2018, quando vi è entrata per la prima volta.

Dall’analisi dei singoli parametri su cui si basa la classifica, il MIP migliora nei punteggi relativi ai risultati di occupabilità e aumento di stipendio post graduation, al termine cioè della durata dei Master. Il riconoscimento da parte di QS in termini di Career Outcomes (Promotions e Salary Increase) conferma l’efficacia dei percorsi formativi del MIP per accelerare la crescita professionale di manager e imprenditori. Dalle survey interne sugli alumni risulta infatti che nel 75% dei casi il Master favorisce una promozione e che, a tre anni dalla graduation, lo stipendio medio cresce di circa il 50%. Buono anche l’indice di diversity, migliorato rispetto al 2020 per il numero di studenti di diverse nazionalità che frequentano la business school del Politecnico di Milano.

L’Executive MBA del MIP si è inoltre distinto per l’Employer Reputation con il 43esimo posto (19 in Europa) e per la Thought leadership / Academic Reputation con il 74esimo posto (31esimo in Europa). Si tratta di quelle categorie che riconoscono rispettivamente l’apprezzamento del programma formativo da parte delle decine di migliaia di datori di lavoro di aziende a livello globale e l’autorevolezza da parte del mondo accademico nazionale e internazionale.

“La presenza della nostra scuola nel corso degli anni in ranking autorevoli come quelli firmati QS” – hanno  dichiarato Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano“certifica formalmente la qualità della nostra offerta formativa, in questo specifico caso degli Executive MBA, per professionisti e manager che vedono nell’upskilling e nel reskilling la chiave per sviluppare competenze utili per emergere in un mercato del lavoro in costante aggiornamento. Il buon risultato ottenuto anche quest’anno nel ranking è motivo di orgoglio, soprattutto per ciò che riguarda la conferma del nostro alto valore reputazionale agli occhi dei datori di lavoro in tutto il mondo: il marchio e la solidità di un brand come il MIP Politecnico di Milano sono elementi chiave per attrarre tutti quei professionisti che investono nel lifelong learning. Infatti, nelle scorse settimane abbiamo accolto oltre 80 nuovi partecipanti nelle nostre aule Executive MBA provenienti da diversi settori e funzioni aziendali”.

Il QS Executive MBA 2021 Ranking è consultabile su www.topmba.com.

Bip punta sulla contaminazione dei saperi

Al via la terza edizione del BIP Bootcamp, il business program per brillanti neolaureati di facoltà umanistiche, giuridiche e linguistiche

BIP, multinazionale di consulenza, in collaborazione con MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business presenta la terza edizione del BIP Bootcamp, il programma pensato per giovani talenti che desiderano avviare un percorso professionale nel Management Consulting.

Dopo il successo delle precedenti edizioni, BIP punta anche quest’anno ad arricchire le competenze di chi ha già sviluppato un’attitudine agile, elastica e creativa proponendo una formazione in ambito economics & finance, marketing, management e trasformazione digitale.

Capacità analitiche, pensiero sistemico e pensiero laterale sono caratteristiche, spesso coltivate attraverso studi umanistici, che rappresentano un valore e una potenzialità per una società di consulenza come BIP.

Obiettivo, attraverso il Bootcamp, è quello di superare i più rigidi modelli formativi del passato applicando una reale contaminazione tra saperi. Gli studenti avranno la possibilità di dare vigore alle competenze acquisite nel proprio percorso di studi e dare prova del potenziale all’interno delle più grandi aziende italiane e multinazionali, attingendo all’esperienza e il know[1]how di una delle più vivaci e dinamiche realtà di consulenza in Europa.

“Sono convinta – commenta Ursula Buchmeiser, Head of People Experience & Development in BIP – che l’innovazione del nostro modello di business derivi dalla grande diversificazione e sinergia delle competenze disponibili e dal crescente pluralismo della nostra cultura aziendale. L’ideazione di nuove soluzioni e servizi per i nostri clienti è anche espressione della nostra capacità di anticipare sfide comportamentali ed etiche, e non solo”.

La Bootcamp faculty vede il coinvolgimento di docenti MIP ed esponenti senior della consulenza applicando una metodologia didattica di forte connotazione pratica ed esperienziale, supportato dall’utilizzo di una innovativa piattaforma di apprendimento digitale (DHUB), sviluppata da MIP su tecnologia Microsoft. Il percorso, della durata di 4 settimane, avrà inizio il 10 settembre 2021. Candidature su https://www.bipconsulting.com/it/master-bootcamp/ entro il 23 luglio.