Due passi nella città del futuro

Sostenibile, connessa, condivisa. In una parola, smart. È questo il futuro a cui guarda una città come Milano, inserita ormai a pieno titolo nel gruppo delle metropoli europee più all’avanguardia. Ed è questo l’orizzonte a cui nei prossimi anni dovranno guardare tutti i centri urbani, grandi o piccoli che siano. Si fa sempre più concreta quindi l’idea di smart city, una città che grazie alle tecnologie e all’innovazione diventa più efficiente, più ecologica e anche più democratica.

«Quando penso a una smart city, penso a un insieme di comunità che coesistono e partecipano alla vita della città grazie a diverse forme di sharing», spiega Davide Chiaroni, direttore Corporate Relations al MIP Politecnico di Milano. «Assisteremo a un cambio di paradigma che investirà tutti i servizi e, di conseguenza, cambierà un po’ anche la nostra mentalità: ci abitueremo a una maggiore condivisione e partecipazione. Le smart city, in fondo, saranno le città dei Millennial e dei nativi digitali».

Queste città saranno anche in grado di offrire un’adeguata risposta architettonica ai mutati contesti lavorativi. «Molti edifici sono stati progettati sulla base di esigenze che oggi sono cambiate e cambieranno ancora di più in futuro: la crescente digitalizzazione dei servizi, che darà un impulso ancora maggiore allo smart working, renderà ad esempio obsoleti molti uffici di grandi dimensioni. La smart city, invece, si basa anche sull’idea dei cosiddetti building “circolari”, edifici progettati tenendo conto di una destinazione d’uso che può variare nel giro di poco tempo. In altri termini, sarà una città flessibile a misura di lavoro flessibile», racconta Chiaroni.

La flessibilità riguarda anche il tema della mobilità, che deve affrontare la duplice sfida della sostenibilità ambientale e della capillarità del servizio: «Milano sta puntando molto sull’allestimento di una flotta elettrica per il trasporto pubblico. E la guida autonoma rivoluzionerà la concezione che abbiamo dell’automobile: non più bene privato, ma vero e proprio servizio pubblico e condiviso», spiega Chiaroni. Da questo punto di vista, alcuni esperimenti si riveleranno molto utili per raccogliere dati e pianificare meglio i flussi di traffico: «I varchi di Area B (la zona a traffico limitato di Milano chiusa ai veicoli più inquinanti, ndr) saranno preziosissimi per misurare il volume di traffico e capire in quali aree intervenire e come farlo».

La rivoluzione delle smart city, insomma, è alle porte. Mancano però ancora dei tasselli, a partire dall’energia: «Le città non sono ancora in grado di affidarsi unicamente alle energie pulite e rinnovabili. Ci sono limiti di storage che vanno superati, ma la strada è quella giusta», spiega Chiaroni. Non va poi nascosto che lo sviluppo della smart city porta con sé anche delle criticità. «Numerosi studi sono d’accordo nell’affermare che la smart city, nel suo complesso, ha delle ricadute economiche positive. Ma non tutti gli attori coinvolti in questo processo vincono». Ed è qui che entra in gioco la funzione della politica: «La smart city cambierà le forme del lavoro. È inevitabile pensare che le fasce più anziane della popolazione ne saranno colpite. La politica avrà il ruolo di compensare questi gap, a fronte di un saldo che è comunque positivo».

La School of Management del Politecnico di Milano mira a formare le professionalità più adeguate per la gestione di questi processi: «Penso a una vera e propria cabina di regia che si occupi del design dei servizi, che sia in grado di realizzare una road map, che non sia composta da tecnici, ma da dirigenti che sappiano quali sono le tecnologie da sfruttare. La nostra scuola offre ai futuri manager un duplice know-how: gestionale e tecnologico. Siamo convinti che uno non possa prescindere dall’altro. Progettare non basta: bisogna pensare anche alle ricadute pratiche», conclude Chiaroni.

 

LUCI E OMBRE DELLA COP24 DI KATOWICE

All’umanità restano appena dodici anni per salvare il clima del Pianeta. L’allarme lanciato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ben sintetizza l’importanza della COP24, la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici conclusasi lo scorso dicembre a Katowice, in Polonia.

Che bilancio si può tracciare di questo importante summit, ideale seguito di quello di Parigi del 2015? Emerge un quadro in chiaroscuro, con gli esperti divisi tra chi lamenta l’insufficienza dei progressi conseguiti e chi, invece, si concentra soprattutto sull’importanza dei risultati – benché parziali – raggiunti.

«Quello sul cambiamento climatico è un processo di negoziazione complicato che coinvolge molti paesi. Perciò è naturale aspettarsi progressi lenti», ha dichiarato Massimo Tavoni, professore di Climate Change Economic presso la School of Management del Politecnico di Milano. «L’obiettivo principale della riunione della COP di quest’anno è stato quello di fare il punto su dove siamo arrivati ed elaborare linee guida per l’implementazione di ciò che è stato già deciso. Questi obiettivi nel complesso sono stati raggiunti, ma hanno anche mostrato quanto piccoli siano stati i progressi finora compiuti. In particolare, l’incontro di Katowice ha sottolineato la fragilità politica dell’accordo sul clima di Parigi firmato nel 2015. Le posizioni scettiche dei governi degli Stati Uniti e del governo brasiliano appena eletto, oltre all’opposizione dei paesi del Golfo, hanno fatto sorgere dubbi sulla capacità dell’accordo di Parigi di compiere reali progressi aggiuntivi sulle riduzioni delle emissioni. Questo mentre la scienza ha accumulato nuovi preoccupanti segnali dell’impatto potenzialmente devastante dei cambiamenti climatici sull’uomo e sugli ecosistemi», spiega Tavoni, vincitore di un ERC grant sui temi dell’economia comportamentale e dell’ambiente.

Va detto però che l’obiettivo tecnico della COP24, cioè l’approvazione di un regolamento sull’applicazione dell’accordo di Parigi, è stato centrato, anche se non si è raggiunto un impegno collettivo per portare a termine i cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDC), ossia gli obiettivi di azione sul clima a livello nazionale. L’obiettivo dell’accordo di Parigi era contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, o, meglio ancora, entro gli 1,5 °C. Come fa notare Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, “Per farlo, si devono fissare obiettivi di riduzione volontari su base nazionale, ma è necessario garantire metodi coerenti, comuni e trasparenti in modo da poter confrontare i diversi obiettivi e le azioni dei vari Paesi con la stessa metodologia. Senza di ciò, ogni Paese misurerebbe le cose a modo suo. Lo scopo di Katowice era dunque avere le basi tecniche per andare avanti. Scopo che, con fatica, è stato raggiunto. Al contempo, però, si è registrato un calo di leadership”.

Questo “calo di leadership” si è notato fin dall’inizio dei lavori. Di fronte ai risultati presentati, si è aperto un confronto su come citare l’ultimo Rapporto dell’IPCC che valuta la differenza degli impatti tra un aumento di 1,5 °C e uno di 2 °C. Onufrio fa notare che c’è una bella differenza tra “usare la parolina ‘welcome’ (‘accogliere’) oppure ‘prendere nota’, che significa prendere atto senza però necessariamente agire”. Paesi come Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait, tutti produttori di petrolio, hanno deciso di non “accogliere” i risultati esposti dai climatologi. Quindi, alla fine della COP24 il Rapporto dell’IPCC è stato citato con una formula derivante da un compromesso al ribasso.

Quanto agli aspetti positivi, oltre al già citato conseguimento dell’obiettivo tecnico, che consente al negoziato sul clima di andare avanti, bisogna segnalare che la discussione ha anche toccato i temi dell’agricoltura, del suolo e delle foreste, che proprio a Katowice sono entrati in maniera più precisa nella discussione. Infine, per la prima volta, si è aperto un vero dibattito sul carbone. La Pontificia Accademia delle Scienze del Vaticano e l’Accademia delle Scienze polacca hanno presentato un documento in cui si chiede una transizione che comporti l’abbandono del carbone entro il 2030 in Polonia. Un orientamento, quest’ultimo, che avrebbe delle conseguenze positive anche dal punto di vista dell’occupazione, come spiega Giuseppe Onufrio: “I settori da chiudere, come quelli del fossile, sono ad altissima intensità di capitale e a bassa intensità di lavoro, escludendo le miniere, che comunque perderanno forza lavoro perché anche lì sta entrando l’automazione. Invece, nelle fonti rinnovabili, distribuite a bassa densità, c’è molta più occupazione in funzione dell’energia prodotta”.

 

MBA: nuovi contributi allo studio

Anche quest’anno si rinnova l’opportunità di assistantship per gli studenti MBA Full Time e Part Time legata all’Italian Chapter della Clean Tech Challenge, ospitata dal MIP Politecnico di Milano.

Le Assistanship a disposizione sono due, una legata al tema dell’Energia, e la seconda all’impegno della Scuola per la riduzione della plastica, così come delineato nel New Plastics Economy Global Commitment della Ellen MacArthur Foundation.

Candidarsi è semplice: basta scrivere un saggio di 500-700 parole su una delle due tematiche.

Oltre al contributo allo studio messo a disposizione agli Assistant, questo progetto offre agli studenti MBA l’opportunità di sostenere l’impegno della Scuola verso il tema della sostenibilità e di vedere da vicino la realtà della Clean Tech Challenge.

 

Il Chapter Italiano, organizzato da anni dalla nostra Scuola, infatti è parte di una competizione internazionale – la Clean Tech  Challenge  – organizzata dalla London Business School e da University College London, durante la quale studenti da tutto il mondo presentano le proprie idee imprenditoriali legate al mondo della green economy.

Dopo un processo di selezione diviso in tre round, i migliori team si sfideranno a Londra in un boot camp di due giorni. In palio, un premio di 10000 sterline.

 

Inaugurazione Hub di Quartiere per promuovere il Dono del Cibo e ridurre lo Spreco Alimentare

Nel 2015 Milano ha promosso una Politica Alimentare per rendere più sostenibile il sistema alimentare della città con un approccio multidisciplinare e partecipato, nel quale il Comune assume un ruolo di stimolo e facilitazione.
La riduzione dello spreco alimentare è una delle priorità della Politica Alimentare e si sviluppa attraverso l’ingaggio di diversi attori locali come centri di ricerca, istituzioni, settore privato, fondazioni ed attori sociali.

Per tradurre tale priorità in azioni concrete, nel 2016 il Comune di Milano, Assolombarda e Politecnico di Milano hanno condiviso il protocollo di intesa, che hanno definito “ZeroSprechi”, con l’obiettivo di ridurre lo spreco di cibo e innovare le modalità di recupero degli alimenti da destinare agli indigenti, progettando e sperimentando un modello di recupero e ridistribuzione delle eccedenze alimentari basato su reti locali di quartiere.

Il Comune di Milano ha individuato uno spazio pubblico non utilizzato nel Municipio 9 e lo ha reso disponibile come hub del progetto per lo stoccaggio e la distribuzione degli alimenti recuperati agli enti del terzo settore, organizzazioni beneficiarie e organizzazioni non profit.
Il Politecnico di Milano ha elaborato uno studio di fattibilità della rete e monitorerà l’operatività dell’hub e gli impatti generati dal progetto per 12 mesi, costruendo un modello logistico estendibile e replicabile in altri quartieri della città.
Assolombarda, dopo un importante percorso di sensibilizzazione, ha individuato e coinvolto alcune aziende che hanno aderito al progetto, e ha fornito il bollino “ZeroSprechi”, ideato e offerto dal Gruppo Armando Testa, per valorizzare le imprese virtuose e porre l’attenzione sul grande tema della gestione delle eccedenze alimentari.
Banco Alimentare della Lombardia, vincitore del bando di assegnazione dell’hub, garantirà la gestione operativa e quotidiana del modello elaborato dal Politecnico, recuperando le eccedenze alimentari e distribuendole alle strutture caritative partner del territorio.
Il Programma QuBì -la ricetta contro la povertà infantile- che ha già avviato un hub simile in via degli Umiliati, aderisce al progetto finanziando allestimento e gestione dell’hub di via Borsieri e favorendo le connessioni con le reti del territorio sostenute e coinvolte dallo stesso Programma QuBì.
Si tratta di un progetto innovativo in cui vi è la collaborazione di tutti gli attori del sistema: le aziende impegnate a donare e favorire il recupero delle eccedenze alimentari, le Onlus che rappresentano il punto di contatto con gli indigenti e l’autorità pubblica che favorisce lo sviluppo di queste iniziative virtuose.

Sono soddisfatta dell’apertura di questo hub perché è frutto degli sforzi congiunti di molti attori della città – afferma Anna Scavuzzo, Vicesindaco di Milano delegata per la Food Policy –. Questo è un primo esempio di rete locale per la raccolta e ridistribuzione del cibo prima che sia sprecato e diventi rifiuto. La collaborazione con il Municipio 9 ci ha permesso di restituire alla città uno spazio pubblico non utilizzato, e allo stesso tempo valorizzare l’impegno per ridurre gli sprechi alimentari, una delle priorità della Food Policy di Milano. Questo progetto si affianca alla riduzione del 20% della parte variabile della TARI per le imprese che donano il cibo, alla promozione di raccolta e ridistribuzione di eccedenze dalle mense scolastiche e ad azioni di sistema che stiamo studiando con AMSA. L’hub di Via Borsieri è un ulteriore passo avanti per una Milano sempre più sostenibile, inclusiva ed equa”.
Sono orgoglioso che il Municipio 9 ospiti un progetto che mette al centro del dibattito sia il diritto dell’accesso al cibo, sia la distribuzione di quanto non utilizzato. Temi che, considerate le nuove povertà delle smart cities, esortano tutti noi a fare meglio. Senza dimenticare che ridurre lo spreco alimentare aiuta a diminuire i rifiuti e a consumare più cibi sani deperibili quali frutta e verdura. – aggiunge Giuseppe Lardieri, Presidente del Municipio 9Sono sicuro che gli attori presenti nel territorio del Municipio 9 – industria, GDO, ristorazione, Terzo Settore, Istituzioni – siano in grado di fare la loro parte per la riuscita dell’iniziativa”.

All’interno del progetto il Politecnico di Milano è fiero di portare il suo contributo per l’elaborazione del modello di raccolta ai fini di favorirne la replicabilità in altre parti della città e in altri luoghi – dichiara Marco Melacini, Professore di Logistica e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability del Politecnico di Milanoil progetto non si esaurisce con l’attivazione dell’hub di via Borsieri ma saranno organizzati degli incontri periodici volti a verificarne, oltre che l’efficacia in termini di eccedenze raccolte, l’efficienza dei processi di raccolta e ridistribuzione. Il gruppo di lavoro si impegna a fornire periodicamente informazioni sullo stato di avanzamento del progetto”.

“Siamo orgogliosi di vedere concretizzato il primo progetto strutturale di recupero delle eccedenze alimentari tra imprese della filiera e operatori del terzo settore nella città di Milano, a due anni dalla firma del Protocollo d’Intesa – afferma Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano La necessità di agire sullo spreco è una questione di particolare importanza sia dal punto di vista sociale, sia da quello ambientale e crediamo che Milano, operando in un’ottica di sistema, stia facendo un passo significativo verso la promozione di un futuro più sostenibile sul tema dell’alimentazione”.

Oggi tagliamo un importante traguardo nella sfida contro gli sprechi, inaugurando un efficace processo di raccolta e ridistribuzione delle eccedenze alimentari e promuovendo un modello replicabile che vede Milano capofila – ha sottolineato Alessandro Scarabelli, Direttore Generale di Assolombarda Confindustria Milano, Monza e Brianza, Lodi –. Un risultato frutto della virtuosa collaborazione tra associazioni, enti, imprese, università, organizzazioni non profit, che unisce i diversi contributi in una prospettiva di sistema capace di ottimizzare, attraverso circuiti veloci, la consegna e il consumo di beni in eccedenza. Inoltre, con il bollino ‘ZeroSprechi’ vogliamo mettere in evidenza le imprese che svolgono un ruolo attivo nel progetto e che, aderendo all’iniziativa, si fanno promotrici di diffondere le buone pratiche e la cultura della riduzione dello spreco alimentare”.

Banco Alimentare della Lombardia vuole essere sempre più vicino alle organizzazioni caritative partner dei quartieri nei Municipi 8 e 9 della città di Milano nel contrasto alla povertà alimentare. Insieme a tutte le realtà profit, le istituzioni, le associazioni di categoria e le fondazioni di erogazione siamo una squadra vincente per dare risposte concrete al bisogno” afferma Marco Magnelli, Direttore Banco Alimentare della Lombardia.

Il problema della povertà alimentare infantile a Milano è un problema che va affrontato e risolto con un modello di intervento che chieda a tutte le forze in campo di lavorare insieme. L’inaugurazione dell’Hub di Via Borsieri rappresenta un importante passo in questa direzione: il Programma QuBì ha già sostenuto il Banco Alimentare della Lombardia nell’avvio dei primi due punti di raccolta cittadini e ora, grazie alla sinergia con gli altri attori coinvolti, si potrà massimizzare la raccolta del cibo, riducendo lo spreco e rafforzando la capacità di raggiungere le famiglie in povertà alimentare. Il contrasto alla povertà alimentare è una delle azioni cardine del Programma pluriennale QuBì promosso da Fondazione Cariplo – con il sostegno di Fondazione Vismara, Intesa Sanpaolo, Fondazione Enrica e Romeo Invernizzi e Fondazione Fiera Milano- in collaborazione con il Comune di Milano e le organizzazioni del Terzo Settore che operano sul territorio. Una sfida pari a 25 milioni di euro che intende coinvolgere la città di Milano nel suo complesso: aziende, istituzioni e singoli cittadini sono chiamati a creare una ricetta comune che permetta di dare risposte concrete alle famiglie in difficoltà e creare percorsi di fuoriuscita dal bisogno” conclude Giuseppe Guzzetti, Presidente della Fondazione Cariplo.