Le medie imprese ad alta crescita in Europa: il dataset RISIS-Cheetah

 

Oltre 42 mila medie imprese ad alta crescita in 30 paesi europei: sono le ‘Cheetah firms’, mappate grazie al dataset RISIS-Cheetah sviluppato dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, in collaborazione con l’Università del Sussex.

Il 24 Ottobre, a Bruxelles, si è tenuto il primo Policy meeting del progetto RISIS2, focalizzato sulle prime evidenze empiriche derivanti dal dataset RISIS-Cheetah e sulla rilevanza politica di questa categoria di imprese. RISIS2 è un progetto finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020, e ha l’obiettivo di fornire un’infrastruttura di ricerca Europea per supportare lo sviluppo di nuovi dataset e di indicatori.

La discussione sulle ‘Cheetah firms’ è stata guidata da Massimiliano Guerini, professore della School of Management, e da Roberto Camerani, ricercatore dell’Università del Sussex. “Le Cheetah firms sono imprese di medie dimensioni che hanno registrato una crescita eccezionale. Queste imprese possono svolgere un ruolo chiave per favorire la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro”, commenta Guerini. “Con il progetto RISIS siamo ora in grado di studiarle e di comprendere meglio i loro driver di crescita“.

Le imprese ad alta crescita hanno ricevuto notevole attenzione da parte di studiosi, accademici e policy makers, dal momento che giocano un ruolo cruciale per la creazione di nuovi posti di lavoro. Ad esempio, è noto che la maggior parte delle imprese non registra performance di crescita elevata e che, se questo avviene, i fattori alla base del processo di crescita sono difficili da prevedere. Inoltre, si sa che tassi di crescita sostenuti tendono a non persistere nel tempo.

Ciononostante, l’evidenza empirica disponibile tende a concentrarsi su imprese di piccole dimensioni, start-up o su imprese di grandi dimensioni, mentre la dinamica di crescita delle imprese di media dimensione è poco nota. Eppure, le medie imprese possono fornire un contributo significativo per sostenere l’espansione occupazionale dell’economia europea.

L’evento aveva come obiettivo discutere il ruolo cruciale rivestito dalle ‘Cheetah firms’ nella creazione di posti di lavoro, con l’idea di fornire nuovi spunti di riflessione per lo sviluppo di politiche a supporto della crescita, presentando i risultati principali ottenuti tramite il dataset RISIS-Cheetah, in particolare sulla distribuzione geografica, sulla specializzazione settoriale e sui processi di agglomerazione che caratterizzano le medie imprese europee ad alta crescita, rispetto alle altre medie imprese europee che non hanno sperimentato la stessa performance di crescita elevata.

SOM per i SDGs: il premio per le tesi con impatti sui Sustainable Development Goals

 

Claudia Cuttini, Celine De Vincenzi, Giulia Montuori, Anabel Velazque, Rocco Abbattista, Giulia Madoglio, Sonia Saibene: sono i vincitori dell’edizione 2019 del premioSOM per i SDGs”, premiati ieri in occasione dell’evento “School of Management per il Non Profit” che si è tenuto presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

Il premio è destinato a Tesi e Project Work finali di Alumni della School of Management con impatto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che rappresentano un contributo per risolvere le sfide sociali del nostro tempo e propongono modelli di sviluppo sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale.

Sono state 27 le candidature ricevute (18 Laureati Magistrali in Ingegneria gestionale e 9 Alumni MBA e altri Master MIP), valutate in base a quattro criteri: impatto sui SDGs, contenuto innovativo, metodologia utilizzata, trasferibilità e replicabilità dei risultati.

Nelle loro tesi di Laurea Magistrale, Claudia Cuttini e Celine De Vincenzi hanno lavorato sul tema della riduzione degli sprechi alimentari lungo la supply chain agri-food, mentre Giulia Montuori sul ruolo dell’esperienza del paziente nelle terapie contro il cancro.

I project work vincitori trattano invece temi come Data Science, di Anabel Velazque (Master in Business Analytics and Big Data) e ambiente, di Rocco Abbattista, Giulia Madoglio, Sonia Saibene (International Part Time MBA).

L’evento aveva anche lo scopo di incontrare le organizzazioni del terzo settore per condividere le esperienze sviluppate e i risultati raggiunti all’interno del programma “School of Management per il Non Profit”, nonché dare avvio a un nuovo ciclo di collaborazione.

Lo sviluppo delle relazioni con le organizzazioni non profit e le imprese sociali occupa un posto centrale nel programma, che è stato lanciato nel 2017 con l’obiettivo di valorizzare e inserire in una strategia coerente le iniziative della Scuola legate alla sostenibilità sociale ed ambientale e all’etica del business.

Il programma rappresenta uno spazio di collaborazione e confronto reciproco con il mondo non profit, facilita il contatto di tali organizzazioni con gli studenti, i docenti e lo staff della Scuola per mettere a disposizione competenze e sviluppare progetti comuni.

In tre anni più di 400 studenti si sono messi alla prova affrontando le sfide di conoscenza e di gestione che sono state poste da organizzazioni non profit ed imprese sociali, conducendo più di 100 progetti tra tesi di Laurea Magistrale e project work, con la guida di 20 professori e ricercatori.

Le organizzazioni sociali sono viste da un numero sempre maggiore di studenti e docenti della Scuola come attori centrali dell’economia e della società, e il terzo settore diventa sempre più spesso ambito applicativo dell’Ingegneria Gestionale, con una crescita anche dell’interesse scientifico.

Le internship per gli studenti e laureati della Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale e del MIP Graduate School of Business sono un altro modo di scambiare conoscenza.

Oltre alla didattica, progetti di ricerca sono stati condotti con diverse organizzazioni, ma si mira a rafforzare le opportunità per attività congiunte di dimostrazione, capacity building e ricerca. Infine, la Scuola assiste le organizzazioni non profit e le imprese sociali nell’affrontare le loro necessità di formazione.

 

Saper imparare: la più grande sfida per i leader di domani

Soft Skill: perché sono importanti

 

In un contesto sempre più incerto e in rapida evoluzione, diventa sempre più importante, per un manager, la capacità di imparare, apprendere, confrontarsi con nuove situazioni. Ecco perché le soft skill sono destinate e superare le hard skill

 

I manager del futuro non potranno prescindere dalle soft skill. È quanto si evince leggendo il Future of Jobs Report 2018, il corposo libro bianco pubblicato dal World Economic Forum che fa il punto sui trend globali in atto nel mondo del lavoro. Stando alle previsioni, entro il 2022 il mercato prediligerà una forza lavoro capace di pensare criticamente, di innovare, di creare, di apprendere. Discorso valido per tutti, ma ancora più importante per chi si prepara ad assumere un ruolo di leadership.

Un contesto in rapido mutamento

L’affinamento delle intelligenze artificiali, del machine learning, l’esplosione dei big data, sposteranno l’equilibrio uomo-macchina. E il futuro politico ed economico del nostro pianeta sarà sempre più difficilmente prevedibile. Non è un caso che, negli ultimi tempi, sia tornato in voga un acronimo coniato nel 1987, VUCA, che nei suoi termini descrive alla perfezione tanto il mondo attuale quanto quello a venire: Volatility (instabilità), Uncertainty (incertezza), Complexity (complessità) e Ambiguity (ambiguità). È a causa di questi fattori che le hard skill non bastano più.

Parola d’ordine: reskilling

Non sorprende affatto, dunque, che il Future of Jobs Report parli di reskilling imperative: là dove le competenze hard non bastano più, la parola d’ordine diventa riqualificarsi. Ma, per farlo, è importante essere dotati degli strumenti adatti. È così che skill come il pensiero analitico, le strategie di apprendimento, la creatività, l’originalità, lo spirito di iniziativa scalzeranno dalla classifica sia le hard skill vere e proprie, sia quelle soft che finora avevano spadroneggiato (basti l’esempio del “classico” problem solving): imparare e saper imparare è di gran lunga la capacità più importante, soprattutto se pensiamo a un leader che, volente o nolente, sarà costretto a confrontarsi quotidianamente con contesti VUCA a tutti gli effetti. I leader di domani, come d’altra parte afferma anche la nota rivista statunitense Forbes, “dovranno essere agili e capaci di abbracciare e celebrare il cambiamento (…) non vedranno il cambiamento come un fardello, ma come un’opportunità di crescita e innovazione”. Sfida senz’altro complessa, ma ineludibile: secondo il World Economic Forum, il processo di reskilling coinvolgerà almeno il 54% dei manager.

Guidare le persone, orientarsi nel mondo

Tutto questo senza dimenticare che le qualità del leader riguardano e continueranno a riguardare anche quelle capacità che sono strettamente attinenti al ruolo, come la visione strategica, la capacità di comunicare gli obiettivi al proprio team e di motivarlo, per fare alcuni esempi. Anche su questo versante, i vecchi modelli di leadership presto non funzioneranno più, perché cambierà la composizione della forza lavoro: i Millennial hanno altre aspettative rispetto ai propri nonni e genitori, e tendono a essere molto meno “fedeli”, se percepiscono un’assenza di stimoli e gratificazioni. Il leader del futuro dovrà tenere conto anche di questo, oltre a dover essere in grado di navigare il mondo che lo circonda, capirne i cambiamenti, anche repentini, sapere quali sono le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Obiettivi a cui può mirare solo se è in possesso delle soft skill adatte. Il report del World Economic Forum spiega con chiarezza che “un deficit nelle skill (…) può significativamente ostacolare l’adozione di nuove tecnologie e, quindi, la crescita dell’azienda”.

Financial Times Masters in Management 2019 Ranking

La School of Management del Politecnico di Milano è tra le prime 5 Scuole tecniche al mondo per il Master of Science in Management Engineering

 

La School of Management del Politecnico di Milano si conferma tra le migliori business school al mondo, addirittura tra le prime 5 che appartengono a Università “tecniche”, con uno specifico focus su ingegneria e tecnologia, grazie al Master of Science in Management Engineering.

A dirlo è il Financial Times, che nel Masters in Management 2019 Ranking appena pubblicato posiziona lo storico programma della Scuola milanese tra i primi 94 in assoluto e tra i primi 5 erogati da business school collegate ad Atenei di stampo tecnico, come appunto il Politecnico di Milano. Non solo, il Master of Science in Management Engineering è anche tra i primi 5 al mondo in Ingegneria gestionale, quindi tra i programmi con le stesse caratteristiche di struttura e contenuti.

Tra gli aspetti presi in esame per la valutazione, hanno ottenuto ottimi punteggi l’avanzamento di carriera, sia in Italia che all’estero, lo stipendio a cui questo percorso dà accesso, la possibilità di svolgere internship in aziende di rilievo durante il percorso di studi. E ancora, l’ottimo rapporto qualità-prezzo, la faculty altamente internazionale nonché la possibilità di svolgere esperienze formative all’estero.

Sono pochissimi al mondo i Master in Ingegneria gestionale paragonabili al nostro percorso – conferma Stefano Ronchi, Presidente del corso di laurea in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano -. La nostra particolarità infatti consiste nell’affiancare ai corsi di management, economia e finanza l’apprendimento di competenze ingegneristiche e tecniche, indispensabili per capire e governare la trasformazione digitale che sempre di più permeerà lo sviluppo delle imprese. Questo ci permette di formare persone con una forte preparazione sul management e al tempo stesso un’attitudine analitica ed ingegneristica all’identificazione e alla risoluzione dei problemi”.

La School of Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e dal MIP, la Business School dell’Ateneo milanese.

Quello di FT è come sempre un riconoscimento importante, sia per gli studenti del Master che per gli Alumni già diplomati – commentano Alessandro Perego e Andrea Sianesi, rispettivamente Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Dean del MIP -. Da anni abbiamo puntato sull’internazionalizzazione dei corsi e sulle competenze legate alla trasformazione digitale: il giudizio del Financial Times ci conferma che siamo sulla strada giusta, perché ci inserisce tra le migliori scuole di management del mondo con una forte impronta tecnica e ingegneristica”.

Quali sono le differenze tra un MBA e un Executive MBA?

differenza MBA ed Executive MBA

 

I diversi master proposti dalla School of Management del Politecnico di Milano si differenziano per la seniority dei partecipanti (e quindi anche per l’approccio didattico). Ma l’obiettivo è sempre lo stesso: formare degli autentici leader aziendali

 

Gli Executive MBA e gli MBA della School of Management del Politecnico di Milano sono dei master intensivi con un focus specifico sui temi di general management. Il loro obiettivo principale è lo stesso: sviluppare una figura che possa diventare un leader d’azienda grazie a estese competenze manageriali. La differenza sostanziale tra un Executive MBA e un MBA riguarda invece la seniority delle persone che li frequentano. Un MBA è rivolto a studenti e neolaureati che abbiano tra i tre e i cinque anni di esperienza, mentre un Executive MBA è rivolto a chi ha una seniority superiore a cinque anni, e cioè ai manager e ai professionisti che vogliono migliorare la carriera professionale in azienda.

 

Neolaureato o manager esperto? A ognuno il suo master in Business Administration

Antonella Moretto, Vice direttore dell’area MBA & EMBA, spiega che, in realtà, negli Executive MBA la seniority può essere anche di molto superiore. «L’aula di un corso Executive vede presenti in media persone con 13-14 anni di esperienza. Questo influisce sulla tipologia dell’approccio didattico: poiché si confrontano tra di loro individui con una grande esperienza, l’obiettivo non è solo trasferire nozioni, ma anche lavorare molto sul brainstorming all’interno dell’aula, sulle opportunità di confronto, sull’eterogeneità. La competenza stessa degli iscritti è una risorsa che viene sfruttata».
Il livello dei partecipanti è quindi molto elevato: si imparano a leggere i macrotrend in atto nelle imprese e negli scenari internazionali, così che i profili manageriali possano diventare decision maker più efficaci.

 

I docenti sono manager di grande esperienza

Un’altra differenza riguarda le personalità coinvolte in aula. Negli MBA e negli Executive MBA alle lezioni tradizionali si affiancano attività che ricadono nell’ambito del learning by expert e del learning by doing. «Negli Executive MBA vengono coinvolti in veste di docenti persone che occupano ruoli apicali nelle imprese, come amministratori delegati e direttori generali» illustra Moretto. «Si tratta di leader riconosciuti, con soft skill particolarmente sviluppate. Si ha così la possibilità di costruire un network di valore imparando da persone di riconosciuta fama».
Analogo, ma differente, il percorso MBA. «Il principio è lo stesso, ma i profili manageriali coinvolti sono più giovani» continua Moretto. «La loro esperienza può essere un boost per l’aula, in modo da far comprendere come si può raggiungere quell’obiettivo. Negli MBA, inoltre, l’apprendimento passa anche dal role play: gli studenti possono calarsi in situazioni simulate che presentano problemi complessi che nella propria realtà operativa quotidiana non hanno ancora avuto modo di affrontare».

 

Un solo obiettivo: formare leader d’azienda

Al netto di questi due aspetti, i temi affrontati e gli obiettivi sono i medesimi. «MBA ed Executive MBA toccano tutte le tematiche specifiche sul funzionamento dell’impresa. Si vanno a conoscere tutti i processi e le diverse funzioni. L’obiettivo è comprendere come lavora l’impresa, come funziona all’interno e all’esterno, quali sono le principali decisioni manageriali da assumere» spiega Moretto. «In entrambi i corsi le tematiche affrontate partono da basi di economia aziendale, temi di organizzazione, gestione dell’innovazione, gestione dei processi, project management, strategia e finanza. L’obiettivo non è creare uno specialista su un determinato tema; al contrario, si vuole creare una figura che abbia la capacità di diventare un leader e un manager dell’azienda, che sappia leggere la totalità dell’impresa, che sappia comprendere le dinamiche di tutte le funzioni e abbia un linguaggio trasversale. Così potrà comunicare efficacemente con qualsiasi stakeholder, con qualsiasi funzione, con qualunque attore interno o esterno all’azienda».

Quali competenze si acquisiscono con un Executive MBA?

 

Per assumere decisioni occorrono pensiero critico e una solida conoscenza del proprio ambito. Senza dimenticare le capacità relazionali, che, nel lungo periodo, possono segnare la differenza tra un semplice manager e un vero leader del cambiamento

 

«Poche cose ci danno più soddisfazione degli alunni che, dopo aver frequentato uno dei nostri Executive MBA, a distanza di anni ci contattano per dirci quanto sono ancora attuali le competenze che hanno appreso in questo percorso». Parola di Antonella Moretto, Vice direttore dell’area MBA & EMBA della School of Management del Politecnico di Milano. «Chi sceglie di seguire un Executive MBA si aspetta molto. È rivolto a professionisti con un’elevata seniority, già inseriti nel mondo del lavoro e disposti a sacrificare una parte considerevole del proprio tempo. Si tratta quindi di un impegno importante, nonché di un vero e proprio investimento sul futuro. Per questo è fondamentale sviluppare competenze manageriali che possano essere sfruttate a lungo».

 

La prima competenza è il critical thinking

Ma prima ancora delle competenze, l’approccio didattico comune agli Executive MBA prevede lo sviluppo di una capacità primaria: tra le finalità del corso spicca il critical thinking. «Tutti i temi del master vengono affrontati da questa prospettiva – spiega Antonella Moretto –. Gli studenti imparano ad assumere decisioni in maniera consapevole, grazie a un approccio critico che permette di analizzare rapidamente le situazioni e risolvere così anche quelle più complesse». Questa è la base imprescindibile su cui poi poggiano le competenze vere e proprie: «Si va dall’analisi e dalla lettura dei processi aziendali, alla capacità di redigere un business plan, di leggere un bilancio, di comprendere le dinamiche di business, passando per la capacità di individuare i canali dove trovare investitori. Ma un aspetto particolarmente importante, dal nostro punto di vista, è la gestione dell’innovazione».
Negli scenari internazionali la competizione è ai massimi livelli, alimentata anche da una trasformazione digitale sempre più invasiva: diventa fondamentale saperla gestire e sfruttare. «L’innovazione va pianificata con attenzione. Non può essere implementata senza aver compreso a fondo le dinamiche attuali – avverte Moretto –. Solo sulla base di questa competenza si può andare a rivoluzionare i progetti, i prodotti, i business model attualmente presenti».

 

Le competenze soft di un manager competitivo

Non bisogna poi pensare che, essendo il Politecnico una scuola tecnica, le soft skill vengano trascurate a favore di quelle hard. Anzi. Il Future of jobs report, realizzato dal World Economic Forum nel 2018, mostra chiaramente come nel 2022 saranno proprio le competenze soft a essere le più richieste sul mercato del lavoro, specie in quelle aree caratterizzate da una spiccata fast growing economy.
Il MIP segue questa strada. «Noi abbiamo sempre creduto nelle hard skill e continuiamo a farlo – spiega il Vice direttore dell’area MBA & EMBA – ma è stato dimostrato che, nel lungo periodo, la differenza tra un manager e un vero leader del cambiamento all’interno della propria azienda è data proprio dalla capacità di sviluppare delle eccellenti soft skill».
Anche in questo ambito, le diramazioni delle competenze sono molteplici: «Si va dalla capacità di gestione di team multiculturali alla gestione di team in ambienti sempre più virtuali, passando per le capacità di leadership più tradizionali ma anche per quelle più emozionali. E ancora, il public speaking, il time management. Tutte competenze che un tempo venivano considerate un mero di più, mentre oggi sono considerate imprescindibili per chiunque voglia far crescere la propria carriera».

Multicanalità oggi: Spazio integrato, customer journey differenziati

Nel 2019 otto italiani su dieci sono consumatori multicanale (43,9 mln).  Il 53% usa servizi di eCommerce (27,8 milioni)

Nell’ultimo anno il digitale ha avuto un ruolo nel percorso di acquisto dell’83% della popolazione italiana sopra i 14 anni. Fra i consumatori multicanale circa un terzo è rappresentato da InfoShopper, gli utenti che usano la rete solo per informarsi (16,1 milioni, il 37%), mentre quasi due terzi sono eShopper, coloro che la impiegano anche per comprare (27,8 milioni, il 63%). I Cherry Picker, i nuovi arrivati nel mercato eCommerce, sono il gruppo eShopper più numeroso (8,1 milioni).

 

I punti di contatto digitali sono utilizzati con sempre maggiore frequenza e disinvoltura dagli italiani per informarsi e acquistare prodotti e servizi e rappresentano ormai uno strumento fondamentale anche per quelle fasce di popolazione abituate a utilizzare i canali (fisici) tradizionali. Si diffondono inoltre nuove modalità di fruizione integrata dei canali fisici e digitali ed emergono percorsi di acquisto differenziati in base a prodotti ricercati, abitudini e esigenze di acquisto specifiche. Nel 2019, sono 43,9 milioni gli individui multicanale, gli utenti che usufruiscono di servizi di eCommerce o per i quali il digitale ha un ruolo nel proprio percorso di acquisto, pari all’83% della popolazione italiana sopra i 14 anni.

Fra i consumatori multicanale, quasi due terzi, 27,8 milioni di individui, sono eShopper (63%), le persone che utilizzano la rete in tutte le fasi del processo di acquisto, che rappresentano il 53% della popolazione, mentre gli InfoShopper, coloro che utilizzano il web soltanto per informarsi o nella fase successiva alla vendita ma non per concludere l’acquisto, sono 16,1 milioni, pari al 37% degli Internet User e al 30% della popolazione italiana. Entrambi i gruppi navigano abitualmente nel web per cercare informazioni (61% degli InfoShopper vs 88% degli eShopper), confrontare prezzi (60% vs 90%), scegliere i punti vendita (41% vs 65%), condividere commenti positivi (27% vs 46%) o negativi (29% vs 46%). Ma gli InfoShopper sono molto più cauti quando si tratta di acquistare prodotti che richiedono un pagamento anticipato (78% vs 47% degli eShopper), che non si possono vedere o toccare (80% vs 39%) o senza avere un contatto diretto con il venditore (71% vs 35%).

Fra gli eShopper, il segmento più numeroso è quello dei Cherry Picker (8,1 milioni, il 29% degli eShopper), gli utenti che si affacciano per la prima volta al mondo degli acquisti online. Seguono gli Everywhere Shopper, i consumatori più evoluti che si muovono liberamente da un canale all’altro nella loro relazione con i brand (6,9 milioni, il 25% degli eShopper). Sono 6,4 milioni (il 23% degli eShopper) i Money Saver, gli utenti che usano la rete solo per soddisfare la loro esigenza di risparmio; e, infine, 6,4 milioni (il 23% degli eShopper) sono i Pragmatic, le persone che si avvicinano all’eCommerce principalmente per risparmiare tempo e denaro e per accedere a un processo di acquisto più efficiente.

Questi alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Multicanalità, promosso da School of Management del Politecnico di Milano e Nielsen, presentata questa mattina al Campus Bovisa del Politecnico di Milano durante il convegno “Multicanalità oggi: Spazio integrato, customer journey differenziati”.

Ci troviamo di fronte a consumatori che vivono la multicanalità come uno spazio integrato (offline e online) di interazione con la marca. Gli individui ormai seguono percorsi di acquisto differenziati in relazione a attitudini e prodotti di interesse e, nel contempo, cambiano comportamento in virtù del contesto in cui si svolge il percorso di acquisto – afferma Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Multicanalità -. Dai risultati della ricerca emerge inoltre che anche per gli utenti più affezionati al negozio fisico i canali digitali sono diventati un punto di contatto fondamentale e che l’interazione con i brand avviene ovunque, a qualunque ora della giornata e da qualsiasi dispositivo. Per approfittare di queste evoluzioni, le imprese devono affrontare la sfida della multicanalità da un punto di vista strategico attraverso una progettazione integrata (tra spazio fisico e ambiente digitale) dell’architettura di interazione con il mercato e rinnovare funzione e ruolo dei punti (fisici) di vendita integrandoli con i canali digitali per consentire esperienze di acquisto ibride e prive di salti esperienziali”.

Gli eShopper

L’Osservatorio Multicanalità ha individuato quattro segmenti all’interno del gruppo dei consumatori eShopper, basandosi sulla propensione all’utilizzo dei canali digitali durante la fase di acquisto e l’abitudine a usare Internet per condividere opinioni. Il gruppo più numeroso nel 2019 è quello dei Cherry Picker, gli individui più conservatori, che si informano prevalentemente attraverso le fonti di informazione tradizionali e la tv generalista e apprezzano la relazione diretta col venditore e la possibilità di vedere il prodotto prima di acquistarlo. Il 50% dei Cherry Picker è uomo, il 26% è Millennial, il 40% fa parte della Generazione X, mentre il 34% appartiene ai Baby Boomer.

All’estremo opposto, si collocano gli Everywhere Shopper, il gruppo più evoluto, in grado di utilizzare i punti di contatto online in qualsiasi luogo e momento della giornata e muovendosi liberamente da un canale all’altro durante tutte le fasi del processo di acquisto. Hanno una grande dimestichezza con le ultime tecnologie e usano la rete come canale principale per informarsi, confrontare i prezzi e acquistare prodotti e servizi, ascoltano la radio e guardano meno la tv rispetto agli altri eShopper. IL 52% degli Everywhere Shopper è di genere maschile, il 37% è un Millennial, il 16% è un Baby Boomer e il 47% appartiene alla Generazione X.

I Money Saver sono gli utenti che si avvicinano ai servizi di eCommerce spinti dalla possibilità di risparmiare. Sono compratori attirati dalle piattaforme efficienti, anche se dimostrano una maggiore attenzione, rispetto al passato, alla esperienza di acquisto. Il loro mezzo di informazione preferito è la televisione generalista, leggono molte riviste, mentre utilizzano meno tutto ciò che è legato al mondo digital, ai quotidiani e alla radio. All’interno di questo gruppo, il 50% degli individui è uomo, il 29% appartiene ai Millennial, il 39% fa parte della Generazione X e il 32% è Baby Boomer.

Il gruppo dei Pragmatic è composto da utenti amanti dell’innovazione e della tecnologia, che usano il web per risparmiare tempo e aumentare l’efficienza del processo di acquisto. Acquistano online quando ciò permette di risparmiare tempo, trovare prezzi più bassi ed accedere al servizio in orari non garantiti dai canali tradizionali. Questi consumatori considerano le piattaforme eCommerce il canale privilegiato per gli acquisti, a patto che sia garantito un processo d’acquisto veloce. I loro negozi online preferiti sono quelli generalisti, caratterizzati da una forte usabilità ed efficienza. Il 26% è Millennial, il 46% fa parte della Generazione X e il 28% è Baby Boomer, mentre il 56% degli individui è di sesso maschile.

Il percorso d’acquisto degli eShopper 

Il percorso di acquisto assume forme diverse in base alle diverse categorie di utenti. Nella fase di pre-acquisto la raccolta delle informazioni e la comparazione dei prezzi avviene frequentemente online per gli Everywhere Shopper (94% e 91%), i Money Saver (90% e 73%) e i Pragmatic (91% e 81%) I Cherry Picker, invece, utilizzano in modo più limitato internet nella fase di pre-acquisto (il 5% lo usa spesso per raccolta informazioni e il 2% per lo usa spesso per comparare prezzi).

Il 93% degli Everywhere Shopper usa spesso internet per comprare prodotti o servizi, contro il 60% dei Pragmatic il 15% dei Cherry Picker e il 4% dei Money Saver. Per quanto riguarda i dispositivi utilizzati, gli Everywhere Shopper utilizzano indistintamente Pc e smartphone per fare acquisti online (74% dei casi), mentre il Pc rimane lo strumento principalmente utilizzato dagli altri segmenti (71% per i Money Saver, 67% per i Cherry Picker e 76% per i Pragmatic). Lo smartphone viene usato per acquistare online dal 49% dei Money Saver, dal 47% dei Cherry Picker e dal 52% dei Pragmatic. Nella maggior parte dei casi l’acquisto da smartphone viene effettuato in casa, in ufficio, a scuola o all’università: nel 93% delle occasioni per gli Everywhere Shopper, 95% per i Money Saver, 89% per i Cherry Picker e 95% per i Pragmatic. Soltanto gli Everywhere Shopper e i Pragmatic presentano buone percentuali di acquisto in mobilità (rispettivamente 30% e 21%). Il Tablet è tuttora utilizzato in modo meno intensivo per l’acquisto online anche a causa della sua più limitata diffusione presso la popolazione. Infatti, nell’ultimo anno lo ha impiegato solo il 20% degli Everywhere Shopper. Anche per il Tablet il contesto di utilizzo privilegiato per l’acquisto online è principalmente quello di casa, ufficio, scuola e università: tra coloro che lo utilizzano per l’acquisto ciò avviene per il 91% degli Everywhere Shopper, il 95% dei Money Saver, il 91% dei Cherry Picker e il 98% dei Pragmatic.

Lo showrooming, ossia l’acquisto online dopo aver visto il prodotto in negozio, è una pratica comune fra gli Everywhere Shopper (78% dichiara di aver messo in pratica questo comportamento), molto meno fra Money Saver (54%), Cherry Picker (39%) e Pragmatic (55%). Il processo inverso, invece, cioè la raccolta di informazioni online seguita dall’acquisto in negozio (infocommerce) viene portato a termine dal 43% degli Everywhere Shopper, dal 61% dei Money Saver, dal 38% dei Pragmatic e dal 52% dei Cherry Picker. Tutti i segmenti preferiscono la consegna a casa rispetto al ritiro presso un punto fisico, sebbene vi siano percentuali significative di Everywhere Shopper e Money Saver che dichiarano di apprezzare questa ultima modalità (43% e 42% rispettivamente). Infine, solo gli Everywhere Shopper dichiarano di utilizzare frequentemente la rete nella fase successiva all’acquisto: il 49% per recensire i prodotti comprati e ricevere supporto post vendita. Soltanto l’11% dei Money Saver fornisce commenti online sui prodotti acquistati e ancora meno i Cherry Picker e i Pragmatic, rispettivamente 4% e 3%. Da questi segmenti il web non è percepito come uno strumento positivo a supporto nemmeno per l’assistenza post vendita (1% Money Saver, 3% Cherry Picker e 10% Pragmatic).

Il percorso di acquisto multicanale nei vari settori

La ricerca 2019 ha indagato anche come ciascun gruppo di Internet User affronta le diverse fasi del processo di acquisto nei settori largo consumo, farmaci, beauty, abbigliamento, assicurazioni, elettronica e viaggi. Nei settori elettronica e viaggi la maggior parte della popolazione si informa prevalentemente online, rispettivamente nel 65% e nel 74% dei casi, mentre nelle altre categorie merceologiche è più frequente affidarsi ai canali tradizionali. Il 90% degli Everywhere Shopper cerca online informazioni sui viaggi, l’89% su elettronica e informatica, il 65% sulle assicurazioni, il 59% sull’abbigliamento e il 58% su prodotti di bellezza. Le percentuali scendono sotto la metà del campione per il largo consumo (46%) e i farmaci (47%).

Gli acquirenti italiani comprano utilizzando un mix di canali tradizionali e digitali, dimostrando di aver raggiunto una profonda maturità in termini di approccio multicanale. Vi sono infatti ampi segmenti di acquirenti che comprano sia offline che online prodotti di elettronica/informatica (50% dei casi), abbigliamento (38%), beauty e viaggi (28%), farmaci/integratori (21%), largo Consumo (19%) e, infine, assicurazioni (17%). Il 47% compra esclusivamente online nel settore viaggi, il 23% nelle assicurazioni, il 13% nell’elettronica. Anche in questo caso sono gli Everywhere Shopper il gruppo di utenti più evoluto, che acquista o esclusivamente online o integrando il canale fisico al web: il 91% nell’elettronica, il 93% nei viaggi, il 77% nell’abbigliamento, il 57% nelle assicurazioni, il 63% nel beauty, il 46% nel settore farmaci e il 44% nel largo consumo.

Cresce in misura rilevante la diffusione della pratica di utilizzo dei canali in modo sinergico ed ibrido con un mix di punti di contatto offline e online tra fasi diverse del processo d’acquisto. Mettono in pratica questa tipologia di customer journey ibridi oltre 10 milioni di acquirenti di prodotti di largo consumo, quasi 11 milioni per i farmaci/integratori, circa 13 milioni per il beauty, oltre 17 milioni per l’abbigliamento e oltre 20 milioni per elettronica/informatica. Inoltre i touchpoint digitali sono diventati un punto di contatto fondamentale, anche per coloro che continuano ad esprimere un forte bisogno di tangibilità e fisicità all’interno del proprio processo di acquisto. Dimostrano questo comportamento circa 12 milioni di acquirenti di viaggi e quasi 7 milioni di acquirenti di prodotti assicurativi.

La fruizione di Tv, Radio e canali digitali

L’Osservatorio Multicanalità ha indagato il comportamento dei consumatori italiani anche dal punto di vista della fruizione dei media, attraverso elaborazioni e stime realizzate da Nielsen a partire dai panel alla base delle misurazioni Auditel e Audiweb. L’indagine 2019 conferma la tendenza del pubblico italiano ad alternare canali tradizionali (soprattutto tv e radio, meno i quotidiani e i magazine) e digitali (Pc e smartphone), con la televisione che mantiene il ruolo dominante già evidenziato dalle precedenti edizioni. Il mezzo televisivo, infatti, raggiunge quotidianamente l’81,5% degli Internet User (contro il 62,7% della radio, il 32,4% dei quotidiani e il 29,7% dei periodici), il 78,4% degli Everywhere Shopper e anche il 58% dei No + Light Viewer, il segmento che non guarda la televisione o lo fa solo saltuariamente.

Anche analizzando il tempo medio speso quotidianamente su ogni mezzo, la televisione si colloca in vetta alle preferenze degli individui con 315 minuti per gli Internet User, 340 per gli InfoShopper, 282 per gli Everywhere Shopper, 327 per i Money Saver, 324 per i Cherry Picker, 307 per i Pragmatic e 121 per i No + Light Tv Viewer. Segue la radio, molto rilevante sia per gli Internet User (230 minuti) sia per InfoShopper (217 minuti) e per i No + Light Tv Viewer (222 minuti). Fra gli eShopper, gli utenti più affezionati al mezzo radiofonico sono i Pragmatic, con 238 minuti, e gli Everywhere Shopper, con 237 minuti, seguiti dai Money Saver, con 228 minuti, e dai Cherry Picker, con 225. A seguire gli strumenti digitali, che raggiungono nel giorno medio il 76,3% degli Internet User (26,4% Pc, 67% Mobile) e degli Everywhere Shopper (27,8% Pc e 69% Mobile) e il 60,7% degli InfoShopper (19,3% Pc e 53,7% Mobile). Il tempo medio giornaliero speso su questi mezzi è minore di quello dedicato a radio e tv: in media 195 minuti al giorno per gli Internet User (191 minuti da Mobile, 76 minuti da Pc), con Everywhere Shopper come utenti più attivi (197 da Mobile, 82 minuti da Pc).

PMI e finanziamenti alternativi: nuovo corso online (MOOC) per orientarsi nella crescita della propria attività

Alternative Finance MOOC” è il corso online completamente gratuito della durata di 3 settimane che è stato lanciato dal Politecnico di Milano con l’obiettivo di aiutare i partecipanti a navigare il mondo della finanza alternativa e del Fintech. Il corso è destinato principalmente a consulenti finanziari e aziendali, gestori di fondi, incubatori e piattaforme di crowdfunding, business angels e venture capitalists.

E’ anche potenzialmente utile per imprenditori e startuppers, singoli investitori e legislatori. Le iscrizioni al corso sono aperte.

Le forme di finanziamento alternative al credito bancario, come crowdfunding, peer-to-peer-lending, minibond, venture capital, business angels e altri, sono cresciute considerevolmente in Europa negli ultimi anni, diventando un’importante fonte di finanziamento per imprenditori, PMI e startup.

L’emergere delle Fintech, ossia di nuove tecnologie digitali applicate alla finanza, promette di potenziare ulteriormente questi strumenti, rendendoli cruciali nella finanza aziendale del prossimo decennio. Tuttavia, l’utilizzo di queste forme di finanziamento in Italia è ancora limitato, se confrontato con altri paesi dell’Europa continentale, sebbene il nostro paese, caratterizzato da una grande concentrazione di PMI, potrebbe ricavare enormi benefici dall’uso massiccio di questi nuovi strumenti finanziari.
La scarsa diffusione è spesso dovuta alla difficoltà delle imprese e dei consulenti a reperire informazioni chiare e orientarsi nel panorama multiforme delle tipologie, operatori e usi degli strumenti di finanza alternativa.

Il Massive Open Online Course (MOOC) in Alternative Finance è stato lanciato proprio per colmare questa lacuna. Il corso è stato sviluppato dalla School of Management Politecnico di Milano, e dall’Università di Manchester, nell’ambito del progetto ALTFINATOR, finanziato dalla Commissione Europea.

I partecipanti, attualmente un migliaio sparsi in tutta Europa, potranno auto-formarsi, seguendo le lezioni video-registrate (in inglese, con testo a fronte) e discutendo con i docenti in apposite chat-room fruibili da remoto.

Il progetto ALTFINATOR prevede, oltre al MOOC, l’erogazione di una serie di servizi e iniziative complementari a supporto della finanza alternativa. Fra questi, spicca una mappa interattiva di matchmaking, pensata per PMI/startup che desiderano connettersi con gli operatori di finanza alternativa in Europa, individuando quello più adatto alle proprie esigenze finanziarie.

 

 

 

Meet @MIP

 

Per raggiungere il proprio obiettivo professionale non basta conoscere il mercato del lavoro.
È infatti importante avere un quadro chiaro delle peculiarità dei settori che interessano maggiormente e che, in generale, sono più in linea con le proprie ambizioni.
Un altro aspetto da non sottovalutare è poi la capacità di sfruttare appieno ogni situazione, trasformando anche quelle più banali in un’occasione per allargare il proprio network, iniziando a includervi anche gli head hunter.

Due obiettivi non sempre facili da raggiungere. Ecco perché al MIP, grazie al Career Development Program, i candidati MBA vengono aiutati, attraverso eventi, workshop e iniziative, ad affinare gli strumenti necessari per sviluppare al meglio le proprie competenze di career management.

Proprio come è accaduto in occasione del Meet @MIP, un evento volto a favorire il networking sia con i colleghi degli altri corsi MBA che con head hunter e consulenti di società di Executive Search di primaria importanza. Tra le società che hanno partecipato, infatti, c’erano Spencer Stuart, Korn Ferry, Key2People, Kilpatrick, Mercuri Urval, Badenock + Clark, Intermedia Selection ed Aegis Human Consulting Group.