Fashion: premiata la laurea più sostenibile

Save The Duck, il primo marchio di piumini 100% animal free, ha consegnato ieri il premio di laurea alla migliore tesi sul tema della sostenibilità nel settore fashion. Dedicato agli studenti del Politecnico di Milano, il riconoscimento è stato istituito in collaborazione con la Sustainable Luxury Academy della School of Management dell’Ateneo, un Osservatorio permanente sul lusso responsabile. In palio: 5 mila euro.

 

Save The Duck, il primo marchio di piumini 100% animal free, ha consegnato ieri il premio di laurea dall’importo di 5.000 euro, istituito in collaborazione con la Sustainable Luxury Academy della School of Management del Politecnico di Milano e volto a valorizzare la migliore tesi sul tema della sostenibilità nel settore fashion. Ad aggiudicarsi il riconoscimento con un punteggio complessivo di 23.3 su 25 sono state Tiziana Modica e Maria Giulia Zanotti con la tesi «Introducing Postponement in Global Distribution Network Design: a Sustainability Perspective». Motivazione: «Ottimo lavoro, che prende in considerazione una tematica “calda” come la riduzione di emissioni di Co2 e l’ottimizzazione dei trasporti e della distribuzione delle merci. Si tratta inoltre di un progetto di respiro internazionale e, caratteristica fondamentale, modulabile secondo le esigenze di ogni azienda». Al premio hanno potuto candidarsi tutti gli studenti che hanno conseguito il titolo di laurea magistrale nel periodo tra ottobre 2018 e luglio 2019 con votazione non inferiore a 100/110 presso il Politecnico di Milano. Le vincitrici si sono focalizzate sulla sostenibilità della supply chain nel mondo fashion, con un focus sulla riduzione delle inefficienze nel sistema dei trasporti su scala internazionale. Obiettivo: garantire alle aziende benefici tangibili sul piano sia ambientale, sia economico.

Il riconoscimento è stato consegnato nel corso del Responsible Luxury Summit, l’annuale momento di confronto della Sustainable Luxury Academy, Osservatorio permanente sul lusso sostenibile finanziato dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Mazars per riunire le voci più influenti dell’industria dell’alto di gamma e incidere positivamente sul mercato. L’Osservatorio monitora quanto, con che politiche e risultati, le aziende italiane del lusso siano effettivamente sostenibili e propone una roadmap di azioni da intraprendere, anche grazie al dibattito tra imprese, docenti ed esperti come Carbonsink, società di consulenza specializzata in strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici che ha portato spunti di riflessione.

IDENTIKIT DEL PREMIO — L’obiettivo del progetto promosso da Save The Duck e fortemente voluto dal founder e ceo Nicolas Bargi è investire sul futuro delle giovani generazioni e sensibilizzarle ulteriormente su un tema cruciale per la vita di tutti noi. Lanciata nel 2011, l’azienda realizza capi privi di piume, pellami, pellicce e in generale materiali/tessuti di derivazione animale. L’ultimo traguardo raggiunto è stata la certificazione B-Corp, che distingue le aziende che volontariamente rispettano i più alti standard di responsabilità e trasparenza in ambito sociale e ambientale, dando lo stesso peso agli obiettivi economico-finanziari e agli obiettivi di impatto sociale e ambientale. Tra le partnership messe a segno da Save The Duck quelle con WWF, LAV, PETA e Sea Shepherd. «Sono molto orgoglioso della collaborazione con il Politecnico di Milano, eccellenza universitaria italiana, perché ci permette di sostenere giovani che ogni giorno si impegnano per poter contribuire a trovare soluzioni più sostenibili e rendere il mondo un luogo migliore» ha commentato Nicolas Bargi di Save The Duck. «Colgo l’occasione per complimentarmi con le due giovani vincitrici perché hanno saputo affrontare in modo efficace un tema estremamente complesso e di grande impatto sul mercato fashion (e non solo)». «Questo premio va esattamente nella direzione che ci siamo prefissi – ha aggiunto Alessandro Brun, a capo della Sustainable Luxury Academy della School of Management del Politecnico di Milano e direttore del Master in Global Luxury Management –: sensibilizzare maggiormente il settore del lusso sui temi della sostenibilità e della responsabilità sociale a partire dagli studenti, dalle nuove generazioni, che avranno il compito di trasformare le strategie e le analisi in realtà quotidiana».

Il gruppo Prada presenta “Shaping a Sustainable Future Society”

Il Gruppo Prada annuncia che l’8 novembre 2019 si terrà a New York la conferenza “Shaping a Sustainable Future Society”, la terza edizione delle conversazioni del Gruppo che offrono spunti di riflessione sui cambiamenti più significativi della società contemporanea.

L’evento di quest’anno esplora il concetto di sostenibilità sociale nel tentativo di dare una definizione esaustiva di questo termine. In una giornata di interventi e discussioni all’insegna del pensiero dialettico e della pluralità di prospettive, i relatori rifletteranno sulla responsabilità delle imprese e delle istituzioni di promuovere un ambiente che incoraggi libertà, uguaglianza e giustizia. In linea con il formato ormai affermato delle conferenze “Shaping a Future”, un contributo rilevante sarà fornito dai partner accademici dell’evento.

La mattinata sarà aperta da un keynote speech del noto architetto Sir David Adjaye OBE, seguito da una tavola rotonda che analizzerà le sfide affrontate quotidianamente dalle aziende sui più urgenti temi globali; la conversazione sarà moderata dal professor Gianni Riotta, giornalista e Vicepresidente Esecutivo del Consiglio per le Relazioni Italia-USA.

Il gruppo di partecipanti alla tavola rotonda, vario per competenze ed esperienze, include Richard Armstrong, direttore della Solomon R. Guggenheim Foundation e del Solomon R. Guggenheim Museum di New York; Amale Andraos, preside della Columbia University Graduate School of Architecture, Planning and Preservation; Mariarosa Cutillo, Chief of Strategic Partnerships dello United Nations Population Fund (UNFPA); Amanda Gorman, poetessa e attivista; Kent Larson, direttore del gruppo di ricerca City Science del MIT Media Lab; Livia Pomodoro, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ex magistrato ed ex presidente del Tribunale di Milano. Alla tavola rotonda seguirà il contributo del campione paralimpico Simone Barlaam.

L’evento proseguirà con l’intervento dei due partner accademici, le Schools of Management della Yale University e del Politecnico di Milano, per approfondire il tema della conferenza integrandolo con le loro prospettive. Lo Yale Center for Customer Insights presenterà una ricerca sviluppata in collaborazione con il Gruppo Prada che analizza quanto le tematiche sociali influenzino scelte e comportamenti dei consumatori. Seguirà una discussione, moderata dal professor Gianni Riotta, tra la professoressa Raffaella Cagliano della School of Management del Politecnico di Milano
e la professoressa Kate Crawford, scrittrice, compositrice e produttrice, su come le tecnologie digitali, inclusa l’intelligenza artificiale, stiano ridisegnando la nostra vita quotidiana, e su come la società si trovi a dover anticipare e gestire i rischi di un uso interessato o disonesto delle tecnologie digitali.
Le osservazioni conclusive della giornata saranno affidate a Rula Jebreal, giornalista pluripremiata, scrittrice ed esperta di politica estera.

La conferenza sarà trasmessa in diretta su www.pradagroup.com a partire dalle 9.30 EST / 15.30 CET. Sarà possibile seguire contenuti dell’intera giornata su @Prada con il live tweeting dell’evento e alimentare la discussione con l’hashtag #ShapingASustainableSociety

Il programma della giornata e la panoramica dei relatori sono disponibili sul sito web del Gruppo Prada in una sezione dedicata.

Le conferenze “Shaping a Future”

Dal 2017 il Gruppo Prada organizza ogni anno una conferenza allo scopo di offrire spunti di riflessione sui cambiamenti più significativi in corso nella società contemporanea. Anche nelle due precedenti edizioni Prada ha collaborato con le Schools of Management della Yale University e del Politecnico di Milano.
Nel 2017 la prima conferenza, intitolata “Shaping a Creative Future”, ha esplorato le connessioni tra creatività, sostenibilità e innovazione. La seconda, “Shaping a Sustainable Digital Future”, nel 2018 ha indagato il rapporto tra sostenibilità e innovazione digitale.
Il formato della serie di conferenze si compone di keynote speeches, tavole rotonde e promuove contest studenteschi.

A New Awareness: un veicolo di cambiamento attivo e inclusivo per una moda responsabile

10 Corso Como, Fashion Revolution Italia, School of Management del Politecnico di Milano e Design Studio WRAD si uniscono per sensibilizzare il pubblico a una moda consapevole e sostenibile.

A New Awareness – Una Nuova Consapevolezza – con una serie di impegni ed eventi intende mostrare come la moda possa diventare realmente più sostenibile e non solo “meno insostenibile”.

 

A New Awareness nasce per coinvolgere università, media, organizzazioni non governative, industria e società civile, per aiutare ad accelerare la trasformazione verso la sostenibilità nel contesto della moda.

Aspetti economici e socio-politici come il costo del lavoro, la complessità della filiera, l’instabilità del mercato, il prezzo delle materie prime, la delocalizzazione e la crisi economica hanno aumentato l’impronta ambientale e sociale della moda. L’industria moda è caratterizzata da problematiche critiche e da sfide impegnative. Ogni anno 93 miliardi di metri cubi di acqua vengono usati per la produzione tessile; il 20% dell’inquinamento globale delle acque dolci proviene da trattamenti tessili e fasi di tintura; ogni anno vengono prodotti 100 miliardi di capi, mentre il 35% del totale dei materiali immessi finisce per diventare scarto nella filiera della moda, producendo 92 milioni di tonnellate di rifiuti corrispondenti al 4% dei rifiuti solidi globali.

La sostenibilità nella moda conta. L’industria della moda ha avviato azioni importanti per accelerare la transizione, serve una continua consapevolezza per azioni trasformative che garantiscano collaborazione, innovazione e coordinamento a livello di sistema.
In questo contesto Camera Nazionale della Moda Italiana ha assunto un ruolo centrale: dal 2011 si impegna a diffondere il principio di una moda sostenibile, in quanto valore fondante del sistema moda italiano, e opera come supporto e stimolo per le aziende italiane interessate a investire concretamente nella sostenibilità.

A New Awareness è un evento numero zero dedicato alla sostenibilità per aiutare a fare conoscere il modo in cui i modelli attuali potrebbero realmente cambiare, attraverso una collaborazione tra più soggetti.
Con un approccio multidisciplinare, A New Awareness intende mostrare come l’innovazione radicale possa ispirare il design, e incoraggiare opinion leaders e organi decisionali a confrontarsi su come fare crescere la sostenibilità nella moda.

Dal 18 al 20 settembre 2019 in Corso Como 10 – Tazzoli, la prima edizione di A New Awareness presenta alcune nuove proposte per una sostenibilità consapevole con i progetti innovativi di Fashion Revolution, Design Studio WRAD, Bethany Williams, Helen Kirkum, Duran Lantink, Awareness Infinitum, Consorzio Detox, Manteco, Marini Industrie e Com.i.stra.

A New Awareness ringrazia per il sostegno e l’impegno 10 Corso Como, 24 Bottles, CNMI Fashion Trust, ES Progetti, Favini, From Studio, POLIMI Sustainable Luxury Academy, Stella Stone, Studio Punto Zero e Design Studio WRAD.

A New Awareness è stata ideata da Sara Maino Sozzani e sviluppata insieme ai fashion thinkers Marina Spadafora, Hakan Karaosman e Design Studio WRAD.

Sara Maino Sozzani, Deputy Editor in Chief Vogue Italia, Head of Vogue Talents and International Brand Ambassador Camera Nazionale della Moda Italiana, commenta: “Tutti oggi dobbiamo pensare in modo più responsabile per un futuro migliore. I grandi cambiamenti non accadono in un giorno solo, ma dobbiamo trasformare il nostro modo di consumare in modo che ciò avvenga. A New Awareness vuole aiutare a rendere i consumatori più consapevoli“.

Marina Spadafora, Country coordinator of Fashion Revolution Italia e United Nations ambassador, dichiara: “L’uomo si sta finalmente rendendo conto della realtà dell’emergenza climatica. Questo sarà un elemento essenziale della piattaforma A New Awareness e allo stesso tempo cercherà di indirizzare giustizia sociale e innovazione verso un’economia circolare. Uno scenario unico vedrà designers, artisti, attivisti, opinion leader e policy maker riuniti per discutere di come tutti noi possiamo unire le forze per una trasformazione concreta verso un futuro sostenibile.

Matteo Ward, fondatore e CEO di Design Studio WRAD, spiega: “L’attuale crisi è la nostra migliore opportunità di progresso. In questo contesto il design diventa mezzo per ispirare e dare al pubblico forme di investimento personale verso un futuro più sostenibile.

Dr. Hakan Karaosman, ricercatore del Politecnico di Milano School of Management e consulente delle Nazioni Unite, sottolinea: “Sono necessarie delle trasformazioni sistemiche per cambiare le modalità in cui il business della moda è gestito. Professionisti, accademici, consumatori e responsabili politici devono agire insieme. A New Awareness è una piattaforma fondamentale per ispirare e riconoscere ciò che deve cambiare. Facilitando la collaborazione e la comunicazione proattiva, è un ottimo esempio per mostrare come la partnership tra più soggetti sia una premessa essenziale alla sostenibilità nella moda.

A New Awareness a partire da settembre 2019 in 10 Corso Como – Tazzoli attiva una serie di eventi che proseguiranno nel corso dell’anno in una seconda fase. Promuovendo collaborazioni industriali nel settore moda, il sostegno a talenti creativi provenienti da settori diversi e l’incontro di opinion leaders e decision makers, A New Awareness vuole diventare un acceleratore della sostenibilità nel contesto della moda, attraverso una comunicazione trasparente e dibattiti su un’economia circolare e responsabile.

10 Corso Como Milano Tazzoli – via Enrico Tazzoli 3
Mercoledì, 18 settembre, ore 14.00 – 16.00, su invito
Giovedì, 19 settembre, ore 10.00 – 19.00, ingresso libero
Venerdì, 20 settembre, ore 10.00 – 17.00, ingresso libero

www.fashionrevolution.org/event/a-new-awareness/

Prada “Shaping a Sustainable Future Society” si terrà a New York l’8 novembre 2019

Terza edizione della conferenza annuale sui temi della sostenibilità organizzata in collaborazione con le Schools of Management di Yale e del Politecnico di Milano

 

Prada annuncia che “Shaping a Sustainable Future Society”, il terzo incontro culturale del suo programma sui temi della sostenibilità, si terrà a New York l’8 novembre 2019.

Promuovendo un dibattito tra esponenti del mondo accademico, istituzionale, artistico e imprenditoriale, il Gruppo Prada intende offrire spunti di riflessione sui cambiamenti più significativi in atto nella società contemporanea attraverso conversazioni che coinvolgano anche le giovani generazioni.

L’incontro di quest’anno esplorerà i temi di libertà, uguaglianza e giustizia nel mondo del lavoro quali strumenti di sviluppo armonico della società. Inoltre, la natura e l’impatto delle valutazioni etiche nelle scelte e nei comportamenti sociali delle persone sarà oggetto di studio nel corso della mattinata di lavori.

La complessità dell’attuale contesto politico e sociale richiede una riflessione sui temi della diversità e dell’inclusione e di delineare azioni concrete a riguardo. Il Gruppo Prada sente l’esigenza di contribuire a questo percorso di sviluppo culturale, ben consapevole del rischio che corrono le aziende e le comunità se non affrontano in modo adeguato i temi della discriminazione e dell’inclusività.

La conferenza sarà trasmessa in diretta su www.pradagroup.com, mentre l’agenda dell’evento e l’elenco dei relatori saranno disponibili nei prossimi mesi.
#ShapingASustainableSociety

Le conferenze “Shaping a Future”

Il Gruppo Prada ospita dal 2017 un evento annuale il cui obiettivo è stimolare il dibattito sui cambiamenti più significativi in atto nella società contemporanea. In entrambe le precedenti edizioni, il Gruppo ha collaborato con le Schools of Management di Yale e del Politecnico di Milano.
Nel 2017 la prima conferenza, intitolata “Shaping a Creative Future”, ha esplorato le connessioni tra creatività, sostenibilità e innovazione. La seconda, “Shaping a Sustainable Digital Future”, svoltasi nel 2018, ha indagato il rapporto tra innovazione digitale e sostenibilità.
La conferenza è strutturata secondo un discorso di apertura condotto da relatori di spicco, una o più tavole rotonde e promuove contest studenteschi.

Premio per tesi di laurea con impatti sui Sustainable Development Goals

La School of Management del Politecnico di Milano promuove i principi di una gestione responsabile e sostenibile in tutti i suoi programmi e sostiene attività di apprendimento e ricerca coerenti con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile/ Sustainable Development Goals (SDG) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. In questo contesto nasce il bando per il premio “SOM per gli SDG: Tesi con impatti connessi ai Sustainable Development Goals.”

Possono essere presentate candidature per tesi o tesine che rappresentino un contributo per risolvere le sfide sociali del nostro tempo e individuare modelli di sviluppo sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale (es. sviluppo di ricerche in ambito di progetti, prodotti o servizi alla persona per la promozione della salute e del benessere, parità di genere, sicurezza, protezione dell’ambiente, conservazione del patrimonio culturale, miglioramento delle condizioni di vita delle fasce deboli).

I premi sono destinati a laureati/e nel corso di Laurea Magistrale o Laurea Specialistica o V.O in Ingegneria Gestionale presso il Politecnico di Milano che abbiano conseguito il relativo titolo nel periodo Novembre 2018 – Ottobre 2019.

La scadenza del bando è il 9 ottobre 2019. 

Per maggiori informazioni, si prega di consultare il bando disponibile alla pagina https://www.som.polimi.it/albo-e-bandi/

Sostenibile, autonoma e condivisa. Ecco la mobilità del futuro

Nuove forme di propulsione, sharing economy, sostenibilità ambientale. Sono i percorsi che si intrecciano lungo la strada che porta alla mobilità del futuro. Una rivoluzione che riguarda da una parte la natura tecnologica dei mezzi di trasporto e, dall’altra, il rapporto che gli utenti hanno con i veicoli. Lo conferma Simone Franzò, ricercatore presso la School of Management del Politecnico di Milano e Direttore dell’Executive Master in Management presso il MIP: «Uno dei principali macrotrend che sta ridisegnando la mobilità è l’elettrificazione, ossia il passaggio dai tradizionali motori a combustione interna alimentati tipicamente a benzina o diesel ai motori elettrici. Senza dimenticare altri “combustibili” emergenti, come ad esempio l’idrogeno, che nel prossimo futuro potranno giocare un ruolo significativo. L’altro grande tema è la cosiddetta guida autonoma: veicoli in grado di svolgere, in toto o in parte, le attività di un normale guidatore, un ambito che promette di rivoluzionare l’esperienza stessa della guida e, più in generale, della fruizione di un veicolo».

Ma i cambiamenti sono anche di natura sociale: «Come in moltissimi altri ambiti, la sharing economy sta prendendo sempre più piede anche nella mobilità – prosegue Simone Franzò –, favorita da un’evidenza molto chiara: un veicolo di proprietà viene utilizzato mediamente per il 5% della sua vita utile, mentre per il restante 95% del tempo rimane inutilizzato. Superando il concetto di proprietà, la sharing economy permette di valorizzare maggiormente l’asset-veicolo. E questo non vale solo per l’automobile, ma anche per altri mezzi come biciclette, scooter e monopattini».

Un secondo esempio di sharing, applicato alla mobilità elettrica, fa rifermento al concetto di vehicle-to-grid (V2G) o, nella sua accezione più ampia, di vehicle-to-everything (V2X): in questo caso a essere condiviso non è il mezzo di trasporto, ma la sua fonte di energia. «Un veicolo elettrico può condividere il suo asset fondamentale, ossia la batteria, con la rete elettrica, oppure con utenze energetiche quali un appartamento o un edificio. Nel primo caso, le auto elettriche potranno mitigare le criticità della rete elettrica scambiando energia con la rete in maniera bi-direzionale, in funzione delle esigenze della rete stessa; nel secondo caso, esse permetterebbero di alimentare le utenze in caso di deficit della rete».

In generale, il tema della sostenibilità ambientale dei veicoli elettrici – che rappresenta uno dei principali driver per la diffusione della mobilità elettrica – è ampiamente dibattuto, e per certi versi ancora sotto la lente di ingrandimento, come conferma Franzò: «Numerosi studi mostrano che la fonte con cui è prodotta l’energia elettrica che alimenta le batterie impatta significativamente sul livello di emissioni dei veicoli e, quindi, sulla loro sostenibilità. Il percorso di decarbonizzazione della produzione di energia intrapreso a livello nazionale avrà un effetto positivo a tal proposito».

Al momento la diffusione dei veicoli elettrici è ancora piuttosto limitata in Italia e strettamente connessa alla parallela diffusione di un’idonea infrastruttura di ricarica. Se in ambito urbano, e quindi per tragitti brevi, le alternative non mancano, è sulle lunghe distanze che l’elettrico mostra ancora i suoi limiti: «A oggi il numero di punti di ricarica in Italia è ampiamente inferiore rispetto ai principali Paesi europei. Inoltre la loro dislocazione, in prevalenza in contesti urbani, rende più complesso l’utilizzo del veicolo elettrico su lunghe tratte, nonostante un’autonomia media che ormai si aggira sui 300-400 chilometri».

Ovviamente le sfide cambiano se facciamo riferimento al contesto urbano e a quello circostante. Secondo Franzò, «bisogna pensare tema della mobilità in maniera olistica per unire città e periferie, ad esempio creando punti di interscambio in cui chi arriva dalla periferia verso i centri cittadini possa utilizzare con facilità i veicoli in condivisione, magari elettrici».

Una sinergia sempre più necessaria, soprattutto in un contesto in cui le città puntano sempre più al decongestionamento del traffico e a ridurre il loro impatto in termini di inquinamento.

 

African Innovation Leaders in formazione per la New Production Revolution

Sono 21 i Leaders africani che stanno partecipando al programma “Emerging African Innovation Leaders – G7 exchange & empowerment program for enabling innovation within the next production revolution’” (AIL ) gestito da Politecnico di Milano e Politecnico di Torino.

Il programma della durata di 18 mesi, avviato ad aprile del 2018 grazie al supporto dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), ha lo scopo di promuovere innovazione ed imprenditorialità in 6 paesi africani, in particolare Etiopia, Kenia e Niger sul settore Green-tech e Mozambico, Nigeria e Tunisia sul Digital-tech, entrambi individuati come settori chiave che possono creare sinergia tra paradigmi di produzione e sviluppo sostenibile.  Il programma era stato annunciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri durante il G7 di Taormina nella sessione conclusiva di Outreach Africa.

I Leader coinvolti, selezionati tra 450 candidature vagliate dal comitato scientifico del progetto, hanno preso parte ad un percorso di formazione svolto presso il MIP, arricchito dalla partecipazione al World Manufacturing Forum e dalla visita ad imprese italiane dei settori chiave. L’obiettivo è creare le condizioni per lo sviluppo di una comunità di leaders in grado di innescare processi di innovazione nell’ambito della Next Production Revolution in Africa.

I Leaders, supportati da mentori dedicati, hanno identificato come output della formazione 6 progetti di innovazione che affrontano problematiche centrali per lo sviluppo socioeconomico e industriale locale. In un’ottica di blended learning, un percorso guidato di formazione online MOOC (Massive Open On-line Courses) sta accompagnando i Leaders lungo tutta l’evoluzione del progetto.

AIL è un programma con diversi elementi di novità nell’ambito della cooperazione allo sviluppo” afferma la prof.ssa Paola Garrone, coordinatrice del progetto “Una selezione molto competitiva ci ha permesso di avere partecipanti con profili ottimi in termini accademici e di esperienza; molti di loro rivestono ruoli importanti nei settori del business, delle istituzioni o dell’università.  Per sviluppare le competenze dei Leaders, il programma fa uso di un mix di strumenti: formazione specialistica, incontri con imprese che hanno trasformato i propri processi, sviluppo di un progetto, attività di disseminazione e networking. A queste condizioni, diventa realistica l’ipotesi che i Leaders progettino e guidino percorsi di innovazione all’altezza delle sfide che caratterizzano il manifatturiero, l’agricoltura e le infrastrutture nei paesi Africani di provenienza”.

Quella che è stata definita la “prima generazione” di Leaders si trova in Italia in questi giorni per partecipare a Seeds & Chips – The Global Food Innovation Summit e a EXCO2019 (Expo della Cooperazione Internazionale, Roma 15-17/05/2019) con lo scopo di coinvolgere aziende per sostenere i progetti di innovazione ideati e concretizzandoli in partnership industriali e imprenditoriali che impattino sullo sviluppo locale in modo stabile.

E nel frattempo una “seconda generazione” di Leaders è già stata ingaggiata: circa 250 nuovi African Innovation Leaders sono stati selezionati dalla prima generazione. Grazie al programma consolidato, seguiranno il percorso di formazione on line attraverso i MOOCs (disponibili nella piattaforma Polimi Open Knowledge – www.pok.polimi.it ) supportati dai 21 Leaders, in un circolo virtuoso che valorizza e promuove la rete di Alumni e quella dei mentori in varie discipline.

 “La seconda generazione è una componente fondamentale di AIL” spiega Garrone. “Il coinvolgimento dei nuovi esperti nel programma moltiplica le possibili sorgenti di trasformazione del sistema produttivo. Soprattutto, è la presenza della seconda generazione a rendere credibile l’idea che nei 6 paesi Africani target operi una comunità di innovatori.  Alcune decine di Leaders per paese condividono l’imprinting dato dal metodo e dai contenuti AIL e i legami con gli attori della Next Production Revolution in Italia, in particolare con il Politecnico di Milano e la sua School of Management e con le imprese italiane maggiormente innovative.”

Il programma sta inoltre proseguendo con la presentazione dei Leaders e dei loro progetti nel corso di innovation days dei paesi di provenienza, con la presenza di docenti della School of Management. In particolare, la seconda generazione, supportata dalla prima, partecipa ad una competizione di idee imprenditoriali innovative. In partnership con il programma AIL, il MIP e la Fondazione World Manufacturing Forum sostengono l’impegno delle due generazioni con premi consistenti nella partecipazione all’International Flex EMBA e all’edizione 2019 del WMF.

 

 

Due passi nella città del futuro

Sostenibile, connessa, condivisa. In una parola, smart. È questo il futuro a cui guarda una città come Milano, inserita ormai a pieno titolo nel gruppo delle metropoli europee più all’avanguardia. Ed è questo l’orizzonte a cui nei prossimi anni dovranno guardare tutti i centri urbani, grandi o piccoli che siano. Si fa sempre più concreta quindi l’idea di smart city, una città che grazie alle tecnologie e all’innovazione diventa più efficiente, più ecologica e anche più democratica.

«Quando penso a una smart city, penso a un insieme di comunità che coesistono e partecipano alla vita della città grazie a diverse forme di sharing», spiega Davide Chiaroni, direttore Corporate Relations al MIP Politecnico di Milano. «Assisteremo a un cambio di paradigma che investirà tutti i servizi e, di conseguenza, cambierà un po’ anche la nostra mentalità: ci abitueremo a una maggiore condivisione e partecipazione. Le smart city, in fondo, saranno le città dei Millennial e dei nativi digitali».

Queste città saranno anche in grado di offrire un’adeguata risposta architettonica ai mutati contesti lavorativi. «Molti edifici sono stati progettati sulla base di esigenze che oggi sono cambiate e cambieranno ancora di più in futuro: la crescente digitalizzazione dei servizi, che darà un impulso ancora maggiore allo smart working, renderà ad esempio obsoleti molti uffici di grandi dimensioni. La smart city, invece, si basa anche sull’idea dei cosiddetti building “circolari”, edifici progettati tenendo conto di una destinazione d’uso che può variare nel giro di poco tempo. In altri termini, sarà una città flessibile a misura di lavoro flessibile», racconta Chiaroni.

La flessibilità riguarda anche il tema della mobilità, che deve affrontare la duplice sfida della sostenibilità ambientale e della capillarità del servizio: «Milano sta puntando molto sull’allestimento di una flotta elettrica per il trasporto pubblico. E la guida autonoma rivoluzionerà la concezione che abbiamo dell’automobile: non più bene privato, ma vero e proprio servizio pubblico e condiviso», spiega Chiaroni. Da questo punto di vista, alcuni esperimenti si riveleranno molto utili per raccogliere dati e pianificare meglio i flussi di traffico: «I varchi di Area B (la zona a traffico limitato di Milano chiusa ai veicoli più inquinanti, ndr) saranno preziosissimi per misurare il volume di traffico e capire in quali aree intervenire e come farlo».

La rivoluzione delle smart city, insomma, è alle porte. Mancano però ancora dei tasselli, a partire dall’energia: «Le città non sono ancora in grado di affidarsi unicamente alle energie pulite e rinnovabili. Ci sono limiti di storage che vanno superati, ma la strada è quella giusta», spiega Chiaroni. Non va poi nascosto che lo sviluppo della smart city porta con sé anche delle criticità. «Numerosi studi sono d’accordo nell’affermare che la smart city, nel suo complesso, ha delle ricadute economiche positive. Ma non tutti gli attori coinvolti in questo processo vincono». Ed è qui che entra in gioco la funzione della politica: «La smart city cambierà le forme del lavoro. È inevitabile pensare che le fasce più anziane della popolazione ne saranno colpite. La politica avrà il ruolo di compensare questi gap, a fronte di un saldo che è comunque positivo».

La School of Management del Politecnico di Milano mira a formare le professionalità più adeguate per la gestione di questi processi: «Penso a una vera e propria cabina di regia che si occupi del design dei servizi, che sia in grado di realizzare una road map, che non sia composta da tecnici, ma da dirigenti che sappiano quali sono le tecnologie da sfruttare. La nostra scuola offre ai futuri manager un duplice know-how: gestionale e tecnologico. Siamo convinti che uno non possa prescindere dall’altro. Progettare non basta: bisogna pensare anche alle ricadute pratiche», conclude Chiaroni.

 

LUCI E OMBRE DELLA COP24 DI KATOWICE

All’umanità restano appena dodici anni per salvare il clima del Pianeta. L’allarme lanciato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ben sintetizza l’importanza della COP24, la conferenza internazionale sui cambiamenti climatici conclusasi lo scorso dicembre a Katowice, in Polonia.

Che bilancio si può tracciare di questo importante summit, ideale seguito di quello di Parigi del 2015? Emerge un quadro in chiaroscuro, con gli esperti divisi tra chi lamenta l’insufficienza dei progressi conseguiti e chi, invece, si concentra soprattutto sull’importanza dei risultati – benché parziali – raggiunti.

«Quello sul cambiamento climatico è un processo di negoziazione complicato che coinvolge molti paesi. Perciò è naturale aspettarsi progressi lenti», ha dichiarato Massimo Tavoni, professore di Climate Change Economic presso la School of Management del Politecnico di Milano. «L’obiettivo principale della riunione della COP di quest’anno è stato quello di fare il punto su dove siamo arrivati ed elaborare linee guida per l’implementazione di ciò che è stato già deciso. Questi obiettivi nel complesso sono stati raggiunti, ma hanno anche mostrato quanto piccoli siano stati i progressi finora compiuti. In particolare, l’incontro di Katowice ha sottolineato la fragilità politica dell’accordo sul clima di Parigi firmato nel 2015. Le posizioni scettiche dei governi degli Stati Uniti e del governo brasiliano appena eletto, oltre all’opposizione dei paesi del Golfo, hanno fatto sorgere dubbi sulla capacità dell’accordo di Parigi di compiere reali progressi aggiuntivi sulle riduzioni delle emissioni. Questo mentre la scienza ha accumulato nuovi preoccupanti segnali dell’impatto potenzialmente devastante dei cambiamenti climatici sull’uomo e sugli ecosistemi», spiega Tavoni, vincitore di un ERC grant sui temi dell’economia comportamentale e dell’ambiente.

Va detto però che l’obiettivo tecnico della COP24, cioè l’approvazione di un regolamento sull’applicazione dell’accordo di Parigi, è stato centrato, anche se non si è raggiunto un impegno collettivo per portare a termine i cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDC), ossia gli obiettivi di azione sul clima a livello nazionale. L’obiettivo dell’accordo di Parigi era contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, o, meglio ancora, entro gli 1,5 °C. Come fa notare Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, “Per farlo, si devono fissare obiettivi di riduzione volontari su base nazionale, ma è necessario garantire metodi coerenti, comuni e trasparenti in modo da poter confrontare i diversi obiettivi e le azioni dei vari Paesi con la stessa metodologia. Senza di ciò, ogni Paese misurerebbe le cose a modo suo. Lo scopo di Katowice era dunque avere le basi tecniche per andare avanti. Scopo che, con fatica, è stato raggiunto. Al contempo, però, si è registrato un calo di leadership”.

Questo “calo di leadership” si è notato fin dall’inizio dei lavori. Di fronte ai risultati presentati, si è aperto un confronto su come citare l’ultimo Rapporto dell’IPCC che valuta la differenza degli impatti tra un aumento di 1,5 °C e uno di 2 °C. Onufrio fa notare che c’è una bella differenza tra “usare la parolina ‘welcome’ (‘accogliere’) oppure ‘prendere nota’, che significa prendere atto senza però necessariamente agire”. Paesi come Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Kuwait, tutti produttori di petrolio, hanno deciso di non “accogliere” i risultati esposti dai climatologi. Quindi, alla fine della COP24 il Rapporto dell’IPCC è stato citato con una formula derivante da un compromesso al ribasso.

Quanto agli aspetti positivi, oltre al già citato conseguimento dell’obiettivo tecnico, che consente al negoziato sul clima di andare avanti, bisogna segnalare che la discussione ha anche toccato i temi dell’agricoltura, del suolo e delle foreste, che proprio a Katowice sono entrati in maniera più precisa nella discussione. Infine, per la prima volta, si è aperto un vero dibattito sul carbone. La Pontificia Accademia delle Scienze del Vaticano e l’Accademia delle Scienze polacca hanno presentato un documento in cui si chiede una transizione che comporti l’abbandono del carbone entro il 2030 in Polonia. Un orientamento, quest’ultimo, che avrebbe delle conseguenze positive anche dal punto di vista dell’occupazione, come spiega Giuseppe Onufrio: “I settori da chiudere, come quelli del fossile, sono ad altissima intensità di capitale e a bassa intensità di lavoro, escludendo le miniere, che comunque perderanno forza lavoro perché anche lì sta entrando l’automazione. Invece, nelle fonti rinnovabili, distribuite a bassa densità, c’è molta più occupazione in funzione dell’energia prodotta”.