Tecnologia e gestione del business: la School of Management del Politecnico di Milano tra le 3 migliori scuole di Università “tecniche” in Europa secondo il Financial Times

I ranking 2019 editi dal Financial Times e dedicati al mondo delle business school europee posizionano la Scuola milanese tra le prime 50 in assoluto (45) su un totale delle top 95, e sul podio se la si confronta con le altre appartenenti ad Atenei focalizzati su innovazione e ingegneria. Meglio solo Imperial College (UK) e Aalto University (Finlandia). I prodotti in classifica vanno dall’MBA all’EMBA, al Master of Science in Ingegneria Gestionale, ai programmi per le imprese e i professionisti

 

 

Affiancare ai corsi di management, economia e finanza l’apprendimento di competenze ingegneristiche e tecniche, indispensabili per comprendere e gestire con successo la trasformazione digitale nelle imprese. È questo “orientamento” a contraddistinguere le business school legate a Università con un focus tecnologico come la School of Management del Politecnico di Milano, posizionato tra le prime 3 in Europa con le stesse caratteristiche secondo il Financial Times, che ha pubblicato i consueti ranking annuali sulle 95 migliori scuole di business europee.

Per l’undicesimo anno in classifica, la School of Management del Politecnico di Milano regge bene il confronto con il resto d’Europa anche nella classifica generale, dove compare al 45esimo posto con cinque linee di prodotto. Si va dai “classici” MBA full time ed Executive EMBA al Master of Science in Ingegneria gestionale, a un’ampia e innovativa offerta di programmi ad hoc per le imprese e per il mercato Open di manager e professionisti, con una marcata impronta tecnologica sia nei contenuti, sia nella forma: sempre più corsi infatti sono fruibili in distance learning grazie allo sviluppo di specifiche piattaforme informatiche che permettono di gestire la formazione in maniera flessibile e attenta alle esigenze dell’utente.

L’FT European Ranking 2019 valuta i migliori programmi di MBA, Executive MBA, master of science, corsi a catalogo e su commessa. I parametri che determinano il posizionamento in classifica sono numerosi, tra cui l’opinione che gli stessi diplomati hanno dei docenti e del prodotto formativo, la retribuzione o l’avanzamento di carriera che si raggiungono dopo avere frequentato il master e l’esposizione internazionale della Scuola.

La School of Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e dal MIP, la business school dell’Ateneo milanese. “Da anni abbiamo puntato sull’internazionalizzazione dei corsi e sulle competenze legate alla trasformazione digitale, che sarà la principale sfida per le nostre aziende, perché un buon manager dovrà essere un esperto nella gestione dell’innovazione”, commentano Alessandro Perego e Andrea Sianesi, rispettivamente Direttore del Dipartimento e Dean di MIP.

Il giudizio del Financial Times, che nuovamente ci inserisce tra le migliori scuole di management con una forte impronta tecnica e ingegneristica – proseguono -, è premiante non solo per noi, ma per gli studenti e per le imprese nostre clienti, che continuano ad apprezzare l’ampiezza e la qualità della nostra attività formativa. Tra i criteri di valutazione, infatti, rientrano le possibilità di carriera di chi esce dai nostri corsi, la buona opinione dei diplomati sui docenti e i prodotti e l’internazionalizzazione della Scuola, tutti aspetti che ci stanno particolarmente a cuore e su cui abbiamo costruito la nostra proposta”.

Meglio un master specialistico o un MBA?

Non c’è una risposta valida per tutti. Perché prima di compiere una scelta, è sempre bene tenere in considerazione due fattori: la propria esperienza professionale e l’obiettivo da conseguire

Orientarsi in un’offerta formativa ampia come quella dei master può essere tutt’altro che semplice. Soprattutto se non si hanno ben chiare le premesse su cui i master stessi si basano, e se non si ha un’idea chiara dell’obiettivo che si vuole conseguire. A volte capita che il dubbio oscilli tra due percorsi, entrambi validi ma molto diversi tra loro: i master specialistici e gli MBA. Come scegliere fra l’uno e l’altro?

Il curriculum fa la differenza

Una domanda a cui risponde Greta Maiocchi, Head of Marketing & Recruitment del MiP Politecnico di Milano: «La prima grande differenza è data dall’esperienza professionale. Il master specialistico si avvicina al Master of Science, cioè alla laurea specialistica, e quindi si rivolge principalmente a chi ha appena finito un percorso triennale o a chi ha cominciato a lavorare da poco. Per accedere all’MBA è necessario, invece, avere almeno tre anni di esperienza lavorativa».

E proprio chi ha l’esperienza maggiore, a volte, commette un errore di valutazione: «Sempre più persone che magari hanno già quattro o cinque anni di seniority ci chiedono di iscriversi a un master specialistico. Il problema è che vanno in aula con un bagaglio culturale troppo elevato rispetto agli altri partecipanti. Sono situazioni che cerchiamo di evitare», spiega Maiocchi.

Un master verticale e un master orizzontale

La seconda grande differenza, invece, riguarda i temi affrontati. Il master specialistico ha un’impostazione di tipo verticale, spiega Maiocchi: «Può essere sul lusso, sulla supply chain, sull’energy management, sui big data. Sviluppa insomma delle competenze grazie a cui si può diventare molto validi in un ambito o in una funzione specifici. Solitamente, è scelto dai giovani che vogliono specializzarsi».

Tutt’altro discorso per i master MBA, che hanno un taglio generalista e affrontano tutte le discipline utili a poter apprendere quelle skill che sono poi applicate in un contesto strategico. «L’obiettivo in questo caso – spiega Maiocchi – è fornire una panoramica di come funziona un’organizzazione, per poter così puntare a un ruolo manageriale di alto livello. Un partecipante di un nostro MBA nel 2009 oggi è vicepresidente di una grandissima azienda di credito. Aveva appena quattro anni di esperienza lavorativa».

Le soft skill prima di tutto

Poiché tra gli obiettivi dell’MBA spicca la capacità di gestire il cambiamento e le persone, le soft skill acquisiscono un peso predominante, già in fase di selezione. «Oltre a quattro test scritti, in cui verifichiamo le capacità analitiche, svolgiamo anche dei lunghi colloqui in cui valutiamo l’attitudine del candidato a risolvere problemi, essere propositivo, gestire lo stress. Anche le capacità empatiche e comunicative sono importanti: negli MBA si impara tantissimo dagli altri. Una persona che non ha nulla da offrire ai suoi compagni di classe non è il nostro candidato ideale. Ma non è il candidato ideale di nessuna azienda, se il suo obiettivo è essere un leader».

Può essere un candidato ideale, invece, chi ha nel suo bagaglio anche delle qualità creative: «Ultimamente abbiamo avuto dei partecipanti più bravi dal punto di vista artistico, persone con una laurea in economia che poi, ad esempio, sono andate a fare i videomaker. Vantavano un’incredibile capacità di visualizzare risultati e obiettivi. Per questo guardiamo con grande interesse anche alla parte più creativa e innovativa».

Come ribadisce Maiocchi, poi, diventa importantissimo sviluppare quelle competenze che per le aziende fanno la differenza: «Bisogna sapersi adattare al cambiamento e stimolarlo. Il mondo va di fretta, e offre opportunità e sfide che evolvono continuamente. Il compito di un buon leader sta anche nel trascinare il suo team in questi processi. Infine, è fondamentale saper lavorare per progetti. Tutto l’MBA è strutturato per progetti: più che una disciplina, è una vera e propria metodologia che può essere applicata a una pluralità di settori».

D HUB

 

È nata D HUB, la nuova piattaforma di digital learning del MIP! Questo nuovo strumento, pensato per offrire agli studenti un’esperienza formativa ancora più coinvolgente, rappresenta un nuovo traguardo nel percorso di innovazione digitale intrapreso dalla Scuola ormai da diversi anni.

“Quello che abbiamo notato – spiega il Prof. Federico Frattini, Associate Dean of Digital Transformation al MIP – è una maggiore richiesta di flessibilità. Le persone oggi cercano programmi post-laurea altamente personalizzati e con un forte legame con il mondo reale. Il tutto in un formato compatibile con gli impegni lavorativi e familiari. Come conseguenza di questo grande cambiamento, abbiamo sempre più studenti interessati a programmi che includono componenti digitali o persino erogati totalmente in digital learning.”

Un cambiamento che non ha colto la Scuola impreparata. Risale infatti al 2014 il lancio del Flex EMBA, il primo Executive MBA del MIP fruibile a distanza. Offrire agli studenti la possibilità di partecipare alle lezioni ovunque si trovino e in qualsiasi momento tramite un’innovativa piattaforma di digital learning non è stato che il primo passo verso un’esperienza formativa sempre più digitale e senza limiti.

Da allora, la componente digitale è diventata una parte sempre più integrante nei corsi del MIP, andando a toccare anche prodotti come i Master specialistici o l’MBA Full Time, tradizionalmente in presenza, offrendo così agli allievi una Digital Experience completa.
Questa evoluzione ha fatto nascere la necessità di dare vita a una nuova piattaforma, D HUB, ancora più innovativa e al passo con i tempi.

La nuova interfaccia grafica guida gli studenti nello studio, registrando automaticamente i progressi dell’utente, mentre la libreria di clip asincrone è stata aggiornata con nuovi video, che offrono agli allievi la possibilità di scegliere tra l’audio in inglese e quello in italiano e di attivare i sottotitoli.

A queste novità si aggiungono anche altre funzionalità utili, come un sistema di notifiche personalizzabile, la segnalazione delle clip propedeutiche alla prossima sessione live e una chat chiusa per ogni aula.
Per offrire un’esperienza ancora più completa ai nostri studenti, sarà disponibile da inizio 2020 anche la nuova versione della app dedicata.

Tiresia Impact Outlook 2019

I capitali per l’impatto sociale in Italia superano gli 8 miliardi di euro, in crescita gli asset gestiti dagli operatori equity.

Presentato il Tiresia Impact Outlook 2019 realizzato dall’omonimo Centro di ricerca di innovazione e finanza per l’impatto sociale della School of Management.

Il 2019 è stato l’anno d’oro per la finanza per l’impatto sociale. I temi legati alla sostenibilità sono diventati centrali nella coscienza collettiva e nel sistema economico e finanziario tradizionale: la famosa lettera di Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, il manifesto della Business Roundtable e la prima pagina del Financial Times su tutti hanno sancito la necessità di ripensare il capitalismo, hanno segnato la definitiva consacrazione dell’imperativo dell’impatto.

La ricerca Tiresia Impact Outlook 2019, realizzata dall’omonimo Centro di ricerca di innovazione e finanza per l’impatto sociale della School of Management e presentato la scorsa settimana, offre una descrizione aggiornata dello stato dell’arte della finanza per l’impatto sociale in Italia e alcune riflessioni sulle sue possibili traiettorie di sviluppo. L’analisi è basata su 58 interviste strutturate a operatori sia dal lato dell’offerta sia della domanda di capitali.

“Lo studio restituisce l’immagine di un settore ancora piccolo, in grande trasformazione – commenta Mario Calderini, docente di Social Innovation e direttore di Tiresia – nel quale gli operatori stanno via via strutturando modelli e strumenti. Una enclave che tuttavia potrà giocare un ruolo prezioso nel contaminare virtuosamente l’industria finanziaria, il suo processo di trasformazione, verso modelli più sostenibili e inclusivi”.

La metodologia poggia su una definizione inclusiva di finanza per l’impatto: un’ampia gamma di investimenti e finanziamenti basati sull’assunto che i capitali privati, talvolta in combinazione con i fondi pubblici, possano intenzionalmente contribuire a creare impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici. Gli operatori così identificati sono stati profilati in base alle loro caratteristiche e all’approccio utilizzato nelle loro attività riconducibili alla finanza per l’impatto, descritto attraverso una triade di elementi qualificanti, la cosiddetta triade dell’impatto: intenzionalità, misurabilità e addizionalità.

Il capitale per l’impatto impiegato dal 2006 in Italia è circa 8 miliardi di euro. Di questi, gli investimenti in equity effettuati dai soggetti intervistati dal momento del loro ingresso nell’industry è di 1.263,4 milioni di euro (15,7% del totale degli impieghi). Il totale dei finanziamenti erogati dagli intervistati, sotto forma di credito alle organizzazioni ad impatto sociale, è di 6.767,8 milioni di euro (84,3% del totale degli impieghi). Nel 2019, il totale degli asset gestiti dagli operatori equity è di 1.824,75 milioni e crescerà del 19% nel prossimo anno.

Rispetto alle aree di impatto sociale, obiettivo degli investimenti e dei finanziamenti, classificate secondo i 17 SDGs delle Nazioni Unite, prevale l’obiettivo “Buona occupazione e crescita economica” (73,7% degli operatori) seguito da “Imprese, innovazione e infrastrutture” (65,8%).

Per quanto riguarda i rendimenti attesi, il 60% degli intervistati dichiara aspettative di rendimento inferiori rispetto ai normali valori di mercato. Per il 73% degli investitori equity i rendimenti attesi si attestano tra il 2% e il 5%. Per chi opera nel mercato del credito, i rendimenti attesi sono prevalentemente in linea con gli ordinari tassi di mercato.

Circa il rischio finanziario associato alle operazioni di finanza per l’impatto, l’insieme di intervistati ha dato risposte eterogenee: il 45,5% dichiara un rischio maggiore delle operazioni ordinarie, mentre il 42,4% in linea ed un 15,2% inferiore. È rilevante osservare che la percezione di maggiore rischiosità è sensibilmente differente tra investitori equity e operatori sul mercato del credito, essendo questi ultimi più orientati ad una percezione di rischio minore.

Tra i criteri di screening adottati dagli operatori per l’impiego del capitale, il più utilizzato è l’analisi del modello di business (83,3%) seguito dal potenziale del progetto imprenditoriale di rispondere a un bisogno sociale (66,7%) e dalle competenze manageriali e tecniche del team (30%). Da ciò si evince che per un terzo degli operatori l’impatto sociale rappresenta una condizione di eleggibilità dell’operazione finanziaria ma non un criterio di screening vero e proprio.

Tra le strategie di exit, riconosciute come un possibile ostacolo agli investimenti, prevalgono l’acquisizione delle quote da parte di altri investitori e il management buyout, mentre ancora irrilevante è l’aspettativa della possibile nascita di mercati organizzati per i titoli a impatto sociale. Dal punto di vista delle barriere che ostacolano lo sviluppo dell’industry, prevalgono la mancanza di competenze finanziarie dei soggetti investiti, debolezza dei social business model e un’assenza di politiche pubbliche.

Specularmente, tra le azioni necessarie a sviluppare l’industry, viene segnalata una necessità di azioni di capacity building tra le imprese che perseguono obiettivi di impatto sociale, lo sviluppo di azioni pubbliche volte alla semplificazione, nuovi schemi di partenariato pubblico-privato, la modellizzazione e l’omologazione dei processi e dei metodi utilizzati nei processi di investimento.

Coerentemente, il 60% degli intervistati considera il settore pubblico l’attore decisivo nell’imprimere un’accelerazione all’industry.

Il presente studio descrive un ecosistema che, seppur ancora di nicchia, contiene caratteristiche antropologiche, valori, modelli e strumenti che potranno giocare un ruolo decisivo nel fecondare una transizione dell’industria finanziaria mainstream verso un modello compatibile con le grandi sfide ambientali e sociali emergenti. Un laboratorio di innovazione e trasformazione che si propone come esempio per il ripensamento dei modelli di gestione di triliardi di asset affinchè possano generare insieme valore economico e sociale ristabilendo un rapporto più positivo con la società, con le comunità, con gli individui.

Il report completo è scaricabile dal sito www.tiresia.polimi.it

 

Fashion: premiata la laurea più sostenibile

Save The Duck, il primo marchio di piumini 100% animal free, ha consegnato ieri il premio di laurea alla migliore tesi sul tema della sostenibilità nel settore fashion. Dedicato agli studenti del Politecnico di Milano, il riconoscimento è stato istituito in collaborazione con la Sustainable Luxury Academy della School of Management dell’Ateneo, un Osservatorio permanente sul lusso responsabile. In palio: 5 mila euro.

 

Save The Duck, il primo marchio di piumini 100% animal free, ha consegnato ieri il premio di laurea dall’importo di 5.000 euro, istituito in collaborazione con la Sustainable Luxury Academy della School of Management del Politecnico di Milano e volto a valorizzare la migliore tesi sul tema della sostenibilità nel settore fashion. Ad aggiudicarsi il riconoscimento con un punteggio complessivo di 23.3 su 25 sono state Tiziana Modica e Maria Giulia Zanotti con la tesi «Introducing Postponement in Global Distribution Network Design: a Sustainability Perspective». Motivazione: «Ottimo lavoro, che prende in considerazione una tematica “calda” come la riduzione di emissioni di Co2 e l’ottimizzazione dei trasporti e della distribuzione delle merci. Si tratta inoltre di un progetto di respiro internazionale e, caratteristica fondamentale, modulabile secondo le esigenze di ogni azienda». Al premio hanno potuto candidarsi tutti gli studenti che hanno conseguito il titolo di laurea magistrale nel periodo tra ottobre 2018 e luglio 2019 con votazione non inferiore a 100/110 presso il Politecnico di Milano. Le vincitrici si sono focalizzate sulla sostenibilità della supply chain nel mondo fashion, con un focus sulla riduzione delle inefficienze nel sistema dei trasporti su scala internazionale. Obiettivo: garantire alle aziende benefici tangibili sul piano sia ambientale, sia economico.

Il riconoscimento è stato consegnato nel corso del Responsible Luxury Summit, l’annuale momento di confronto della Sustainable Luxury Academy, Osservatorio permanente sul lusso sostenibile finanziato dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Mazars per riunire le voci più influenti dell’industria dell’alto di gamma e incidere positivamente sul mercato. L’Osservatorio monitora quanto, con che politiche e risultati, le aziende italiane del lusso siano effettivamente sostenibili e propone una roadmap di azioni da intraprendere, anche grazie al dibattito tra imprese, docenti ed esperti come Carbonsink, società di consulenza specializzata in strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici che ha portato spunti di riflessione.

IDENTIKIT DEL PREMIO — L’obiettivo del progetto promosso da Save The Duck e fortemente voluto dal founder e ceo Nicolas Bargi è investire sul futuro delle giovani generazioni e sensibilizzarle ulteriormente su un tema cruciale per la vita di tutti noi. Lanciata nel 2011, l’azienda realizza capi privi di piume, pellami, pellicce e in generale materiali/tessuti di derivazione animale. L’ultimo traguardo raggiunto è stata la certificazione B-Corp, che distingue le aziende che volontariamente rispettano i più alti standard di responsabilità e trasparenza in ambito sociale e ambientale, dando lo stesso peso agli obiettivi economico-finanziari e agli obiettivi di impatto sociale e ambientale. Tra le partnership messe a segno da Save The Duck quelle con WWF, LAV, PETA e Sea Shepherd. «Sono molto orgoglioso della collaborazione con il Politecnico di Milano, eccellenza universitaria italiana, perché ci permette di sostenere giovani che ogni giorno si impegnano per poter contribuire a trovare soluzioni più sostenibili e rendere il mondo un luogo migliore» ha commentato Nicolas Bargi di Save The Duck. «Colgo l’occasione per complimentarmi con le due giovani vincitrici perché hanno saputo affrontare in modo efficace un tema estremamente complesso e di grande impatto sul mercato fashion (e non solo)». «Questo premio va esattamente nella direzione che ci siamo prefissi – ha aggiunto Alessandro Brun, a capo della Sustainable Luxury Academy della School of Management del Politecnico di Milano e direttore del Master in Global Luxury Management –: sensibilizzare maggiormente il settore del lusso sui temi della sostenibilità e della responsabilità sociale a partire dagli studenti, dalle nuove generazioni, che avranno il compito di trasformare le strategie e le analisi in realtà quotidiana».

Strumenti per la valutazione e gestione dei rischi nella piccola impresa: il progetto Solvo

Il miglioramento delle condizioni di rischio per la sicurezza e la salute sul lavoro impone il rafforzamento delle azioni di supporto tecnico-organizzativo alla piccola impresa da parte della rete istituzionale, anche tramite la collaborazione delle associazioni datoriali e sindacali, con lo scopo di favorire l’applicazione più sostenibile della legislazione riducendo gli adempimenti burocratici e i costi per la messa in conformità.

Il convegno ha l’obiettivo di presentare, descrivere e discutere il contesto ed i risultati del progetto SOLVO, ideato per sviluppare uno strumento software operativo semplice e gratuito per la gestione dell’intero ciclo di vita, dalla valutazione dei rischi all’attuazione e successivo monitoraggio delle azioni volte a prevenire i rischi sui luoghi di lavoro, che caratterizza i sistemi di tutela per la salute e la sicurezza dei lavoratori nelle piccole imprese.

SOLVO mira ad integrare i sistemi di valutazione del rischio attualmente esistenti, per una gestione dei fattori di rischio più efficace ed organizzata.

SOLVO è stato finanziato e sviluppato da INAIL-DiMEILA, Università del Salento e Politecnico di Milano nell’ambito del progetto ex bando INAIL Bric-2016 (ID29) “Sviluppo e validazione di una soluzione web-based open source a supporto dei processi di valutazione e gestione del rischio in aziende di piccole dimensioni”.

 

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

Dalle 13.00 Registrazione dei partecipanti

Coffee

14.00 Apertura dell’evento

14.15 Presentazione generale del progetto BRiC. Procedure Standardizzate, MOGS, e Piani mirati – Diego De Merich, INAL-DiMEILA

14.45 Definizione di un modello integrato e semplificato di valutazione del rischio e di analisi e monitoraggio del sistema di tutela della salute e della sicurezza per le piccole aziende – Guido J.L. Micheli, Politecnico di Milano

Coffee break

16.00 SOLVO strumento di integrazione e condivisione della conoscenza: il software e le sue applicazioni – Maria Grazia Gnoni, Università del Salento

16.40 SOLVO come piattaforma: Strumenti web di ausilio alla valutazione dell’esposizione occupazionale alle radiazioni non ionizzanti – Rosaria Falsaperla, INAL-DiMEILA

17.00 Conoscere per prevenire: impariamo dagli errori – Marco Canesi, ATS Brianza

17.20 Evoluzione BRIC: Tavola rotonda con: Guido Micheli, Politecnico di Milano; Maria Grazia Gnoni, Università del Salento; Diego De Merich, INAIL DiMEILA; Silvia Negri, API Lecco; Gabriele Zeppa, UNIVA; Moreno Cogliati, INAIL Lecco; Massimo Balzarini, CGIL Regionale; Battista Magna, ATS Milano; Marco Canesi, ATS Brianza.

Modera: Tiziano Menduto, giornalista PuntoSicuro

18.00 Chiusura del convegno

Aperitivo di saluto

 

RESPONSABILI SCIENTIFICI E ORGANIZZATORI: Università del Salento, Politecnico di Milano, INAIL-DiMEILA (Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale).

DESTINATARI: Datori di Lavoro, DL-RSPP, RSPP e ASPP, Dirigenti e Preposti, RLS e lavoratori, Docenti – formatori, Consulenti in tema di SSL, Operatori istituzionali della prevenzione, Ingegneri.

REGISTRAZIONE: Obbligatoria, gratuita, seguendo le istruzioni riportate in seguito.
Il presente incontro formativo darà diritto ai partecipanti Ingegneri a n.3 CFP ai sensi del regolamento per l’aggiornamento professionale (tutti gli iscritti) iscrivendosi dal sito:
www.ordinglc.it – corsi e convegni entro il 13 novembre.

Tutti gli altri partecipanti devono iscriversi entro il 18 novembre al seguente link: https://bit.ly/2rmu1By.

Potranno inoltre ottenere crediti formativi per 4 ore, con rilascio di attestato di partecipazione, le figure di sicurezza (D.lgs 81/2008).

Le iscrizioni complessive sono vincolate ad un numero massimo di 230.

Entra a far parte del network di aziende del MIP

 

Le aziende ricoprono un ruolo centrale per la Scuola, assicurando ai nostri programmi un forte legame con il mondo professionale.
Insieme ai professori, infatti, entrano in aula anche manager e recruiter, che attraverso company presentation, lezioni in azienda ed eventi di networking, da una parte mettono a disposizione dei nostri studenti la propria esperienza, dall’altra hanno la possibilità di incontrare tramite un canale privilegiato i talenti di domani.

Far parte del network del MIP offre numerosi vantaggi, soprattutto in termini di employer branding. Ecco alcune delle attività che sono riservate alle aziende aderenti:

  • Accesso alla Job Board FLEXA, che consente all’azienda di creare il proprio profilo e di pubblicare offerte di lavoro e stage per gli studenti in corso o gli Alumni.
  • Possibilità di accogliere per uno stage curriculare o extra-curriculare gli studenti e gli Alumni durante la preparazione del project work finale, supervisionato da un tutor MIP. Questa rappresenta un’ottima occasione per valutare un profilo ai fini di un possibile inserimento in azienda.
  • Opportunità di avvalersi della consulenza di un team di studenti selezionati per analizzare un processo chiave scelto dall’azienda attraverso le metodologie apprese in aula.
  • Attività di recruitment presso il campus MIP o la propria sede aziendale .
  • Partecipazione a Career Day per incontrare gli studenti dei Master specialistici e degli MBA attraverso colloqui programmati o application spontanee. Il prossimo evento in programma è il 24 gennaio con gli allievi del Full Time MBA, non perdere l’occasione!
  • Attività in aula, come presentazioni per promuovere la propria azienda e le opportunità di carriera, partecipazione in veste di relatori a workshop, tavole rotonde e lezioni.
  • Possibilità di accogliere gli studenti in azienda per visite alla struttura o lezioni su tematiche specifiche.

Vuoi dare slancio alla tua immagine aziendale collaborando con una delle migliori Business School al mondo? Contatta lo staff del Company Engagement & Partner Care per scoprire come entrare nel network e partecipare già al prossimo Career Day del 24 gennaio!

Perché il valore umano nell’era digitale è ancora più prezioso

La crescita della digitalizzazione è vista da tanti con preoccupazione. Eppure le nuove tecnologie possono aiutare produttività e flessibilità. A patto che i manager sappiano individuare le giuste opportunità

 

“L’interazione umana è la prima vittima dell’era digitale”. È il titolo che introduce un editoriale firmato da Vivek Wadhwa, imprenditore del settore tech, docente ad Harvard e, tra le altre cose, un entusiasta della prima ora dei social media. Con il tempo, come molti altri, Wadhwa ha cambiato idea, convincendosi che i mezzi di comunicazione digitali hanno fatto più male che bene ai rapporti interpersonali. Allo stesso modo, sono in molti a sostenere che le tecnologie digitali avanzate possano ridimensionare la centralità dell’elemento umano nel mondo del lavoro. Ma è davvero così? Una serie di dati e previsioni mostrano come in realtà sia possibile prendere delle contromisure. E come il ruolo dei manager, in questo scenario, sia centrale.

Rapporti umani: tra relazioni e connessioni

Un’indagine del World Economic Forum, condotta nel 2016 su un campione di oltre 5 mila individui sparsi per i cinque continenti, rivela una percezione diffusa in netta controtendenza rispetto ai timori di Wadhwa. Secondo la maggior parte degli intervistati, l’utilizzo dei social media ha portato una maggiore capacità di stringere amicizie nel mondo reale, di mantenere le relazioni con amici già acquisiti e con il proprio partner e – sorpresa! – anche di sviluppare una maggiore empatia.
Ma non è tutto oro quel che luccica. Se è vero che da una parte i media digitali abilitano l’interazione sociale, spesso dando rilievo alle voci delle minoranze, dall’altra parte esistono dei rischi che è lo stesso World Economic Forum a sottolineare nel report Digital Media and Society: è possibile che lo sviluppo delle capacità relazionali online non corrisponda a un analogo incremento delle social skills offline. Uno scenario a luci e ombre, insomma, che ritroviamo anche in ambito lavorativo.

Il lavoro che cambia

Le tecnologie digitali stanno plasmando forme e contenuti dell’offerta lavorativa. Tra le ricadute positive si possono annoverare un incremento della produttività e della flessibilità, in particolare nel ricorso sempre maggiore a forme di telelavoro, o di smart working, rese possibili dallo sviluppo di connessioni di rete sempre più rapide e di strumenti di comunicazione digitale sempre più efficienti. Anche in questo caso, però, non mancano i dubbi. I media digitali, infatti, possono provocare un aumento delle diseguaglianze, causate da un rapido avvicendamento nelle skill più richieste. Non è azzardato prevedere un allargamento della forbice del valore (e quindi anche di quella economica) tra i dipendenti con skill di basso livello e colleghi con abilità più evolute e preziose.

Sfruttare la tecnologia, valorizzare l’umano

Per evitare questi rischi, la figura del leader diventa centrale. Deve “avere le conoscenze e le capacità adatte a riconoscere e anticipare le tendenze digitali, capirne le implicazioni per il business e usare a proprio vantaggio la tecnologia per rimanere al passo”, afferma il report Digital Media and Society. Spetta alle organizzazioni, e quindi ai loro manager, sviluppare le strategie adeguate per integrare i media digitali nel flusso lavorativo, e agire attivamente sulle opportunità e i pericoli che i loro dipendenti dovranno affrontare. Un altro report del World Economic Forum, Our Shared Digital Future, ha suggerito delle ulteriori linee guida per affrontare la rivoluzione digitale: spicca la creazione di una rete di leader responsabili che incoraggino il reskilling dei dipendenti. Se è vero, come suggerisce il Future of Jobs Report del 2018, realizzato sempre dal WeF, che entro il 2022 l’automazione sottrarrà agli esseri umani percentuali importanti di carico di lavoro, diventa infatti fondamentale la valorizzazione di quelle attività che le intelligenze artificiali ancora non riescono a svolgere: un paradosso apparente, ma il vantaggio competitivo di aziende e lavoratori dipenderà sempre più dalla capacità di dimostrarsi inimitabilmente umani. A dispetto di qualsiasi innovazione digitale.

Water Management Report: la sfida della innovazione tecnologica, il riuso e l’economia circolare nelle filiere dell’acqua in Italia

Presentazione Water Management Report

Negli ultimi anni, anche in seguito ai cambiamenti climatici, sta diventando sempre più pressante il tema di una corretta ed efficiente gestione della risorsa idrica, che, correttamente, viene sempre di più considerata un bene prezioso e “scarso”. Il tema della gestione dell’acqua coinvolge una molteplicità di soggetti (Autorità di Regolazione per Energia e Reti e Ambiente – ARERA, Gestori di rete, Imprese…) che, a vario titolo, devono dare il loro contributo per ridurre gli sprechi e implementare tecniche per il risparmio di acqua e di energia a essa associata.

In particolare, nella terza edizione del Water Management Report saranno analizzati i seguenti temi:

  • Analisi sull’evoluzione normativa del servizio idrico e sulla proposta di legge Daga; opinione degli attori della filiera.
  • Analisi dello stato degli indicatori della qualità del servizio idrico.
  • Soluzioni tecnologiche di riuso-riciclo dell’acqua: flussi tra diversi processi, aziende e settori.
  • Certificati Blu: ipotesi e valutazione di impatto di un meccanismo di incentivazione dei risparmi idrici costruito sull’esperienza dei Certificati Bianchi per l’efficienza energetica.
  • Evoluzione del mercato.

Questi gli obiettivi del convegno di presentazione dei risultati del Water Management Report, che coinvolgerà come sempre nel dibattito le imprese Partner della ricerca per discutere e approfondire le analisi svolte e renderle strumento di lavoro per tutti coloro che operano o intendono operare nell’ambito specifico oggetto dello studio.

Bozza di Programma della giornata:

9.30 Apre i lavori
Umberto Bertelè, School of Management – Politecnico di Milano

9.45 Presenta il Water Management Report 2019:
Davide Chiaroni, Energy & Strategy Group – Politecnico di Milano

10.30 Coffee break

10.45 Prima tavola rotonda con i Partner della ricerca

11.30 Seconda tavola rotonda con i Partner della ricerca

12.30 Chiusura dei lavori

Ai presenti sarà consegnata in omaggio una copia del Water Management Report – 3a ed. fino ad esaurimento copie.

Per iscriverti clicca QUI

 

Partner del Water Management Report 2019

 

 

Patrocinatori del Water Management Report 2019

 

Italia Digitale: La “macchina” è pronta a correre?

Le tecnologie digitali rappresentano le nuove infrastrutture portanti del nostro Paese. Come nel dopoguerra lo Stato ha capito la centralità delle infrastrutture stradali per la crescita economica, progettandole e realizzandole in modo integrato, è essenziale che ora si affermi la medesima visione di lungo periodo e si inquadri la trasformazione digitale di imprese, PA e cittadini come un’imperdibile occasione per realizzare il nuovo sistema nervoso su cui basare la crescita economica dell’Italia nei prossimi anni.

In questo scenario la PA può e deve guidare la trasformazione digitale dell’intero Paese, innescando percorsi di digitalizzazione pervasivi. In un’economia sempre più basata sui dati, se il patrimonio informativo pubblico fosse completamente digitale e interoperabile si aprirebbero opportunità immense. Per cogliere a pieno tali opportunità, tuttavia, è necessario configurare la PA come una piattaforma di innovazione che lavori efficacemente con le imprese – da quelle più grandi fino alle startup – sapendo premiare la qualità della loro offerta.

È esattamente questo il focus che l’Osservatorio Agenda Digitale si è dato quest’anno nel condurre la propria ricerca, continuando a supportare i decisori chiave con solide evidenze empiriche, modelli interpretativi dei fenomeni in atto, strumenti per attuare le opportunità offerte dall’innovazione digitale e momenti di confronto qualificati, indipendenti e pre-competitivi tra il mondo delle imprese che offrono soluzioni digitali e quello del Governo, della Politica e delle PA.

La presentazione dei risultati della Ricerca 2019 è seguita dalla consegna dei “Premi Agenda Digitale”, quest’anno aperti per la prima volta anche a startup e PMI che propongono soluzioni innovative alle PA. Con tali premi l’Osservatorio continua a affiancare ai propri risultati la promozione di quei progetti che maggiormente si sono distinti per capacità di usare le tecnologie digitali come leva di trasformazione della PA italiana.
Al termine del Convegno verrà distribuito a tutti i partecipanti il Report delle Ricerche dell’Osservatorio.

Domande chiave:
  • Quale assetto di governance prenderà l’Agenda Digitale italiana con l’insediamento del Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione?
  • Qual è il livello di effettiva attuazione dell’Agenda Digitale in Italia e nelle sue Regioni?
  • Che priorità darsi per accelerare la trasformazione digitale dell’Italia? Come migliorare il nostro posizionamento sul DESI?
  • Quante risorse sono disponibili per la trasformazione digitale del nostro Paese? Quante ne sono state usate?
  • Quanto è stato speso dalle PA per approvvigionare le piattaforme chiave previste dal Piano triennale (SPID, ANPR, pagoPA)?
  • Com’è strutturata l’offerta di tecnologie digitali alla PA italiana? Come dovrebbe evolvere?
  • Come favorire una maggiore partecipazione di startup e PMI ai processi di trasformazione digitale della PA
  • Quali sono le principali applicazioni di blockchain in ambito pubblico in Italia e all’estero?
  • Qual è il livello di digitalizzazione degli applicativi di front-office e back-office dei Comuni italiani?
  • Come ripensare in chiave esclusivamente digitale i servizi pubblici? Come implementare efficaci iniziative di switch-off in ambito pubblico?

La partecipazione al Convegno è gratuita. Per maggiori informazioni e iscriversi, cliccare qui.
Tutti gli abbonati al sito Osservatori.net potranno seguire il Convegno in diretta Web.

L’edizione 2019 dell’Osservatorio Agenda Digitale è realizzata in collaborazione con Agendadigitale.eu, AgID, Baker&McKenzie, CEFRIEL, ContrattiPubblici.org, FPA, iProc, P4I, Pandora Consulting, SemplicePA, Studio Legale Leone, Team per la Trasformazione Digitale, Telemat; con il supporto di Almaviva, Dedagroup, DXC, Intesa Sanpaolo, Poste Italiane, ProgettieSoluzioni, Rai – Rai Pubblicità, Studio Storti; Aruba Enterprise, Dell EMC – Intel, Irideos, EasyGov, Leonardo, Sia, Sisal; con il patrocinio di ANORC, ANPAL, ASPAL, Assinter Italia, CISIS, ClubTI, Confindustria Digitale, Consorzio DAFNE, Formez PA, INAPP, IPZS S.p.A., Istat, Itaca, Provincia Autonoma di Trento, Regione Autonoma Valle d’Aosta, Regione Basilicata, Regione Lazio, Regione Liguria, Regione Lombardia, Regione Piemonte, Regione Puglia, Regione Sardegna, Regione Toscana, Regione Veneto, Unioncamere.