Global Management Challenge Italy: la squadra del Politecnico di Milano vince la finale nazionale

 

Si chiama “Oltre” la squadra degli studenti della School of Management del Politecnico di Milano che ha vinto la finale nazionale della Global Management Challenge 2021, la più grande competizione di strategia e gestione imprenditoriale del mondo, uno strumento formativo che prepara gli studenti di qualsiasi ordine e grado e dipendenti di azienda alle dinamiche decisionali di impresa a livello di Consiglio di Amministrazione.

I partecipanti, attraverso un simulatore, devono assumere decisioni imprenditoriali per la loro azienda virtuale, che li posizionano nei confronti della concorrenza rappresentata dalle aziende delle altre squadre. Vince chi riesce a gestire in modo più reddituale la propria azienda in questo contesto competitivo.
Molte le skills da mettere in campo durante la competizione: dalla leadership alla gestione dello stress, dalle dinamiche relazionali all’orientamento al risultato, la challenge fornisce un quadro di insieme completo e realistico di cosa vuol dire prendere decisioni a livello manageriale.

Stefano Muciaccia, Emanuele Massarelli, Simone Iudica, Elia Pellizzaro e Samuel Iuliano, studenti della laurea magistrale in ingegneria gestionale, sono arrivati primi in Italia su oltre 60 squadre, guadagnandosi così la partecipazione alla finale internazionale che si è svolta a Nizhny Novgorod, in Russia.
L’ottimo risultato raggiunto in Russia non è stato sufficiente per aggiudicarsi anche qui la vittoria, andata alla squadra Portoghese, ma ai ragazzi del team Oltre va il ringraziamento di GMC Italia e del Politecnico di Milano per aver rappresentato così egregiamente il nostro paese all’edizione 2021, che ha visto la partecipazione di circa 30.000 persone da 40 paesi, con 150 Università.

 

Per maggiori informazioni:
https://globalmanagementchallenge.pt/worldgmc/
http://www.gmcitaly.it/

Credit foto:
RR – Global Management Challenge

Cybersecurity: in azienda arriva l’esperto!

Dall’home banking, agli acquisti online, fino alla gestione di interi processi industriali: oggi l’accesso alla rete è fondamentale, sia in ambito personale che professionale. Tuttavia, questo strumento così potente, oltre ad avere grandissime potenzialità, nasconde anche dei rischi. Quali? Ne abbiamo parlato con il Prof. Paolo Maccarrone, direttore dell’International Master in Cybersecurity Management.

Volendo riassumere i tipi di rischi che corrono oggi le aziende, possiamo dire che sono tipicamente tre: confidenzialità, integrità e disponibilità del dato.

Gli “attacker”, infatti possono avere interesse a impossessarsi dei dati non solo per comunicarli a soggetti terzi (confidenzialità), ma anche a comprometterli o distruggerli (integrità), o a renderli irraggiungibili (disponibilità), tipicamente chiedendo un riscatto in cambio.

Tutti questi rischi sono enormemente cresciuti negli ultimi anni a causa della digitalizzazione, che ha fatto crescere in modo esponenziale il quantitativo di dati scambiati nonché,  della crescente interconnessione, dovuta principalmente a Internet. Basti pensare a un ambito, come quello dei processi operativi di un’azienda, dove l’automazione era gestita da server stand alone. Nessuna connessione, praticamente nessun rischio. Oggi, invece macchinari e impianti di varia natura scambiano continuamente informazioni.  Dati preziosi, che permettono, per esempio, di fare manutenzione predittiva o di riorganizzare i flussi produttivi in tempo reale, ma il cui scambio apre la porta a nuove vulnerabilità che prima non esistevano.

C’è poi un altro aspetto da segnalare. La situazione che stiamo vivendo ha aumentato in modo esponenziale il numero di lavoratori che si connettono ai server aziendali da remoto.
In passato, chi lo faceva non accedeva a dati sensibili, o, se lo faceva, riceveva un minimo di formazione su questi aspetti e spesso utilizzava device aziendali opportunamente configurati.

Nell’ultimo anno e mezzo, tuttavia, a causa della pandemia sempre più lavoratori si trovano a lavorare in remoto, magari spesso su pc personali, non di rado condivisi anche da familiari. L’uso promiscuo dei device personali e una scarsa sensibilizzazione sul tema ha esposto, ed espone tuttora, lavoratori e organizzazioni a notevoli rischi.

Rischi di cui però le aziende sembrano essere ora consapevoli. Questa percezione quali effetti sta avendo sul mercato del lavoro?

Per molti anni abbiamo assistito a una situazione a doppio binario, dove a organizzazioni molto attente al tema, come le grandi imprese – in particolare quelle operanti in alcuni settori, quali quello delle telecomunicazioni e quello dell’energia, le banche e le assicurazioni, se ne contrapponevano altre meno consapevoli dei rischi o comunque meno attive su questo fronte.
Nel corso degli ultimi 2-3 anni la situazione è però cambiata: tutti si sono resi conto della rilevanza della cybersecurity, tanto che il tema è nella top agenda della maggioranza degli amministratori delegati e dei loro stretti collaboratori.
Questo è legato sia all’aumento della frequenza di attacchi di varia natura – dal social engineering alla criptazione dei dati con richiesta di riscatto, al furto di proprietà intellettuale – che al fatto che tali attacchi , come già accennato in precedenza, colpiscono anche i processi operativi “core”, comportando spesso interruzioni delle attività produttive o dell’erogazione dei servizi.
Questa nuova attenzione si riflette, da un lato, in un aumento degli investimenti su questo fronte, dall’altro in alcuni cambiamenti organizzativi, che hanno portato per esempio a far sì che in diverse grandi realtà l’Head of Cybersecurity adesso risponderà direttamente al vertice aziendale, e non più al Chief Information Officer.

Questa crescente importanza e “pervasività” della cybersecurity porta con sé inevitabilmente una ricerca di profili professionali con specifiche competenze sia da parte delle imprese, per potenziare le unità organizzative interne, sia da parte delle società di consulenza, che rivestono spesso un ruolo chiave sia nell’impostazione del sistema di governance della sicurezza, sia nell’implementazione delle contromisure tecnologiche e organizzative. Una crescente domanda che non trova riscontro nell’offerta di mercato, come sottolineato da diversi responsabili delle risorse umane e da diverse società specializzate nel recruiting.

In che modo il MIP sta cercando di colmare questo gap?

L’impegno della nostra Business School su questo fronte non è una novità. Abbiamo infatti già lanciato l’anno scorso un Percorso Executive dedicato a chi ha già maturato dell’esperienza nel settore della cybersecurity e vuole aggiornare e ampliare le proprie competenze per dare un’accelerazione alla propria carriera.

Quest’anno abbiamo però voluto ampliare la nostra offerta formativa con un Master – l’International Master in Cybersecurity Management – pensato per un pubblico junior, appena uscito dall’università.
Il nostro Master nasce ascoltando i bisogni delle aziende, primi tra tutti i nostri educational partner – BIP e SETA – e le società che hanno collaborato in modo stretto alla progettazione come membri dell’advisory board, come Accenture, PwC e Intesa-IBM.
Abbiamo quindi deciso di creare un programma in grado di dare ai partecipanti gli strumenti per poter avere una visione olistica della cybersecurity.
Quello che è infatti emerso dal continuo confronto con le aziende è che una conoscenza tecnica delle vulnerabilità e di come risolverle non è sufficiente. È importante essere consapevoli dell’impatto che queste possono avere sull’intera organizzazione. Ci rivolgiamo quindi a giovani che desiderano una carriera non puramente tecnica, ma che aspirano a ricoprire presto ruoli di responsabilità. Ecco perché nel Master si affrontano anche temi di natura organizzativa e gestionale, e si dedica attenzione anche allo sviluppo delle soft skill.
Alla luce di questo, non dovrebbe quindi stupire che il Master sia aperto anche a profili meno “convenzionali”, come per esempio gli ingegneri gestionali, i laureati in economia aziendale o in discipline scientifiche. O ancora avvocati che si sono specializzati nelle normative relative alla sicurezza informatica e che desiderano approfondire il tema per inserirsi in importanti studi professionali o negli staff legali delle grandi organizzazioni.

Come in molti dei programmi del MIP, la componente esperienziale è fondamentale. Questo si riflette nella composizione della Faculty, caratterizzata dalla presenza di numerosi professionisti che affiancano i docenti di estrazione accademica, nonché nelle metodologie didattiche impiegate. Inoltre, il master prevede un project work finale che sarà svolto in una delle tante imprese che hanno dato la loro disponibilità, durante il quale gli allievi potranno mettere in pratica quanto appreso in aula.

Per concludere, quale consiglio vorrebbe dare ai giovani interessati al mondo della cybersecurity?

Uno molto semplice – almeno in apparenza. Di avere le idee chiare su cosa vogliono fare “da grandi”. Dipingere nella loro mente il percorso che si immaginano per i prossimi 5 o 10 anni. Se il tema li appassiona e hanno aspirazioni manageriali, questo è il percorso giusto per loro.

Tra soft skill, personalizzazione ed empowerment: il management secondo il MIP

La figura del manager oggi deve confrontarsi con nuove sfide e opportunità, come quelle presentate dal digitale. E se le competenze hard sono fondamentali, sono le soft skill a fare la differenza. Ce lo racconta Simone Franzò, direttore dell’Executive master in management

 

Una profonda conoscenza dei principi del management e un buon bilanciamento tra soft e hard skill. Sono queste le basi su cui un manager deve costruire il proprio successo. Ce lo racconta Simone Franzò, direttore dell’Executive master in management (Emim) presso il MIP Politecnico di Milano. «Sembra scontato, eppure troppe volte le figure manageriali mostrano gravi lacune nella formazione. Oggi più che mai, invece, è fondamentale poter contare su competenze solide. Anche perché il digitale sta cambiando i confini di questa professione».

 

Affrontare le sfide, cogliere le opportunità

La diffusione sempre più pervasiva delle tecnologie digitali sta giocando un ruolo molto importante: «Da una parte abbiamo delle sfide, dall’altra delle opportunità», spiega Franzò. «Pensiamo alla diffusione dello smartworking. Pone sicuramente una sfida dal punto di vista della gestione del team». Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: «Le nuove tecnologie abilitano nuove opportunità, possono migliorare la produttività e l’efficacia del lavoro svolto. Non sono però la panacea di tutti i mali: devono essere opportunamente gestite. Solo così possono diventare uno strumento virtuoso a beneficio dell’azienda». La sfida è anche culturale: «È necessario un cambio di mindset. Così come la presenza fisica sul posto di lavoro non può più essere considerata un valore imprescindibile, allo stesso modo l’adozione del digitale richiede una formazione che coinvolga tanto i manager quanto le risorse umane. Facciamo un esempio: il tema della gestione dei dati e della conoscenza. Non si può digitalizzare senza saper gestire il flusso relativo al knowledge management». Ma le tecnologie, appunto, non sono tutto. Anzi, non sono niente, senza competenze. «Oggi più che mai», continua Franzò, «è evidente l’esigenza di coniugare le hard skill, ossia le competenze più nozionistiche, che si apprendono tramite i classici percorsi formativi, con le soft skill: per esempio, la gestione della leadership, del team, il public speaking. Sono queste le competenze che diventano sempre più fonte di successo e di vantaggio competitivo per alcuni manager rispetto ad altri».

 

Un master per chi vuole rafforzare le proprie competenze

L’Executive master in management offre una formazione in linea con questi principi. «Si tratta di un master in general management che si rivolge a chi ha un’esperienza di lavoro tipicamente consolidata e sente il bisogno di aggiornare e rafforzare le proprie competenze in aree chiave del sapere manageriale», illustra Franzò. «La struttura formativa si articola in quattro macro-blocchi. Il primo set di corsi si basa sui fondamentali di management, all’interno dei quali lo studente potrà scegliere tra i sei e gli otto corsi. Il secondo blocco è costituito da corsi elective: proponiamo oltre cento corsi, e tra questi gli allievi ne sceglieranno tra i sei e gli otto. Il terzo blocco è il Percorso executive: un percorso di otto moduli precostituiti che affrontano un macrotema da molteplici punti di vista fra loro complementari (digital transformation, project management, energy management e così via). Infine, il project work, che ha l’obiettivo di applicare le nozioni apprese fino a quel momento su un problema reale di stampo manageriale».

 

Dal networking al career empowerment, passando dalle soft skill

Il master, che può essere fruito online a seguito del manifestarsi della pandemia Covid-19, si caratterizza quindi per un’elevata personalizzazione dei contenuti. «È il suo punto di forza. Non solo perché ogni studente potrà scegliere quali ambiti approfondire, ma anche perché questo permetterà a tutti gli iscritti di incrociare un ampio numero di colleghi diversi da un corso all’altro e che condividono le medesime esigenze formative. Approssimativamente, il networking potrebbe raggiungere un’ampiezza di oltre un centinaio di persone, tutte legate da interessi comuni». Particolare rilievo, poi, è dato proprio alle soft skill, oltre che al career empowerment: «Oltre ai corsi maggiormente incentrati sulle competenze soft, abbiamo previsto una serie di iniziative a supporto dello sviluppo di carriera per i nostri allievi. Ad esempio, i nostri allievi avranno l’opportunità di confrontarsi con manager e head hunter, che illustreranno quali sono le competenze più appetibili dal mercato», conclude Franzò.

 

«Con l’MBA la crescita è personale, non solo professionale»

Achille Balestrini, nuovo Ceo e Global brand manager di Nava Design Milano e MH Way, racconta il suo percorso professionale e formativo, segnato dal Politecnico. E spiega quanto è importante, anche per chi ha già un’esperienza sul campo, strutturare maggiormente con un master le nozioni apprese.

Dall’architettura al management, passando attraverso l’iniziativa imprenditoriale. È la traiettoria professionale di Achille Balestrini, alumnus MBA Pt It 6 presso il MIP Politecnico di Milano e recentemente nominato nuovo Ceo di Nava Design Milano e MH Way, due realtà parte di Smemoranda Group. Un cammino, il suo, segnato da tre elementi importantissimi per chi ha deciso di farsi strada nel mondo del business: passione, competenza e intraprendenza. Ma anche dalle esperienze vissute nell’ateneo milanese: «Se ho scelto l’MBA del MIP, è anche perché proprio al Politecnico avevo conseguito la laurea in architettura», racconta Balestrini. Ma tra la laurea e il master c’è stato un percorso fatto di intuizioni e scommesse personali.

Architetto, imprenditore, manager

Dopo la laurea e l’inizio della propria carriera nel mondo dell’architettura, Balestrini decide infatti di assecondare la propria passione per l’abbigliamento sportivo casual. «Non riuscivo a smettere di pensare a un’idea che all’epoca sembrava decisamente innovativa, quella di un brand che fosse personalizzabile». È un’intuizione vincente, perché a quel progetto Balestrini dedica le sue energie per sette anni circa. «Un periodo di tempo durante il quale aprimmo un negozio monomarca a Milano, diversi temporary store e uno shop online. Tutto grazie all’entusiasmo e allo spirito di sacrificio». Eppure, questi traguardi non sono quelli a cui Balestrini aspira, non sono abbastanza. «Decisi di interrompere quell’esperienza da imprenditore. Nel frattempo, ricevetti un’offerta da Marco Boglione, fondatore e presidente di BasicNet, gruppo proprietario di diversi marchi come Kappa, Superga, K-Way». È quello il momento in cui Balestrini abbandona la strada imprenditoriale per trasformarsi in un vero e proprio manager. «Mi innamorai profondamente del progetto che dovevo seguire. Questa fase è durata dal 2011 al 2019. Poi, nel 2020, sono stato nominato Ceo e Global brand manager di Nava Design Milano e MH Way».

Un MBA per rafforzare le competenze

Nel mezzo, però, c’è un altro passaggio importante, quella dell’MBA. «A iscrivermi mi spinse il bisogno, personale prima ancora che professionale, di imparare. Dalla mia avevo un bagaglio di conoscenze empiriche, sperimentate e apprese sul campo, ma nessuno studio alle spalle», spiega Balestrini. «Il master mi ha aiutato, innanzitutto, a mettere ordine tra le mie competenze, strutturandole in maniera più coerente, organica e strategica. Da un certo punto di vista, era rincuorante e motivante vedere che molte idee nate durante la mia esperienza venivano confermate a lezione». A proposito di lezioni, l’MBA ha permesso a Balestrini di mettere alla prova le nozioni apprese sui banchi tramite project work e lavori di gruppo. «Si tratta di una modalità che ho trovato molto efficace. Sotto un certo aspetto, è perfetta per chi già si trova a suo agio a lavorare in gruppo, come nel mio caso. D’altro canto, spinge alla discussione anche chi ha un’attitudine meno spiccata a confrontarsi con gli altri. Sono momenti davvero formativi e stimolanti».

Nava Design e MH Way: obiettivo rilancio

Forte di questa esperienza, e con delle competenze rafforzate e strutturate dal master, Balestrini è ora alle prese con il rilancio di Nava Design Milano e MH Way, in veste di Ceo e Global brand manager. «La cosa curiosa è che sono entrambi due brand legati al mondo del design e dell’architettura, da cui tutto per me è cominciato. Per Nava hanno lavorato dei designer importanti come Max Huber e Bob Noorda, mentre MH Way è nato dal designer giapponese Makio Hasuike. Entrambe queste realtà, acquisite dal gruppo Smemoranda, sono ora in cerca di rilancio e di riposizionamento», spiega Balestrini. «Per dare nuova linfa a entrambi i brand, dovrò mettere in pratica quanto ho imparato finora. Le sfide più importanti e stimolanti riguarderanno la gestione aziendale e l’espansione commerciale dei marchi sul territorio nazionale e, soprattutto, sui mercati internazionali».

Nuovo valore alle materie umanistiche nella consulenza

Bip – Business Integration Partners, in collaborazione con MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business, ha sviluppato la seconda edizione del BipBootcamp, un programma intensivo di Business & Management Induction rivolto a laureandi e neolaureati che desiderano intraprendere una carriera nel Management Consulting pur non avendo intrapreso un percorso di studi STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Forte del successo della prima edizione, frequentata da 12 meritevoli studenti che al termine dello stage formativo hanno ottenuto un contratto a tempo indeterminato nella multinazionale di consulenza, BipBootcamp punta anche quest’anno sulla qualità del programma formativo offerto grazie alla ormai consolidata collaborazione con il MIP.

Il percorso prevede l’utilizzo della metodologia Smart Learning, basata sul Digital Learning (formazione digitale, accesso alla piattaforma da qualsiasi device, test sulla comprensione di contenuto e Tutorship del MIP) e sull’Experiental Learning (giornate di formazione intensiva, testimonianze di esperti, casi studio, esercitazioni pratiche e lavori di gruppo), con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia della formazione e di rendere i partecipanti pronti ad affrontare le sfide della consulenza.
Anche in questa edizione tutti gli studenti avranno l’opportunità di mettere alla prova il proprio bagaglio di conoscenze e skills acquisite durante il Bootcamp attraverso uno stage formativo retribuito in Bip.

“Fin dalla prima edizione, il BipBootcamp si è rivelato per noi un’ottima opportunità per contribuire alla formazione dei nostri migliori talenti e per riuscire a colmare il gap tecnico, portando creatività e pensiero laterale ai nostri team di lavoro- commenta Carlo Capè, Amministratore Delegato di Bip- Grazie anche all’unione tra il valore delle competenze specialistiche fornite dal MIP e la profonda conoscenza del mondo aziendale di Bip, gli studenti hanno una importante opportunità di acquisire gli strumenti operativi indispensabili nel mondo del lavoro”.

Il percorso, della durata di 5 settimane, avrà inizio il 13 settembre 2019.
Per maggiori informazioni visita https://bipbootcamp.it/.