Il prodotto non basta. Il B2B e la sfida della trasformazione digitale

 

Il digitale rivoluziona anche il rapporto tra fornitore e cliente. Le parole chiave delle imprese diventano così marketing e servizio

Marketing e imprese B2B: un connubio recente, ma già imprescindibile. Fino a poco tempo fa era il reparto commerciale a occuparsi tanto della costruzione della reputazione nei confronti delle aziende, quanto della conversione di queste in clienti. Con la trasformazione digitale il panorama è mutato. Le imprese italiane, storicamente poco sensibili al marketing, sono ora protagoniste di una presa di coscienza improvvisa. Ce lo spiega il professor Giuliano Noci, Professore di Strategia e Marketing
presso il Politecnico di Milano: «Il cambiamento deriva da due elementi. Uno è di ordine tecnologico, l’altro è legato a un calo di risultati delle reti commerciali tradizionali».

La tecnologia impone un rapporto più profondo con il cliente

La componente tecnologica che impone alle aziende B2B di puntare sul marketing presenta due aspetti: «Innanzitutto, oggi non basta più che il prodotto sia tecnologicamente avanzato. Per essere attrattivo deve funzionare in un certo modo, secondo le aspettative del cliente», racconta Noci. «Viene rivoluzionato il rapporto tra fornitore e cliente, dove quest’ultimo non compra tanto il prodotto, quanto piuttosto il servizio a esso associato. Tradizionalmente, le imprese B2B hanno sempre vantato una grande conoscenza di ciò che vendevano, a cui però non corrispondeva una conoscenza altrettanto approfondita del cliente e dei suoi bisogni. Il marketing, oggi, è lo strumento con cui instaurare questa nuova intimità. Ed è qui che entra in gioco il secondo elemento legato all’aspetto tecnologico: i confini della competizione oggi sono mutevoli. Le analisi organiche e sistematiche del contesto, dei competitori, dei clienti diventano cruciali. Solo conoscendo tutti questi fattori si possono intercettare i trend e rispondere ai bisogni dei clienti, fornendo loro dei servizi che altrimenti sarebbero erogati da qualcun altro».

La relazione, prima della transazione

D’altra parte, le performance delle reti commerciali a cui si sono appoggiate finora le aziende non sono paragonabili a quelle di una volta. Questo impone un ripensamento strategico, secondo Noci: «Il buyer industriale adotta comportamenti simili a quelli dei privati che oggi comprano online. Si costruisce una rete di alternative di acquisto possibili, e solo dopo incontra il fornitore. Questo significa che bisogna pensare alla costruzione di un sistema omnicanale, a partire dal classico sito web, per proseguire anche sui social, come LinkedIn. Per gestire tutti questi nuovi elementi, diventa ineludibile l’integrazione tra marketing e commerciale, tant’è che quest’ultimo vira sempre più verso la funzione di advisor nei confronti dei clienti».
Questi cambiamenti impongono alle aziende un ribaltamento dei paradigmi operativi: «Il modello su cui basarsi non sarà più transazionale, ma relazionale, perché le nuove tecnologie sublimano la dimensione umana. Analogamente, non bisogna più pensare in termini di prodotto, ma di servizio. Se un’azienda invece si appiattisce sul prodotto, potrà avere dei margini operativi solo su quello, mentre la vera sfida e i veri guadagni sono legati ai servizi connessi al prodotto stesso. Ci vuole coraggio, soprattutto per le piccole imprese, che possono sfruttare una maggiore flessibilità: uscire dalla comfort zone, e capire come posizionarsi in una rete di imprese che offrono servizi», consiglia Noci.

Per i manager la sfida è culturale

In questo processo le figure dei manager diventano fondamentali. «Non devono essere solo estremamente competenti e avere capacità di marketing e strategiche. Poiché devono portare le aziende a un cambiamento che è prima di tutto culturale, devono possedere grandi capacità di leadership, con le quali farsi seguire anche da chi per molti anni ha lavorato in un contesto differente» conclude Noci. In questa prospettiva i corsi brevi dell’area B2B del marketing del MIP hanno l’obiettivo di fornire strumenti concreti per far fronte alla crescente importanza della trasformazione digitale.

Master in Performing Arts Management: aperte le iscrizioni

Sono aperte le iscrizioni per la nuova edizione del Master in Performing Arts Management (MPAM), in partenza a novembre 2020.

Per saperne di più, partecipa alle presentazioni in programma:

-Martedì 22 gennaio alle ore 17.30, presso il nostro partner Accademia Teatro Alla Scala

Martedì 28 gennaio al MIP.

Il Master MPAM, infatti, è stato sviluppato in partnership con Accademia Teatro alla Scala e in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.

Prendere parte a questo Master significa comprendere a fondo l’intero mondo delle arti performative.

Lo stretto legame con il Teatro alla Scala e la possibilità di frequentare lezioni tenute da professionisti, infatti, consentono agli studenti di acquisire conoscenze teoriche e pratiche estremamente approfondite, arricchite da internship presso alcune delle più importanti istituzioni culturali italiane e internazionali.

Career Development Training 2020

Il Career Development Center riapre la stagione 2020 con un catalogo formativo di 12 Career Workshop e Career Lab, realizzato in collaborazione con prestigiosi Trainer e Coach, esperti di Career Management a livello internazionale.

Questo percorso esclusivo, dedicato ai corsi MBA ed Executive MBA, consente di sviluppare competenze di Career Self-Design che, all’interno di un mercato del lavoro sempre più complesso ed esigente, risultano fondamentali per trasformarsi in “Career Leader” di successo.

Grazie al team IP Career Trainer MIP, di cui fanno parte, tra gli altri, Luigi Centenaro, Fondatore e Managing Partner di Big Name,  Sandra Bichl, Partner di Career Angels ed Edorado Sala, Director di Ideas on Stage, i partecipanti potranno, a partire dalla definizione di un obiettivo professionale individuale, acquisire la metodologia e gli strumenti necessari a costruire un piano di sviluppo personalizzato.

Obiettivo finale? Diventare imprenditori di sè stessi.

Food Policy. Oltre 150mila pasti recuperati con 77 tonnellate di cibo: il successo dell’Hub di via Borsieri

Pronto a partire un nuovo centro contro lo spreco alimentare nel Municipio 3

L’Hub di quartiere di via Borsieri contro lo spreco alimentare compie un anno e festeggia con un grande successo: 77 tonnellate di cibo per 154.000 pasti equivalenti recuperati e 21 organizzazioni non profit coinvolte, 11 supermercati e 5 mense aziendali. Pronto a decollare un nuovo Hub in Municipio 3.

Possiamo decisamente parlare di un grande successo per l’Hub di via Borsieri – commenta la Vicesindaco con delega alla Food Policy Anna Scavuzzo –, che ha così posto le basi per poter essere replicato anche in altri Municipi. I numeri raggiunti dimostrano ancora una volta che se tutti gli attori collaborano per un obiettivo comune è possibile creare una rete efficace e solidale capace di rispondere ai bisogni anche di una grande città come Milano. Grazie alla partecipazione di due nuovi importanti attori come AVIS Comunale di Milano e Banca di Credito Cooperativo di Milano siamo dunque pronti ora a partire anche nel Municipio 3”.

Il progetto dell’Hub di quartiere è nato all’interno delle azioni definite nel protocollo “Zero Sprechi” promosso da Comune di Milano, Assolombarda, Politecnico di Milano, realizzato in collaborazione con Banco Alimentare della Lombardia e sostenuto dal Programma QuBì – La ricetta contro la povertà infantile promosso da Fondazione Cariplo con il sostegno di Fondazione Vismara, Intesa Sanpaolo, Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi, Fondazione Fiera Milano e Fondazione Snam.
Programma QuBì – afferma Monica Villa Vicedirettrice dell’area servizi alla persona della Fondazione Cariplo – ha scelto fin da subito di sostenere gli Hub in quanto permettono di recuperare il fresco, in particolare frutta e verdura e quindi migliorare l’alimentazione delle persone in povertà.
Programma QuBì continuerà a sostenere anche per il 2020 l’Hub di via Borsieri e quello del Municipio 4, che lavoreranno in connessione con il nuovo Hub di Lambrate.

Obiettivo dell’Hub di quartiere è quello di fornire risposte concrete alla domanda di riduzione degli sprechi alimentari in città e di accesso al cibo da parte delle persone bisognose, garantendo un servizio di raccolta alimentare e redistribuzione su piccola scala.
Le tonnellate di cibo donato nell’Hub di via Borsieri sono state 77, per un totale di circa 154.000 pasti equivalenti, con un valore economico di 308.000 euro, raggiungendo i livelli previsti dal modello studiato dal Politecnico di Milano tra i partner del progetto. Sono inoltre aumentati nel corso dell’anno gli attori sociali che usufruiscono del servizio: le organizzazioni non profit sono infatti passate da 14 a 21.

Esprimo una enorme soddisfazione nell’aver contribuito a realizzare una soluzione di sistema per affrontare il recupero delle eccedenze piccole e diffuse, le più difficili da gestire. Questi progetti hanno un valore di educazione alla solidarietà – sia per i singoli sia per la collettività – di cui abbiamo profondo bisogno in questa epoca in cui sono alti i rischi di aumento della disuguaglianza sociale e della emarginazione” afferma Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Responsabile Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.

A distanza di un anno i risultati del progetto, stimolato e coordinato da Banco Alimentare della Lombardia nella logistica e nel rispetto degli aspetti igienico sanitari, confermano che è una risposta vincente al bisogno alimentare sul territorio grazie alla rete di collaborazione tra Istituzioni Pubbliche, profit, non profit e Università.” dichiara Marco Magnelli, Direttore di Banco Alimentare della Lombardia.

Anche molte aziende associate ad Assolombarda, attraverso le mense hanno partecipato alla donazione del cibo in avanzo favorendo la diminuzione degli sprechi. A queste si aggiungono anche quelle della grande distribuzione organizzata che recupera ogni giorno diverse tipologie di alimenti che transitano dall’Hub e vengono redistribuiti ai diversi soggetti – in totale 11 supermercati e 5 mense aziendali.

Il successo dell’Hub di Quartiere di via Borsieri e l’ apertura del nuovo Hub nel Municipio 3 sono la dimostrazione della forza del fare sistema – ha dichiarato Alessandro Scarabelli, Direttore Generale di Assolombarda -. Un traguardo che ci rende orgogliosi, reso possibile grazie anche al determinante contributo delle nostre imprese, che hanno deciso di giocare un ruolo attivo per ridurre lo spreco alimentare promuovendo un modello replicabile ed efficace. I risultati dell’iniziativa ci spingono a rafforzare il nostro impegno sul tema, con l’obiettivo di diffondere sempre di più le buone pratiche e la cultura della riduzione dello spreco in una logica di maggiore sostenibilità e responsabilità verso il nostro territorio

La novità più importante per il 2020 è il nuovo progetto per l’apertura di un ulteriore Hub di quartiere nel Municipio 3, in zona Lambrate, grazie alla partecipazione di AVIS Comunale di Milano e Banca di Credito Cooperativo di Milano, che hanno partecipato all’avviso pubblicato dal Comune di Milano nei mesi scorsi.

Siamo consapevoli dell’urgenza di rafforzare su tutta Milano questa rete capace di combattere la povertà alimentare e al tempo stesso lo spreco di cibo – dichiara Giuseppe Maino, Presidente di BCC Milano – perciò abbiamo deciso di sostenere il progetto, di cui condividiamo obiettivi e valori. In particolare, siamo orgogliosi dei nostri Soci che, rinunciando al consueto dono natalizio della Banca, hanno scelto di devolvere la cifra corrispondente alla realizzazione dell’Hub di quartiere. Da tempo siamo impegnati a sviluppare un network virtuoso con le più importanti realtà associative e istituzionali della Città Metropolitana per sostenere e potenziare le migliori energie del territorio”.

Anche Avis Milano ha partecipato all’Avviso Pubblico dedicato agli Hub di quartiere poiché in linea con i nostri obiettivi – afferma Sergio Casartelli Direttore Generale di Avis Milano ” e attraverso la messa a disposizione dei nostri spazi nel Municipio 3, daremo il nostro contributo a questo importante progetto in città entrando a far parte della rete degli attori coinvolti nella lotta allo spreco alimentare a Milano“.

 

Con le digital platform il manager si fa designer dell’innovazione

In un contesto sempre più digitale, la funzione del dirigente assomiglierà a quella di un architetto: una figura più carismatica e meno operativa in grado di sviluppare visioni e costruire relazioni

 

Trasformazione digitale e management dell’innovazione: cosa sta succedendo in questi due ambiti, così importanti per il futuro delle imprese? È il tema del workshop Digital trasformation and Innovation Management: Opening up the Black Box, che si è tenuto il 19 e il 20 dicembre presso il Politecnico di Milano. Tra gli accademici che vi hanno preso parte, c’è anche il professor Carmelo Cennamo, della Copenhagen Business School. «In un contesto sempre più digitale, la funzione del manager assomiglierà sempre più a quella di architetto» sostiene Cennamo. «In un’economia basata sulle digital platform, avrà il compito di disegnare nuove architetture relazionali con le altre aziende. Dovrà valutare se all’azienda conviene utilizzare una propria piattaforma o se affidarsi a terzi, e capire quale ruolo e quale posizione strategica dovrà assumere la sua compagnia in questa struttura. È un’evoluzione che avvicina la figura del manager a quella del designer, rendendola meno operativa. Ma dovrà sempre trattarsi di una figura carismatica, in grado di sviluppare visioni e immaginare nuove configurazioni nel sistema di valore».

Modularità, complementarietà, flessibilità

La chiave di questo cambiamento è la digital platform. «Sono ecosistemi basati su piattaforme che funzionano per mezzo di strutture relazionali, dove le aziende sono interdipendenti tra loro e condividono un insieme di attività correlate», spiega Cennamo. Sono due, principalmente, le caratteristiche delle digital platform: «La prima è la modularità. Significa che le varie attività all’interno di una piattaforma possono sì essere complementari, ma rimangono comunque indipendenti. Il secondo elemento è proprio la complementarietà. Viene così incentivato il coordinamento, che avviene proprio grazie alle peculiarità di questo sistema. È un mondo dove vengono meno i classici rapporti contrattuali, in nome di una maggiore flessibilità».

Grandi e piccole alla prova della disruption

Un cambiamento simile ha delle ricadute non da poco su tutte le imprese, grandi e piccole. «Le potenzialità sono assolutamente disruptive» racconta Cennamo. «Assistiamo a una progressiva disintermediazione, che mette in contatto attori precedentemente disconnessi. Le piattaforme aiutano a mettere direttamente sul mercato un’offerta, così nasce un mercato liquido che supera di gran lunga i limiti di quello tradizionale». Per le piccole imprese il vantaggio è notevole: «Si riesce ad arrivare al di là dei mercati locali, raggiungendo un giro di potenziali clienti immensamente più ampio». Per le grandi imprese, soprattutto le incumbent che hanno sempre offerto servizi di tipo premium, le cose sono un po’ diverse. «Prendiamo l’esempio degli hotel di alto livello, che avevano relazioni privilegiate con la clientela. Per loro, un mercato più liquido ha significato anche un mercato più trasparente e competitivo. E questo ha comportato una certa difficoltà. Ma lo stesso vale per le banche, che guardano con timore all’avvento delle fintech. Con le digital platform, chi non aveva degli asset è riuscito a trovare un valore».

L’importanza della “visione” per il manager

Dalla digital platform alle cognitive enterprises, il passo è breve. «L’azienda è sempre stata una struttura che riceveva input e mandava all’esterno degli output, spesso materiali. Oggi la materia prima da processare sono i dati, fondamentali per chi vuole sfruttare tecnologie come i big data, il machine learning, l’intelligenza artificiale… L’evoluzione è questa. I rischi, però, sono due: da una parte le piccole aziende potrebbero ritrovarsi ad avere una mole di dati troppo piccola, insufficiente per le tecnologie che abbiamo citato. Potrebbero essere così costrette ad affidarsi a qualcun altro, a un player più grande. Dall’altra parte, bisogna evitare che i manager si affidino ciecamente ai dati processati dalle intelligenze artificiali. Perché anche quei dati vanno saputi interpretare, e vanno letti in modo critico. Un vero manager non potrà mai fare a meno delle sue capacità di visione strategica», conclude Cennamo.

Le nuove competenze per la carriera: le digital skills ricercate dalle aziende

 

Con l’obiettivo di aiutare gli allievi a sviluppare tutte le competenze necessarie a gestire in modo efficace il proprio percorso di carriera, la Scuola programma regolarmente attività, eventi, seminari e workshop di approfondimento su varie tematiche.

Il mese scorso, per esempio, le aule MBA ed Executive MBA hanno avuto occasione di approfondire il tema delle Digital Skill durante una tavola rotonda che ha visto coinvolti Giuseppe Busacca, Group Director of Customer Operations di TeamSystem, Matteo Sola, People and Culture Manager, Digital HR a Talent Garden, Maurizio Marchini, Chief Operating Officer di Alpenite e Giorgio Crainz, Senior Manager, Ernst & Young.

In questa occasione i partecipanti hanno potuto scoprire di più su quali sono le Digital Hard Skills & Digital Soft Skills più ricercate dalle aziende e riflettere sull’impatto della trasformazione digitale sul mondo delle Risorse Umane. La conoscenza delle nuove tecnologie, infatti, è una di quelle competenze che le aziende ritengono ormai fondamentale ed è importante trasferire agli allievi informazioni aggiornate sui trend di mercato e sulle aspettative dei potenziali employer.

La conoscenza delle nuove tecnologie, infatti, è una di quelle competenze che le aziende ritengono ormai fondamentale ed è importante trasferire agli allievi informazioni aggiornate sui trend di mercato e sulle aspettative dei potenziali employer.

Questo è evidente anche in FLEXA, la nuova piattaforma di continuous learning che sfrutta l’intelligenza artificiale, che aiutata gli allievi del MIP a valutare non solo le proprie hard e soft skill, ma anche quelle digitali.

Siete pronti per la FLEXA experience?

 

La Digital Innovation è uno dei temi centrali della nostra Scuola. Tutto è iniziato nel 2014 con il lancio del Flex EMBA, il primo Executive MBA in distance learning. Da allora il nostro impegno nell’innovazione nel campo della formazione è cresciuto in modo esponenziale. Infatti, abbiamo appena lanciato FLEXA, la nuova piattaforma di Intelligenza Artificiale sviluppata in partnership con Microsoft, volta ad assicurare un apprendimento continuo a studenti, Alumni e – presto – professionisti.

Come funziona?

FLEXA valuta le hard, soft e digital skill dell’utente, con l’obiettivo di individuare le lacune da colmare e disegnare il percorso verso i propri obiettivi professionali.

Una volta identificati i gap da riempire, il tempo a disposizione e gli interessi, FLEXA segnala all’utente proprio quei contenuti utili per migliorare la propria conoscenza, selezionando da fonti certificate materiali di alto livello, come webinar, eventi ed articoli.

“La grande varietà di articoli e di fonti fornite da FLEXA mi sta aiutando a rafforzare le mie competenze di management; leggere articoli interessanti e ragionare sugli spunti forniti dai leader di tutto il mondo è un’esperienza che mi arricchisce e che mi aiuta a migliorare la mia conoscenza del management”, spiega Alessandro Fadda, Alumnus MIP e utente FLEXA.

Tuttavia, FLEXA offre molto di più.

Gli studenti, per esempio, possono arricchire il proprio percorso di sviluppo di carriera sfruttando le potenzialità di FLEXA. Avranno infatti la possibilità di mostrare – del tutto o in parte – il proprio profilo alle aziende – che entreranno presto su FLEXA, di vedere le offerte di lavoro e di ricevere indicazioni su quali temi approfondire per rendere il proprio profilo più interessante per una specifica azienda.

Questo è reso ancora più efficace dal coinvolgimento delle aziende, che possono registrarsi su FLEXA per pubblicizzare le proprie posizioni aperte, per le quali la piattaforma restituisce una lista di candidati in linea, basandosi su una serie di filtri che l’azienda può impostare.

Inizia subito la tua esperienza su FLEXA, accedi alla piattaforma!

 

 

Tecnologia e gestione del business: la School of Management del Politecnico di Milano tra le 3 migliori scuole di Università “tecniche” in Europa secondo il Financial Times

I ranking 2019 editi dal Financial Times e dedicati al mondo delle business school europee posizionano la Scuola milanese tra le prime 50 in assoluto (45) su un totale delle top 95, e sul podio se la si confronta con le altre appartenenti ad Atenei focalizzati su innovazione e ingegneria. Meglio solo Imperial College (UK) e Aalto University (Finlandia). I prodotti in classifica vanno dall’MBA all’EMBA, al Master of Science in Ingegneria Gestionale, ai programmi per le imprese e i professionisti

 

 

Affiancare ai corsi di management, economia e finanza l’apprendimento di competenze ingegneristiche e tecniche, indispensabili per comprendere e gestire con successo la trasformazione digitale nelle imprese. È questo “orientamento” a contraddistinguere le business school legate a Università con un focus tecnologico come la School of Management del Politecnico di Milano, posizionato tra le prime 3 in Europa con le stesse caratteristiche secondo il Financial Times, che ha pubblicato i consueti ranking annuali sulle 95 migliori scuole di business europee.

Per l’undicesimo anno in classifica, la School of Management del Politecnico di Milano regge bene il confronto con il resto d’Europa anche nella classifica generale, dove compare al 45esimo posto con cinque linee di prodotto. Si va dai “classici” MBA full time ed Executive EMBA al Master of Science in Ingegneria gestionale, a un’ampia e innovativa offerta di programmi ad hoc per le imprese e per il mercato Open di manager e professionisti, con una marcata impronta tecnologica sia nei contenuti, sia nella forma: sempre più corsi infatti sono fruibili in distance learning grazie allo sviluppo di specifiche piattaforme informatiche che permettono di gestire la formazione in maniera flessibile e attenta alle esigenze dell’utente.

L’FT European Ranking 2019 valuta i migliori programmi di MBA, Executive MBA, master of science, corsi a catalogo e su commessa. I parametri che determinano il posizionamento in classifica sono numerosi, tra cui l’opinione che gli stessi diplomati hanno dei docenti e del prodotto formativo, la retribuzione o l’avanzamento di carriera che si raggiungono dopo avere frequentato il master e l’esposizione internazionale della Scuola.

La School of Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e dal MIP, la business school dell’Ateneo milanese. “Da anni abbiamo puntato sull’internazionalizzazione dei corsi e sulle competenze legate alla trasformazione digitale, che sarà la principale sfida per le nostre aziende, perché un buon manager dovrà essere un esperto nella gestione dell’innovazione”, commentano Alessandro Perego e Andrea Sianesi, rispettivamente Direttore del Dipartimento e Dean di MIP.

Il giudizio del Financial Times, che nuovamente ci inserisce tra le migliori scuole di management con una forte impronta tecnica e ingegneristica – proseguono -, è premiante non solo per noi, ma per gli studenti e per le imprese nostre clienti, che continuano ad apprezzare l’ampiezza e la qualità della nostra attività formativa. Tra i criteri di valutazione, infatti, rientrano le possibilità di carriera di chi esce dai nostri corsi, la buona opinione dei diplomati sui docenti e i prodotti e l’internazionalizzazione della Scuola, tutti aspetti che ci stanno particolarmente a cuore e su cui abbiamo costruito la nostra proposta”.

Meglio un master specialistico o un MBA?

Non c’è una risposta valida per tutti. Perché prima di compiere una scelta, è sempre bene tenere in considerazione due fattori: la propria esperienza professionale e l’obiettivo da conseguire

Orientarsi in un’offerta formativa ampia come quella dei master può essere tutt’altro che semplice. Soprattutto se non si hanno ben chiare le premesse su cui i master stessi si basano, e se non si ha un’idea chiara dell’obiettivo che si vuole conseguire. A volte capita che il dubbio oscilli tra due percorsi, entrambi validi ma molto diversi tra loro: i master specialistici e gli MBA. Come scegliere fra l’uno e l’altro?

Il curriculum fa la differenza

Una domanda a cui risponde Greta Maiocchi, Head of Marketing & Recruitment del MiP Politecnico di Milano: «La prima grande differenza è data dall’esperienza professionale. Il master specialistico si avvicina al Master of Science, cioè alla laurea specialistica, e quindi si rivolge principalmente a chi ha appena finito un percorso triennale o a chi ha cominciato a lavorare da poco. Per accedere all’MBA è necessario, invece, avere almeno tre anni di esperienza lavorativa».

E proprio chi ha l’esperienza maggiore, a volte, commette un errore di valutazione: «Sempre più persone che magari hanno già quattro o cinque anni di seniority ci chiedono di iscriversi a un master specialistico. Il problema è che vanno in aula con un bagaglio culturale troppo elevato rispetto agli altri partecipanti. Sono situazioni che cerchiamo di evitare», spiega Maiocchi.

Un master verticale e un master orizzontale

La seconda grande differenza, invece, riguarda i temi affrontati. Il master specialistico ha un’impostazione di tipo verticale, spiega Maiocchi: «Può essere sul lusso, sulla supply chain, sull’energy management, sui big data. Sviluppa insomma delle competenze grazie a cui si può diventare molto validi in un ambito o in una funzione specifici. Solitamente, è scelto dai giovani che vogliono specializzarsi».

Tutt’altro discorso per i master MBA, che hanno un taglio generalista e affrontano tutte le discipline utili a poter apprendere quelle skill che sono poi applicate in un contesto strategico. «L’obiettivo in questo caso – spiega Maiocchi – è fornire una panoramica di come funziona un’organizzazione, per poter così puntare a un ruolo manageriale di alto livello. Un partecipante di un nostro MBA nel 2009 oggi è vicepresidente di una grandissima azienda di credito. Aveva appena quattro anni di esperienza lavorativa».

Le soft skill prima di tutto

Poiché tra gli obiettivi dell’MBA spicca la capacità di gestire il cambiamento e le persone, le soft skill acquisiscono un peso predominante, già in fase di selezione. «Oltre a quattro test scritti, in cui verifichiamo le capacità analitiche, svolgiamo anche dei lunghi colloqui in cui valutiamo l’attitudine del candidato a risolvere problemi, essere propositivo, gestire lo stress. Anche le capacità empatiche e comunicative sono importanti: negli MBA si impara tantissimo dagli altri. Una persona che non ha nulla da offrire ai suoi compagni di classe non è il nostro candidato ideale. Ma non è il candidato ideale di nessuna azienda, se il suo obiettivo è essere un leader».

Può essere un candidato ideale, invece, chi ha nel suo bagaglio anche delle qualità creative: «Ultimamente abbiamo avuto dei partecipanti più bravi dal punto di vista artistico, persone con una laurea in economia che poi, ad esempio, sono andate a fare i videomaker. Vantavano un’incredibile capacità di visualizzare risultati e obiettivi. Per questo guardiamo con grande interesse anche alla parte più creativa e innovativa».

Come ribadisce Maiocchi, poi, diventa importantissimo sviluppare quelle competenze che per le aziende fanno la differenza: «Bisogna sapersi adattare al cambiamento e stimolarlo. Il mondo va di fretta, e offre opportunità e sfide che evolvono continuamente. Il compito di un buon leader sta anche nel trascinare il suo team in questi processi. Infine, è fondamentale saper lavorare per progetti. Tutto l’MBA è strutturato per progetti: più che una disciplina, è una vera e propria metodologia che può essere applicata a una pluralità di settori».

D HUB

 

È nata D HUB, la nuova piattaforma di digital learning del MIP! Questo nuovo strumento, pensato per offrire agli studenti un’esperienza formativa ancora più coinvolgente, rappresenta un nuovo traguardo nel percorso di innovazione digitale intrapreso dalla Scuola ormai da diversi anni.

“Quello che abbiamo notato – spiega il Prof. Federico Frattini, Associate Dean of Digital Transformation al MIP – è una maggiore richiesta di flessibilità. Le persone oggi cercano programmi post-laurea altamente personalizzati e con un forte legame con il mondo reale. Il tutto in un formato compatibile con gli impegni lavorativi e familiari. Come conseguenza di questo grande cambiamento, abbiamo sempre più studenti interessati a programmi che includono componenti digitali o persino erogati totalmente in digital learning.”

Un cambiamento che non ha colto la Scuola impreparata. Risale infatti al 2014 il lancio del Flex EMBA, il primo Executive MBA del MIP fruibile a distanza. Offrire agli studenti la possibilità di partecipare alle lezioni ovunque si trovino e in qualsiasi momento tramite un’innovativa piattaforma di digital learning non è stato che il primo passo verso un’esperienza formativa sempre più digitale e senza limiti.

Da allora, la componente digitale è diventata una parte sempre più integrante nei corsi del MIP, andando a toccare anche prodotti come i Master specialistici o l’MBA Full Time, tradizionalmente in presenza, offrendo così agli allievi una Digital Experience completa.
Questa evoluzione ha fatto nascere la necessità di dare vita a una nuova piattaforma, D HUB, ancora più innovativa e al passo con i tempi.

La nuova interfaccia grafica guida gli studenti nello studio, registrando automaticamente i progressi dell’utente, mentre la libreria di clip asincrone è stata aggiornata con nuovi video, che offrono agli allievi la possibilità di scegliere tra l’audio in inglese e quello in italiano e di attivare i sottotitoli.

A queste novità si aggiungono anche altre funzionalità utili, come un sistema di notifiche personalizzabile, la segnalazione delle clip propedeutiche alla prossima sessione live e una chat chiusa per ogni aula.
Per offrire un’esperienza ancora più completa ai nostri studenti, sarà disponibile da inizio 2020 anche la nuova versione della app dedicata.