Lusso e sostenibilità: la ricetta di Closet Relay, vincitore di The Mark Challenge

Sono quattro, il mondo del lusso lo conoscono bene e il loro progetto promette di fare strada. Sono Marco Di Salvio, Alessandro Calvino, allievi dell’International Part Time MBA al MIP, Marco Postorino ed Elisa Serra e hanno vinto l’edizione 2021 di The Mark Challenge, la competizione organizzata dall’International University of Monaco (IUM) che mette in contatto studenti, Alumni, accademici e business leader di tutto il mondo.
Il progetto che li ha portati alla vittoria è Closet Relay, un nuovo concetto di business sostenibile per l’abbigliamento di lusso dagli 0 ai 12 anni.

L’idea è nata proprio sui banchi del MIP, quando Marco e Alessandro hanno partecipato al corso di Innovation Leadership, che li ha messi davanti a un nuovo modo di fare innovazione.
Così, proprio come hanno imparato durante il corso, Closet Relay è nato da un’idea disruptive. Ma non è solo questo; è anche un progetto di business che risponde alle esigenze di mercato e consumatori.
Il mondo della moda, infatti, si trova oggi ad affrontare da una parte, una crescente sensibilità da parte dei consumatori per la sostenibilità ambientale. Dall’altro, specialmente nel settore del lusso, il fast fashion ha ridotto sensibilmente il ciclo di vita dei prodotti, che si è praticamente dimezzato, producendo un aumento delle eccedenze a fine stagione. Questo è ancora più vero per le collezioni che i grandi nomi del lusso dedicano ai più giovani.
Il progetto presentato dai nostri studenti a Monaco offre alle aziende una soluzione sostenibile – sia dal punto di vista ambientale che economico – al problema delle eccedenze, sfruttando un trend in crescita, quello dell’abbigliamento as a service, e andando a toccare la nicchia dell’abbigliamento di lusso per bambini.
Acquistando a prezzo ridotto i prodotti che a fine stagione rimangono in magazzino dei grandi nomi del lusso, Closet Relay potrà riproporli con un leasing di medio/lungo periodo, in base alla tipologia di capo. In questo modo verrà allungata la vita di vestiti, che considerando il target cui sono destinati, vengono generalmente dismessi dopo pochi utilizzi. Si potranno inoltre acquistare i prodotti di seconda mano su un market place proprietario.

Un’idea, quella dei nostri allievi del Part Time MBA, che è innovativa non solo di per sé ma anche per gli strumenti di analisi finanziaria e di strategy utilizzati. Grazie alle competenze maturate nei quasi due anni al MIP – ci rivelano – hanno potuto usare delle tecniche avanzate, che hanno permesso loro di comprendere meglio i rischi, margini e potenzialità di questo business. Un approccio che è stato riconosciuto e premiato poi dalla giuria di The Mark Challenge.

Non ci resta che fare i nostri migliori auguri ai nostri allievi e ai loro compagni di team per questa avventura imprenditoriale, con la speranza che il successo di The Mark Challenge sia solo l’inizio.

Tecnologia e innovazione, a misura d’uomo

Il progresso scientifico, la disponibilità di mezzi tecnici, la cross-fertilizzazione tra le diverse comunità di ricerca e l’innovazione combinatoria  ci stanno regalando ad una inarrestabile progressione delle capacità umane. Ma quanta, e soprattutto quale, innovazione è davvero a misura d’uomo?

 

Giovanni Miragliotta, Professore di Advanced Planning, Co-Direttore dell’Osservatorio AI, Politecnico di Milano

Ovunque guardiamo, come cittadini e come ricercatori, leggiamo delle “magnifiche sorti e progressive”[1] che, per mezzo delle nuove tecnologie, stanno cambiando la nostra società e la nostra vita. Da quelle a noi più familiari, come le reti di comunicazione a banda larga, a quelle  più avanzate, come la bioingegneria, a quelle che operano nascoste dietro le quinte, come la crittografia, tutto si fonde al punto che diventa quasi difficile rendersi conto del potenziale di cambiamento del sistema di ricerca e innovazione che abbiamo costruito nei paesi sviluppati. A materializzarne il potenziale ci pensano, di tanto in tanto, discontinuità inattese come ad esempio la pandemia che stiamo vivendo la quale, combinando le diverse innovazioni esistenti, ci mostra come possono essere stravolti in pochi mesi il modo di lavorare, di insegnare, di progettare, di curare. Una riflessione molto potente, in questo senso, anche e soprattutto perché viene da un letterato e non da uno scienziato, è quella recentemente pubblicata da Alessandro Baricco[2].

Questa occasione, che ci ha mostrato portata e velocità del cambiamento possibile, può essere colta per riflettere su quale sia l’innovazione a misura d’uomo; è ancora più importante farlo ora, in vista di quello che si sta sviluppando, nelle università e nei laboratori di tutto il mondo, poiché le prossime conquiste tecnologiche potrebbero materializzare un cambiamento, secondo il pensiero di molti (ed io sono uno di quelli) addirittura dirompente per l’assetto stesso delle nostra società.

La nostra società, prendendo come riferimento gli stati democratici occidentali, si poggia su alcuni pilastri, un mix di weltanschauung, principi morali e senso comune, che ne costituiscono il collante. Alcune innovazioni tecnologiche (in primis bioingegneria e intelligenza artificiale) sono, per così dire, in rotta di collisione con questi principi, e potrebbero portare a nuove società che non è facile prevedere se e quanto saranno a misura d’uomo, almeno come oggi noi interpretiamo tale misura.

Pensiamo alla centralità che il lavoro ha nella struttura della società, anche solo limitandoci alla sua valenza economica e trascurando gli aspetti psicologici o di realizzazione personale; per la prima volta nella storia inizia ad intravedersi un futuro possibile in cui non solo non sappiamo più predire quali saranno i lavori dei nostri figli tra 30 anni, ma iniziamo a dubitare che ci possano addirittura essere dei lavori rimasti. In un numero sempre crescente di specifiche mansioni (=Narrow AI), infatti, le macchine hanno raggiunto già abilità superumane e, come sapete, vi è un enorme dibattito sul bilancio tra posti di lavoro creati e distrutti. Le analisi condotte nell’Osservatorio Artificial Intelligence, almeno per la prossima decade, sembrano indicare uno scenario positivo[3], ma allungando l’orizzonte di analisi non è da escludere uno scenario in cui la domanda per il lavoro umano, reso antieconomico o inutile dalle nuove abilità delle macchine[4], sarà molto inferiore.  In una situazione di precario equilibrio monetario e fiscale delle nazioni, una alterazione significativa nel mercato del lavoro potrebbe rappresentare un elemento di forte instabilità.

Cambiando tecnologia di riferimento, l’avvento delle biotecnologie potrebbe portare in un prossimo futuro dei cambiamenti così importanti da scuotere le fondamenta stessa della società: come evolverà il concetto di famiglia qualora fosse normale per gli esseri umani vivere 120 anni, con una giovinezza che possa durare oltre 40 anni?  Cosa accadrà quando le classi più abbienti, oltre a potersi permettere una assistenza sanitaria tradizionale migliore, potranno permettersi anche di intervenire per migliorare il proprio pacchetto genetico in modo non eguagliabile dalla maggior parte delle persone? Per la prima volta nella storia osserveremo una biforcazione nella nostra specie, con una (piccola) frazione della popolazione che disporrà di un “hardware” (corpo + cervello) più capace, resistente e duraturo rispetto alla maggioranza della popolazione?

Questi esempi ci fanno ragionare sulla portata del cambiamento possibile, economico e sociale, ma non sembrano ancora intaccare i fondamenti ideologici della società che abbiamo costruito, nel nostro occidente, a partire dalle rivoluzioni americana e francese, ovvero la convinzione profonda nel valore della libertà, della unicità ed irripetibilità dell’individuo. Ma cosa accadrebbe se, in linea di principio, osservando tutte le interazioni di una persona con il suo ambiente e con i suoi simili, fosse possibile prevedere esattamente quali sarebbero le sue sensazioni, ed i suoi bisogni? Cosa accadrebbe se Google, o Facebook, o altri, forti della immensa mole di dati che raccolgono su di noi, sapessero consigliarci il libro giusto, il lavoro giusto, l’investimento giusto, la moglie giusta, la chirurgia preventiva giusta molto meglio di quanto sapremmo fare da soli, confusi e sperduti in una mole sterminata di decisioni importanti, da prendere decine di volte nella nostra (lunghissima) vita? A quel punto saremmo ancora “liberi”? E ammesso che ci rimanga uno spazio di libertà, ci converrebbe farne uso, , oppure non sarebbe più conveniente affidare le nostre decisioni ad una tecnologia di “life advisor” che avrebbe probabilità di successo e di felicità molto maggiori di quelle che sapremmo apparecchiarci con le nostre stesse mani?  Questo ultimo scenario, ventilato da molti pensatori, apre ad un ripensamento radicale dei principi fondanti della nostra società, in primis il principio liberale, portando ad esiti che potrebbero spaziare da un ulteriore allentamento dei riferimenti esistenti (sulla scia della liquidità Bauminana) fino al suo totale opposto, una rigidissima tecnocrazia.

Il punto è sempre lo stesso: non è possibile fare previsioni di alcun tipo, e in fondo quel poco che serve conoscere, di speculazione pura sul futuro, è già stato scritto. Queste riflessioni invece ci richiamano ad una responsabilità molto grande, quella di rimanere molto vigili sugli atti di moto, anche solo incipienti, che l’innovazione tecnologica sta imprimendo alla nostra società.

Ci attende un futuro che può essere a misura d’uomo solo se saremo capaci di costruircelo.

 

 

Note di lettura

Questa riflessione nasce, e può essere ulteriormente sviluppata, attingendo al pensiero dei seguenti autori:

  • Yuval Harari: consiglio l’intera trilogia su passato, futuro e presente dell’uomo;
  • Mark Tegmar, “Vita 3.0”, ed il dibattito interno al Future of life Institute;
  • Zygmunt Bauman, in particolare il suo testo cardine “Modernità liquida”.

 

 


[1] Citazione del poeta Giacomo Leopardi

[2] Alessandro Baricco, “Cinque anni in uno”, https://www.ilpost.it/2021/05/28/baricco-2025/

[3] Si veda report Osservatorio Artificial Intelligence, “On your marks”, ed. 2019.

[4] Si consideri, ad esempio, “A 3D printed car which is designed by AI”, www.thereviewstories.com/czinger-21c-ai-3d-printed-car/

 

 

 

Come costruire un “buon” obiettivo di carriera?

Qual è il tuo obiettivo di carriera? Da consulente alla carriera, le risposte che spesso si raccolgono a questa domanda sono descritte in termini di risultati attesi: avere un aumento di stipendio, avere un posizionamento migliore rispetto al ruolo ricoperto, cambiare contesto aziendale o settore.

Ai più, i risultati sembrano obiettivi. “È lì che voglio arrivare!”

Quali sono dunque le implicazioni quando confondiamo gli obiettivi con i risultati?

Vediamone tre:

  1. Non vedo il “come”, la strada: “come faccio ad arrivare lì?” Senza un obiettivo, risulta difficile costruire strategie
  2. Non uso fino in fondo il “dove sono”, sottovaluto l’analisi del punto di partenza, del patrimonio di conoscenze e competenze che ho a disposizione
  3. Non ho strumenti per individuare eventuali errori e per gestirli

Accade dunque che, anziché lavorare alla costruzione di un obiettivo fondato e di un piano di azione coerente, il modo di procedere diventi casuale oppure si deleghi all’esterno la responsabilità del proprio percorso di sviluppo professionale.

Da dove ri-partire allora? Quali caratteristiche deve avere un obiettivo per poter essere definito tale?

Ancora tre i punti a disposizione:

  1. Un obiettivo è astratto! Ma come, si chiederà qualcuno? Come “astratto”? La caratteristica metodologica dell’astrazione è quella che garantisce all’obiettivo di generare processi, ovvero di avere la forza di far vedere più strade possibili, di attivare percorsi concreti. Ma la concretezza viene dopo, nel piano d’azione. Non può essere una caratteristica dell’obiettivo, pena la perdita della sua capacità generativa
  2. Un obiettivo è condivisibile! Significa che non può essere frainteso, non può essere compreso in modo diverso da persone diverse. Qual è l’utilità di questa caratteristica metodologica? La condivisibilità serve a garantire la “terzietà” dell’obiettivo, ovvero ci “obbliga” ad esplicitare i criteri e i riferimenti su cui lo costruiamo. In base a cosa lo definiamo così? Cosa intendiamo con le parole che utilizziamo?
  3. Un obiettivo è misurabile! Èdall’obiettivo che discendono gli indicatori di processo e di risultato che mettono nella condizione di misurare costantemente il “dove siamo” rispetto all’obiettivo. Non si dà a livello teorico che l’obiettivo, vista la sua astrattezza, sia “raggiunto”, sebbene nell’accezione comune utilizziamo l’espressione “obiettivo raggiunto”. Conseguiamo risultati e lo facciamo in base agli obiettivi che ci siamo dati. L’obiettivo è il faro, non il porto a cui approdiamo.

E allora da dove partire per costruire un “buon” obiettivo di carriera?

La risposta sembra banale: parti da dove sei. Analizza in ogni suo lato il dove ti trovi, come sei arrivato lì, e soprattutto quali sono le competenze che esprimi e quali quelle su cui sai (o puoi scoprire) che ti serve lavorare.

Una valutazione rigorosa delle competenze che possiedi e di quelle che ti serve sviluppare è un punto di partenza imprescindibile, una conditio sine qua non per poter definire il proprio faro.

Cosa dici di te, del tuo patrimonio di competenze? Cosa gli altri ti riconoscono? Quali sono i tuoi punti di criticità, i tuoi talloni d’Achille? Quali esigenze di sviluppo di competenze leggi per il tuo percorso?

Nella metafora, prima di scegliere il faro, guarda la nave! Guarda chi sei, quali sono i tuoi valori e le tue competenze.

Lo sguardo alle competenze espresse ed esprimibili è l’analisi necessaria per costruire un obiettivo fondato rispetto al proprio percorso di sviluppo. Non c’è sviluppo di carriera che non passi da uno sviluppo di competenze.

E in base a cosa scelgo poi il faro? Come costruisco un obiettivo correlandolo all’esigenza di sviluppo di competenze? Uno spunto arriva dalle parole di Kurt Vonnegut, che ci esorta così: “Non chiedetevi che lavoro avete voglia di fare, chiedetevi a quale successo volete contribuire”.

Non c’è nulla di delegabile all’esterno dunque. C’è la propria responsabilità da mettere in campo per definire quale contributo vogliamo portare nel mondo. Del lavoro e non solo. I risultati sono conseguenze.

E se la nebbia avvolge la nave e rende difficile vedere il faro, uno strumento c’è. La consulenza alla carriera si pone esattamente lì, nel coadiuvare l’analisi e il processo di costruzione del motore del proprio sviluppo: l’obiettivo di carriera.

Al via il progetto TREASURE

Nuove opportunità di test di nuove tecnologie per rendere il settore automotive più circolare

 

Ha preso il via il 1° giugno 2021 il progetto TREASURE (leading the TRansion of the European Automotive SUpply chain towards a circulaR futurE), coordinato da Sergio Terzi e da Paolo Rosa del Dipartimento di Ingegneria Gestionale della School of Management.
TREASURE è un’Azione di Ricerca e Innovazione co-finanziata dalla Commissione Europea con il programma H2020, il cui scopo è offrire nuove opportunità di test di nuove tecnologie per rendere il settore automotive più circolare.

I principali obiettivi sono:

  1. garantire uso sostenibile delle materie prime nel settore automotive riducendo i rischi legati agli approvvigionamenti;
  2. applicare in pratica il paradigma dell’economia circolare nel settore automotive, agendo come dimostratori per il macrosettore manifatturiero;
  3. offrire delle prestazioni economiche, ambientali e sociali migliori relative ai veicoli per tutti gli utenti;
  4. creare nuove supply chain intorno ai veicoli fuori uso, focalizzandosi sull’uso circolare delle materie prime.

In tal modo, TREASURE supporterà concretamente le aziende del settore automotive, dimostrando in pratica i benefici ottenibili dall’applicazione del paradigma dell’economia circolare, sia da un punto di vista del business e delle supply chain che da quello tecnologico e della sostenibilità, attraverso l’adozione delle tecnologie di Industria 4.0 nei processi di gestione dei veicoli fuori uso e dei loro componenti.

I principali risultati attesi includono:

  1. lo sviluppo di uno strumento basato sull’intelligenza artificiale per l’analisi e il confronto di possibili supply chain circolari nel settore automotive;
  2. la realizzazione di una serie di casi di successo per gli attori chiave nella gestione dei veicoli a fine vita, quali demolitori auto, impianti di macinazione rottami, riciclatori di materie prime e costruttori di veicoli;
  3. l’integrazione di tecnologie abilitanti chiave per la progettazione, disassemblaggio e riciclo efficiente e sostenibile delle componenti elettroniche delle auto.

Partner del progetto, coordinato dal Politecnico di Milano, sono: il centro di ricerca olandese TNO, l’Università spagnola di Saragozza, la scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, l’Università degli Studi dell’Aquila, la società di consulenza olandese Material Recycling and Sustainability B.V., la società estone sugli studi sociali Edgeryders OU, la società lituana produttrice di schermi LCD EUROLCDS SIA, la società spagnola produttrice di componenti auto Walter Pack SL, la società di demolizione veicoli Pollini Lorenzo e Figli Srl, il principale costruttore di auto spagnolo SEAT SA, la società di sviluppo software TXT E-Solutions Spa, la società spagnola di riciclo rottami metallici Industrias Lopez Soriano SA, l’ente nazionale italiano di unificazione ed il cluster automotive francese NEXTMOVE.

Autostrade per l’Italia: al via le assunzioni di 20 neolaureati grazie al master organizzato insieme ai Politecnici di Torino e Milano e al MIP, la Graduate School of Business dell’ateneo milanese

Subito attivo il contratto in azienda per gli studenti selezionati.

Venti neolaureati under-30 e con un percorso accademico eccellente alle spalle, da oggi sono ufficialmente assunti da Autostrade per l’Italia con un contratto di apprendistato di alta formazione, scelti tra i 224 partecipanti alle selezioni aperte a marzo per il Master universitario di secondo livello in “Ingegneria e gestione integrata delle reti autostradali”.

Promossa da Aspi, questa iniziativa rientra nel Piano di trasformazione dell’azienda – che punta su 2900 nuove assunzioni e upgrade delle competenze al 2024 – ed è frutto della partnership siglata con la Scuola di Master e Formazione Permanente del Politecnico di Torino, il Politecnico di Milano e il MIP, la Graduate School of Business dell’Ateneo Milanese. Articolata in vari step, la selezione dei candidati, durata due mesi, è stata improntata sulla base di criteri rigorosi, tesi a valorizzare il percorso accademico, eventuali esperienze all’estero e le soft skills traducibili in predisposizione manageriale, caratteri motivazionali e capacità di lavoro in team.

I giovani selezionati, laureati in ingegneria civile, edile, ambiente e territorio o gestionale,  potranno seguire un intenso programma formativo, alternato al lavoro in azienda, teso a rafforzare competenze ingegneristiche di progettazione, gestione trasportistica, manutenzione e controllo delle infrastrutture stradali, oltre a competenze manageriali e digitali  applicate all’infrastruttura (Monitoraggio IoT, Infrastrutture Smart Mobility). L’obiettivo è quello di formare nuove leve che sappiano distinguersi nella ricerca e nella realizzazione di soluzioni innovative nell’ambito della gestione e del monitoraggio delle reti autostradali, accompagnando l’azienda nel percorso di digital transformation prevista dal Piano industriale di Autostrade per l’Italia, impegnata nello sviluppo di soluzioni di mobilità integrata e sostenibile.

Il lancio del Master per l’ingresso in azienda nasce in seno alla “Autostrade Corporate University”, la nuova scuola di formazione aziendale del Gruppo riconosciuta dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri: ideata nell’ambito del più vasto programma di HR Transformation avviato da Aspi per rendere i suoi learning district veri e propri hub di innovazione e sviluppo, abilitando solide competenze diffuse, in grado di presidiare le nuove frontiere tecnologiche al servizio della rete autostradale e dei suoi utenti.

L’inaugurazione del percorso accademico si è tenuta questa mattina presso l’Aula magna del Politecnico di Torino alla presenza del suo vice rettore per la didattica Sebastiano Foti e, in collegamento, con il Presidente MIP Vittorio Chiesa. Per la concessionaria autostradale erano presenti l’Amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Roberto Tomasi; Lorenzo Rossi, Amministratore delegato della società del Gruppo tesa allo sviluppo di soluzioni altamente tecnologiche per la mobilità, MOVYON; il Direttore Human Capital Organization and HSE Gian Luca  Orefice, la Responsabile Training, Welfare DE&I Management Alessia Ruzzeddu e il  Responsabile People Management Gregorio Moretti.

Rigenerare i luoghi con il coinvolgimento delle comunità: la terza tappa di Road to Social Change

Il 22 giugno si terrà il terzo incontro nazionale del programma Road to Social Change. L’iniziativa, nata da un’idea di UniCredit nell’ambito della sua Banking Academy, è stata sviluppata in collaborazione con AICCON, Politecnico di Milano – Centro di Ricerca Tiresia, MIP Graduate School of Business, Fondazione Italiana Accenture e TechSoup

Dopo i primi due incontri, dedicati rispettivamente alle filiere culturali, turistiche e agroalimentari (incontro del 20 aprile) e alla generazione di infrastrutture sociali (incontro del 18 maggio), il terzo incontro approfondirà un’altra delle sette sfide al centro del percorso: la rigenerazione dei luoghi tramite il coinvolgimento delle comunità. L’evento approfondirà in particolare il ruolo chiave del Terzo Settore nel coinvolgimento delle comunità volto alla rigenerazione territoriale. La rigenerazione dei territori oltre a rappresentare un importante strumento di partecipazione e inclusione sociale, costituisce un’opportunità di crescita economica e imprenditoriale di cui il Terzo Settore può essere protagonista.

Il percorso di formazione proposto da Road to Social Change mira a formare una figura professionale per il terzo settore, il Social Change Manager. Il Social Change Manager è un professionista in grado di sviluppare una visione trasformativa e, in collaborazione con le comunità locali, di implementare tale visione tramite processi di co-progettazione e co-produzione in partenariato con attori pubblici e privati del territorio, attraverso strumenti di gestione dell’impatto generato e di tecnologie digitali.

Per ottenere l’Open Badge di Social Change Manager (una certificazione digitale di conoscenze e competenze acquisite rilasciato dal MIP – Politecnico di Milano Graduate School of Business) sono richiesti requisiti di partecipazione agli incontri e il superamento di un test. Potranno accedere al test i partecipanti che avranno frequentato almeno 5 incontri nazionali, due territoriali e avranno fruito di tutti i contenuti on demand disponibili sulla piattaforma IdeaTre60 di Fondazione Italiana Accenture.

Parallelamente al percorso di formazione, il progetto prevede anche la “Call Road to Social Change”. Le organizzazioni del Terzo Settore sono invitate a proporre progetti di community building a forte ricaduta sociale sui territori, capaci di fornire soluzioni in grado di rendere più solide e coese le comunità, stimolando innovazione e nuove economie. È possibile presentare candidature alla Call fino al 30 settembre 2021 tramite il portale di Fondazione Italiana Accenture (https://roadtosocialchange.ideatre60.it/apply/call).

Per maggiori informazioni sul progetto e su come partecipare:  https://www.unicredit.it/it/chi-siamo/educazionefinanziaria/unicredit-talk/road-to-social-change.html

Al MIP in sicurezza

La nostra Business School continua ad affidarsi al sistema Microdefender per la disinfezione di tutte le aule e gli spazi comuni

Per la tutela dei suoi dipendenti, docenti e studenti, il MIP ha deciso sin dall’inizio della pandemia di andare oltre la sanificazione e le misure minime previste e di provvedere anche alla disinfezione delle aule e delle aree comuni. La business school infatti ha adottato e sta adottando tutte le misure di prevenzione indicate nei decreti nazionali e, per la salute di tutta la sua community, ha deciso di andare anche oltre.

Ci siamo per questo affidati da settembre 2020 ad una nuova tecnologia per ottimizzare al massimo la decontaminazione degli spazi. Si tratta del sistema Microdefender che, grazie ad una serie di dispositivi digitali connessi a una piattaforma gestionale, registra, controlla e traccia in tempo reale i risultati di ogni trattamento di disinfezione con H2O2. Ogni dispositivo viene utilizzato da un operatore addetto in base alla tipologia e la dimensione degli ambienti da trattare, nonché agli obiettivi microbiologici-qualitativi che si vogliono raggiungere. E’ possibile poi visualizzare h24 sulla piattaforma, i report, i grafici statistici e un certificato, dal valore legale, riepilogativo dell’operazione effettuata.

Si tratta di un’attività che approfondisce quanto avviene durante il processo di sanificazione: se la sanificazione agisce solo sulle superfici e il ricambio d’aria, questo tipo di decontaminazione invece opera sull’intero volume degli spazi, compresi i soffitti, ed elimina il 99,9% dei microorganismi presenti nell’ambiente. Il MIP ha deciso per questo di ricorrere, con cadenza mensile, alla disinfezione tramite il sistema Microdefender.

“Al MIP ci occupiamo della disinfezione di tutte le aule e gli spazi comuni – spiega Gianluca Casati, alumnus MIP che ha frequentato l’Executive MBA nel 2013, Ingegnere presso Zona SRL, l’impresa che ha gestito l’operazione – grazie all’utilizzo del perossido di idrogeno, sostanza della massima efficacia antimicrobica nei confronti di batteri, funghi, spore e virus, compreso il Coronavirus. Il livello di sicurezza derivante dal suo utilizzo è indubbio. Per questo, trova vasta applicazione nell’ambito sanitario per l’eradicazione dei microorganismi più resistenti.”

Big Data: nuove competenze per nuove professioni

Lo sapevate che ogni giorno vengono creati 2,5 quintilioni di bytes di dati?  Ma che fine fanno tutte queste informazioni? Ne abbiamo parlato con Carlotta Orsenigo, co-direttrice dell’International Master in Business Analytics and Big Data.

Si tratta di un numero impressionante. Da dove arrivano e come vengono usati tutti questi dati?

Quando si parla di Big Data, sono due gli ambiti a cui pensiamo subito.
Da una parte c’è l’Internet of People, ovvero quei dati che sono generati dagli utenti come risultato della digitalizzazione delle relazioni personali. Mi riferisco a testi, messaggi, commenti, video, immagini…
Queste informazioni, lasciate dagli utenti sui blog, social network o siti di e-commerce, possono essere raccolti e utilizzati, ad esempio, per analisi del sentiment e quindi per dedurre l’inclinazione emotiva degli utenti nei confronti di un determinato argomento.

Dall’altro lato, si pensa poi all’Internet of Things, ovvero a tutti i dati generati dai sensori, come quelli relativi alla localizzazione o al funzionamento di un determinato device. Questi dati sono raccolti e utilizzati in diversi ambiti, come quello industriale. Un esempio? Progettare sistemi di predictive mantainance, in grado di predire anzitempo l’insorgenza di un malfunzionamento su una macchina o su una linea di produzione, con l’obiettivo di ridurre i rischi e i costi, e di garantire una maggiore sicurezza del processo produttivo.

C’è poi una terza categoria, quella dei dati raccolti dai sistemi transazionali delle imprese. Questi possono essere sfruttati per svariate applicazioni, come per esempio la costruzione di motori di raccomandazione, che generano suggerimenti su prodotti e servizi, personalizzati sulla base non solo degli acquisti passati ma anche degli interessi degli utenti.

Per poter trarre tutte queste informazioni dai dati raccolti, serve qualcuno in grado di farlo. Quali sono i profili professionali che stanno nascendo in risposta del crescente interesse delle aziende per i Big Data?

La figura di riferimento oggi, ricercatissima sul mercato, è quella del Data Scientist.
Le competenze richieste sono di tipo diverso: modellistiche, analitiche, skill relative all’ambito dell’Intelligenza Artificiale e del machine learning. Accanto a competenze hard legate alle tecnologie per la gestione dei dati, al machine learning, all’intelligenza artificiale, al coding – deve costruire e implementare algoritmi – è opportuno che il Data Scientist abbia anche competenze di management e di gestione. Questo è essenziale per potersi relazionare in modo efficace con chi, all’interno dell’organizzazione, si occupa delle attività dell’impresa e affinché le attività di analisi da lui condotte possano tradursi in effettivo valore.

Sintetizzando, il Data Scientist è l’esperto delle metodologie per l’analisi dei dati ed è la figura più ricercata.

Ma non c’è solo il Data Scientist. Il Data Science Architect, per esempio, è colui che prende in carico la responsabilità di gestire e sviluppare le pipeline analitiche, quindi l’intero processo analitico, e le tecnologie a supporto di analisi, gestione e raccolta dei dati. È una figura che detiene la responsabilità tecnologica del processo analitico.

C’è poi anche il Data Analyst, che usa le proprie capacità analitiche per il monitoraggio delle performance dell’azienda. In questo caso, le competenze ricercate sono più di statistica, reporting e di data visualization, skills forse più “tradizionali” ma di pari valore a quelle di machine learning e di AI.

In conclusione, gli esperti dell’analisi dei dati possono assumere diverse sfumature e giocano un ruolo di primaria importanza nel mondo delle imprese, che si stanno rendendo sempre più conto del valore nascosto all’interno dei dati che raccolgono. Tuttavia, questo valore emerge solo se le metodologie di analisi vengono utilizzate in modo appropriato. Per questo servono degli esperti che, in maniera consapevole, siano in grado di processare i dati ed effettuare le analisi ricorrendo a tecniche adeguate.

Secondo una ricerca di NewVantage Partners, oltre il 91% degli executive intervistati segnala un aumento di investimenti nei Big Data. Quali sono i settori più interessati da questa crescita?

Sicuramente ci sono alcuni settori più propensi, anche se in realtà la domanda si sta sviluppando – seppur con intensità diverse – trasversalmente in tutti i settori.

Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, il settore che registra una crescita più sostanziosa è rappresentato da quello bancario, seguito dal retail e dalle telecomunicazioni.
Tuttavia, anche altri settori stanno sperimentando una crescita significativa. Non da ultimi la Pubblica Amministrazione, la sanità e il manifatturiero.
Gli ultimi mesi hanno comportato una lieve flessione degli investimenti a causa della pandemia, ma le previsioni per i prossimi anni sono di una ripresa, anche consistente.

Probabilmente, i dati raccolti da una banca sono molto diversi da quelli generati da un ospedale. In che modo questo si ripercuote sulla formazione delle persone che lavoreranno in questi ambiti e come il MIP ha risposto a queste esigenze di mercato così diverse?
Come dicevo prima, la domanda di esperti nell’analisi dei dati è in crescita e il loro ruolo è sempre più variegato. Proprio per far fronte a questa costante e crescente domanda, la nostra Business School ha deciso di ampliare l’offerta, specializzandola.
Accanto al Master in Business Analytics and Big Data (BABD), che il prossimo anno arriverà alla sua sesta edizione, sono stati proposti due nuovi programmi – uno in ambito Supply Chain e un altro in ambito Healthcare. Due verticalizzazioni in due settori che prevediamo avranno sempre più bisogno di queste competenze nell’immediato futuro.

I tre master sono strutturati in modo da condividere la parte centrale del percorso formativo, che è dedicato alle tecnologie per la gestione dei big data e, soprattutto, alle metodologie per l’analisi dei dati, con particolare riferimento a machine learning, artificial intelligence e data science.

I tre programmi poi si diversificano: il master BABD, rimane trasversale alle tematiche di data science e intelligenza artificiale, con il supporto di casi di studio e applicazioni in diversi ambiti.
Gli altri due master, invece, offrono delle verticalizzazioni specifiche.
Così, per esempio, il Master in Big Data for Healthcare & Biotech, si pone l’obiettivo di formare data scientist che conoscano e sappiano governare le complessità di questo settore, che siano in grado di interagire con attori diversi, medici, sanitari e decision maker, sapendo anche proporre soluzioni innovative tramite l’analisi dei dati. Questo sempre nel rispetto delle regole e dei principi etici che regolano la raccolta e l’analisi dei dati in questo particolare contesto.

Viceversa, il Master in Big Data for Supply Chain Analytics si pone l’obiettivo di fornire delle competenze specificamente volte alla gestione della supply chain e all’utilizzo di tecnologie IoT per la collezione e il monitoraggio in tempo reale delle attività della supply chain, con l’obiettivo finale di ottimizzare i processi decisionali in questo ambito.

A chi non piace giocare?

Gli Alumni Ben Thompson, Virginia Soana e Sandro Duarte raccontano il loro viaggio imprenditoriale dai banchi del MIP alla partnership con Zero Latency VR, leader mondiale nel campo della dell’intrattenimento in realtà virtuale.

Come nasce la vostra startup: a quali esigenze risponde e quali sono state le sfide durante la pandemia?

  • Ben: Sono un appassionato di paintball e softair- Sono sempre stato interessato al rapporto che esiste tra videogiochi e mondo reale e alla convergenza che la tecnologia sta rendendo possibile tra questi due mondi. Zero Latency VR si inserisce proprio n questo spazio di mercato, abbracciando l’esperienza fisica – è infatti necessario il movimento fisico durante il gioco – e l’esperienza digitale – il mondo, gli zombi, le astronavi sono tutti motivi digitali e classici dei videogiochi.
  • Sandro: A chi non piace giocare? Stavamo seguendo il boom di Zero Latency già da tempo.L’idea di portare il franchising in Italia è nata però quando un progetto che Ben ed io stavamo portando avanti, sempre legato al gioco innovativo, per diversi motivi non è andato a buon fine. Ovviamente non ci siamo arresi, e abbiamo iniziato il nostro viaggio con Zero Latency negli ultimi mesi del 2019.L’idea iniziale era di aprire verso giugno 2020, ma abbiamo dovuto rimandare a causa dell’incertezza del momento, legata al COVID -19
  • Virginia: Sono figlia del Nintendo NES e di Super Mario Bros. Inizialmente, Sono stata coinvolta nel progetto in qualità di consulente legale ma quando, grazie al know-how dei miei colleghi e la loro esperienza diretta, ho compreso bene di che cosa si trattasse, ho subito deciso di aderire al progetto, affascinata da un mondo tanto evoluto ed interessato al VR. La sfida più grande? L’avvio e la preparazione, attualmente in fase di finalizzazione, del nostro progetto in concomitanza della pandemia COVID -19, ostacolo non esattamente facilissimo di superare.

Dopo la partnership con Zero Latency VR, quale ruolo immaginate per Live Action Gaming nel futuro del gaming/entertainment?

  • Ben: Il primo punto della nostra agenda è espandere ZL in Italia e portarlo in più città. Lato mio, ho lavorato con un amico svedese su un sistema di punteggio e un’interfaccia in grado di inserire elementi digitali in esperienze fisiche. Si tratta di un progetto ormai prossimo ad essere completato e vedo Live Action Gaming come un importante veicolo e promotore di questa tecnologia in Italia.
  • Sandro: La realtà virtuale è venuta per restare! Unendo le forze con la comunità ZL, non solo otteniamo un partner di grande rilevanza mondiale in termini di intrattenimento VR ma anche l’accesso al know-how di alto livello, senza la necessità di sviluppare una piattaforma VR da zero. Per ora, l’obbiettivo a breve termine è quello di aprire più sedi in tutta la penisola e offrire agli italiani un’esperienza VR unica e rivoluzionaria
  • Virginia: Come già anticipato da Ben, l’idea è quella di espanderci quanto più possibile in Italia, nei prossimi 3/5 anni, seguendo una strategia già in buona parte pianificata: sappiamo che il Paese è pronto e desideroso di provare la virtual reality e siamo certi che LAG, per la sua vision e per la compagine societaria, possa essere il vettore giusto per questo obiettivo.

Ci raccontate anche qualcosa sulle vostre altre esperienze professionali post MBA e su quanto hanno influito in questo nuovo progetto?

  • Ben: Il project work finale che Sandro ed io abbiamo presentato, con altri colleghi, a completamento del Part Time MBA ha riguardato proprio il tema della realtà virtuale giocata in uno spazio fisico. Dopo l’MBA, ho lasciato il mio vecchio ruolo e sono passato al settore E-sports. Subito dopo il feedback positivo che abbiamo ricevuto sulla tesi, abbiamo deciso di provare a trasformarla da esercizio teorico  a un progetto vero e proprio. Ci sono state diverse iterazioni, fallimenti e difficoltà, ma alla fine abbiamo fatto un buon accordo con ZL e siamo felici di lanciarlo presto.
  • Sandro: Sarò per sempre grato al MIP. Sono stati due anni intensi e ricchi di grandi emozioni. A livello professionale, il Part Time MBA ha avuto un effetto quasi immediato poiché negli ultimi 3 anni ho coordinato diverse attività di ingegneria che, insieme a un team multidisciplinare, identificano delle soluzioni innovative per ridurre al minimo il costo di ownership degli elicotteri presso la Leonardo Helicopter Division. La vena imprenditoriale è emersa durante l’ MBA visto che, sin dal primo giorno, il personale docente ha incoraggiato gli studenti a perseguire le loro idee imprenditoriali e a svilupparle. Se 3 anni fa mi avessero detto che avrei perseguito il lato imprenditoriale, avrei riso!
  • Virginia: Il Part Time MBA ha completamente cambiato la mia prospettiva lavorativa, facendomi innamorare dell’imprenditoria. Concluso il corso, ad oggi, ho abbandonato l’attività dipendente e ho avviato 3 start up, tra cui l’ultima è proprio Live Action GamingInoltre, sono entrata, in qualità di share holder, in un’altra società fondata da un altro alumnus del Part Time MBA, collaborando altresì nella sua community di professionisti, e ho un quarto progetto in divenire su cui sto collaborando in qualità di mentor. Non solo soddisfazioni, ma anche cadute e fallimenti che però mi hanno insegnato a non mollare e mi hanno portata ad essere sempre più consapevole delle mie possibilità e competenze.

La nostra Community Alumni condivide la passione per l’innovazione e il purpose di contribuire a un futuro migliore per tutti. Che impatto ha avuto l’esservi conosciuti al MIP e aver frequentato l’International Part Time MBA sulla vostra crescita personale e professionale e su questa nuova esperienza imprenditoriale?

  • Ben: Sono un paio gli aspetti necessari per aumentare il proprio successo, sia in una carriera da dipendente sia in qualità di imprenditore. Uno di questi è una rete, da cui si possono ottenere consigli, risorse e, soprattutto, membri del TEAM. La squadra è tutto. L’MBA mi ha dato una più ampia capacità e comprensione di come funzionano le imprese, permettendomi di capire meglio come agisce un datore di lavoro e facendomi acquisire quell’approccio necessario per avviare la mia azienda, gestire le persone, gestire tutti i flussi di lavoro.. Il formato part time, ha reso questa esperienza ancora più impattante perché mi ha permesso di apprendere importanti skill, quali la gestione del tempo, la capacità di delegare e il rispetto delle scadenze, fondamentali in un ambito imprenditoriale ma anche necessarie per sopravvivere e seguire con successo un MBA lavorando a tempo pieno
  • Sandro: Una buona parte del feedback positivo che il LAG sta avendo è in gran parte dovuto al fatto che siamo un team multidisciplinare in termini di background e dall’immensa voglia di fare. Come dice Ben, la squadra è tutto! Se hai un team che crede nel progetto, buona parte del lavoro è fatto. A livello personale e professionale, quando penso al mio percorso al MIP, mi viene in mente la frase “I was blind, but now I see” (Ero cieco, ma ora vedo). Come detto prima, ho vissuto intensamente l’MBA e ho estratto il maggior numero di insegnamenti possibili. Quindi, personalmente, lodare una caratteristica piuttosto che un’altra, non renderebbe giustizia al Master. Vedo la mia esperienza nel suo insieme e non in parte.
  • Virginia: L’aver frequentato questo percorso, oltre ad avermi fornito quel set di competenze “business” che mi mancavano, data la mia formazione legale di base, mi ha permesso di affinare soft skills che, nel mondo dell’imprenditoria, sto applicando quotidianamente. Penso al time management, alla scansione ed esecuzione delle attività secondo un concetto di priorità calato nei bisogni aziendali, alla capacità di lavorare e condurre un team di persone, solo per citarne alcuni. A latere, l’esserci conosciuti durante il Master eaver condiviso assigment e consegne, rispettato scadenze e lavorato come gruppo ci ha permesso di “oliarci” come persone ancor prima di diventare un team a tutti gli effetti, come siamo ora. Abbiamo un percorso comune che ci sta aiutando ad affrontare le sfide quotidiane e un mindset condiviso che ci permette di puntare in alto con consapevolezza e serenità.

MIP Politecnico di Milano e John Cabot University insieme per “disegnare” il nuovo volto della formazione manageriale a Roma

Al via nel 2022 un inedito Executive MBA con specializzazioni in Digital Lobbying & Public Affairs Management, Data Driven Business Transformation e Management for the New Space Economy. Partner di eccezione come ADL Consulting e Talent Garden e un network di eccellenza a livello nazionale e internazionale

MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business e John Cabot University, la più grande Università americana in Italia lanciano una partnership per una nuova offerta formativa rivolta ai manager e ai professionisti che intendono accelerare la propria crescita professionale. Le due eccellenze hanno unito le forze per dar vita a un inedito Executive MBA (Master in Business Administration) con sede nel cuore di Roma, nel celebre campus internazionale dell’università statunitense ubicato a Trastevere. Grazie anche al coinvolgimento di ADL Consulting e Talent Garden, il Master sarà impreziosito da specializzazioni in Digital Lobbying & Public Affairs Management, in Data Driven Business Transformation. Il Master, che partirà a giugno 2022, avrà anche una specializzazione in Management for the New Space Economy. Già da febbraio 2022 saranno inoltre disponibili percorsi executive sulle tematiche delle specializzazioni, che sono state appunto pensate per essere fruite anche separatamente rispetto all’EMBA: si tratta di veri e propri moduli formativi per l’upskilling e il reskilling di manager e professionisti.

La partnership è stata presentata oggi nel corso di un evento online dai vertici dei due promotori, Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano, e dal Presidente della John Cabot University, Franco Pavoncello. In rappresentanza dei partner coinvolti hanno partecipato: Claudio Di Mario (Founding Partner) e Marialessandra Carro (Partner) per ADL Consulting, Davide Dattoli (Co-Founder & CEO) e Giulia Amico di Meane (Innovation School Global Director) per Talent Garden. Tra i relatori anche le professoresse Antonella Moretto (Associate Dean for Open Programs del MIP Politecnico di Milano) e Antonella Salvatore (Director Center for Career Services and Continuing Education della John Cabot University) che hanno spiegato quali sono i benefici per i partecipanti.

“Dalla sinergia con la John Cabot University prende forma un’offerta formativa unica arricchita dalle collaborazioni con ADL Consulting e Talent Garden” – hanno dichiarato Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Chairman e Dean del MIP Politecnico di Milano. “Con questo nuovo e inedito Master offriamo ai nostri studenti la possibilità di acquisire nuove competenze e di accedere a un network di eccellenza a livello nazionale e internazionale in un contesto che si distingue per qualità e per bellezza. Siamo orgogliosi di poter contare su partner d’eccellenza per portare la nostra offerta anche su Roma, dopo aver lanciato nei mesi scorsi progetti importanti e innovativi anche in Puglia e in Veneto, aggiungendo un altro prezioso tassello al nostro progetto di campus distribuito sul territorio nazionale” – hanno concluso Chiesa e Frattini.

“Sono lieto di annunciare la collaborazione tra il MIP Politecnico di Milano e la John Cabot University per il lancio di un Executive MBA nel nostro Campus a Roma” – ha aggiunto il professor Franco Pavoncello, Presidente della John Cabot University. “Questa partnership permetterà di ampliare la platea di studenti che possono usufruire dell’offerta formativa del MIP, recentemente votata tra i migliori MBA executive al mondo. Riteniamo che questa partnership sia un importante riconoscimento della qualità accademica e l’efficienza amministrativa della John Cabot University, a cui si affiancano una natura profondamente internazionale e lo splendido Campus nel cuore di Roma. La creazione di quadri dirigenti capaci di gestire un nuovo ciclo di grande sviluppo che attende l’Italia – conclude il professore – è un compito fondamentale dell’università e la JCU è orgogliosa di contribuire a questa sfida decisiva”.

Il coinvogimento di partner di eccellenza nei rispettivi ambiti è il tratto distintivo di un Master che permette agli studenti di poter accedere a un network nazionale e internazionale ineguagliabile per competenza e reputazione: la rete di alumni di MIP e John Cabot University, quella dei “tagger” di Talent Garden, e quella politico – istituzionale di ADL Consulting. Al capitale relazionale si combina un programma formativo innovativo in un contesto di respiro internazionale, il tutto in un campus tra i più suggestivi ed affascinanti di Roma.

“Le attività di lobbying possono contribuire a migliorare la qualità di tutti i processi decisionali pubblici” – ha dichiarato Marialessandra Carro, Partner di ADL Consulting. “Specializzarsi in Digital Lobbying & Public Affairs Management rappresenta l’opportunità per i professionisti delle relazioni istituzionali di portare la rappresentanza di interessi e le azioni di advocacy a un livello più avanzato, grazie a un modello manageriale supportato da strumenti digitali, in una logica strategica e data-informed” – ha concluso Carro.

Realizzare un Major all’interno del EMBA di MIP ci consente di supportare concretamente la crescita dei professionisti coinvolti, portando la nostra esperienza sul tema della specializzazione e inserendoli all’interno della nostra community internazionale di innovatori”- commentano Davide Dattoli e Giulia Amico di Meane, rispettivamente CEO e Innovation School Global Director di Talent Garden. “Come Talent Garden avremo la responsabilità di erogare un percorso di 4 mesi destinato a Manager e Senior Manager che sono in prima persona protagonisti della trasformazione delle proprie organizzazioni”

L’eccellenza formativa del MIP Politecnico di Milano e il network internazionale di alumni e imprese della John Cabot University sono alla base di un programma capace di trasmettere agli studenti una formazione di grande valore e allo stesso tempo di garantire un’esperienza unica in un bellissimo campus nell’inconfondibile contesto di Trastevere.