L’utilizzo dei big data per la gestione del trasporto pubblico

Un nuovo studio esplora il potenziale delle fonti di dati innovative per ottimizzare pianificazione, operatività e performance nel settore del trasporto pubblico.

 

I dati tradizionalmente utilizzati per supportare la gestione del trasporto pubblico presentano limitazioni intrinseche legate alla rappresentatività, ai costi e alla capacità di catturare la variabilità spazio-temporale. Queste restrizioni evidenziano l’importanza di esplorare fonti di dati innovative per integrare quelli più tradizionali. Per gli operatori del trasporto pubblico, responsabili di decisioni strategiche in ambito di pianificazione, operatività e misurazione delle performance, le fonti di dati innovative rappresentano ancora un territorio in gran parte inesplorato.

L’esplorazione delle fonti di big data per la gestione del trasporto pubblico è il focus di uno studio recentemente pubblicato da Valeria Maria Urbano, Marika Arena e Giovanni Azzone della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, sulla rivista “Research in Transportation Business & Management, dal titolo Big data for decision-making in public transport management: A comparison of different data sources”.

Lo studio è il risultato di un programma di ricerca di lungo termine volto a esplorare il potenziale delle nuove fonti di dati e affrontare le sfide emergenti nella gestione del trasporto pubblico. Il programma di ricerca comprende quattro progetti realizzati dal team di ricerca in collaborazione con due dei principali operatori di trasporto pubblico del nord Italia, Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. e Trenord S.r.l., nell’arco di cinque anni (2019–2023).

Lo studio propone un framework per valutare le fonti di dati innovative, evidenziando le caratteristiche specifiche che i dati devono possedere per supportare il processo decisionale nel settore della gestione dei trasporti. Inoltre, attraverso un’analisi comparativa basata su dati empirici raccolti dagli operatori del trasporto pubblico in Lombardia, vengono esaminati dati provenienti da smart card, telefoni cellulari e sistemi automatici di localizzazione dei veicoli, con l’obiettivo di comprendere se e in che misura queste fonti rispondano ai requisiti sopra identificati.

Questo studio può supportare gli operatori del trasporto pubblico nella selezione delle fonti di dati più coerenti con i tre principali ambiti decisionali, evidenziando i potenziali benefici e le principali sfide legate all’uso dei big data nella gestione del trasporto pubblico. Oltre alla valutazione delle singole fonti di dati, lo studio sottolinea il ruolo cruciale dell’integrazione dei dati per migliorare la comprensione dei comportamenti di viaggio, ottimizzare i processi operativi e valutare le metriche di performance.

 

Per maggiori informazioni sullo studio: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2210539525000136

Disparità di genere nella partecipazione alle campagne di equity crowdfunding

Nonostante l’avvento dell’equity crowdfunding abbia aumentato la democratizzazione, l’accesso alle risorse di capitale e abbia contribuito al finanziamento di progetti sostenibili, vi sono prove del fatto che le donne sono meno propense a investire in offerte di capitale su Internet. Un recente studio evidenzia le determinanti della partecipazione delle donne alle campagne di equity crowdfunding.

 

L’equity crowdfunding è una forma di finanziamento in cui delle persone acquisiscono quote di partecipazione in un’azienda in cambio del capitale investito utilizzando delle piattaforme collettive. Il valido contributo che l’equity crowdfunding sta potenzialmente offrendo al raggiungimento di obiettivi globali sostenibili è accompagnato da un problema che caratterizza questo settore a livello globale: la scarsa partecipazione delle donne investitrici ai progetti proposti. Le piattaforme di equity crowdfunding ridefiniscono il rapporto tra tecnologia e persone, sostenendo una transizione digitale sostenibile che accelera la valorizzazione delle donne come leader e investitrici.

Lo studio analizza quattro ipotesi specifiche relative ai fattori che attraggono gli investimenti femminili nell’equity crowdfunding. In primo luogo, si ipotizza che le imprese guidate da donne abbiano maggiori probabilità di attrarre investitrici femminili. In secondo luogo, si suppone che le potenziali investitrici prestino maggiore attenzione alle questioni di sostenibilità rispetto agli uomini. In terzo luogo, si ipotizza che la partecipazione delle donne agli investimenti in equity crowdfunding sia più probabile se la soglia minima richiesta è più bassa. Infine, si ritiene che le donne siano relativamente meno attratte dalle campagne successive di finanziamento.

L’articolo “Gender disparity in the participation to equity crowdfunding campaigns” di Claudio Bonvino, Andrea Odille Bosio e Giancarlo Giudici della School of Management del Politecnico di Milano, pubblicato come parte del numero specialeCrowdfunding campaigns for a sustainable development” nella rivista Finance Research Letters, indaga le determinanti che, nell’ambito dell’equity crowdfunding, sono associati a una maggiore (o minore) partecipazione delle donne.

La ricerca si basa su un database proprietario che comprende tutte le campagne di equity crowdfunding pubblicate dalle piattaforme italiane dal 2014 al 2023.

I risultati evidenziano che:

  • Le donne hanno minori probabilità di investire nelle campagne di equity crowdfunding.
  • Le investitrici hanno maggiori probabilità di finanziare progetti proposti da donne.
  • Le donne prestano attenzione alle questioni di sostenibilità nella decisione di investire.
  • Meno donne finanziano progetti quando la soglia minima richiesta è più elevata.
  • Le donne sono relativamente meno rappresentate nelle campagne successive di finanziamento.

Il coinvolgimento delle donne è ancora lontano dall’essere pienamente valorizzato nell’equity crowdfunding, nonostante questo canale di finanziamento sia considerato dalla letteratura potenzialmente più inclusivo e orientato alla sostenibilità rispetto alle fonti di finanziamento tradizionali.

Per maggiori dettagli: https://authors.elsevier.com/c/1kPiU5VD4KyeER

Blockchain e cultura: nuove frontiere per i servizi pubblici

Uno studio interdisciplinare esplora come la tecnologia blockchain possa rivoluzionare i servizi culturali pubblici, dalla gestione dei diritti digitali alla conservazione del patrimonio, mappando opportunità e sfide in un settore ancora poco esplorato.

 

La tecnologia blockchain è sempre più riconosciuta per il suo potenziale trasformativo in vari settori, tra cui i servizi culturali pubblici. Un recente articolo a cura di Deborah Agostino della POLIMI School of Management, insieme a Federica Rubino e Davide Spallazzo del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, esplora questo potenziale attraverso una revisione sistematica della letteratura esistente sul tema.

Lo studio pubblicato su International Journal of Public Sector Management identifica i principali casi d’uso ed esamina esempi empirici di applicazioni della blockchain nei servizi culturali pubblici trattati in letteratura, ambito in cui l’adozione di questa tecnologia rimane ancora poco esplorata, nonostante le sue promettenti possibilità.

La revisione della letteratura ha messo in luce un insieme interdisciplinare di studi esistenti, che integra prospettive provenienti da campi come l’informatica, il management culturale, digital humanities, ingegneria, diritto e scienze politiche.
Dei 54 articoli iniziali individuati, 38 articoli pubblicati su riviste scientifiche peer-reviewed (dove il lettore può conoscere sia l’identità del revisore che la sua valutazione) sono stati selezionati per un’analisi dettagliata, riflettendo l’ampio e frammentato interesse verso le applicazioni della blockchain nei servizi culturali pubblici. Geograficamente, gli studi includono contributi da paesi come gli Stati Uniti, l’Italia, la Cina e il Regno Unito, evidenziando la natura globale del dibattito esistente in accademia. Tuttavia, una notevole concentrazione di studi è emersa in Europa, sottolineando l’interesse regionale per il patrimonio culturale e l’integrazione della tecnologia blockchain nei servizi culturali.

La ricerca mette in evidenza diversi casi d’uso principali della tecnologia blockchain nel settore culturale. Tra questi figurano la tokenizzazione, ovvero la rappresentazione digitale di un asset, dunque dei beni culturali e la proprietà frazionata, la gestione dei diritti digitali, la digitalizzazione dei processi di asset management, i sistemi di finanziamento decentralizzato e le piattaforme decentralizzate per la conservazione del patrimonio culturale. Ad esempio, la tokenizzazione consente la proprietà frazionata di beni come manoscritti rari o artefatti digitali, democratizzando l’accesso a questi contenuti e potenzialmente generando nuove fonti di reddito. Allo stesso modo, la blockchain può garantire i diritti di proprietà intellettuale, migliorando la trasparenza e la responsabilità nelle organizzazioni culturali.

Nonostante queste prospettive, l’articolo sottolinea la limitata disponibilità di dati empirici sulle applicazioni della blockchain in questo settore. La maggior parte del dibattito attuale rimane a livello teorico, evidenziando la necessità di studi più approfonditi e di valutazioni pratiche. Sfide come l’incertezza normativa, la mancanza di formazione adeguata per professionisti culturali, e la resistenza all’adozione di nuove tecnologie sono indicate in letteratura come barriere significative all’integrazione della blockchain.

L’articolo esplora inoltre le implicazioni più ampie delle tecnologie blockchain per la governance pubblica nella gestione di servizi culturali. Promuovendo strutturalmente la trasparenza e il coinvolgimento delle comunità, la blockchain ha il potenziale di rivoluzionare l’erogazione dei servizi pubblici, spingendo verso la distribuzione di potere sempre più orizzontali e decentralizzate. Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, sono necessari quadri normativi solidi e una collaborazione tra istituzioni pubbliche, responsabili politici e stakeholder coinvolti.

Questo lavoro contribuisce alla conversazione accademica emergente sulla blockchain nei servizi pubblici, con particolare attenzione alla sua applicazione nei contesti culturali. Mappando la ricerca esistente e identificando le lacune di conoscenza, gli autori forniscono una base per future indagini, aprendo la strada a una comprensione più approfondita su come la blockchain possa contribuire a portare innovazione digitale nei servizi culturali pubblici.

 

Ridisegnare il linguaggio dei prodotti: innovare senza perdere identità

In un contesto in costante trasformazione, rinnovare il linguaggio dei prodotti è fondamentale per ridefinire la percezione dei clienti e aprire le porte a nuovi mercati. Un recente studio analizza come un prodotto possa comunicare in modo diverso con i consumatori, evolvendo il suo linguaggio senza perdere la propria identità.

 

Il panorama socio-tecnologico in costante evoluzione spinge le aziende a reinventare il modo in cui comunicano i propri prodotti e il significato che questi assumono per i clienti. Il linguaggio di un prodotto, ovvero l’insieme di segni come forma, colori e materiali che ne definiscono l’identità, gioca un ruolo fondamentale nel guidare la percezione e l’attribuzione di significato da parte dei consumatori.

Per restare competitive sul mercato, le aziende devono innovare costantemente il linguaggio dei loro prodotti, trasformando il significato che i clienti attribuiscono agli stessi.

L’articolo “When products speak differently: Designing new languages for established products“, scritto da Federico Artusi, Paola Bellis e Roberto Verganti della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, esplora come un prodotto possa comunicare in modo nuovo con i consumatori, trasformando il suo linguaggio senza comprometterne l’essenza.

L’innovazione del linguaggio di prodotto non solo ridefinisce la percezione dei clienti, ma può anche aprire la strada a nuove categorie di mercato.

Gli autori illustrano questo concetto attraverso il caso studio di Videndum, un’azienda di strumenti e accessori premium per la creazione di contenuti, impegnata a ridefinire il linguaggio dei suoi prodotti esistenti per integrare nuove narrazioni in linea con le preferenze dei clienti in evoluzione.

Attraverso 18 interviste con il personale aziendale a tutti i livelli dell’organizzazione, analisi di dati d’archivio e osservazioni dirette, l’articolo approfondisce le azioni di Videndum per cambiare il linguaggio dei suoi prodotti esistenti.

I risultati evidenziano il ruolo dei principi di progettazione come ponte tra scelte strategiche e progettuali e mostrano che i designer possono lavorare su due livelli di principi progettuali:

  • I principi di valore ovvero i Values Design Principles, legati alla dimensione valoriale dell’azienda
  • I principi di soluzione, Solution Design Principles, che traducono questi valori in caratteristiche pratiche del prodotto.

Questi due tipi di Design Principles lavorano in sinergia, influenzando il linguaggio del prodotto creando un’identità coerente.

Questa ricerca offre quindi spunti preziosi e pratici su come innovare il linguaggio del prodotto, per gestire la transizione dai significati astratti, concepiti in fase di definizione di nuove strategie, alla progettazione concreta del linguaggio di prodotto senza abbandonare ciò che ha reso un prodotto vincente.

 

Per ulteriori approfondimenti: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/caim.12637

 

Elisa Negri vince il “Digital Twin Young Scientist Award”

Alla conferenza internazionale DigiTwin 2024, la ricercatrice del Politecnico di Milano vince il “Digital Twin Young Scientist Award” per i suoi studi sull’uso dei “Gemelli Digitali” nella gestione della produzione industriale, con impatti su efficienza, sostenibilità e economia circolare.

 

La conferenza DigiTwin è un rinomato evento internazionale che riunisce aziende di diversi settori per condividere esperienze e necessità nell’ambito delle applicazioni industriali, promuovendo l’uso della tecnologia dei gemelli digitali in svariati campi come progettazione, produzione, biomedicina, urbanistica, energia, ingegneria civile e molti altri.

La 4ª edizione di DigiTwin, svoltasi dal 14 al 18 ottobre 2024 al Politecnico di Milano, ha visto Elisa Negri, ricercatrice della POLIMI School of Management del Politecnico, ricevere il prestigioso “Digital Twin Young Scientist Award” per il suo contributo nella gestione dei sistemi produttivi tramite i Digital Twins.

Elisa Negri conduce dal 2017 ricerche sul ruolo che i Digital Twins rivestono per la gestione e il controllo dei sistemi produttivi.

I cosiddetti “Gemelli Digitali” stanno sempre più riscuotendo l’interesse di realtà accademiche e industriali per le potenzialità che possono abilitare.
Si tratta di modelli virtuali, comprendenti dati, algoritmi e simulatori opportunamente costruiti che permettono di riflettere quello che succede nella realtà fisica nel mondo digitale, potendo quindi sfruttare le potenzialità dell’elaborazione dei dati, della simulazione di scenari futuri e del monitoraggio di deviazioni rispetto a percorsi definiti.

Il lavoro di Elisa si colloca in un filone di ricerca mirato a dimostrare e quantificare come l’utilizzo dei Digital Twins possa semplificare, rendere più preciso e accelerare il processo decisionale nella gestione dei sistemi produttivi, lungo l’intero ciclo di vita: dalla progettazione e messa in opera, alla gestione operativa e manutenzione, fino alla dismissione, con una particolare attenzione alle pratiche di economia circolare.

Il ruolo del Digital Twin per la presa di decisioni in questo campo è variegato, dal supporto al monitoraggio, fino alla predizione di scenari futuri e alla ottimizzazione di parametri e quindi alla prescrizione di cosa è meglio da fare.

I benefici dimostrati riguardano una migliore produttività (anche in ottica di migliore gestione integrata della produzione e della manutenzione del sistema produttivo), un migliore impatto di sostenibilità ambientale e sociale riducendo i consumi di materiale ed energia (ma anche impattando l’operatività del personale attivo in fabbrica) e la facilitazione di adozione di pratiche di economia circolare relative al manifatturiero.

Sostenibilità e finanza: l’UE accelera, ma resta il divario tra ambiente e sociale

L’Action Plan per la Finanza Sostenibile ha aumentato gli investimenti privati nelle aziende con un purpose green, ma l’assenza di una tassonomia sociale limita lo sviluppo degli investimenti ad impatto su temi come diversità e sanità. Una ricerca evidenzia progressi e sfide per un futuro davvero sostenibile.

 

L’obiettivo dell’Unione Europea di diventare il primo continente a impatto climatico zero richiede un significativo reindirizzamento dei flussi finanziari verso attività sostenibili. Il piano d’azione sulla finanza sostenibile del 2018, insieme ai regolamenti successivi, ha svolto un ruolo chiave in questo processo, introducendo strumenti per classificare e monitorare le attività economiche sostenibili. Uno studio pubblicato su Finance Research Letters analizza l’impatto di queste politiche sui mercati privati, evidenziando risultati promettenti, ma anche limiti da superare.

La ricerca condotta da Leonardo Boni, Assistant Professor presso POLIMI School of Management, e Lisa Scheitza, ricercatrice presso la School of Business della University of Hamburg, fa parte delle attività di ricerca sviluppate dal centro di ricerca TIRESIA Polimi ed è basata su un’analisi dei dati di transazioni di private equity tra il 2007 e il 2023.

I risultati mostrano che il piano d’azione ha portato a un aumento significativo dei finanziamenti per aziende con purpose ambientali nei paesi dell’UE. Dopo il 2018, il volume delle transazioni e il valore medio degli accordi per aziende di mobilità elettrica, energie rinnovabili e economia circolare sono cresciuti del 63,4% in termini di dimensione delle operazioni e del 42,2% per i finanziamenti complessivi.
Tuttavia, gli investimenti rivolti ad imprese con purpose sociali, come la diversità o i servizi sanitari, non hanno beneficiato dello stesso slancio.

Sebbene il piano abbia migliorato la trasparenza e ridotto i rischi percepiti, le criticità non mancano. Le aziende tecnologiche orientate alla sostenibilità continuano a incontrare difficoltà nell’attrarre investimenti, ostacolate dall’incertezza normativa e dai lunghi tempi di sviluppo dei loro progetti. A complicare il quadro, l’assenza di una tassonomia sociale, ovvero un sistema di classificazione che definisca con criteri chiari e condivisi le attività che possono essere considerate socialmente sostenibili, frena il pieno impatto delle politiche europee in questo settore.

Lo studio suggerisce di ampliare il quadro normativo per garantire una distribuzione più equa delle risorse tra gli ambiti ambientali e sociali della sostenibilità. Un sostegno normativo più solido per le aziende tecnologiche potrebbe favorire un’accelerazione dell’innovazione sostenibile. Inoltre, è fondamentale implementare un monitoraggio rigoroso per scongiurare il rischio di greenwashing, ovvero la pratica di presentare come sostenibili attività o investimenti che in realtà non rispettano pienamente gli standard ambientali o sociali dichiarati, assicurando così che i fondi destinati alla sostenibilità vengano utilizzati in modo autentico e coerente con gli obiettivi dichiarati.

In sintesi, lo studio ha implicazioni anche per lo sviluppo della finanza ad impatto (impact investing). Mentre l’UE ha compiuto progressi significativi nel mobilitare capitali privati per la l’impatto ambientale, il cammino verso un equilibrio tra impatto ambientale e sociale richiede ulteriori interventi normativi e strategici.

 

Per maggiori informazioni: Analyzing the role of regulation in shaping private finance for sustainability in the European Union

Come si propagano gli spillover tra le materie prime energetiche durante periodi di maggiore stabilità ed episodi di crisi, distinguendo tra effetti a breve e a lungo termine

I combustibili fossili dominano la trasmissione degli shock lungo la catena di approvvigionamento energetico, con effetti amplificati durante gli episodi di crisi. Uno studio esplora come questi spillover influenzano i mercati delle materie prime, rivelando l’importanza di strategie di mitigazione per contenere l’instabilità.

 

I combustibili fossili spesso agiscono come principali trasmettitori di spillover – inteso come “propagazione dello shock” in un contesto economico e finanziario – verso i derivati energetici, con un’intensificazione dell’interconnessione tra le materie prime durante le crisi energetiche.

Un recente studio pubblicato sull’International Review of Financial Analysis da Mattia Chiappari, Francesco Scotti e Andrea Flori della POLIMI School of Management del Politecnico di Milano analizza le dinamiche della trasmissione degli shock tra le materie prime energetiche, descrivendo come gli spillover influenzino le materie prime lungo la catena di approvvigionamento.

Lo studio ha due obiettivi principali: primo, determinare se i combustibili fossili a monte della catena di approvvigionamento, come petrolio, gas naturale e carbone, o i derivati a valle, come benzina, gasolio da riscaldamento ed etanolo, siano dominanti nella trasmissione degli shock; secondo, valutare se questi effetti varino in base alle condizioni di mercato, soprattutto durante crisi come la crisi globale delle materie prime del 2014-2015, la pandemia di COVID-19, il conflitto tra Russia e Ucraina e il conflitto israelo-palestinese.

I risultati rivelano che i combustibili fossili sono tipicamente i principali trasmettitori di shock, mentre i derivati agiscono solitamente come ricevitori, assorbendo le fluttuazioni. Tuttavia, in periodi di grave crisi, anche i derivati possono cambiare ruolo e diventare trasmettitori, amplificando l’impatto sui mercati delle materie prime. All’interno delle materie prime, la catena di approvvigionamento del petrolio guida la trasmissione degli spillover. In particolare, l’analisi delle frequenze degli shock a breve termine mostra che i mercati delle materie prime energetiche possono assorbire gli shock nel giro di pochi giorni, evidenziando l’efficienza con cui questi mercati incorporano nuove informazioni.

Principali approfondimenti:

  • I combustibili fossili svolgono un ruolo fondamentale nella trasmissione degli shock di mercato, in particolare durante i periodi di crisi.
  • I derivati energetici, al contrario, assorbono principalmente gli shock ma possono amplificarli durante periodi di instabilità estrema del mercato.
  • L’efficienza dei mercati energetici nella gestione degli shock apre a potenziali strategie per mitigare gli impatti delle crisi di mercato.

 

Per ulteriori approfondimenti, l’articolo completo è disponibile qui: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1057521924005970?via%3Dihub

Il ruolo delle tecnologie digitali nella transizione circolare del settore tessile

 

Le tecnologie digitali stanno trasformando il settore tessile, un’industria dal forte impatto ambientale, verso un modello più circolare e sostenibile. Uno studio condotto dalla POLIMI School of Management del Politecnico di Milano esplora come soluzioni come IoT, blockchain e intelligenza artificiale possano ridurre sprechi, migliorare la trasparenza e ottimizzare i processi lungo l’intero ciclo di vita del prodotto, gettando le basi per una filiera più responsabile e innovativa.

 

I consumi relativi al settore tessile rappresentano il quarto impatto più elevato sull’ambiente e sui cambiamenti climatici. Il settore tessile è tra i settori con più alta intensità di risorse utilizzate a causa di un approccio ancora fortemente lineare, che si basa su un flusso take-make-waste e per questo motivo deve trovare nuove soluzioni per affrontare problemi ambientali. Nonostante la crescente consapevolezza di questi problemi e gli sforzi da parte del settore nell’adottare pratiche di economia circolare volte a ridurre gli sprechi, riutilizzare i materiali e riciclare i prodotti, ad oggi risulta ancora frammentata l’integrazione dei principi circolari nell’intero ciclo di vita del prodotto. Inoltre, le tecnologie digitali come IoT, blockchain e AI sono ampiamente riconosciute come promettenti abilitatori di questa transizione.

Uno studio di Rabia Hassan, dottoranda presso la School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Federica Acerbi, Paolo Rosa e Sergio Terzi, esamina il ruolo delle tecnologie digitali nella transizione circolare del settore tessile attraverso le fasi del ciclo di vita del prodotto pubblicato sul Journal of the Textile Institute.

Lo studio analizza criticamente la letteratura per offrire approfondimenti sul possibile ed efficiente utilizzo delle tecnologie digitali nella produzione tessile dalla progettazione alla fase di smaltimento. Il documento evidenzia tecnologie come Internet of Things (IoT), tecnologie 3D, blockchain, intelligenza artificiale (AI) e piattaforme digitali, che sono essenziali per abilitare questa transizione. Queste tecnologie migliorano la trasparenza della supply chain, ottimizzano i processi di produzione e promuovono il riciclaggio e il riutilizzo. Ad esempio, IoT consente un migliore tracciamento dei materiali, blockchain garantisce transazioni sicure e trasparenti e AI può prevedere le tendenze e gestire i rifiuti in modo più efficace. Gli autori hanno proposto un quadro concettuale per includere queste tecnologie lungo il ciclo di vita del prodotto per aiutare le aziende del settore tessile a raggiungere la circolarità attraverso la digitalizzazione.

Sebbene l’applicazione di queste tecnologie abbia diversi vantaggi per il settore tessile, ci sono alcuni problemi che questo settore deve affrontare durante l’adozione. Ad esempio, alcune delle sfide sono riferite agli elevati costi di implementazione, alle infrastrutture talvolta limitate e la necessità di formazione della forza lavoro. Pertanto, gli autori suggeriscono la creazione di partnership strategiche tra fornitori IT e aziende tessili, consapevoli allo stesso tempo della necessità di un adeguato supporto governativo per la realizzazione di una digitalizzazione sostenibile. Inoltre, suggeriscono anche altre forme di supporto e di scambio come ad esempio il leasing e quindi l’utilizzo di nuove tecnologie sottoforma di servizio.

Global IoT and Edge Computing Summit: l’articolo scritto dal Manufacturing Group vince il “Best Paper Award”

Durante la GIECS -Global IoT and Edge Computing Summit 2024, tenutasi il 24 settembre a Bruxelles, l’articolo è stato premiato con il prestigioso “Best Paper Award”.

 

Il Global IoT and Edge Computing Summit è un’importante conferenza internazionale che mira a raccogliere e presentare le ricerche più avanzate nel campo dell’Internet of Things e computing continuum. Questo evento riunisce ricercatori, ingegneri, scienziati e professionisti di tutto il mondo, offrendo una piattaforma ideale per confrontarsi sugli ultimi sviluppi tecnologici e sulle tendenze del settore.

Il summit rappresenta un’opportunità per i principali esperti del settore di condividere i propri studi attraverso articoli e presentazioni, permettendo così ai partecipanti di rimanere aggiornati sui progressi più significativi. Un rigoroso processo di peer review consente al comitato organizzativo di selezionare i migliori contributi provenienti dai membri della comunità tecnico-scientifica che operano nell’intersezione tra cloud, edge e Internet of Things (IoT), promuovendo una comprensione più approfondita di come il computing continuum stia plasmando il futuro della valorizzazione dei dati.

Quest’anno, l’articolo scritto da Danish Abbas Syed, Walter Quadrini, Nima Rahmani Choubeh, Marta Pinzone e Sergio Gusmeroli del Manufacturing Group della POLIMI School of Management, è stato premiato come miglior lavoro scientifico. Il paper, dal titolo “Approaching interoperability and data-related processing issues in a human-centric industrial scenario”, è stato riconosciuto per la sua rilevanza e originalità dal comitato scientifico della conferenza.

Il lavoro, che ha come primo autore il collega ricercatore Danish Abbas Syed, si inserisce in una nuova visione antropocentrica che guiderà il futuro della produzione industriale.

In linea con HumanTech il progetto finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) per il periodo 2023-2027 nell’ambito dell’iniziativa “Dipartimenti di Eccellenza”, l’articolo esplora l’uso di reti mobili private e architetture software distribuite per risolvere problematiche legate alla latenza e alla gestione dei dati generati dagli operatori di processo. In particolare, il suo contenuto pone le basi per la realizzazione di una rete di calcolatori distribuiti tra i diversi livelli di un’architettura software per monitorare lo stato di affaticamento di un operatore addetto a delle mansioni di assemblaggio manuale.

Nella sua versione prototipale, realizzata presso il centro di sperimentazioni “MADE Competence Center”, lo stato di affaticamento dell’operatore è infatti costantemente monitorato e, all’aumentare della fatica dello stesso, una serie di operazioni ausiliarie vengono prese in carico da due robot collaborativi, rilevando i carichi di lavoro più impegnativi e consentendo quindi un recupero delle condizioni ottimale, prevenendo inoltre disturbi e infiammazioni dell’apparato muscolo-scheletrico.

La comunità tecnico-scientifica dell’Alliance for IoT and Edge Computing Innovation (AIOTI), promotrice dell’evento, ha inoltre manifestato il suo interesse verso le soluzioni proposte nell’articolo, così come ha condiviso la necessità, evidenziata dal paper, di opportuni framework conformi ai principi etici di trasparenza al centro dell’attuale dibattito a livello europeo.

Innovazione e Visione: l’arte di lasciare andare per creare idee rivoluzionarie

La creazione di una visione innovativa non si limita all’ideazione individuale, ma richiede la capacità di lasciar andare le intuizioni iniziali per far emergere soluzioni collettive migliori. Lo studio, pubblicato sul Journal of Business Research, sfida le concezioni tradizionali sull’innovazione, dimostrando che il “letting go” è cruciale quanto la generazione di idee.

 

Cosa serve davvero per creare una visione innovativa? Non è solo una questione di avere l’idea giusta, ma di saperla lasciare andare.

Questo è il punto cruciale dello studio di Paola Bellis, Roberto Verganti e Federico Zasa, docenti alla POLIMI School of Management del Politecnico di Milano, pubblicato sul Journal of Business Research, che esplora come le intuizioni individuali e la capacità di “letting go” (lasciar andare) siano fondamentali per far emergere visioni di prodotto completamente nuove all’interno di un team.

L’articolo dal titolo “Who drives the creation of a novel vision? The role of individual insights and the ability of “lettingGo”” affronta due approcci contrastanti che dominano la letteratura sull’innovazione.

Da un lato, c’è l’idea che la visione nasca dal leader creativo che guida il processo e ottiene il consenso degli altri membri del team. Dall’altro, si suggerisce che una visione possa svilupparsi attraverso uno sforzo collaborativo equilibrato, in cui tutti i membri contribuiscono in modo paritario.

Gli autori, tuttavia, introducono una nuova prospettiva, sottolineando che non importa tanto chi sia il principale promotore della visione, ma piuttosto la capacità dei membri del team di abbandonare le prime intuizioni quando necessario.

Attraverso l’analisi di 26 gruppi di top management, i ricercatori dimostrano come le descrizioni iniziali di una visione si trasformano da semplici idee individuali a concetti condivisi. Questo processo, chiamato “sense-breaking“, è altrettanto importante quanto l’aggiunta di nuove intuizioni: abbandonare o modificare le prime idee permette alla creatività collettiva di evolversi e crescere.

Questo suggerisce che il successo nell’innovazione non deriva solo dalla brillantezza di un’idea iniziale, ma dalla capacità di adattarsi e rielaborare collettivamente le intuizioni, lasciando spazio a una visione più grande e condivisa.

 

Per leggere l’articolo completo: Who drives the creation of a novel vision? The role of individual insights and the ability of “letting go”