Entra a far parte del network di aziende del MIP

 

Le aziende ricoprono un ruolo centrale per la Scuola, assicurando ai nostri programmi un forte legame con il mondo professionale.
Insieme ai professori, infatti, entrano in aula anche manager e recruiter, che attraverso company presentation, lezioni in azienda ed eventi di networking, da una parte mettono a disposizione dei nostri studenti la propria esperienza, dall’altra hanno la possibilità di incontrare tramite un canale privilegiato i talenti di domani.

Far parte del network del MIP offre numerosi vantaggi, soprattutto in termini di employer branding. Ecco alcune delle attività che sono riservate alle aziende aderenti:

  • Accesso alla Job Board FLEXA, che consente all’azienda di creare il proprio profilo e di pubblicare offerte di lavoro e stage per gli studenti in corso o gli Alumni.
  • Possibilità di accogliere per uno stage curriculare o extra-curriculare gli studenti e gli Alumni durante la preparazione del project work finale, supervisionato da un tutor MIP. Questa rappresenta un’ottima occasione per valutare un profilo ai fini di un possibile inserimento in azienda.
  • Opportunità di avvalersi della consulenza di un team di studenti selezionati per analizzare un processo chiave scelto dall’azienda attraverso le metodologie apprese in aula.
  • Attività di recruitment presso il campus MIP o la propria sede aziendale .
  • Partecipazione a Career Day per incontrare gli studenti dei Master specialistici e degli MBA attraverso colloqui programmati o application spontanee. Il prossimo evento in programma è il 24 gennaio con gli allievi del Full Time MBA, non perdere l’occasione!
  • Attività in aula, come presentazioni per promuovere la propria azienda e le opportunità di carriera, partecipazione in veste di relatori a workshop, tavole rotonde e lezioni.
  • Possibilità di accogliere gli studenti in azienda per visite alla struttura o lezioni su tematiche specifiche.

Vuoi dare slancio alla tua immagine aziendale collaborando con una delle migliori Business School al mondo? Contatta lo staff del Company Engagement & Partner Care per scoprire come entrare nel network e partecipare già al prossimo Career Day del 24 gennaio!

Perché il valore umano nell’era digitale è ancora più prezioso

La crescita della digitalizzazione è vista da tanti con preoccupazione. Eppure le nuove tecnologie possono aiutare produttività e flessibilità. A patto che i manager sappiano individuare le giuste opportunità

 

“L’interazione umana è la prima vittima dell’era digitale”. È il titolo che introduce un editoriale firmato da Vivek Wadhwa, imprenditore del settore tech, docente ad Harvard e, tra le altre cose, un entusiasta della prima ora dei social media. Con il tempo, come molti altri, Wadhwa ha cambiato idea, convincendosi che i mezzi di comunicazione digitali hanno fatto più male che bene ai rapporti interpersonali. Allo stesso modo, sono in molti a sostenere che le tecnologie digitali avanzate possano ridimensionare la centralità dell’elemento umano nel mondo del lavoro. Ma è davvero così? Una serie di dati e previsioni mostrano come in realtà sia possibile prendere delle contromisure. E come il ruolo dei manager, in questo scenario, sia centrale.

Rapporti umani: tra relazioni e connessioni

Un’indagine del World Economic Forum, condotta nel 2016 su un campione di oltre 5 mila individui sparsi per i cinque continenti, rivela una percezione diffusa in netta controtendenza rispetto ai timori di Wadhwa. Secondo la maggior parte degli intervistati, l’utilizzo dei social media ha portato una maggiore capacità di stringere amicizie nel mondo reale, di mantenere le relazioni con amici già acquisiti e con il proprio partner e – sorpresa! – anche di sviluppare una maggiore empatia.
Ma non è tutto oro quel che luccica. Se è vero che da una parte i media digitali abilitano l’interazione sociale, spesso dando rilievo alle voci delle minoranze, dall’altra parte esistono dei rischi che è lo stesso World Economic Forum a sottolineare nel report Digital Media and Society: è possibile che lo sviluppo delle capacità relazionali online non corrisponda a un analogo incremento delle social skills offline. Uno scenario a luci e ombre, insomma, che ritroviamo anche in ambito lavorativo.

Il lavoro che cambia

Le tecnologie digitali stanno plasmando forme e contenuti dell’offerta lavorativa. Tra le ricadute positive si possono annoverare un incremento della produttività e della flessibilità, in particolare nel ricorso sempre maggiore a forme di telelavoro, o di smart working, rese possibili dallo sviluppo di connessioni di rete sempre più rapide e di strumenti di comunicazione digitale sempre più efficienti. Anche in questo caso, però, non mancano i dubbi. I media digitali, infatti, possono provocare un aumento delle diseguaglianze, causate da un rapido avvicendamento nelle skill più richieste. Non è azzardato prevedere un allargamento della forbice del valore (e quindi anche di quella economica) tra i dipendenti con skill di basso livello e colleghi con abilità più evolute e preziose.

Sfruttare la tecnologia, valorizzare l’umano

Per evitare questi rischi, la figura del leader diventa centrale. Deve “avere le conoscenze e le capacità adatte a riconoscere e anticipare le tendenze digitali, capirne le implicazioni per il business e usare a proprio vantaggio la tecnologia per rimanere al passo”, afferma il report Digital Media and Society. Spetta alle organizzazioni, e quindi ai loro manager, sviluppare le strategie adeguate per integrare i media digitali nel flusso lavorativo, e agire attivamente sulle opportunità e i pericoli che i loro dipendenti dovranno affrontare. Un altro report del World Economic Forum, Our Shared Digital Future, ha suggerito delle ulteriori linee guida per affrontare la rivoluzione digitale: spicca la creazione di una rete di leader responsabili che incoraggino il reskilling dei dipendenti. Se è vero, come suggerisce il Future of Jobs Report del 2018, realizzato sempre dal WeF, che entro il 2022 l’automazione sottrarrà agli esseri umani percentuali importanti di carico di lavoro, diventa infatti fondamentale la valorizzazione di quelle attività che le intelligenze artificiali ancora non riescono a svolgere: un paradosso apparente, ma il vantaggio competitivo di aziende e lavoratori dipenderà sempre più dalla capacità di dimostrarsi inimitabilmente umani. A dispetto di qualsiasi innovazione digitale.

Symplatform: un simposio internazionale sulle piattaforme digitali

 

Negli ultimi anni la rilevanza dei modelli di business basati su piattaforme è aumentata significativamente. Aziende come Airbnb, Uber o BlaBlaCar hanno mostrato le grandi potenzialità dei modelli di business che hanno come obbiettivo il matchmaking di vari gruppi di clienti, come viaggiatori e host, cavalcando le opportunità delle tecnologie digitali.

Siamo felici di lanciare la prima edizione di Symplatform, un symposium sulle piattaforme digitali che si pone l’obiettivo di unire accademici e practitioner.
Symplatform è un progetto sviluppato in collaborazione da Trinity College Dublin, Politecnico di Milano School of Management e Audencia Business School.

La prima edizione avrà luogo al Trinity Centre for Digital Business presso il Trinity College Dublin il 16 e il 17 aprile 2020.

Il symposium sarà basato su vari format: sessioni parallele con presentazioni di paper accademici, sessioni guidate dai practitioner “Pitch your challenge” e workshop collaborativi che possano indicare possibili sviluppi per il field delle piattaforme digitali.
Su symplatform.com sono disponibili informazioni aggiuntive sull’evento.

Il gruppo Prada presenta “Shaping a Sustainable Future Society”

Il Gruppo Prada annuncia che l’8 novembre 2019 si terrà a New York la conferenza “Shaping a Sustainable Future Society”, la terza edizione delle conversazioni del Gruppo che offrono spunti di riflessione sui cambiamenti più significativi della società contemporanea.

L’evento di quest’anno esplora il concetto di sostenibilità sociale nel tentativo di dare una definizione esaustiva di questo termine. In una giornata di interventi e discussioni all’insegna del pensiero dialettico e della pluralità di prospettive, i relatori rifletteranno sulla responsabilità delle imprese e delle istituzioni di promuovere un ambiente che incoraggi libertà, uguaglianza e giustizia. In linea con il formato ormai affermato delle conferenze “Shaping a Future”, un contributo rilevante sarà fornito dai partner accademici dell’evento.

La mattinata sarà aperta da un keynote speech del noto architetto Sir David Adjaye OBE, seguito da una tavola rotonda che analizzerà le sfide affrontate quotidianamente dalle aziende sui più urgenti temi globali; la conversazione sarà moderata dal professor Gianni Riotta, giornalista e Vicepresidente Esecutivo del Consiglio per le Relazioni Italia-USA.

Il gruppo di partecipanti alla tavola rotonda, vario per competenze ed esperienze, include Richard Armstrong, direttore della Solomon R. Guggenheim Foundation e del Solomon R. Guggenheim Museum di New York; Amale Andraos, preside della Columbia University Graduate School of Architecture, Planning and Preservation; Mariarosa Cutillo, Chief of Strategic Partnerships dello United Nations Population Fund (UNFPA); Amanda Gorman, poetessa e attivista; Kent Larson, direttore del gruppo di ricerca City Science del MIT Media Lab; Livia Pomodoro, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ex magistrato ed ex presidente del Tribunale di Milano. Alla tavola rotonda seguirà il contributo del campione paralimpico Simone Barlaam.

L’evento proseguirà con l’intervento dei due partner accademici, le Schools of Management della Yale University e del Politecnico di Milano, per approfondire il tema della conferenza integrandolo con le loro prospettive. Lo Yale Center for Customer Insights presenterà una ricerca sviluppata in collaborazione con il Gruppo Prada che analizza quanto le tematiche sociali influenzino scelte e comportamenti dei consumatori. Seguirà una discussione, moderata dal professor Gianni Riotta, tra la professoressa Raffaella Cagliano della School of Management del Politecnico di Milano
e la professoressa Kate Crawford, scrittrice, compositrice e produttrice, su come le tecnologie digitali, inclusa l’intelligenza artificiale, stiano ridisegnando la nostra vita quotidiana, e su come la società si trovi a dover anticipare e gestire i rischi di un uso interessato o disonesto delle tecnologie digitali.
Le osservazioni conclusive della giornata saranno affidate a Rula Jebreal, giornalista pluripremiata, scrittrice ed esperta di politica estera.

La conferenza sarà trasmessa in diretta su www.pradagroup.com a partire dalle 9.30 EST / 15.30 CET. Sarà possibile seguire contenuti dell’intera giornata su @Prada con il live tweeting dell’evento e alimentare la discussione con l’hashtag #ShapingASustainableSociety

Il programma della giornata e la panoramica dei relatori sono disponibili sul sito web del Gruppo Prada in una sezione dedicata.

Le conferenze “Shaping a Future”

Dal 2017 il Gruppo Prada organizza ogni anno una conferenza allo scopo di offrire spunti di riflessione sui cambiamenti più significativi in corso nella società contemporanea. Anche nelle due precedenti edizioni Prada ha collaborato con le Schools of Management della Yale University e del Politecnico di Milano.
Nel 2017 la prima conferenza, intitolata “Shaping a Creative Future”, ha esplorato le connessioni tra creatività, sostenibilità e innovazione. La seconda, “Shaping a Sustainable Digital Future”, nel 2018 ha indagato il rapporto tra sostenibilità e innovazione digitale.
Il formato della serie di conferenze si compone di keynote speeches, tavole rotonde e promuove contest studenteschi.

Le medie imprese ad alta crescita in Europa: il dataset RISIS-Cheetah

 

Oltre 42 mila medie imprese ad alta crescita in 30 paesi europei: sono le ‘Cheetah firms’, mappate grazie al dataset RISIS-Cheetah sviluppato dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, in collaborazione con l’Università del Sussex.

Il 24 Ottobre, a Bruxelles, si è tenuto il primo Policy meeting del progetto RISIS2, focalizzato sulle prime evidenze empiriche derivanti dal dataset RISIS-Cheetah e sulla rilevanza politica di questa categoria di imprese. RISIS2 è un progetto finanziato nell’ambito del programma Horizon 2020, e ha l’obiettivo di fornire un’infrastruttura di ricerca Europea per supportare lo sviluppo di nuovi dataset e di indicatori.

La discussione sulle ‘Cheetah firms’ è stata guidata da Massimiliano Guerini, professore della School of Management, e da Roberto Camerani, ricercatore dell’Università del Sussex. “Le Cheetah firms sono imprese di medie dimensioni che hanno registrato una crescita eccezionale. Queste imprese possono svolgere un ruolo chiave per favorire la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro”, commenta Guerini. “Con il progetto RISIS siamo ora in grado di studiarle e di comprendere meglio i loro driver di crescita“.

Le imprese ad alta crescita hanno ricevuto notevole attenzione da parte di studiosi, accademici e policy makers, dal momento che giocano un ruolo cruciale per la creazione di nuovi posti di lavoro. Ad esempio, è noto che la maggior parte delle imprese non registra performance di crescita elevata e che, se questo avviene, i fattori alla base del processo di crescita sono difficili da prevedere. Inoltre, si sa che tassi di crescita sostenuti tendono a non persistere nel tempo.

Ciononostante, l’evidenza empirica disponibile tende a concentrarsi su imprese di piccole dimensioni, start-up o su imprese di grandi dimensioni, mentre la dinamica di crescita delle imprese di media dimensione è poco nota. Eppure, le medie imprese possono fornire un contributo significativo per sostenere l’espansione occupazionale dell’economia europea.

L’evento aveva come obiettivo discutere il ruolo cruciale rivestito dalle ‘Cheetah firms’ nella creazione di posti di lavoro, con l’idea di fornire nuovi spunti di riflessione per lo sviluppo di politiche a supporto della crescita, presentando i risultati principali ottenuti tramite il dataset RISIS-Cheetah, in particolare sulla distribuzione geografica, sulla specializzazione settoriale e sui processi di agglomerazione che caratterizzano le medie imprese europee ad alta crescita, rispetto alle altre medie imprese europee che non hanno sperimentato la stessa performance di crescita elevata.

SOM per i SDGs: il premio per le tesi con impatti sui Sustainable Development Goals

 

Claudia Cuttini, Celine De Vincenzi, Giulia Montuori, Anabel Velazque, Rocco Abbattista, Giulia Madoglio, Sonia Saibene: sono i vincitori dell’edizione 2019 del premioSOM per i SDGs”, premiati ieri in occasione dell’evento “School of Management per il Non Profit” che si è tenuto presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale.

Il premio è destinato a Tesi e Project Work finali di Alumni della School of Management con impatto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, che rappresentano un contributo per risolvere le sfide sociali del nostro tempo e propongono modelli di sviluppo sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale.

Sono state 27 le candidature ricevute (18 Laureati Magistrali in Ingegneria gestionale e 9 Alumni MBA e altri Master MIP), valutate in base a quattro criteri: impatto sui SDGs, contenuto innovativo, metodologia utilizzata, trasferibilità e replicabilità dei risultati.

Nelle loro tesi di Laurea Magistrale, Claudia Cuttini e Celine De Vincenzi hanno lavorato sul tema della riduzione degli sprechi alimentari lungo la supply chain agri-food, mentre Giulia Montuori sul ruolo dell’esperienza del paziente nelle terapie contro il cancro.

I project work vincitori trattano invece temi come Data Science, di Anabel Velazque (Master in Business Analytics and Big Data) e ambiente, di Rocco Abbattista, Giulia Madoglio, Sonia Saibene (International Part Time MBA).

L’evento aveva anche lo scopo di incontrare le organizzazioni del terzo settore per condividere le esperienze sviluppate e i risultati raggiunti all’interno del programma “School of Management per il Non Profit”, nonché dare avvio a un nuovo ciclo di collaborazione.

Lo sviluppo delle relazioni con le organizzazioni non profit e le imprese sociali occupa un posto centrale nel programma, che è stato lanciato nel 2017 con l’obiettivo di valorizzare e inserire in una strategia coerente le iniziative della Scuola legate alla sostenibilità sociale ed ambientale e all’etica del business.

Il programma rappresenta uno spazio di collaborazione e confronto reciproco con il mondo non profit, facilita il contatto di tali organizzazioni con gli studenti, i docenti e lo staff della Scuola per mettere a disposizione competenze e sviluppare progetti comuni.

In tre anni più di 400 studenti si sono messi alla prova affrontando le sfide di conoscenza e di gestione che sono state poste da organizzazioni non profit ed imprese sociali, conducendo più di 100 progetti tra tesi di Laurea Magistrale e project work, con la guida di 20 professori e ricercatori.

Le organizzazioni sociali sono viste da un numero sempre maggiore di studenti e docenti della Scuola come attori centrali dell’economia e della società, e il terzo settore diventa sempre più spesso ambito applicativo dell’Ingegneria Gestionale, con una crescita anche dell’interesse scientifico.

Le internship per gli studenti e laureati della Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale e del MIP Graduate School of Business sono un altro modo di scambiare conoscenza.

Oltre alla didattica, progetti di ricerca sono stati condotti con diverse organizzazioni, ma si mira a rafforzare le opportunità per attività congiunte di dimostrazione, capacity building e ricerca. Infine, la Scuola assiste le organizzazioni non profit e le imprese sociali nell’affrontare le loro necessità di formazione.

 

Saper imparare: la più grande sfida per i leader di domani

Soft Skill: perché sono importanti

 

In un contesto sempre più incerto e in rapida evoluzione, diventa sempre più importante, per un manager, la capacità di imparare, apprendere, confrontarsi con nuove situazioni. Ecco perché le soft skill sono destinate e superare le hard skill

 

I manager del futuro non potranno prescindere dalle soft skill. È quanto si evince leggendo il Future of Jobs Report 2018, il corposo libro bianco pubblicato dal World Economic Forum che fa il punto sui trend globali in atto nel mondo del lavoro. Stando alle previsioni, entro il 2022 il mercato prediligerà una forza lavoro capace di pensare criticamente, di innovare, di creare, di apprendere. Discorso valido per tutti, ma ancora più importante per chi si prepara ad assumere un ruolo di leadership.

Un contesto in rapido mutamento

L’affinamento delle intelligenze artificiali, del machine learning, l’esplosione dei big data, sposteranno l’equilibrio uomo-macchina. E il futuro politico ed economico del nostro pianeta sarà sempre più difficilmente prevedibile. Non è un caso che, negli ultimi tempi, sia tornato in voga un acronimo coniato nel 1987, VUCA, che nei suoi termini descrive alla perfezione tanto il mondo attuale quanto quello a venire: Volatility (instabilità), Uncertainty (incertezza), Complexity (complessità) e Ambiguity (ambiguità). È a causa di questi fattori che le hard skill non bastano più.

Parola d’ordine: reskilling

Non sorprende affatto, dunque, che il Future of Jobs Report parli di reskilling imperative: là dove le competenze hard non bastano più, la parola d’ordine diventa riqualificarsi. Ma, per farlo, è importante essere dotati degli strumenti adatti. È così che skill come il pensiero analitico, le strategie di apprendimento, la creatività, l’originalità, lo spirito di iniziativa scalzeranno dalla classifica sia le hard skill vere e proprie, sia quelle soft che finora avevano spadroneggiato (basti l’esempio del “classico” problem solving): imparare e saper imparare è di gran lunga la capacità più importante, soprattutto se pensiamo a un leader che, volente o nolente, sarà costretto a confrontarsi quotidianamente con contesti VUCA a tutti gli effetti. I leader di domani, come d’altra parte afferma anche la nota rivista statunitense Forbes, “dovranno essere agili e capaci di abbracciare e celebrare il cambiamento (…) non vedranno il cambiamento come un fardello, ma come un’opportunità di crescita e innovazione”. Sfida senz’altro complessa, ma ineludibile: secondo il World Economic Forum, il processo di reskilling coinvolgerà almeno il 54% dei manager.

Guidare le persone, orientarsi nel mondo

Tutto questo senza dimenticare che le qualità del leader riguardano e continueranno a riguardare anche quelle capacità che sono strettamente attinenti al ruolo, come la visione strategica, la capacità di comunicare gli obiettivi al proprio team e di motivarlo, per fare alcuni esempi. Anche su questo versante, i vecchi modelli di leadership presto non funzioneranno più, perché cambierà la composizione della forza lavoro: i Millennial hanno altre aspettative rispetto ai propri nonni e genitori, e tendono a essere molto meno “fedeli”, se percepiscono un’assenza di stimoli e gratificazioni. Il leader del futuro dovrà tenere conto anche di questo, oltre a dover essere in grado di navigare il mondo che lo circonda, capirne i cambiamenti, anche repentini, sapere quali sono le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Obiettivi a cui può mirare solo se è in possesso delle soft skill adatte. Il report del World Economic Forum spiega con chiarezza che “un deficit nelle skill (…) può significativamente ostacolare l’adozione di nuove tecnologie e, quindi, la crescita dell’azienda”.

Financial Times Masters in Management 2019 Ranking

La School of Management del Politecnico di Milano è tra le prime 5 Scuole tecniche al mondo per il Master of Science in Management Engineering

 

La School of Management del Politecnico di Milano si conferma tra le migliori business school al mondo, addirittura tra le prime 5 che appartengono a Università “tecniche”, con uno specifico focus su ingegneria e tecnologia, grazie al Master of Science in Management Engineering.

A dirlo è il Financial Times, che nel Masters in Management 2019 Ranking appena pubblicato posiziona lo storico programma della Scuola milanese tra i primi 94 in assoluto e tra i primi 5 erogati da business school collegate ad Atenei di stampo tecnico, come appunto il Politecnico di Milano. Non solo, il Master of Science in Management Engineering è anche tra i primi 5 al mondo in Ingegneria gestionale, quindi tra i programmi con le stesse caratteristiche di struttura e contenuti.

Tra gli aspetti presi in esame per la valutazione, hanno ottenuto ottimi punteggi l’avanzamento di carriera, sia in Italia che all’estero, lo stipendio a cui questo percorso dà accesso, la possibilità di svolgere internship in aziende di rilievo durante il percorso di studi. E ancora, l’ottimo rapporto qualità-prezzo, la faculty altamente internazionale nonché la possibilità di svolgere esperienze formative all’estero.

Sono pochissimi al mondo i Master in Ingegneria gestionale paragonabili al nostro percorso – conferma Stefano Ronchi, Presidente del corso di laurea in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano -. La nostra particolarità infatti consiste nell’affiancare ai corsi di management, economia e finanza l’apprendimento di competenze ingegneristiche e tecniche, indispensabili per capire e governare la trasformazione digitale che sempre di più permeerà lo sviluppo delle imprese. Questo ci permette di formare persone con una forte preparazione sul management e al tempo stesso un’attitudine analitica ed ingegneristica all’identificazione e alla risoluzione dei problemi”.

La School of Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e dal MIP, la Business School dell’Ateneo milanese.

Quello di FT è come sempre un riconoscimento importante, sia per gli studenti del Master che per gli Alumni già diplomati – commentano Alessandro Perego e Andrea Sianesi, rispettivamente Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Dean del MIP -. Da anni abbiamo puntato sull’internazionalizzazione dei corsi e sulle competenze legate alla trasformazione digitale: il giudizio del Financial Times ci conferma che siamo sulla strada giusta, perché ci inserisce tra le migliori scuole di management del mondo con una forte impronta tecnica e ingegneristica”.

Quali sono le differenze tra un MBA e un Executive MBA?

differenza MBA ed Executive MBA

 

I diversi master proposti dalla School of Management del Politecnico di Milano si differenziano per la seniority dei partecipanti (e quindi anche per l’approccio didattico). Ma l’obiettivo è sempre lo stesso: formare degli autentici leader aziendali

 

Gli Executive MBA e gli MBA della School of Management del Politecnico di Milano sono dei master intensivi con un focus specifico sui temi di general management. Il loro obiettivo principale è lo stesso: sviluppare una figura che possa diventare un leader d’azienda grazie a estese competenze manageriali. La differenza sostanziale tra un Executive MBA e un MBA riguarda invece la seniority delle persone che li frequentano. Un MBA è rivolto a studenti e neolaureati che abbiano tra i tre e i cinque anni di esperienza, mentre un Executive MBA è rivolto a chi ha una seniority superiore a cinque anni, e cioè ai manager e ai professionisti che vogliono migliorare la carriera professionale in azienda.

 

Neolaureato o manager esperto? A ognuno il suo master in Business Administration

Antonella Moretto, Vice direttore dell’area MBA & EMBA, spiega che, in realtà, negli Executive MBA la seniority può essere anche di molto superiore. «L’aula di un corso Executive vede presenti in media persone con 13-14 anni di esperienza. Questo influisce sulla tipologia dell’approccio didattico: poiché si confrontano tra di loro individui con una grande esperienza, l’obiettivo non è solo trasferire nozioni, ma anche lavorare molto sul brainstorming all’interno dell’aula, sulle opportunità di confronto, sull’eterogeneità. La competenza stessa degli iscritti è una risorsa che viene sfruttata».
Il livello dei partecipanti è quindi molto elevato: si imparano a leggere i macrotrend in atto nelle imprese e negli scenari internazionali, così che i profili manageriali possano diventare decision maker più efficaci.

 

I docenti sono manager di grande esperienza

Un’altra differenza riguarda le personalità coinvolte in aula. Negli MBA e negli Executive MBA alle lezioni tradizionali si affiancano attività che ricadono nell’ambito del learning by expert e del learning by doing. «Negli Executive MBA vengono coinvolti in veste di docenti persone che occupano ruoli apicali nelle imprese, come amministratori delegati e direttori generali» illustra Moretto. «Si tratta di leader riconosciuti, con soft skill particolarmente sviluppate. Si ha così la possibilità di costruire un network di valore imparando da persone di riconosciuta fama».
Analogo, ma differente, il percorso MBA. «Il principio è lo stesso, ma i profili manageriali coinvolti sono più giovani» continua Moretto. «La loro esperienza può essere un boost per l’aula, in modo da far comprendere come si può raggiungere quell’obiettivo. Negli MBA, inoltre, l’apprendimento passa anche dal role play: gli studenti possono calarsi in situazioni simulate che presentano problemi complessi che nella propria realtà operativa quotidiana non hanno ancora avuto modo di affrontare».

 

Un solo obiettivo: formare leader d’azienda

Al netto di questi due aspetti, i temi affrontati e gli obiettivi sono i medesimi. «MBA ed Executive MBA toccano tutte le tematiche specifiche sul funzionamento dell’impresa. Si vanno a conoscere tutti i processi e le diverse funzioni. L’obiettivo è comprendere come lavora l’impresa, come funziona all’interno e all’esterno, quali sono le principali decisioni manageriali da assumere» spiega Moretto. «In entrambi i corsi le tematiche affrontate partono da basi di economia aziendale, temi di organizzazione, gestione dell’innovazione, gestione dei processi, project management, strategia e finanza. L’obiettivo non è creare uno specialista su un determinato tema; al contrario, si vuole creare una figura che abbia la capacità di diventare un leader e un manager dell’azienda, che sappia leggere la totalità dell’impresa, che sappia comprendere le dinamiche di tutte le funzioni e abbia un linguaggio trasversale. Così potrà comunicare efficacemente con qualsiasi stakeholder, con qualsiasi funzione, con qualunque attore interno o esterno all’azienda».