Polisocial Award 2018

Città e Comunità Smart in Africa, questo il tema dei progetti di cooperazione e sviluppo che sono stati premiati all’interno della competizione Polisocial Award 2018, la quinta edizione della competizione che sostiene i progetti di ricerca ad alto contenuto sociale del Politecnico di Milano, finanziati con il contributo del 5 per mille IRPEF destinato all’Ateneo milanese.

Eritrea, Mozambico e Somalia sono in paesi in cui diversi percorsi di ricerca multidisciplinare hanno identificato piani di sviluppo locale e tra i quattro progetti premiati, due vedono la partecipazione del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, parte della School of Management del Politecnico.

In Mozambico, il progetto SAFARI NJEMA | From informal mobility to mobility policies through big data analysis si focalizza sullo sviluppo di sistemi di mobilità.

La mobilità in Africa spesso non viene considerata tra i problemi prioritari; ancor più spesso non è nota la pessima situazione nei grandi centri urbani: i mezzi pubblici sono scarsi o inesistenti, la maggior parte dei privati non possiede un mezzo, il che porta le persone a creare ed appoggiarsi ad un sistema informale di mobilità condivisa. Ma il sistema è poco organizzato, lento, rischioso e rende difficile spostamenti anche brevi e necessari per accedere a scuole e luoghi di lavoro.

L’obiettivo di SAFARI è contribuire al miglioramento della gestione della mobilità nelle grandi città africane. Attraverso l’uso di strumenti di analytics, come le informazioni offerte dall’utilizzo della telefonia mobile, SAFARI studierà lo stato attuale della mobilità, con focus su Maputo, e proporrà un piano di sviluppo place-based e bottom-up della mobilità.

“Il Dipartimento di Ingegneria Gestionale contribuisce a definire un sistema di misura delle performance profilato sulle città africane” – spiega la prof.ssa Michela Arnaboldi, docente di Accounting, Finance and Control e project manager del progetto – “che consente di confrontare soluzioni alternative e definire come le diverse opzioni migliorano i fattori critici, quali il tempo e la sicurezza negli spostamenti”.

Un modello di sviluppo integrato per Mogadiscio in Somalia è invece la finalità del progetto BECOMe | Business ECOsystem design for sustainable settlements in Mogadishu: affordable housing, local entrepreneurship and social facilities.

Tra i principali bisogni della popolazione somala, infatti, c’è la risoluzione dell’emergenza abitativa determinata dall’intensa crescita della popolazione, gli alti livelli di povertà, il danneggiamento di edifici provocato dalla guerra civile e la generale insicurezza nelle aree di conflitto.

Il progetto si pone l’obiettivo di realizzare moduli abitativi di nuova concezione, che affianchino alla accessibilità del costo di realizzazione (e quindi di acquisto per gli abitanti) la qualità della vita, garantendo comfort e sicurezza e la possibilità di costruire una comunità sociale (spazi comuni, piccole attività, servizi di supporto) secondo le caratteristiche proprie della Somalia.

Il ruolo del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, in particolare, è quello di garantire che le diverse scelte progettuali siano coerenti – dal punto di vista economico – con l’obiettivo di costo di acquisto che ci si è dati. Inoltre, l’apporto del Dipartimento sarà fondamentale per disegnare il business ecosystem che deve ruotare attorno alla realizzazione dei moduli abitativi e che è reso ulteriormente complesso dalla nostra volontà di integrare sistemi di produzione di energia distribuita (soprattutto fotovoltaico) e di immaginare la creazione di una filiera locale “circolare” per la realizzazione di parte dei materiali costruttivi (ad esempio sfruttando le macerie di guerra) e dei servizi necessari per la gestione e manutenzione degli edifici.

Collaborare ad un progetto Polisocial significa mettersi al servizio di chi progetta sistemi reali e con ricadute sociali” – racconta il prof. Davide Chiaroni, docente di Strategy & Marketing – “Vivo con molto piacere, ma soprattutto con grande senso di responsabilità, il mettere a servizio di un paese come la Somalia la nostra esperienza nella valutazione di fattibilità economica e nella costruzione di modelli di business coerenti con il paradigma dell’Economia Circolare.”

I progetti finanziati, che saranno avviati a inizio marzo, avranno durata di 15 mesi.

Il manager di oggi (e di domani)

Il mercato del lavoro del prossimo futuro passerà attraverso manager aperti al cambiamento e capaci di evolversi. La quarta rivoluzione industriale, ovvero la presenza della tecnologia in numerose attività prima svolte esclusivamente dall’uomo, minaccia alcune figure professionali, promette di crearne delle nuove, e richiede uno sforzo di adattamento a tutti, in particolare a chi riveste ruoli decisionali.

Quella del manager è una delle professioni che ha meno da temere dai cambiamenti in atto, e anzi assume un ruolo sempre più centrale. Ma proprio per questo i manager hanno più degli altri bisogno di aggiornare le proprie competenze in base alla continua evoluzione degli scenari. Quell’evoluzione che sono chiamati a interpretare e gestire.

Il Future of Jobs Report 2018, pubblicato dal World Economic Forum, indica le professioni legate al ragionamento e alla presa di decisioni, e quelle legate al coordinamento, allo sviluppo, alla gestione e alla consulenza, come le due categorie in cui il rapporto fra ore lavorate da umani e da macchine resterà più decisamente a vantaggio dei primi. Ma nel medesimo report si sottolinea anche che entro il 2022, a non meno del 54% dei manager verrà richiesto un re-skilling e upskilling significativo. Molte delle aziende intervistate hanno dichiarato la loro intenzione di concentrare i loro sforzi di aggiornamento delle competenze sui dipendenti che ricoprono ruoli ad alto valore aggiunto.

Il manager del futuro, chiamato a operare in una società complessa che cambia continuamente e a ritmi molto rapidi, necessita da un lato di hard skill sempre nuove, soprattutto in ambito tecnologico, e dall’altro di soft skills come il pensiero analitico, la resilienza, la creatività, l’intelligenza emotiva, la flessibilità. Se n’è parlato anche nella tavola rotonda “Human skills and drivers for change”, tenutasi lo scorso 2 febbraio presso il MIP Politecnico di Milano nel corso del primo EMBA Day 2019 (l’evento fa parte del ciclo “Practising Leadership”, il cui prossimo appuntamento è previsto il 6 marzo sul tema “Empower your career”). In quella occasione, Pino Mercuri, Direttore delle Risorse Umane di Microsoft Italia, si è soffermato fra l’altro sul tema dell’obsolescenza delle competenze nell’IT. “Una competenza ingegneristica o tecnologica media ha una shelf life tra i 24 e i 48 mesi – ha dichiarato Mercuri –. Non abbiamo però chiarezza totale e completa delle competenze che saranno necessarie nel prossimo futuro. Parliamo di Machine Learning, di AI, di IoT, ma spesso sono più delle password che non dei reali concetti”.

A fronte di questa crescente instabilità delle competenze richieste, assumono sempre più importanza la capacità di apprendere e la motivazione a farlo lungo tutto l’arco della vita lavorativa. “In Microsoft abbiamo cercato di mettere tutti in condizioni di capire che apprendere non solo è necessario ma è anche un elemento di valutazione – ha proseguito Mercuri –. Nel nostro sistema di performance management chiediamo di dichiarare cosa si intende fare per crescere e apprendere, e la risposta a quella domanda viene verificata nel successivo step di valutazione”.

L’head hunter Jacopo Pasetti, anch’egli presente all’incontro, ha posto l’attenzione su due concetti, consapevolezza e passione: “La consapevolezza va intesa come comprensione del nostro percorso professionale e di quello che ci piace davvero. È necessaria perché l’aggiornamento continuo richiesto dalla veloce evoluzione delle competenze non venga percepito come un peso. Perciò bisogna scegliere il proprio percorso di carriera non in base alle mode del momento ma seguendo le proprie passioni, oltre a una strategia chiara”.

L’importanza delle soft skill non deve però portare a trascurare le hard skill. “Siamo in un momento storico in cui stanno cercando di convincerci che la competenza e la cultura non siano poi così importanti – ha sottolineato Fulvia Fiaschetti, Global Talent Acquisition Associate Director di Amplifon –. Io credo invece che il mondo delle aziende con grande forza si opponga a questo tipo di pensiero”. La competenza tecnica, secondo la manager, è richiesta soprattutto all’ingresso in azienda, mentre le soft skill si formano dopo e servono a compiere passi ulteriori. Comunicazione, empatia, forward thinking sono competenze che non si apprendono sui libri.

La necessità di imparare in fretta porta poi alla diffusione di una cultura dell’errore, intesa come invito a osare e a sperimentare continuamente, utilizzando anche i fallimenti come modalità di apprendimento. “L’errore non solo è possibile ma è necessario per acquistare sempre più competenze – ha fatto notare ancora Pino Mercuri –. Se si sta sbagliando, è probabilmente perché si sta cercando davvero di innovare”.

 

 

 

SaniWelf 4.0


Mefop SpA (società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione) e Politecnico di Milano School of Management propongono il progetto SaniWelf 4.0, iniziativa per contribuire alla ricerca e al dibattito finalizzati a disegnare possibili strategie di intervento da consegnare alle Istituzioni e al mercato in materia di assistenza sanitaria integrativa, con un focus sulle prospettive di sviluppo sul segmento dei servizi socio-sanitari e attraverso l’analisi delle prospettive di integrazione virtuosa e generativa tra sistema pubblico e strumenti/ stakeholders del welfare privato.

Nel corso dei momenti di ricerca e dei seminari, il progetto si propone di studiare meccanismi virtuosi di integrazione pubblico-privato sull’area dei servizi socio sanitari, in modo da valorizzare e sfruttare il ruolo del secondo welfare nelle sue diverse componenti sociali e sanitarie e nella sua imprescindibile dimensione di «welfare di rete».

L’attività del progetto sarà scandita da quattro seminari che si terranno a Roma e Milano da febbraio a maggio 2019.

  • 05/03/19: Invecchiamento e fragilità: il ruolo della sanità integrativa
  • 18/04/19: Ecosistemi per l’impatto sociale a sostegno di sanità e welfare
  • 16/05/19: Investitori istituzionali e finanza per l’impatto sociale

Seguiranno ulteriori comunicazioni con i dettagli di ogni evento.
Per maggiori informazioni: eventi@mefop.it

Dove

School of Management Politecnico di Milano – Via Lambruschini, 4 – 20156 Milano

Milano va sempre più di moda

Dal 19 al 25 febbraio Milano è al centro del mondo. Il motivo? La Settimana della Moda, evento di portata internazionale che celebra uno dei fiori all’occhiello della città: sei giornate dense di incontri che richiamano professionisti e appassionati da ogni continente.

Il calendario della manifestazione, organizzata dalla Camera Nazionale della Moda Italiana e dedicata alla moda donna autunno/inverno 2019, è ricco di appuntamenti e prevede 60 sfilate, 81 presentazioni, 33 eventi, per un totale di 173 collezioni. Come già nelle ultime edizioni, non mancano manifestazioni aperte anche ai non addetti ai lavori che permettono al grande pubblico, e in particolare agli studenti del mondo fashion, di conoscere da vicino la realtà del Made in Italy, dalle grandi aziende che ne hanno segnato la storia fino ai talenti emergenti.

“Grande attenzione verso i nuovi talenti e l’internazionalità”, ha dichiarato Carlo Capasa, presidente della Camera della Moda a proposito di questa edizione. “Sono molti i brand presenti a Milano per la prima volta, grazie al nostro supporto. Sostenere i nuovi talenti è uno dei nostri pillar, accanto alla sostenibilità”. Tra gli esordienti figurano Gilberto Calzolari e Tiziano Guardini, vincitori del Franca Sozzani GCC Award rispettivamente nel 2017 e nel 2018, che presenteranno le loro collezioni. Attesissimi anche i debutti di Marco Rambaldi per Marios, della stilista portoghese Alexandra Moura e del brand di Mayo Loizou e Leszek Chmielewsk. Quanto ai big, questa edizione è segnata dal ritorno di Gucci, Angel Chen e Bottega Veneta con Daniel Lee.

«L’evento milanese è una delle quattro grandi “settimane della moda” che si svolgono due volte all’anno nel mondo: le altre sono quelle di Parigi, Londra e New Yorkracconta Alessandro Brun, Direttore del Master In Global Luxury Management presso la School of Management del Politecnico di Milano –. Si tratta di un appuntamento importante sia per le grandi maison, sia per i giovani designer e per i brand emergenti, che hanno la possibilità di mettersi in mostra in un evento “dal vivo”. Inoltre, è un momento importante per l’intera città: le sfilate si svolgono in diverse location, spesso in zone riqualificate come Tortona, Garibaldi-Porta Nuova-Isola, piazzale Lodi, con grandi benefici anche per le attività commerciali locali».

Insomma, la moda milanese va, come confermano i dati dello scorso anno, ed è più viva che mai e in costante crescita. Le imprese presenti sul territorio cittadino sono 13mila, mentre la Lombardia – prima regione italiana nell’ambito fashion – ne conta quasi 34 mila. L’export di tessili del territorio lombardo ha sfiorato nei primi nove mesi del 2018 i 10 miliardi di euro, con una crescita del 3,6% rispetto all’anno precedente. La sola città di Milano ha superato i 5 miliardi, con una crescita del 6,4%, confermandosi leader assoluta.

La Settimana della Moda dello scorso febbraio ha portato al capoluogo un guadagno di 19 milioni di euro nel solo settore dell’ospitalità, in crescita di 2 milioni rispetto all’edizione del 2017. L’impatto economico complessivo che coinvolge i settori di indotto (trasporti, musei, negozi, ristoranti) ha toccato i 160 milioni di euro, coinvolgendo 137mila addetti e 18mila imprese.

L’edizione 2019, partendo da queste premesse, ha voluto rafforzare, in accordo col Comune di Milano, la connessione tra moda e territorio utilizzando per gli eventi degli spazi inusuali come la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale o lo Spazio Cavallerizze del Museo della Scienza e della Tecnologia. Prevista inoltre la presentazione, da parte della Camera Nazionale della Moda Italiana, il film “Welcome to Milano”, realizzato da The Blink Fish, in cui un gruppo di modelle conduce gli spettatori alla scoperta di Milano e dei suoi luoghi più segreti.

Passano gli anni, quindi, ma la moda a Milano non passa mai di moda. «Però è bene guardare con attenzione ai cambiamenti – racconta ancora Alessandro Brun –. I grandi brand stanno prestando sempre più interesse ai costi rispetto a un tempo. E poi ci sono le nuove tecnologie e le nuove abitudini: Burberry ha lanciato la prima sfilata globale nel 2010 presentando la collezione autunno-inverno in diretta streaming su sette diversi siti e proiettata in 3D nei teatri di cinque diverse città, e qualche anno dopo ha offerto la possibilità di acquistare nei negozi gli stessi capi esibiti contemporaneamente sulle passerelle, rivoluzionando di fatto il paradigma che vedeva le sfilate presentare gli abiti con largo anticipo rispetto alla vendita. Ma non credo che questo possa mettere in crisi l’appuntamento milanese, che vanta una storia di oltre 60 anni. La città, infatti, resta un punto di riferimento dell’intero sistema moda italiano, il cui fatturato complessivo è passato dai 52 miliardi di euro del 2011 ai 54 miliardi del 2017 grazie al contributo di 46mila aziende e oltre 400mila lavoratori. La qualità dei nostri prodotti e la capacità artigianale italiana sono ancora delle eccellenze a livello internazionale».

LUCI E OMBRE DELLA COP24 DI KATOWICE

All’umanità restano appena dodici anni per salvare il clima del Pianeta. L’allarme lanciato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ben sintetizza l’importanza della COP24, la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici conclusasi lo scorso dicembre a Katowice, in Polonia.

Che bilancio si può tracciare di questo importante summit, ideale seguito di quello di Parigi del 2015? Emerge un quadro in chiaroscuro, con gli esperti divisi tra chi lamenta l’insufficienza dei progressi conseguiti e chi, invece, si concentra soprattutto sull’importanza dei risultati – benché parziali – raggiunti.

«Quello sul cambiamento climatico è un processo di negoziazione complicato che coinvolge molti paesi. Perciò è naturale aspettarsi progressi lenti», ha dichiarato Massimo Tavoni, professore di Climate Change Economic presso la School of Management del Politecnico di Milano. «L’obiettivo principale della riunione della COP di quest’anno è stato quello di fare il punto su dove siamo arrivati ed elaborare linee guida per l’implementazione di ciò che è stato già deciso. Questi obiettivi nel complesso sono stati raggiunti, ma hanno anche mostrato quanto piccoli siano stati i progressi finora compiuti. In particolare, l’incontro di Katowice ha sottolineato la fragilità politica dell’accordo sul clima di Parigi firmato nel 2015. Le posizioni scettiche dei governi degli Stati Uniti e del governo brasiliano appena eletto, oltre all’opposizione dei paesi del Golfo, hanno fatto sorgere dubbi sulla capacità dell’accordo di Parigi di compiere reali progressi aggiuntivi sulle riduzioni delle emissioni. Questo mentre la scienza ha accumulato nuovi preoccupanti segnali dell’impatto potenzialmente devastante dei cambiamenti climatici sull’uomo e sugli ecosistemi», spiega Tavoni, vincitore di un ERC grant sui temi dell’economia comportamentale e dell’ambiente.

Va detto però che l’obiettivo tecnico della COP24, cioè l’approvazione di un regolamento sull’applicazione dell’accordo di Parigi, è stato centrato, anche se non si è raggiunto un impegno collettivo per portare a termine i cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDC), ossia gli obiettivi di azione sul clima a livello nazionale. L’obiettivo dell’accordo di Parigi era contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, o, meglio ancora, entro gli 1,5 °C. Come fa notare Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, “Per farlo, si devono fissare obiettivi di riduzione volontari su base nazionale, ma è necessario garantire metodi coerenti, comuni e trasparenti in modo da poter confrontare i diversi obiettivi e le azioni dei vari Paesi con la stessa metodologia. Senza di ciò, ogni Paese misurerebbe le cose a modo suo. Lo scopo di Katowice era dunque avere le basi tecniche per andare avanti. Scopo che, con fatica, è stato raggiunto. Al contempo, però, si è registrato un calo di leadership”.

Questo “calo di leadership” si è notato fin dall’inizio dei lavori. Di fronte ai risultati presentati, si è aperto un confronto su come citare l’ultimo Rapporto dell’IPCC che valuta la differenza degli impatti tra un aumento di 1,5 °C e uno di 2 °C. Onufrio fa notare che c’è una bella differenza tra “usare la parolina ‘welcome’ (‘accogliere’) oppure ‘prendere nota’, che significa prendere atto senza però necessariamente agire”. Paesi come Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait, tutti produttori di petrolio, hanno deciso di non “accogliere” i risultati esposti dai climatologi. Quindi, alla fine della COP24 il Rapporto dell’IPCC è stato citato con una formula derivante da un compromesso al ribasso.

Quanto agli aspetti positivi, oltre al già citato conseguimento dell’obiettivo tecnico, che consente al negoziato sul clima di andare avanti, bisogna segnalare che la discussione ha anche toccato i temi dell’agricoltura, del suolo e delle foreste, che proprio a Katowice sono entrati in maniera più precisa nella discussione. Infine, per la prima volta, si è aperto un vero dibattito sul carbone. La Pontificia Accademia delle Scienze del Vaticano e l’Accademia delle Scienze polacca hanno presentato un documento in cui si chiede una transizione che comporti l’abbandono del carbone entro il 2030 in Polonia. Un orientamento, quest’ultimo, che avrebbe delle conseguenze positive anche dal punto di vista dell’occupazione, come spiega Giuseppe Onufrio: “I settori da chiudere, come quelli del fossile, sono ad altissima intensità di capitale e a bassa intensità di lavoro, escludendo le miniere, che comunque perderanno forza lavoro perché anche lì sta entrando l’automazione. Invece, nelle fonti rinnovabili, distribuite a bassa densità, c’è molta più occupazione in funzione dell’energia prodotta”.

 

Premio Richard R. Nelson: congratulazioni a Chiara Franzoni

Chiara Franzoni, docente di Economia e Organizzazione aziendale, è stata premiata con il premio Richard R. Nelson 2018 per la sua ricerca sulla “crowd science“.

Che cos’è la crowd science?

Il termine si riferisce a progetti scientifici che consentono a cittadini di qualunque età e grado di istruzione di contribuire attivamente ai progetti di ricerca scientifica condotti dai ricercatori.
La partecipazione su larga scala dei cittadini è in genere organizzata tramite piattaforme online. Le attività possono spaziare dalla visione di immagini di laboratorio per rintracciare nuovi pianeti, ad ‘giochi’ logico-visuali che sfruttano le abilità dei giocatori per comprendere le forme tridimensionali delle molecole, alla risoluzione collettiva di teoremi di matematica.
La crowd science, anche detta “citizen science“, ha prodotto risultati eclatanti, sia dal punto di vista della partecipazione diffusa e del contributo alla popolarizzazione della scienza, sia dal punto di vista scientifico. Ad esempio, alcuni studi hanno portato a scoperte di nuovi corpi celesti mai osservati prima, detto ‘quasar light echos’ e a pubblicazioni su riviste del calibro di Nature Molecular Biology.

 

La ricerca

Lo studio premiato, di cui è co-autore anche Henry Sauermann, Professore Associato di Strategy presso ESMT di Berlino, ha avuto il merito di introdurre questa nuova forma di organizzazione della scienza nelle scienze manageriali.

Il lavoro è stato pubblicato su Research Policy nel 2014, ed ha fornito il quadro concettuale per comprendere e potenziare l’applicazione della crowd science su scala più vasta.
Come lo studio prevedeva, la citizens science si è espansa rapidamente, interessando pressoché ogni disciplina e sperimentando nuove tecniche di coinvolgimento dei cittadini.
Lo studio inoltre suggerisce che la libertà di partecipazione e la condivisione libera (open science) dei risultati intermedi sono le caratteristiche chiave che distinguono la crowd science dalla scienza “tradizionale”.

All’interno del panorama scientifico esiste una vasta gamma di approcci diversi, che lo studio ha classificato in due assi principali: competenze richieste ai volontari che intendono partecipare e complessità/interdipendenza delle attività dei partecipanti.
Mentre alcuni progetti, come “Galaxy Zoo“, hanno reclutato oltre 250.000 volontari che non avevano un background scientifico specifico e che hanno potuto lavorare in autonomia, altri progetti richiedono un livello di competenza ed interazione che limita il numero a pochi esperti. “Polymath“, ad esempio, coinvolge matematici sia professionisti che non, i quali discutono in piccoli gruppi per risolvere quesiti di matematica che ciascuno di loro non sarebbe in grado di risolvere da solo. Come lo studio prevedeva, i progetti del primo tipo rimangono quelli largamente più diffusi.

Poiché i cittadini sono una risorsa preziosa e a basso costo per i gruppi di ricerca, la crowd science è particolarmente interessante perché fornisce importanti contributi ‘in natura’ che complimentano o sostituiscono finanziamenti monetari. Inoltre, questo tipo di progetti fornisce anche maggiori benefici generali per il progresso della scienza attraverso la divulgazione aperta dei risultati intermedi che possono stimolare la successiva innovazione.

Spiega la Prof.ssa Franzoni: “Un ulteriore valore aggiunto della Citizens Science è quello di avvicinare gli studenti, gli appassionati ed i cittadini comuni alla scienza, abbattendo le barriere all’ingresso.
Ad esempio esistono molti progetti interessanti, che spaziano dallo studio delle migrazioni degli uccelli, alla comprensione del linguaggio delle balene, alla ricerca sul cambiamento climatico, che i docenti delle scuole di ogni grado (dalla primaria in poi) possono svolgere con le loro classi di alunni. Un modo intelligente e coinvolgente di far capire anche ai più piccoli il lavoro meticoloso che è alla base del progresso scientifico.”

In una ricerca successiva, Franzoni e Sauermann hanno quantificato alcuni di questi benefici, dimostrando il potenziale della crowd science nell’accelerazione del progresso della scienza.

 

Il premio

Il premio Richard R. Nelson viene assegnato ogni due anni per il miglior articolo selezionato pubblicato o sulla rivista “Reasearch Policy” o sula rivista “Industrial and Corporate Change”, entrambe specializzate in studi sull’innovazione. Il premio 2018 ha preso in considerazione gli articoli della rivista Research Policy nel periodo 2013-2017. La cerimonia di consegna del premio avverrà alla presenza di Richard R. Nelson, lo scienziato al cui merito scientifico è intitolato il premio, nel giugno 2019 presso l’università di Berkeley.

 

MBA: nuovi contributi allo studio

Anche quest’anno si rinnova l’opportunità di assistantship per gli studenti MBA Full Time e Part Time legata all’Italian Chapter della Clean Tech Challenge, ospitata dal MIP Politecnico di Milano.

Le Assistanship a disposizione sono due, una legata al tema dell’Energia, e la seconda all’impegno della Scuola per la riduzione della plastica, così come delineato nel New Plastics Economy Global Commitment della Ellen MacArthur Foundation.

Candidarsi è semplice: basta scrivere un saggio di 500-700 parole su una delle due tematiche.

Oltre al contributo allo studio messo a disposizione agli Assistant, questo progetto offre agli studenti MBA l’opportunità di sostenere l’impegno della Scuola verso il tema della sostenibilità e di vedere da vicino la realtà della Clean Tech Challenge.

 

Il Chapter Italiano, organizzato da anni dalla nostra Scuola, infatti è parte di una competizione internazionale – la Clean Tech  Challenge  – organizzata dalla London Business School e da University College London, durante la quale studenti da tutto il mondo presentano le proprie idee imprenditoriali legate al mondo della green economy.

Dopo un processo di selezione diviso in tre round, i migliori team si sfideranno a Londra in un boot camp di due giorni. In palio, un premio di 10000 sterline.

 

MBA: una preparazione che fa la differenza

Preparazione: ecco la parola chiave. È questo il valore aggiunto che viene riconosciuto dalle aziende ai candidati dell’International Full Time MBA del MIP.

Questo anche grazie al lavoro del Career Development Center, team di Career Advisor che in collaborazione con professionisti HR, consulenti e coach, consente agli studenti MBA di sviluppare competenze per la definizione, la costruzione e la gestione continua del percorso professionale.

La preparazione degli studenti inizia fin dal primo giorno del Master, attraverso un percorso di Career Development graduale ed articolato.

Gli studenti infatti, vengono presi per mano e accompagnati nel self-assessment delle competenze hard e soft, nella comprensione del mercato del lavoro e nella definizione dei propri obiettivi professionali sia a lungo che breve termine. A questo si aggiungono simulazione di colloqui e la restituzione di feedback individuali.

Inoltre, il team del Career Development Center assiste i candidati nel perfezionamento degli strumenti per la presentazione sul mercato del lavoro, dal CV alla lettera di presentazione, fino al profilo Linkedin.

Tuttavia, non basta sapere come cercare un’opportunità professionale, ma anche dove. Ecco perché vengono messi a disposizione gli accessi a canali preferenziali per la ricerca di lavoro, non solo a livello nazionale ma anche internazionale, e a una piattaforma digitale dedicata con più di 2000 aziende internazionali – di cui 200 circa partner della Scuola.

A tutte queste attività si aggiungono gli eventi organizzati on campus: come le presentazioni aziendali e le occasioni di networking organizzate dal MIP, come ad esempio gli MBA Recruiting Days.

Uno dei parametri di  valutazione è la soddisfazione delle aziende, che riportano un ottimo livello di preparazione dei candidati, che si fanno così ambasciatori della Scuola.

 

 

 

Elezioni di 1 rappresentante dei dottorandi in Consiglio di Dipartimento

Ai dottorandi del Dipartimento di Ingegneria Gestionale

Si ricorda che Giovedì 31 gennaio 2019 si svolgeranno le elezioni di 1 rappresentante dei dottorandi in Consiglio di Dipartimento.

Sono pervenute le candidature di:

  • Battanta Luca Federico
  • Siragusa Chiara

Le votazioni si svolgeranno:

Prima votazione: giovedì 31 gennaio 2019, dalle ore 9.00 alle ore 17.00, presso l’ufficio 0.13 al piano terra del DIG.

Seconda  votazione (eventuale): venerdì 1° febbraio 2019, dalle ore 9.00 alle ore 12.00, presso l’ufficio 0.13 al piano terra del DIG.

Ogni elettore potrà esprimere una sola preferenza.

Le votazioni si svolgeranno a scrutinio segreto e saranno valide se vi parteciperà almeno un terzo degli aventi diritto per la I votazione, mentre la II votazione è senza quorum.

E’ eletto chi riporta il maggior numero di voti e, a parità di voti, colui che ha maggiore anzianità anagrafica.

Gli elettori dovranno presentarsi al seggio muniti di un idoneo documento di identità (carta d’identità, patente, passaporto).

 

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